Ordinanza 45/2012

Ordinanza  45/2012
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore SILVESTRI

Camera di Consiglio del 15/02/2012    Decisione  del 20/02/2012
Deposito del 07/03/2012   Pubblicazione in G. U. 14/03/2012
Norme impugnate: Art. 157, c. 5°, del codice penale, come sostituito dall'art. 6 della legge 05/12/2005, n. 251.
Massime: 36125  
Atti decisi: ord. 197, 198, 199 e 200/2011
 
ORDINANZA N. 45
ANNO 2012
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
 
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), promossi dal Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Treviglio, con una ordinanza del 5 marzo 2007, due ordinanze del 9 febbraio 2007 ed una ordinanza del 19 marzo 2007, rispettivamente iscritte ai numeri 197, 198, 199 e 200 del registro ordinanze 2011, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
 
Ritenuto che il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Treviglio, con quattro ordinanze di analogo tenore, ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione si applichi a tutti i reati di competenza del giudice di pace, e non soltanto a quelli puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria;
che le ordinanze di rimessione, tutte pervenute alla Corte costituzionale il 9 agosto 2011, risultano deliberate nelle date del 9 febbraio 2007 (r.o. n. 198 e n. 199 del 2011), del 5 marzo 2007 (r.o. n. 197 del 2011), del 19 marzo 2007 (r.o. n. 200 del 2011);
che, secondo il Tribunale, il termine triennale di prescrizione fissato dalla norma censurata troverebbe effettiva applicazione (solo) con riguardo ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, per i quali possono essere irrogate le sanzioni «paradetentive» della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (art. 52 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»);
che il rimettente prospetta, sulla base di tale premessa, una sostanziale inversione, nell’ambito dei reati attribuiti alla competenza del giudice onorario, del rapporto tra durata del termine prescrizionale e gravità dei reati medesimi;
che infatti, per gli illeciti sanzionati con maggiore severità, sarebbe previsto un tempo di prescrizione pari a tre anni, mentre per gli altri, puniti con la sola pena pecuniaria, il termine sarebbe maggiore (variando da quattro anni per le contravvenzioni a sei anni per i delitti), secondo il disposto del primo comma dell’art. 157 cod. pen.;
che il sistema così delineato, non suscettibile di interpretazioni correttive, darebbe luogo a differenze di trattamento non ragionevoli e non giustificabili, come nel caso esemplificativo della minaccia di procurare lesioni (termine di prescrizione pari a sei anni), reato che si estingue meno rapidamente del delitto commesso con l’effettiva produzione delle lesioni minacciate (il cui termine prescrizionale, fissato dalla norma censurata, è pari a tre anni);
che in tutti i giudizi a quibus si procede, secondo quanto riferito dal rimettente, per i reati di «minaccia semplice e ingiuria», per i quali non sono applicabili le sanzioni «paradetentive», e che solo in uno tra essi (r.o. n. 200 del 2011) sono contestati gli ulteriori delitti di «percosse e omissione di soccorso (vecchia disciplina)», pure sanzionabili solo mediante pena pecuniaria;
che, in punto di rilevanza, il Tribunale osserva come, se il termine triennale di prescrizione si estendesse a tutti i reati di competenza del giudice di pace, i reati perseguiti nei giudizi a quibus sarebbero estinti per intervenuta prescrizione;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nei quattro giudizi indicati in epigrafe con atti di analogo tenore, tutti depositati il 18 ottobre 2011;
che, secondo la difesa dello Stato, le questioni proposte sarebbero inammissibili, data la carente descrizione delle relative fattispecie concrete;
che, nel merito, le questioni sarebbero manifestamente prive di fondamento, alla luce della sentenza n. 2 del 2008, con la quale la Corte costituzionale ha escluso che il termine triennale di prescrizione, di cui al quinto comma dell’art. 157 cod. pen., sia applicabile ai reati di competenza del giudice di pace punibili con le cosiddette sanzioni «paradetentive».
Considerato che il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Treviglio, con quattro ordinanze di analogo tenore, ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione si applichi a tutti i reati di competenza del giudice di pace, e non soltanto a quelli puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria;
che risulta opportuno disporre, in forza della sostanziale identità di oggetto delle questioni proposte, la riunione dei relativi giudizi;
che i dubbi prospettati dal rimettente in punto di legittimità costituzionale della norma censurata sono manifestamente infondati, in quanto espressi sulla base di un erroneo presupposto interpretativo;
che questa Corte, dichiarando non fondate «nei sensi di cui in motivazione» questioni analoghe a quelle odierne, poste con riguardo al primo ed al quinto comma dell’art. 157 cod. pen. (sentenza n. 2 del 2008), ha già chiarito come debba essere esclusa l’attuale vigenza di un termine triennale di prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace punibili mediante le cosiddette sanzioni paradetentive;
che con la citata pronuncia è stata negata, in particolare, la riferibilità della norma contenuta nel quinto comma dell’art. 157 cod. pen. a fattispecie incriminatrici che non prevedano in via diretta ed esclusiva pene diverse da quelle pecuniarie o detentive, ed è stata altresì rilevata la perdurante equiparazione, «per ogni effetto giuridico», tra le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile, irrogabili dal giudice di pace in alternativa alle pene pecuniarie, e le sanzioni detentive originariamente previste per i reati che le contemplano (art. 58, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, recante «Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468»);
che l’opzione appena descritta è stata confermata, da questa Corte, in occasione del vaglio di ulteriori questioni sollevate con riguardo alla disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace (ordinanze nn. 223, 381 e 433 del 2008, e n. 135 del 2009);
che non si rinvengono, nella motivazione dei provvedimenti dai quali origina il presente giudizio, argomenti che inducano a modificare le valutazioni appena richiamate;
che la ritenuta applicabilità delle disposizioni previste nel primo comma dell’art. 157 cod. pen. a tutti i reati di competenza del giudice di pace esclude l’incongrua diversità di trattamento denunciata dal rimettente.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
 
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Treviglio, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI