ORDINANZA N. 253 ANNO 2010

ORDINANZA N. 253 ANNO 2010

Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Attribuzione alla competenza del giudice di pace - Applicabilità dell'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva.
 
Ordinanza 253/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE



Presidente AMIRANTE - Redattore FRIGO



Camera di Consiglio del 09/06/2010 Decisione del 05/07/2010

Deposito del 08/07/2010 Pubblicazione in G. U. 14/07/2010

Norme impugnate: Artt. 10-bis e 16, c. 1°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286 , rispettivamente aggiunto e modificato dall'art. 1 della legge 15/07/2009, n. 94 e art. 62-bis del decreto legislativo 28/08/2000, n. 274, aggiunto dall'art. 1 della stessa legge 15/07/2009, n. 94.

Massime: 34841



Titoli:

Atti decisi: ord. 282, 302, 303, 312, 324, 325 e 326/2009





ORDINANZA N. 253



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



ORDINANZA



nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), rispettivamente aggiunto e modificato dall’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto dall’art. 1 della stessa legge 15 luglio 2009, n. 94, promossi dal Giudice di pace di Orvieto con ordinanze del 28 settembre 2009 e del 5 ottobre 2009 (n. due ordinanze), dal Giudice di pace di Cuneo con ordinanza del 16 ottobre 2009, dal Giudice di pace di Gubbio con due ordinanze del 15 ottobre 2009 e dal Giudice di pace di Vigevano con ordinanza del 2 novembre 2009, rispettivamente iscritte ai nn. 282, 302, 303, 312, 324, 325 e 326 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 47 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2009 e nn. 1 e 3, prima serie speciale, dell’anno 2010.



Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;



udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.









Ritenuto che, con tre ordinanze di analogo tenore, emesse il 28 settembre 2009 (r.o. n. 282 del 2009) e il 5 ottobre 2009 (r.o. n. 302 e n. 303 del 2009), il Giudice di pace di Orvieto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), allegando la violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma, «in relazione agli artt. 13 e 27», e dell’art. 111 della Costituzione;



che, ad avviso del giudice a quo, la norma incriminatrice censurata – la quale punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, «salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del [citato] testo unico nonché di quelle di cui all’articolo 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68» (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio) – si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto priva di ratio giustificatrice;



che l’obiettivo che la disposizione impugnata si prefigge – di allontanare, cioè, lo straniero «clandestino» dal territorio nazionale – sarebbe, infatti, già conseguibile tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa: espulsione eseguibile senza necessità di nulla-osta da parte dell’autorità giudiziaria, nel caso di pendenza di procedimento penale per il reato in esame (art. 10-bis, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998);



che la pena pecuniaria comminata per la violazione rimarrebbe, d’altro canto, solo «teorica», dovendo essere applicata a persone nullatenenti e prive di «sicura domiciliazione», sicché anche la sua conversione in lavoro sostitutivo «non otterrebbe alcun risultato utile»;



che risulterebbero violati, inoltre, i principi di offensività e proporzionalità, giacché, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 78 del 2007, il mancato possesso di un titolo valido per il soggiorno nello Stato non è, di per sé, sintomatico di una particolare pericolosità sociale: pericolosità che, per contro – alla luce dell’espressione «fatto commesso», contenuta nell’art. 25, secondo comma, Cost., nonché del principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.) e del criterio dell’extrema ratio – costituirebbe condizione imprescindibile affinché possano irrogarsi sanzioni di natura criminale;



che la norma censurata violerebbe, ancora, gli artt. 2 e 10 Cost., per contrasto con il principio di solidarietà – posto tra «i valori fondamentali dell’uomo» da plurime convenzioni internazionali – assumendo un «connotato discriminatorio» nei confronti di persone che versano in condizioni di bisogno;



che un ulteriore e conclusivo profilo di irrazionalità della norma si connetterebbe alla circostanza che, in rapporto alla sottofattispecie dell’illegale trattenimento, non sia stata introdotta una disciplina transitoria, «quale quella prevista per le colf e badanti»: con la conseguenza che il migrante clandestino, già presente nel territorio dello Stato alla data di entrata in vigore della novella, non avrebbe alcuna possibilità di evitare i rigori della legge penale;



che, con ordinanza del 16 ottobre 2009 (r.o. n. 312 del 2009), il Giudice di pace di Cuneo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, secondo comma, e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, «in combinato disposto» con l’art. 16-bis [recte: 62-bis] del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della legge n. 94 del 2009;



che, anche secondo detto giudice, la scelta di configurare come reato l’ingresso e la permanenza illegali dello straniero nello Stato italiano si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto carente di ogni «fondamento giustificativo»;



che lo scopo della fattispecie incriminatrice sarebbe, infatti, quello di allontanare al più presto lo straniero «irregolare» dal territorio dello Stato, come attestano inequivocamente le circostanze che il giudice di pace possa sostituire la pena pecuniaria con l’espulsione ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 286 del 1998; che l’espulsione in via amministrativa dell’imputato non richieda il nulla osta dell’autorità giudiziaria e che l’avvenuta esecuzione dell’espulsione venga configurata come causa di improcedibilità dell’azione penale (art. 10-bis, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 286 del 1998);



che, in questa ottica, l’incriminazione si rivelerebbe, peraltro, del tutto inutile, giacché l’obiettivo con essa perseguito era già raggiungibile mediante l’espulsione coattiva in via amministrativa, ai sensi dell’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998: espulsione di cui la norma censurata non amplia in alcun modo i presupposti, né rende più facile l’esecuzione;



che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche per la irragionevole disparità di trattamento tra la nuova fattispecie criminosa e quella di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce lo straniero che non ottemperi all’ordine del questore di allontanamento dal territorio nazionale solo in assenza di un «giustificato motivo»;



che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 – nella sua correlazione con il disposto dell’art. 16-bis [recte: 62-bis] del d.lgs. n. 274 del 2000, che abilita il giudice di pace ad applicare la misura dell’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva – si porrebbe in contrasto anche con l’art. 97, primo comma, Cost., giacché l’avvio di due distinti procedimenti – amministrativo e penale – aventi la medesima finalità risulterebbe irrazionale e foriero di ingiustificati «oneri economici per il contribuente»;



che ulteriori dubbi di costituzionalità sarebbero suscitati dal comma 5 dell’art. 10-bis, che impone al giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere ove l’espulsione amministrativa sia stata materialmente effettuata;



che tale previsione si porrebbe, difatti, in contrasto con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), in quanto trascurerebbe il possibile interesse dell’imputato alla prosecuzione del processo al fine di vedere accertata, nel merito, la propria innocenza, imponendo, in pari tempo, al giudice un automatico «avallo» dell’operato della pubblica amministrazione: il che confermerebbe come l’assetto normativo sia ispirato ad una «presunzione di colpevolezza» collidente con l’art. 27, secondo comma, Cost.;



che la questione sarebbe, infine, rilevante, in quanto nel giudizio a quo l’imputato è chiamato a rispondere del reato di cui alla norma denunciata, così che la declaratoria di incostituzionalità di quest’ultima ne comporterebbe l’assoluzione;



che l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 è stato sottoposto a scrutinio di costituzionalità, in riferimento agli artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 97 Cost., anche dal Giudice di pace di Vigevano, con ordinanza emessa il 2 novembre 2009 (r.o. n. 326 del 2009) nel corso di un processo penale nei confronti di quattro persone imputate del reato previsto dalla norma impugnata;



che il rimettente lamenta, anzitutto – sulla scorta di argomenti analoghi a quelli svolti dal Giudice di pace di Cuneo – la contrarietà della norma impugnata all’art. 3 Cost., sotto i profili della carenza di ratio giustificatrice e della disparità di trattamento rispetto alla fattispecie criminosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 – pure più grave e destinata ad assorbire quella in esame – a fronte della mancata previsione della «scriminante» del «giustificato motivo»;



che il giudice a quo denuncia, inoltre, l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio della nuova fattispecie criminosa, complessivamente considerato: non soltanto, cioè, della comminatoria della pena dell’ammenda – pena che risulterebbe priva di ogni efficacia deterrente nei confronti di soggetti quasi sempre totalmente impossidenti, quali gli stranieri clandestini – ma anche del divieto di applicazione della sospensione condizionale della pena e della facoltà, concessa al giudice, di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione più grave, quale l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni;



che sarebbero lesi, ancora, gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., in quanto la nuova figura di reato solo apparentemente sanzionerebbe una condotta, mentre, in realtà, sarebbe diretta a colpire una condizione personale e sociale dello straniero, legata al mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso o al soggiorno nel territorio dello Stato: condizione che verrebbe arbitrariamente considerata come sintomatica di pericolosità sociale;



che risulterebbe violato anche l’art. 97, primo comma, Cost., giacché la previsione di due distinti procedimenti – amministrativo e penale – diretti allo stesso fine di allontanare lo straniero dal territorio dello Stato influirebbe sulla ragionevole durata del processo penale, oltre a provocare inutili incrementi di costi e di «incombenti»;



