Ordinanza 296/2013

Ordinanza  296/2013
Giudizio
Presidente SILVESTRI - Redattore CRISCUOLO
Camera di Consiglio del 06/11/2013    Decisione  del 02/12/2013
Deposito del 06/12/2013   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova adottato il 12/12/2012.
Massime:
Atti decisi:confl. pot. amm. 9/2013

ORDINANZA N. 296
ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova adottato il 12 dicembre 2012, promosso dal Giudice istruttore del Tribunale di Padova, sezione distaccata di Cittadella, con ricorso depositato in cancelleria il 26 luglio 2013 ed iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che, con ordinanza dell’11 giugno 2013, depositata nella cancelleria della Corte costituzionale in data 26 luglio 2013, il Giudice istruttore del Tribunale di Padova, sezione distaccata di Cittadella, nell’ambito del procedimento civile n. 801 del 2012, ha promosso conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato in relazione al provvedimento adottato, in data 12 dicembre 2012, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova, nel procedimento penale n. 3782 del 2011, con il quale quest’ultimo, ai sensi dell’art. 20, comma 4, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), accogliendo l’istanza della parte convenuta nel procedimento civile n. 801 del 2012, ha disposto – per la durata di trecento giorni a far data dalla presentazione dell’istanza all’ufficio del pubblico ministero (avvenuta in data 11 dicembre 2012) – la sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, relativi al detto procedimento civile;
che il Giudice istruttore di tale procedimento riferisce che la difesa della società convenuta, con istanza formulata nella comparsa di costituzione, ha chiesto la sospensione di tutti i termini processuali alla luce del disposto dell’art. 20, comma 3, della legge n. 44 del 1999, deducendo che detta società è stata vittima del reato di usura nel periodo compreso tra ottobre 2009 e dicembre 2010, come risulta documentato dalla richiesta di rinvio a giudizio del 28 giugno 2012, a firma del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova;
che, all’udienza del 16 ottobre 2012, il precedente Giudice istruttore, dopo aver rigettato l’istanza di sospensione, secondo una interpretazione della norma invocata dalla parte alla luce della sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale, ha concesso i termini di cui all’art. 183, sesto comma, del codice di procedura civile, rinviando per la decisione sull’ammissibilità dei mezzi istruttori all’udienza dell’11 giugno 2013;
che, a seguito di tale rigetto, il nuovo difensore della convenuta, costituitosi dopo la revoca del mandato al precedente procuratore, ha reiterato l’istanza di sospensione dei termini processuali, ai sensi dell’art. 20 della legge n. 44 del 1999, presentandola direttamente al pubblico ministero titolare del procedimento penale n. 3782 del 2011, nel quale la convenuta è persona offesa del delitto di usura;
che il detto pubblico ministero, con provvedimento del 12 dicembre 2012, ha accolto l’istanza della convenuta e ha disposto la sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, relativi al procedimento civile n. 801 del 2012, per la durata di trecento giorni a far data dalla presentazione dell’istanza all’ufficio del pubblico ministero, avvenuta in data 11 dicembre 2012;
che, pertanto, preso atto dell’intervenuta sospensione dei termini relativi al procedimento civile, le parti hanno ritenuto i termini sospesi ed hanno omesso di depositare la terza memoria istruttoria ai sensi dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.;
che, all’udienza dell’11 giugno 2013, pendente ancora il termine di sospensione di trecento giorni di cui al provvedimento del pubblico ministero del 12 dicembre 2012, i difensori delle parti hanno chiesto la rimessione in termini per il deposito della terza memoria istruttoria, essendo incolpevolmente incorsi nella decadenza dal deposito della stessa, per aver fatto affidamento sulla legittimità del provvedimento di sospensione dei termini adottato dal pubblico ministero; in ogni caso, hanno chiesto di essere ammessi a reciproca prova contraria sulla eventuale ammissione delle prove richieste dall’altra parte;
che, tutto ciò premesso, il Giudice istruttore afferma che il pubblico ministero non ha la potestas di procedere alla sospensione dei termini processuali e sostanziali del procedimento civile;
che ciò troverebbe conforto nel chiaro tenore della motivazione della sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale;
che, ad avviso del ricorrente, sebbene il provvedimento di sospensione sia stato adottato «non dall’Autorità amministrativa prefettizia, bensì da un altro organo giurisdizionale», cioè dal pubblico ministero della Procura di Padova, – sicché mancherebbe il vulnus all’autonomia del potere giurisdizionale evidenziato in quella sentenza della Corte costituzionale – l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario, sancito dagli artt. 101, secondo comma, e 104 della Costituzione, sarebbero state comunque lese;
che dette autonomia ed indipendenza andrebbero garantite «sia da eventuali intrusioni esterne all’ordine giudiziario che dal suo interno non potendo ammettersi che l’ufficio del Pubblico Ministero possa intervenire in un procedimento civile di cui non è parte sospendendone i termini processuali o sostanziali a pena di una evidente lesione dell’art. 25 Cost. essendo l’unico soggetto investito della potestas iudicandi il giudice procedente del procedimento 801/2012 R.G.»;
che, infatti, ad avviso del ricorrente, il provvedimento di sospensione dei termini ha comportato un’evidente lesione dell’art. 25 Cost., in quanto l’unico soggetto investito della potestas iudicandi non può che essere il giudice procedente nel giudizio civile;
che, in particolare, viene posto in evidenza come la convenuta, non avendo ottenuto l’accoglimento dell’istanza di sospensione di cui all’ art. 20 della legge n. 44 del 1999 in conseguenza del provvedimento di rigetto del Giudice istruttore del 16 ottobre 2012, abbia ritenuto di rivolgersi, in data 11 dicembre 2012, con il patrocinio di un nuovo difensore, al pubblico ministero del procedimento penale n. 3782 del 2011 che la vede persona offesa, per ottenere quanto non concesso dal giudice naturale del procedimento civile;
che detta condotta manifesterebbe «il vulnus ed il corto circuito processuale» che si sono creati nel procedimento principale, per cui un provvedimento ben motivato del giudice naturale è stato privato di efficacia con il ricorso ad «un soggetto terzo ed estraneo», il quale ha adottato un provvedimento di sospensione che riverbera i suoi effetti nel procedimento stesso paralizzandolo, pur in assenza di una modifica o revoca dell’ordinanza del 16 ottobre 2012, emessa dal precedente giudice;
che, dunque, il Giudice istruttore ritiene che il pubblico ministero abbia adottato un atto che non gli spettava, alla luce di una corretta lettura dell’art. 20 della legge 44 del 1999, nel testo risultante dalla sentenza n. 457 del 2005 della Corte costituzionale;
che, in particolare, con tale ultima sentenza, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, limitatamente alla parola «favorevole»;
che, infatti, la disposizione, nella formulazione allora vigente, prevedeva che la sospensione dei processi esecutivi, prevista al comma 4, in favore delle vittime di richieste estorsive, avesse effetto a seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del tribunale;
che, in particolare, la Corte ha osservato come detta norma operasse l’integrale attribuzione, ad un organo dell’amministrazione, del potere di valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la sospensione dei termini del processo esecutivo, sicché rispetto a tale valutazione l’autorità giudiziaria era chiamata a svolgere, attraverso la previsione del parere non vincolante del presidente del tribunale, soltanto una funzione consultiva;
che ciò comportava la violazione dei principi costituzionali posti a presidio dell’indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale, venendo ad essere investito il prefetto del potere di decidere sulle istanze di sospensione dei processi esecutivi promossi nei confronti delle vittime dell’usura, «potere che, proprio perché incidente sul processo e, quindi, giurisdizionale, non può che spettare in via esclusiva all’autorità giudiziaria»;
che, pertanto, mediante l’ablazione della parola «favorevole», la Corte ha ritenuto che la norma potesse essere ricondotta a legittimità costituzionale, così restituendo alla funzione del prefetto un carattere consultivo, non vincolante, coerente con la natura giurisdizionale del provvedimento richiesto, ed il potere decisorio al giudice, che ne è il naturale ed esclusivo titolare;
che, inoltre, il Giudice istruttore pone in rilievo come la disposizione di cui all’art. 20, comma 7, riformulata dall’art. 2, lettera d), della legge del 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento) – secondo cui le sospensioni dei termini processuali hanno effetto a «seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma, 1» – attribuisca il potere di sospensione ad «un altro organo giurisdizionale» (nella specie al Pubblico ministero della Procura di Padova);
che, ad avviso del ricorrente, l’iniziativa del pubblico ministero in ogni caso compromette l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario, sancite dagli artt. 101 e 104 Cost., e determina la violazione dell’art. 25 Cost.;
che, sulla base di queste argomentazioni, il Giudice istruttore chiede alla Corte costituzionale di dichiarare «che non spettava al Pubblico Ministero del procedimento 3782/2011 RGNR procedere alla sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione eccezione nel procedimento 801/2011 R.G.»;
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a delibare, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’ammissibilità del ricorso, valutando, senza contraddittorio, se sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, a tale fine, non rileva la forma dell’ordinanza rivestita dall’atto introduttivo, bensì la sua rispondenza ai contenuti richiesti dall’art. 37 della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 24 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 315 del 2006, ordinanze n. 402 del 2006 e n. 129 del 2005);
che, dunque, la Corte costituzionale è chiamata a verificare, in camera di consiglio, l’esistenza o meno della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza costituzionale è costante nel riconoscere ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad assumere la qualità di parte nei conflitti di attribuzione, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono, ma solo limitatamente all’esercizio dell’attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale (ordinanze n. 340 e n. 244 del 1999, n. 338 del 2007 e n. 87 del 1978);
che, alla luce di tali principi, il ricorso è inammissibile;
che il conflitto di attribuzione postula l’appartenenza degli organi o enti in conflitto a poteri diversi, mentre la fattispecie in esame coinvolge organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario, trattandosi di ricorso proposto da un giudice nei confronti del pubblico ministero;
che, inoltre, il provvedimento di sospensione dei termini, emesso ai sensi dell’art. 20, comma 7, della legge n. 44 del 1999, non concernendo l’esercizio dell’azione penale, né attività di indagine ad essa finalizzata, non è espressione di attribuzioni costituzionali riconosciute al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 112 Cost. (sentenze n. 410 e n. 110 del 1998, n. 420 del 1995 e n. 463 del 1993);
che il ricorso è inammissibile anche per carenza del requisito oggettivo;
che, nella specie, non è, infatti, configurabile alcuna lesione delle attribuzioni costituzionali del giudice quale conseguenza del provvedimento di sospensione dei termini emesso dal pubblico ministero;
che, in concreto, il ricorrente dubita della legittimità costituzionale di una disposizione di legge che attribuisce un potere specifico al pubblico ministero, sicché difetta, nella fattispecie in esame, «la materia» stessa del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che il ricorrente avrebbe potuto far valere le censure in oggetto attraverso la proposizione della questione di legittimità costituzionale in via incidentale della disposizione attributiva al pubblico ministero del potere di sospensione dei termini, di cui alla legge n. 44 del 1999;
che la giurisprudenza costituzionale è costante nel negare l’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei casi in cui esista un «giudizio nel quale tale norma debba trovare applicazione e, quindi, possa essere sollevata la questione incidentale sulla legge» (ex multis: sentenza n. 284 del 2006, ordinanze n. 17 del 2013 e n. 38 del 2008);
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI