SENTENZA N. 255 ANNO 2010

SENTENZA N. 255 ANNO 2010

Radiotelevisione - Norme della Regione Piemonte - "Sistema Integrato della Comunicazione" (SIC) - Definizione - Difformità rispetto al testo unico della televisione, per la mancata inclusione nel SIC della "stampa quotidiana e periodica" e della "pubblicità esterna" - Lamentata violazione di principi fondamentali posti dalla normativa statale per la disciplina del mercato al fine di impedire il formarsi di posizioni dominanti; Radiotelevisione - Imposte e tasse - Norme della Regione Piemonte - Canone RAI - Autorizzazione alla Giunta regionale a promuovere intese con il Ministro dello sviluppo economico volte a definire l'utilizzo di quota parte del canone di abbonamento RAI corrisposto dai cittadini piemontesi, nel rispetto dei criteri generali approvati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta - Contrasto con le norme nazionali contenenti la disciplina del canone, che escludono un intervento della Regione nell'utilizzo del tributo.
Sentenza 255/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE



Presidente AMIRANTE - Redattore GALLO



Udienza Pubblica del 08/06/2010 Decisione del 07/07/2010

Deposito del 15/07/2010 Pubblicazione in G. U. 21/07/2010

Norme impugnate: Artt. 3, c. 1°, e 8, c. 2°, della legge della Regione Piemonte 26/10/2009, n. 25.

Massime: 34847 34848



Titoli:

Atti decisi: ric. 107/2009





SENTENZA N. 255



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 8, «comma 1» [recte: comma 2] della legge della Regione Piemonte 26 ottobre 2009, n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio, televisione, cinema e informatica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso consegnato per la notificazione a mezzo posta il 22 dicembre 2009, ricevuto dalla destinataria Regione Piemonte il 29 dicembre 2009, depositato in cancelleria il 30 dicembre successivo ed iscritto al n. 107 del registro ricorsi 2009.



Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;



udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Franco Gallo;



uditi l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocata Giovanna Scollo per la Regione Piemonte.







Ritenuto in fatto



1. – Con ricorso consegnato per la notificazione a mezzo posta il 22 dicembre 2009, ricevuto dalla destinataria Regione Piemonte il 29 dicembre 2009 e depositato in cancelleria il 30 dicembre successivo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso − in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione − questioni di legittimità dell’art. 3, comma 1, e dell’art. 8, «comma 1» [recte: comma 2], della legge della Regione Piemonte 26 ottobre 2009, n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio, televisione, cinema e informatica).



1.1.− Quanto alla prima delle due disposizioni denunciate, il ricorrente rileva che il comma 1 dell’art. 3 della legge reg. n. 25 del 2009, nel dettare disposizioni in tema di «interventi a sostegno del sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità», introduce una definizione di «sistema integrato delle comunicazioni» diversa da quella stabilita – nell’àmbito di un complesso normativo statale diretto a regolare il mercato al fine di impedire il formarsi di posizioni dominanti − dall’art. 2, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico della radiotelevisione). Secondo il ricorrente, la suddetta disposizione di legge regionale, non ricomprendendo nel settore economico individuato dal «sistema integrato delle comunicazioni» le attività della «stampa quotidiana e periodica» e della «pubblicità esterna» − incluse in tale settore dalla norma statale sopra citata −, «contrasta con i princípi fondamentali e travalica i limiti posti dalla legislazione regionale dall’art. 12 dello stesso decreto legislativo» n. 177 del 2005 e, pertanto, víola l’evocato parametro costituzionale, nella parte in cui quest’ultimo riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela della concorrenza».



1.2.− Quanto alla seconda delle disposizioni denunciate, il ricorrente afferma che il comma 2 dell’art. 8 della medesima legge reg. n. 25 del 2009, nell’autorizzare la Giunta regionale del Piemonte «a promuovere intese con il Ministero dello sviluppo economico volte a definire l’utilizzo di quota parte del canone di abbonamento RAI corrisposto dai cittadini piemontesi, nel rispetto dei criteri generali approvati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta medesima», prevede un intervento della Regione nell’utilizzazione di un prelievo statale che (come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 2002) ha natura tributaria. Pertanto, secondo il ricorrente, la suddetta disposizione di legge regionale si pone in contrasto con le norme statali contenenti la disciplina del suddetto canone (cioè con il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, recante «Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni», quale convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, e con l’art. 47 del d.lgs. n. 177 del 2005) e, conseguentemente, víola l’evocato art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui tale parametro riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «sistema tributario dello Stato».



2. – La Regione Piemonte si è costituita con atto depositato il 4 febbraio 2010, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.



La resistente argomenta tali richieste osservando: a) con riguardo alle censure rivolte al comma 1 dell’art. 3 della legge reg. n. 25 del 2009, che tale disposizione è inserita nel contesto di alcuni articoli della stessa legge, diretti, per una scelta discrezionale della Regione, a «favorire e promuovere determinati interventi con determinate caratteristiche» e, quindi, è estranea alla materia della tutela della concorrenza; b) con riguardo alle censure rivolte al comma 2 dell’art. 8 della medesima legge regionale, che tale disposizione è operativa solo subordinatamente e condizionatamente all’intesa con il Ministero dello sviluppo economico e, pertanto, non è idonea ad arrecare alcun vulnus alle competenze statali.







Considerato in diritto



1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, due diverse questioni di legittimità della legge della Regione Piemonte 26 ottobre 2009, n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio, televisione, cinema e informatica), aventi ad oggetto, rispettivamente, l’art. 3, comma 1, e l’art. 8, «comma 1» [recte: comma 2], di tale legge.



Le questioni promosse vanno esaminate distintamente.



2. – Con riguardo alla prima questione, va rilevato che il denunciato comma 1 dell’art. 3 stabilisce che, «Ai fini della presente legge, per “sistema integrato delle comunicazioni” si intende il settore che comprende le seguenti attività: a) editoria fruibile attraverso internet; b) radio e televisione; c) cinema; d) iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; e) sponsorizzazioni». Il suddetto art. 3 costituisce il Capo II dei complessivi cinque capi di cui è composta la legge regionale, denominato «Interventi a sostegno del sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità».



Secondo il ricorrente, l’impugnata disposizione si pone in contrasto con l’art. 2, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico della radiotelevisione), il quale – nell’àmbito di un complesso normativo statale diretto a regolare il mercato al fine di impedire il formarsi di posizioni dominanti − stabilisce che «Ai fini del presente testo unico si intende per: […] l) “sistema integrato delle comunicazioni” il settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni». In particolare, per il Presidente del Consiglio dei ministri, la denunciata disposizione della legge regionale, non ricomprendendo nel settore economico corrispondente al «sistema integrato delle comunicazioni» le attività della «stampa quotidiana e periodica» e della «pubblicità esterna» (incluse, invece, in tale settore dalla suddetta norma statale), contrasta anche «con i princípi fondamentali e travalica i limiti posti alla legislazione regionale dall’art. 12 dello stesso decreto legislativo» n. 177 del 2005, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui tale parametro riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela della concorrenza».



La questione non è fondata.



2.1. – Il ricorrente muove dai due seguenti assunti interpretativi: a) la normativa statale in tema di «sistema integrato delle comunicazioni» attiene alla materia della tutela della concorrenza nel settore economico delle comunicazioni; b) la normativa regionale impugnata incide anch’essa sulla disciplina della concorrenza nello stesso settore economico.



Il primo di tali assunti è corretto.



Il comma 1, lettera g), dell’art. 2 della legge 3 maggio 2004, n. 112 (Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A., nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione), ha introdotto nell’ordinamento la nozione di «sistema integrato delle comunicazioni», definendolo, «ai fini» della medesima legge (alinea del comma 1), come il «settore economico che comprende le seguenti attività: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di INTERNET; radio e televisione; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni». Siffatta nozione serviva ad individuare l’insieme dei mercati in relazione ai quali doveva essere complessivamente valutata la sussistenza di posizioni dominanti degli operatori di comunicazione, ai sensi degli artt. 14 e 15 della stessa legge n. 112 del 2004, fermo restando il divieto di costituzione di posizioni dominanti nei singoli mercati. La definizione di «sistema integrato delle comunicazioni» era funzionale, pertanto, ad una normativa (in particolare, ai menzionati artt. 14 e 15, nonché al comma 16 dell’art. 2 della legge 31 luglio 1997, n. 249 – recante «Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo» −, quale modificato dal suddetto art. 14) esplicitamente diretta a tutelare la concorrenza, regolando i mercati ed ostacolando la formazione di una posizione dominante nel settore economico delle comunicazioni.



La disposizione contenente tale definizione è stata abrogata dall’art. 54, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 177 del 2005. Tuttavia, detto decreto legislativo, in attuazione della delega contenuta nell’art. 16 della citata legge n. 112 del 2004, ha riprodotto nell’art. 2, comma 1, lettera l) – evocato dal ricorrente come norma interposta all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – la stessa definizione di «sistema integrato delle comunicazioni» contenuta nella disposizione abrogata. Inoltre, anche nella disciplina stabilita dal decreto legislativo delegato n. 177 del 2005, la suddetta definizione di «sistema integrato» ha mantenuto ferma la sua funzione strumentale rispetto ad una normativa avente contenuto analogo a quello sopra visto degli artt. 14 e 15 della legge n. 112 del 2004 (abrogati per nuova regolamentazione della materia) ed è, perciò, ugualmente diretta a tutelare la concorrenza. In particolare, l’art. 2, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 177 del 2005 si raccorda strettamente con l’art. 43 dello stesso decreto legislativo; articolo, quest’ultimo, che è significativamente rubricato come «Posizioni dominanti nel sistema integrato delle comunicazioni» e che costituisce, da solo, l’intero Titolo VI, denominato «Norme a tutela della concorrenza e del mercato».



Le stesse considerazioni valgono anche per il testo dell’art. 2 del d.lgs. n. 177 del 2005, quale risulta a séguito delle modifiche apportate, prima, dall’art. 16, comma 4-bis, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, e, poi, dal comma 1 dell’art. 4 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44 (Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive). A séguito di tali modifiche, infatti, il suddetto decreto legislativo, per quanto qui interessa, ha solo assunto la nuova denominazione di «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici» e mutato sia l’indicazione della lettera «l)» sia l’espressione «radio e televisione», contenute nel comma 1 dell’art. 2, rispettivamente in lettera «s)» ed in «radio e servizi di media audiovisivi». Resta ferma, dunque, data la limitata portata di tali modifiche, la descritta funzione, svolta dalla definizione di «servizio integrato delle comunicazioni», di strumento per l’applicazione di norme statali dirette a tutelare la concorrenza nel settore economico delle comunicazioni.



2.2. – Dalla correttezza dell’esaminato primo assunto del ricorrente, circa la ratio della normativa statale sopra citata, non segue, però, che sia corretto anche l’altro suo assunto interpretativo, secondo cui la normativa regionale impugnata opera anch’essa nella materia della «tutela della concorrenza».



Il denunciato comma 1 è inserito nell’art. 3 della legge reg. n. 25 del 2009 che compone, da solo, il Capo II della stessa legge, denominato «Interventi a sostegno del sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità». Detto comma utilizza la nozione di «servizio integrato delle comunicazioni» non quale strumento operativo per incidere sulla formazione di posizioni dominanti nel settore economico delle comunicazioni, ma – a differenza della norma statale evocata dal ricorrente quale parametro interposto – esclusivamente al fine di individuare le attività economiche nell’àmbito delle quali potranno essere adottati, da parte della Regione, gli specifici provvedimenti di sostegno organizzativo ed economico delineati nello stesso art. 3, in coerenza con le «disposizioni generali» contenute negli artt. 1 e 2 (Capo I della legge). In altri termini, il legislatore regionale si limita a prevedere «forme di sostegno» e «interventi» (art. 3, comma 4), diretti alla «formazione» (art. 2, comma 1, lettera a) e «promozione» (art. 3, comma 2) di un «sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità», al fine esclusivo di favorire: a) «iniziative di collaborazione e cooperazione fra gli enti locali», nella loro attività di «comunicazione e relazione con il pubblico» (art. 3, comma 2); b) la «realizzazione di progetti di informazione e comunicazione atti a sviluppare il pluralismo e la partecipazione, proposti da soggetti pubblici o privati, non aventi finalità di lucro, operanti sul territorio regionale» (art. 3, comma 3).



La natura, l’oggetto e le finalità di tale «sostegno del sistema integrato delle comunicazioni di pubblica utilità» dimostrano che detti interventi non riguardano la disciplina dei mercati ed il contrasto delle posizioni dominanti e che, pertanto, non interferiscono in alcun modo con la normativa statale menzionata nel ricorso, dettata a tutela della concorrenza. È evidente, cioè, che la definizione di «sistema integrato delle comunicazioni» contenuta nella denunciata disposizione regionale – recante oltretutto (nell’alinea del comma 1) l’espressa clausola limitativa: «Ai fini della presente legge» – attiene a statuizioni riguardanti la materia «ordinamento della comunicazione», di competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. non evocato quale parametro), ed opera, perciò, su un piano del tutto diverso da quello del d.lgs. n. 177 del 2005, con la conseguenza che la mancata inclusione, da parte del legislatore regionale, dell’«editoria annuaristica ed elettronica» non fruibile attraverso internet, della «stampa quotidiana e periodica» e della «pubblicità esterna» tra le attività ricomprese nel suddetto «sistema integrato» non comporta alcuna violazione del predetto decreto legislativo e, quindi, della competenza statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza».



2.3. – Va osservato, infine, che non può essere presa in considerazione – sempre in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – la denunciata ulteriore violazione, ad opera della disposizione impugnata, sia di «princípi fondamentali», sia dei «limiti posti alla legislazione regionale dall’art. 12» del citato d.lgs. n. 177 del 2005. Infatti, a parte la genericità del richiamo di imprecisati «princípi fondamentali», la stessa evocazione di tali princípi (di competenza statale) e la conseguente loro distinzione rispetto a norme di dettaglio (di competenza regionale) è incompatibile con la dedotta sussistenza della competenza legislativa esclusiva dello Stato. Anche il richiamo del ricorrente ai «limiti» posti dall’art. 12 del d.lgs. n. 177 del 2005 è palesemente incoerente con l’invocata competenza legislativa esclusiva dello Stato, perché l’alinea del comma 1 di tale disposizione precisa espressamente che l’articolo riguarda soltanto la «potestà legislativa concorrente in materia di emittenza radiotelevisiva in àmbito regionale o provinciale» esercitata dalla Regione. Deve perciò ritenersi che la menzione, nel ricorso, della violazione di «princípi fondamentali» e dell’art. 12 del d.lgs. n. 177 del 2005 sia frutto di un mero errore materiale di compilazione e che, perciò, debba ritenersi come non fatta.



3. − Con riguardo alla seconda questione promossa dal ricorrente, va rilevato che il denunciato comma 2 dell’art. 8 della citata legge reg. Piemonte n. 25 del 2009, stabilisce che − al fine di attuare i contratti di servizio pubblico in àmbito regionale e provinciale di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 177 del 2005, stipulati con la società concessionaria del servizio pubblico generale di radiodiffusione − «nel rispetto della libertà di iniziativa economica della società concessionaria, anche con riguardo alla determinazione dell’organizzazione dell’impresa, nonché nel rispetto dell’unità giuridica ed economica dello Stato e del principio di perequazione, la Giunta regionale è autorizzata a promuovere intese con il Ministero dello sviluppo economico volte a definire l’utilizzo di quota parte del canone di abbonamento RAI corrisposto dai cittadini piemontesi, nel rispetto dei criteri generali approvati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta medesima».



Secondo il ricorrente, la citata disposizione regionale si pone in contrasto con le norme statali che disciplinano il suddetto canone di abbonamento, contenute sia nel regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246 (Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni), quale convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, sia nell’art. 47 del d.lgs. n. 177 del 2005, il quale stabilisce in particolare, al comma 3, che il Ministro delle comunicazioni determina l’ammontare del canone di abbonamento alla radiotelevisione «in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti […] per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società […]. La ripartizione del gettito del canone dovrà essere operata con riferimento anche all’articolazione territoriale delle reti nazionali per assicurarne l’autonomia economica». Sempre ad avviso del ricorrente, la disposizione denunciata, prevedendo un intervento della Regione Piemonte nell’utilizzazione del gettito di un prelievo statale di natura tributaria, come il canone di abbonamento radiotelevisivo, víola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nella parte in cui tale parametro riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «sistema tributario dello Stato».



La questione è fondata.



Questa Corte ha costantemente affermato che, in forza dell’evocato parametro costituzionale, la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi statali è riservata alla legge statale e che, pertanto, l’intervento del legislatore regionale su tali tributi è precluso, ancorché diretto soltanto ad integrarne la disciplina, salvo che l’intervento sia consentito dalla stessa legislazione statale (sentenze n. 123 del 2010; n. 298 e n. 216 del 2009; n. 2 del 2006; n. 397 del 2005).



Ciò vale anche per il cosiddetto «canone di abbonamento» radiotelevisivo, che – come piú volte rilevato dalla giurisprudenza costituzionale – ha da tempo assunto natura di prestazione tributaria, istituita e disciplinata dallo Stato (sentenze n. 284 del 2002, n. 535 del 1988 e n. 81 del 1963; ordinanze n. 499 e n. 219 del 1989), il cui gettito – come chiarito con la sentenza n. 284 del 2002 – è destinato «quasi per intero (a parte la modesta quota ancora assegnata all’Accademia nazionale di Santa Cecilia) al finanziamento della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, ai sensi dell’art. 27, comma 8, della legge 23 dicembre 1999, n. 488» (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2000). Del resto, la natura di tributo statale dell’indicato prelievo è stata riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, in numerose pronunce, cosí da costituire “diritto vivente”.



Nella specie, la disposizione regionale impugnata, prevedendo «intese» tra la Regione ed il Ministero delle comunicazioni per l’utilizzazione di una quota parte del canone di abbonamento radiotelevisivo, si pone in palese contrasto con la disciplina statale di tale canone, la quale, da un lato, non consente alcun intervento del legislatore regionale al riguardo e, dall’altro, stabilisce espressamente – all’art. 47 del d.lgs. n. 177 del 2005 – che il gettito di detto tributo erariale è destinato alla copertura dei costi del servizio pubblico generale radiotelevisivo, con ciò escludendo qualsiasi possibilità di «intese» con la Regione sulla destinazione del gettito del medesimo tributo.



Ne deriva l’illegittimità costituzionale della disposizione regionale, per violazione della competenza legislativa in materia di «sistema tributario dello Stato», che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva in via esclusiva allo Stato.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, della legge della Regione Piemonte 26 ottobre 2009, n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio, televisione, cinema e informatica);



dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della medesima legge regionale n. 25 del 2009 promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Franco GALLO, Redattore



Roberto MILANA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010.



Il Cancelliere



F.to: MILANA