che la nuova fattispecie si porrebbe in contrasto, infine, con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale;



che quanto, infine, alla rilevanza della questione, essa sarebbe indubbia, giacché nel caso di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata gli imputati non andrebbero incontro a nessuna conseguenza penale;



che con due ordinanze di identico tenore, emesse nell’ambito di distinti processi penali il 15 ottobre 2009 (r.o. n. 324 e n. 325 del 2009), il Giudice di pace di Gubbio ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e 117 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, «ultimo periodo», del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000;



che secondo il giudice a quo, l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 – in correlazione con il successivo art. 16, comma 1, che, nel testo modificato dall’art. 1, comma 16, lettera b), e comma 22, lettera o), della legge n. 94 del 2009, consente al giudice di pace di applicare allo straniero condannato per la contravvenzione prevista dalla norma impugnata la sanzione sostitutiva dell’espulsione – violerebbe i principi di materialità e di necessaria offensività del reato, desumibili dall’art. 25, secondo comma, Cost.;



che la norma incriminatrice reprimerebbe, infatti, una mera condizione personale – lo «status» di clandestino – di cui verrebbe arbitrariamente presunta la pericolosità, sottoponendo a pena, non un fatto offensivo di un bene giuridico tutelato, in via diretta o mediata, nella Costituzione, ma la mera disobbedienza alle norme in tema di controllo dei flussi migratori;



che la fattispecie criminosa in questione lederebbe, altresì, gli artt. 3 e 27 Cost., per contrasto con i principi di eguaglianza e di «colpevolezza ed esigibilità», stante la mancanza di qualsiasi riferimento – presente, invece, nell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 – all’eventuale sussistenza di giustificati motivi di inosservanza del precetto;



che l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche per l’irragionevolezza della scelta di criminalizzare l’ingresso o la permanenza irregolari nel territorio dello Stato: scelta che colliderebbe con il principio di sussidiarietà o di extrema ratio, in forza del quale è consentito ricorrere alla sanzione penale solo quando nessun altro strumento, civile o amministrativo, si riveli idoneo;



che dalla lettura congiunta degli artt. 10-bis e 16 del d.lgs. n. 286 del 1998 emergerebbe, infatti, chiaramente che l’unico scopo perseguito dal legislatore con l’introduzione del nuovo reato è l’allontanamento dello straniero «irregolare» dal territorio dello Stato: obiettivo che risultava tuttavia conseguibile, già prima della novella, tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa;



che ne deriverebbe anche un ulteriore profilo di compromissione dell’art. 27 Cost., assistendosi ad un uso distorto della sanzione penale, la quale verrebbe impiegata dal legislatore a fini di mera «deterrenza», con conseguente strumentalizzazione del singolo a scopi di politica criminale;



che il principio di personalità della responsabilità penale risulterebbe vulnerato anche perché la norma – a parità di condotta – discrimina gli stranieri che siano stati espulsi in via amministrativa (nei cui confronti andrà pronunciata sentenza di non luogo a procedere) e coloro che non lo siano stati (i quali andranno invece incontro alla condanna): con la conseguenza che la responsabilità penale dell’imputato verrebbe a dipendere da circostanze estranee alla sua sfera di dominio, e segnatamente dalla mera discrezionalità o disponibilità di mezzi da parte dell’autorità amministrativa;



che i denunciati profili di irragionevolezza non sarebbero affatto superati dalla comminatoria della pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, sottratta alla sospensione condizionale (trattandosi di reato di competenza del giudice di pace) e all’oblazione: risultando evidente come si tratti di sanzione ineffettiva a fronte della normale condizione di insolvibilità degli imputati, con l’unico «effetto collaterale» di un inutile «sovraccarico» del sistema giudiziario;



che del tutto irrazionale sarebbe, poi, che detta pena pecuniaria possa essere sostituita con una sanzione sostitutiva di gran lunga più afflittiva, quale l’espulsione dal territorio dello Stato non inferiore a cinque anni: tanto più che, in tutti gli altri casi contemplati dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, la misura sostitutiva dell’espulsione resta applicabile solo quando il giudice ritenga di dover irrogare pene detentive fino a due anni e non ricorrano le condizioni per la sospensione condizionale della pena;



che la fattispecie incriminatrice censurata risulterebbe altresì inconciliabile con il principio di solidarietà, di cui agli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, Cost., venendo a colpire, in combinazione con l’istituto del concorso di persone nel reato, tutte le condotte che, se pure animate solo da fini di solidarietà politica, economica e sociale, si risolvano in una agevolazione dell’ingresso o del trattenimento nel territorio dello Stato di persone che versano in condizioni di «subalternità» e indigenza;



che la disciplina censurata violerebbe, ancora, l’art. 117 Cost., ponendosi in contrasto con il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti, adottato il 15 dicembre 2000, il quale – nell’impegnare ogni Stato Parte a conferire il carattere di reato a una serie di condotte attinenti al traffico dei migranti (art. 6) – statuisce che «i migranti non diventano assoggettati all’azione penale fondata sul presente protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all’art. 6» (art. 5) e obbliga, altresì, gli Stati contraenti a prendere «misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all’art. 6» (art. 16);



che sarebbe leso, infine, l’art. 10 Cost., che impone la conformazione dell’ordinamento italiano ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti;



che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, afferma, infatti, che «ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese» (art. 13), «il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni» (art. 14), nonché il diritto alla possibilità di assicurare a sé e alla propria famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana (art. 23): disposizioni, queste, che impedirebbero al legislatore di ricollegare alla sola condizione di migrante, sia pure non regolare, «trattamenti deteriori rispetto a quel minimum di garanzie rintracciabili nei cc.dd. principi fondamentali inalienabili»;



che la questione sarebbe rilevante nei giudizi a quibus, che vedono due persone nate in Marocco imputate della contravvenzione di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, con possibile applicazione della sanzione sostitutiva dell’espulsione: giudizi che, dunque, nel caso di accoglimento della questione, si concluderebbero con l’assoluzione degli imputati;



che in tutti i giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza o, comunque, infondate nel merito.



Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;



che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;



che alcuni dei rimettenti estendono le proprie censure anche alle norme che accordano al giudice penale – e, in specie, al giudice di pace, competente per il reato in questione – il potere di sostituire la pena pecuniaria con la misura dell’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni: vale a dire l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 n. 1998, come modificato dall’art. 1, comma 16, lettera b), e comma 22, lettera o), della legge n. 94 del 2009 (ordinanze r.o. n. 324 e n. 325 del 2009 del Giudice di pace di Gubbio), e l’art. 62-bis del 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della legge n. 94 del 2009 (ordinanza r.o. n. 312 del 2009 del Giudice di pace di Cuneo; ordinanze r.o. n. 324 e n. 325 del 2009 del Giudice di pace di Gubbio);



che le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato sono fondate, giacché tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;



che, in rapporto alle ordinanze di rimessione del Giudice di pace di Orvieto (r.o. n. 282, n. 302 e n. 303 del 2009), l’indicato difetto di descrizione e di motivazione è totale;



che il Giudice di pace di Cuneo (ordinanza r.o. n. 312 del 2009) si limita, dal canto suo, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si procede per il reato di cui l’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, così che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporterebbe l’assoluzione dell’imputato: manca, tuttavia, ogni specifico riferimento alla vicenda concreta che ha dato origine all’imputazione, idoneo a permettere la verifica dell’asserita rilevanza della questione;



che, da ultimo, il Giudice di pace di Gubbio e il Giudice di pace di Vigevano riproducono, nell’epigrafe delle rispettive ordinanze di rimessione (r.o. n. 324 e n. 325 del 2009; r.o. n. 326 del 2009), i capi di imputazione: i quali si risolvono, peraltro, nella sostanza, in una mera e generica parafrasi della norma incriminatrice – persino quanto al riferimento in via alternativa alle condotte di ingresso e di permanenza illegale nello Stato – senza che, di nuovo, venga riferito alcunché sulle vicende che hanno dato origine al giudizio e sulla loro effettiva riconducibilità al paradigma punitivo censurato;



che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.



Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



riuniti i giudizi,



dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), rispettivamente aggiunto e modificato dall’art. 1, comma 16, lettere a) e b), e comma 22, lettera o), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto dall’art. 1, comma 17, lettera d), della citata legge n. 94 del 2009, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13, 24, 25, 27, 97, 111 e 117 della Costituzione, dal Giudice di pace di Orvieto, dal Giudice di pace di Cuneo, dal Giudice di pace di Vigevano e dal Giudice di pace di Gubbio con le ordinanze indicate in epigrafe.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Giuseppe FRIGO, Redattore



Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria l'8 luglio 2010.



Il Direttore della Cancelleria



F.to: DI PAOLA