Ordinanza 321/2013

Ordinanza  321/2013
Giudizio
Presidente MAZZELLA - Redattore FRIGO
Camera di Consiglio del 04/12/2013    Decisione  del 11/12/2013
Deposito del 19/12/2013   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 275, c. 3°, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2, del decreto legge 23/02/2009, n. 11, convertito, con modificazioni, in legge 23/04/2009, n. 38.
Massime:
Atti decisi:ord. 137/2013

ORDINANZA N. 321
ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Luigi MAZZELLA; Giudici : Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, promosso dal Tribunale di Cagliari, nel procedimento penale a carico di M.M. con ordinanza del 18 dicembre 2012, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 18 dicembre 2012, il Tribunale di Cagliari, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 630 del codice penale (sequestro di persona a scopo di estorsione), è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;
che il giudice a quo premette di essere investito dell’appello proposto dal difensore di una persona imputata dei delitti di sequestro di persona a scopo di estorsione e di rapina aggravata, avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari presso una «casa famiglia», gestita da un istituto religioso (ordinanza emessa dalla Corte di assise di appello di Cagliari);
che, al riguardo, il rimettente riferisce che l’imputato è detenuto dal 15 maggio 2010, data del suo arresto in fragranza, ed è stato condannato, in primo grado, nelle forme del giudizio abbreviato, alla pena di anni dieci e mesi due di reclusione, poi ridotta in appello ad anni otto di reclusione ed euro mille di multa, previa concessione dell’attenuante di cui all’art. 630, quarto comma, cod. pen., per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, e di quella di cui all’art. 62, numero 6), cod. pen., per il delitto di rapina;
che, ad avviso del giudice a quo, l’appello andrebbe accolto: alla luce delle modalità dei fatti e della successiva condotta dell’imputato, improntata ad un atteggiamento di collaborazione con gli inquirenti e rivelatrice di resipiscenza, si dovrebbe, infatti, ritenere che la pericolosità sociale dell’interessato – pur sussistente – possa essere adeguatamente fronteggiata con la meno rigorosa misura cautelare da lui richiesta;
che alla concessione degli arresti domiciliari osterebbe, tuttavia, il disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così come modificato dall’art. 2 del d.l. n. 11 del 2009, in forza del quale, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per una serie di reati – tra cui quello di sequestro di persona a scopo di estorsione (evocato tramite il rinvio all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari»;
che il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.;
che il reato di cui all’art. 630 cod. pen. non potrebbe essere, infatti, assimilato, sotto il profilo che interessa, ai delitti di mafia, in rapporto ai quali la Corte costituzionale (con l’ordinanza n. 450 del 1995) ha ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere;
che la stessa Corte costituzionale ha già dichiarato costituzionalmente illegittima la norma denunciata con riferimento ad altre figure criminose – quali quelle di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, prostituzione minorile (sentenza n. 265 del 2010), omicidio (sentenza n. 164 del 2011), associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (sentenza n. 231 del 2011) o alla commissione dei delitti di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. (sentenza n. 110 del 2012) – rilevando come le predette ipotesi delittuose, secondo la comune esperienza, possano bene proporre esigenze cautelari suscettibili di essere soddisfatte con misure meno gravose della custodia carceraria;
che, ad avviso del giudice a quo, le medesime considerazioni poste a base delle citate decisioni – sinteticamente richiamate nell’ordinanza di rimessione – varrebbero anche in rapporto al delitto di cui all’art. 630 cod. pen.;
che detto reato potrebbe essere, infatti, espressione di iniziative individuali, concepite al di fuori di qualsiasi rapporto con la criminalità organizzata, e assumere connotati di gravità marcatamente differenziati a seconda dei singoli casi, per la varietà delle possibili forme di manifestazione e la diversa personalità degli autori, così da non postulare necessariamente, secondo una regola di esperienza «costantemente verificata e unanimemente condivisa», esigenze cautelari affrontabili soltanto con la custodia in carcere;
che tale assunto risulterebbe, del resto, confermato dalla recente sentenza n. 68 del 2012, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita «quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità»;
che, in questa prospettiva, la presunzione censurata si porrebbe, quindi, in contrasto sia con il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto in questione a quelli concernenti i delitti di mafia, nonché per l’irrazionale assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili al paradigma punitivo considerato; sia con il principio di inviolabilità della libertà personale, enunciato dall’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative di detta libertà; sia, infine, con la presunzione di non colpevolezza, espressa dall’art. 27, secondo comma, Cost., in quanto attribuirebbe alla misura cautelare tratti funzionali tipici della pena, applicabile solo a seguito di un giudizio definitivo di responsabilità.
Considerato che il Tribunale di Cagliari, dubita, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente di applicare misure cautelari meno afflittive della custodia in carcere nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 del codice penale;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte è già intervenuta nei sensi auspicati dal rimettente con la sentenza n. 213 del 2013, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma censurata nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 630 cod. pen., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure;
che, dunque, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per sopravvenuta mancanza di oggetto, giacché, a seguito della sentenza da ultimo citata, la norma censurata dal giudice a quo – ossia quella che impedisce, per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, di applicare misure diverse e meno afflittive della custodia carceraria, in presenza di specifici elementi che ne rivelino l’idoneità a soddisfare le esigenze cautelari – è già stata rimossa dall’ordinamento con efficacia ex tunc (ex plurimis, ordinanze n. 177 del 2013, n. 315 e n. 182 del 2012, nonché, con riferimento ad altre questioni aventi ad oggetto il medesimo art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ordinanze n. 269 e n. 225 del 2011).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Cagliari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 2013.
F.to:
Luigi MAZZELLA, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI