Ordinanza 77/2010 - Sanzioni amministrative - Emissione di assegno senza autorizzazione o senza provvista - Procedimento

ORDINANZA N. 77 ANNO 2010
Sanzioni amministrative - Emissione di assegno senza autorizzazione o senza provvista - Procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative - Attribuzione al prefetto della duplice competenza a notificare all'interessato gli estremi della violazione e ad irrogare le sanzioni, previa valutazione dei documenti e degli scritti difensivi eventualmente prodotti - Omessa previsione che le deduzioni presentate dall'interessato siano valutate dall'autorità gerarchicamente sovraordinata, anziché dal prefetto, così come disposto dalla legge n. 689 del 1981 in materia di depenalizzazione.


Presidente DE SIERVO - Redattore NAPOLITANO

Camera di Consiglio del 27/01/2010 Decisione del 22/02/2010
Deposito del 26/02/2010 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 8 bis della legge 15/12/1990, n. 386.
Massime:

Titoli:
Atti decisi: ord. 249/2009


ORDINANZA N. 77

ANNO 2010




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo nel procedimento vertente tra M. P. e il Prefetto di Cuneo con ordinanza del 9 luglio 2009, iscritta al n. 249 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.




Ritenuto che, con ordinanza depositata in data 9 luglio 2009, il Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, dell’art. 8-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), nella parte in cui prevede che – nel procedimento amministrativo avente ad oggetto l’adozione della ordinanza applicativa delle sanzioni amministrative a carico dell’emittente di assegni bancari privi di autorizzazione o di provvista – le deduzioni previamente presentate dall’interessato siano valutate dal Prefetto e non da altra autorità;

che il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare in merito alla opposizione presentata da tale M. P. avverso l’ordinanza, emessa nei confronti di quest’ultimo dal viceprefetto di Cuneo (in quanto delegato del Prefetto) il 10 febbraio 2009, con la quale è stato ingiunto al medesimo, a titolo di sanzione pecuniaria, il pagamento della somma di euro 2065,82 ed è stata irrogata la sanzione amministrativa accessoria del divieto di emettere assegni per la durata di 48 mesi;

che, tanto premesso, il Giudice di pace osserva come, a seguito della entrata in vigore dell’art. 33 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, 205), il quale ha modificato l’art. 8 della legge n. 386 del 1990 ed ha introdotto l’art. 8-bis nella medesima legge, le condotte di emissione di assegni bancari senza autorizzazione o senza provvista sono state depenalizzate;

che, prosegue il rimettente, nel caso di cui al citato art. 8-bis, la disciplina vigente prevede che il Prefetto, informato, a seconda dei casi, da chi ha elevato il protesto (o eseguito altro atto equivalente) o dalla stessa banca trattaria, provvede nei novanta giorni successivi a notificare all’interessato gli estremi della violazione commessa;

che, aggiunge il giudice a quo, questi, nei trenta giorni successivi, può presentare scritti difensivi e documenti, valutati i quali il Prefetto emette ordinanza con la quale ingiunge il pagamento di una sanzione pecuniaria, ovvero dispone motivatamente la archiviazione degli atti;

che, così delineata la normativa, il rimettente osserva che, in base ad essa, gli scritti difensivi dell’interessato dovranno essere oggetto di valutazione da parte del Prefetto, cioè dello stesso organo che ha contestato la violazione e che è chiamato a decidere se emettere o meno la ordinanza di pagamento;

che tale disciplina legislativa pare al rimettente illogicamente deteriore, in danno di chi abbia emesso un assegno senza autorizzazione o senza provvista, rispetto a quella relativa alla irrogazione delle altre sanzioni amministrative;

che, infatti, a mente degli artt. 17 e 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la notificazione e la contestazione della violazione sono effettuate da organo diverso rispetto a quello che sarà chiamato a valutare le ragioni esposte in eventuali scritti difensivi e a determinare la sanzione;

che, ad avviso del rimettente, la disciplina invece delineata dall’art. 8-bis della legge n. 386 del 1990, la quale prevede che «sia sempre lo stesso prefetto tanto a redarre (recte: redigere) e a notificare gli estremi della violazione […] che a irrogare la sanzione previa valutazione delle deduzioni presentate con scritti difensivi e documenti fatti pervenire dal soggetto oggetto della contestazione», violerebbe il principio di eguaglianza nello svolgimento dell’azione amministrativa ed il diritto di far valere efficacemente le proprie ragioni, in quanto la sanzione viene irrogata da organo non terzo né gerarchicamente sovraordinato al Prefetto ma da quest’ultimo che già ha provveduto a contestare l’addebito;

che la descritta disciplina si porrebbe altresì in contraddizione con il principio che tutela la pienezza ed effettività del contraddittorio – instauratosi a seguito della presentazione delle deduzioni da parte dell’interessato – risultando questo minorato poiché la valutazione di dette deduzioni spetta all’organo che, sulla base delle informative ricevute, già ha contestato la violazione;

che, secondo quanto infine ritenuto dal rimettente, la discrezionalità del legislatore sarebbe stata esercitata in questa occasione in modo arbitrariamente irragionevole, posto che la procedura prevista sarebbe lesiva dell’art. 24 Cost., essendo il diritto di difesa vulnerato, «perché reso possibile solo attraverso una sorta di contraddittorio da svolgersi in un ambito e con un giudizio domestico»;

che è intervenuto in giudizio, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo nel senso della inammissibilità o infondatezza della questione sollevata;

che la difesa pubblica rileva, infatti, l’insufficiente descrizione della fattispecie, la quale impedisce la verifica della rilevanza della questione proposta;

che, aggiunge la difesa erariale, l’ordinanza, sarebbe priva della motivazione in ordine agli effetti che dalla declaratoria di illegittimità costituzionale deriverebbero nel giudizio a quo;

che, aggiunge la Avvocatura, la questione sarebbe comunque infondata, poiché diversamente da quanto asserito dal rimettente, anche la disposizione censurata prevede che la fase della constatazione iniziale della condotta non competa al Prefetto, ma a diverso soggetto, spettando al primo solo il compito di procedere alla notificazione degli estremi della violazione da altri contestata;

che, non sussistendo alcuna sostanziale differenza rispetto alla disciplina di cui alla legge n. 698 del 1981, non sarebbe ravvisabile alcuna disparità di trattamento, mentre non si riscontrerebbe la violazione dei principi costituzionali in tema di diritto di difesa in quanto, in questo caso, così come in base alla ordinaria disciplina in tema di sanzioni amministrative, la attività di accertamento materiale della violazione non sarebbe svolta dal medesimo organo cui è attribuito il compito di verificare, in contraddittorio con gli interessati ed alla luce delle deduzioni eventualmente presentate da costoro, la sussistenza delle condizioni per l’applicazione delle sanzioni.

Considerato che il Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 8-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), in quanto esso prevede che, nel procedimento volto alla emissione dell’ordinanza prefettizia di applicazione delle sanzioni a seguito della emissione di assegni bancari senza autorizzazione o privi di provvista, le deduzioni presentate dall’interessato successivamente alla contestazione della condotta illecita, siano valutate dal Prefetto e non da altra autorità;

che, con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo, in sintesi, ritiene, per un verso, che la disposizione censurata sia irragionevole in quanto prevede che le predette deduzioni difensive siano valutate dallo stesso organo che ha contestato l’illecito amministrativo e che è competente per la irrogazione della sanzione, e, per altro verso, che siffatta procedura, in quanto, appunto, non prevede che l’organo preposto a contestare l’illecito sia distinto da quello che, valutate le deduzioni difensive, provvede, se del caso, alla irrogazione della sanzione, sia fonte di un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla normativa applicabile per gli illeciti amministrativi sanzionati ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

che, ad avviso del rimettente, il descritto meccanismo procedimentale si porrebbe anche in contrasto col diritto di difesa, presidiato dall’art. 24 Cost.;

che la questione è manifestamente inammissibile con riferimento agli enunciati parametri di cui agli artt. 3 e 113 Cost. mentre è manifestamente infondata con riferimento al parametro rappresentato dall’art. 24 Cost.;

che, in particolare, il Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo omette di considerare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non è utilmente evocabile quale parametro di legittimità costituzionale l’art. 24 Cost., ove la disposizione censurata abbia ad oggetto non un procedimento di natura giurisdizionale ma, come nel caso che qui interessa, esclusivamente una procedura di carattere amministrativo (ordinanze n. 210 del 1995, n. 103 del 1993 e n. 146 del 1963) e, siffatta erroneità, determina, quindi, la manifesta infondatezza della questione sollevata con riferimento a tale parametro;

che, con riferimento all’art. 113 Cost., il rimettente trascura del tutto di chiarire in che modo la norma oggetto dell’incidente di costituzionalità si porrebbe in contrasto con l’indicato parametro e che, quindi, sotto tale aspetto, la questione è manifestamente inammissibile;

che, infine, riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., sotto la duplice prospettazione della disparità di trattamento e della irragionevolezza intrinseca, il petitum formulato dal rimettente è oscuro e, comunque, esulante dai poteri di questa Corte;

che, infatti – pur prescindendosi dal rilievo che, attesa la incomparabilità tra le procedure sanzionatorie previste dalla legge n. 689 del 1981 e quelle contemplate dall’art. 8-bis della legge n. 386 del 1990, dovuta alle numerose peculiarità che rispettivamente le differenziano, l’una non può essere posta come termine di paragone dell’altra (da ultimo, sentenza n. 132 del 2009 e ordinanze n. 344 del 2008 e n. 405 del 2007) e che i dubbi formulati dal rimettente, in ordine alla ragionevolezza della attribuzione della competenza a valutare le deduzioni difensive allo stesso soggetto che ha contestato la commissione dell’illecito, non tengono conto del fatto che, nella specifica procedura ora in esame, la contestazione da parte del Prefetto non assume alcuna funzione valutativa, rendendosi essa non irragionevole in quanto il soggetto che ha riscontrato la emissione dell’assegno bancario privo di autorizzazione o senza provvista, e che di ciò informa il Prefetto territorialmente competente, potrebbe anche essere estraneo alla pubblica amministrazione e, persino, sprovvisto di potestà di carattere pubblico e, pertanto, come tale, non idoneo a contestare l’illecito –, deve osservarsi che non risulta chiaro nell’ordinanza se il rimettente, onde rimuovere i ritenuti vizi di costituzionalità, chiede a questa Corte di introdurre, anche nella ipotesi di emissione di assegni privi di autorizzazione o senza provvista, un meccanismo che, a guisa di quanto stabilito dall’art. 14 della legge n. 689 del 1981, preveda che la violazione sia contestata immediatamente dallo stesso soggetto (ovvero da funzionario della stessa amministrazione) che la ha accertata, oppure se egli chiede che, al medesimo fine di cui sopra, la Corte, intervenendo in via manipolativa sulla norma censurata, disponga affinché la competenza a prendere in esame le deduzioni difensive presentate dall’interessato, nonché ad adottare i successivi provvedimenti – sanzionatori o di archiviazione – spetti ad un’autorità “sovraordinata” al Prefetto;

che siffatta ambiguità – non disgiunta dalla evidente, in ambedue i casi, funzione creativa dell’intervento demandato a questa Corte, come tale estraneo ai suoi poteri trattandosi di materia rimessa alla discrezionalità del legislatore – determina la manifesta inammissibilità, anche sotto gli indicati profili, della questione di legittimità costituzionale.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), introdotto dall’art. 33 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 113 della Costituzione, dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 8-bis della legge n. 386 del 1990 sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Borgo San Dalmazzo con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA