Sentenza 301/2013

Sentenza  301/2013
Giudizio
Presidente SILVESTRI - Redattore CARTABIA
Udienza Pubblica del 05/11/2013    Decisione  del 02/12/2013
Deposito del 11/12/2013   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:Artt. 2, c. 1°, lett. b), c), ed h), e 12, c. 10°, del decreto legge 13/09/2012, n. 158, convertito con modificazioni dall'art. 1, c. 1°, della legge 08/11/2012, n. 189.
Massime:
Atti decisi:ric. 6/2013

SENTENZA N. 301
ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1, lettere b), c), e h) e 12, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso notificato il 9 gennaio 2013, depositato in cancelleria il 17 gennaio 2013 ed iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 9 gennaio 2013 e depositato il successivo 17 gennaio (iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2013), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli articoli 2, comma 1, lettere b), c), e h), e 12, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, per violazione degli artt. 9, numero 10), 16, 79, commi 3 e 4, e 104, nonché dell’intero Titolo VI del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), dell’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) e degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
1.1.– L’impugnato art. 2, comma 1, lettera b) – modificando l’art. 1, comma 4, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria) – prevede: una ricognizione straordinaria, da parte delle Regioni e delle Province autonome, degli spazi disponibili per l’esercizio dell’attività libero professionale presso le aziende sanitarie e ospedaliere, i policlinici universitari e gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico; la possibilità, in caso di necessità e nel limite delle risorse disponibili, di acquisire spazi ambulatoriali esterni per l’esercizio di attività sia istituzionali sia in regime di libera professione inframuraria; la possibilità residuale, per le Regioni e le Province autonome, di adottare un programma per lo svolgimento di tale attività presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete, previa sottoscrizione di una convenzione annuale rinnovabile, sulla base di uno schema-tipo approvato in sede di accordo sancito dalla Conferenza Stato-Regioni.
La ricorrente ritiene che la disciplina statale in parola sia esaustiva e autoapplicativa, così da consentire alla Provincia solo una attuazione amministrativa, violando la competenza legislativa dell’ente territoriale in materia di sanità, quale prevista dall’art. 9, numero 10), dello statuto, dal d.P.R. n. 474 del 1975 e dall’art. 117, terzo comma, Cost., da ritenersi applicabile alla Provincia autonoma di Trento ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto attributivo di una materia, la tutela della salute, più ampia di quella statutaria e, perciò, contenente una disciplina più favorevole all’autonomia. La nuova disciplina statale, introdotta con la disposizione impugnata, che modifica l’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, non potrebbe in alcun modo assimilarsi a quella precedente, già scrutinata dalla Corte con la sentenza n. 371 del 2008 e parzialmente ritenuta legittima in quanto contenente norme di principio.
Più precisamente, le disposizioni in esame sarebbero illegittime nella parte in cui prevedono la ricognizione straordinaria degli spazi disponibili, la necessità di sentire su tale ricognizione le organizzazioni sindacali, un termine fisso entro cui la stessa deve essere compiuta, il contenuto della ricognizione medesima, le misure che possono essere assunte, la necessità di un parere del collegio di direzione sulle predette misure e la disciplina dell’organo che deve dare il parere in assenza del collegio di direzione.
Inoltre, le disposizioni censurate sarebbero illegittime nella parte in cui prevedono che l’attuazione del programma sperimentale per lo svolgimento dell’attività libero professionale presso studi privati sia vincolata alla sottoscrizione di uno schema-tipo di convenzione approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni. Le medesime disposizioni, inoltre, sarebbero illegittime nella parte in cui stabiliscono la decadenza al 31 dicembre 2012 delle autorizzazioni precedentemente rilasciate in base alla normativa allora vigente, e nella parte in cui si riferiscono all’adozione di linee guida, nel caso in cui il richiamo abbia il significato di imporre alle Province autonome l’uso di un determinato strumento giuridico per raggiungere un certo obiettivo.
A questo proposito, la ricorrente censura altresì le norme impugnate per violazione dell’autonomia amministrativa delle Province autonome stesse, in quanto prescrivono l’adozione di atti amministrativi o ne condizionano il contenuto, sovrapponendosi alle competenze della Giunta provinciale e a quelle dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, qualificabile come ente para-provinciale. Osserva, inoltre, la ricorrente che in alcun modo l’intervento statale potrebbe giustificarsi a titolo di coordinamento della finanza pubblica, non potendosi assimilare la posizione della Provincia autonoma di Trento a quella delle Regioni ordinarie.
La ricorrente rileva ancora che le disposizioni impugnate violerebbero l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che esclude la diretta applicabilità delle leggi statali nelle materie provinciali, norma di attuazione statutaria come tale inderogabile da parte di fonti primarie, oltre che l’art. 104 dello statuto, che impedisce di modificare norme statutarie o attuative ad opera di leggi statali.
Il citato art. 2, comma 1, lettera b), sarebbe poi illegittimo nella parte in cui richiama la disciplina sulla riduzione dei posti letto ospedalieri, disciplina già autonomamente impugnata dalla Provincia autonoma con il ricorso n. 156 del 2012 per violazione della competenza provinciale in materia sanitaria e dell’autonomia finanziaria della Provincia.
1.2.– In relazione all’art. 2, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 la ricorrente evidenzia come si tratti di disposizione che, modificando l’art. 1, comma 4, della legge n. 120 del 2007, prevede espressamente una infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati, in condizioni di sicurezza, tra l’ente o l’azienda e le singole strutture nelle quali vengono erogate le prestazioni di attività libero professionale inframuraria, fissando al 31 marzo 2013 il termine per la sua attivazione e determinando nel dettaglio le funzioni cui l’infrastruttura dovrà essere destinata; inoltre è previsto che le modalità tecniche di realizzazione siano stabilite con decreto ministeriale, seppure emanato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. In tal modo la disposizione impugnata, atteso il suo carattere dettagliato e autoapplicativo, lederebbe la competenza legislativa provinciale in materia sanitaria quale prevista dall’art. 9, comma 10, dello statuto, dall’art. 2 del d.P.R. n. 474 del 1975 e dall’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La norma censurata violerebbe altresì l’autonomia amministrativa della Provincia, sovrapponendosi alle direttive emanate dalla Giunta in materia.
La ricorrente ha poi rimarcato che, qualora la disposizione venisse intesa nel senso che la Provincia sia tenuta ad attivare direttamente entro il 31 marzo 2013 l’infrastruttura di rete, tale disposizione contrasterebbe anche con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 che vieta la diretta applicabilità delle leggi statali nelle materie provinciali e che stabilisce un termine di sei mesi per l’adeguamento della normativa locale, oltre che l’art. 104 dello statuto.
La norma impugnata, inoltre, nella parte in cui impedisce alla Provincia di assumere i costi dell’infrastruttura, lederebbe l’autonomia finanziaria riconosciuta dall’art. 79 dello statuto, dall’intero Titolo VI dello statuto medesimo e dal d.lgs. n. 268 del 1992, oltre ad essere stata confermata da questa Corte con le sentenze n. 133 del 2010 e n. 341 del 2009.
1.3.– In relazione all’art. 2, comma 1, lettera h), la ricorrente ha evidenziato come la citata disposizione, modificando l’art. 1, comma 7, della legge n. 120 del 2007, abbia introdotto la decurtazione sino al venti per cento della retribuzione dei direttori generali per inadempienze non gravi in caso di mancato reperimento di spazi per lo svolgimento dell’attività libero professionale, interferendo in tal modo con la ricordata competenza legislativa in materia sanitaria, quale già precisata da questa Corte nella sentenza n. 371 del 2008 che, in questo campo, ha riservato alle autonomie di fissare le altre sanzioni irrogabili in presenza di inadempienze di minore rilievo. Inoltre la disposizione citata violerebbe, ad avviso della ricorrente, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 in quanto rivolta direttamente agli organi amministrativi della Provincia senza alcuna intermediazione di legislazione provinciale.
1.4.– In ordine all’impugnato art. 12, comma 10, la ricorrente ha osservato che la previsione che attribuisce a ogni Regione e Provincia autonoma il compito di istituire comitati etici per la sperimentazione clinica, in modo che sia rispettato il parametro di un comitato ogni milione di abitanti, contrasterebbe con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., tenendo conto della dimensione demografica della Provincia autonoma, che ha una popolazione di circa 531.000 abitanti.
2.– Con atto depositato in data 18 febbraio 2013 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha evidenziato come le disposizioni impugnate contengano principi fondamentali in materia di tutela della salute, cui è connessa la disciplina della libera professione inframuraria. Attraverso i predetti principi generali, il legislatore statale ha inteso garantire una tendenziale uniformità tra le diverse legislazioni e i sistemi sanitari delle Regioni e delle Province autonome.
In particolare, il resistente ha rimarcato che tali disposizioni lasciano ampia discrezionalità alle stesse Regioni e Province autonome in ordine all’assunzione delle iniziative ritenute idonee ad assicurare l’effettuazione degli interventi richiesti.
L’Avvocatura generale dello Stato ha poi evidenziato che si tratta di regole volte a razionalizzare e ridurre la spesa sanitaria e come tali riconducibili a principi di coordinamento della finanza pubblica, in relazione ai quali lo Stato ha competenza legislativa (sentenza n. 284 del 2009) e competenza di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo (sentenza n. 229 del 2011).
In riferimento al richiamo, contenuto nell’ impugnato art. 2, comma 1, lettera b), alla disciplina sulla riduzione dei posti letto ospedalieri, ha aggiunto il resistente che la proposizione di autonomo ricorso contro tali disposizioni di legge, cui le norme ora censurate fanno riferimento, non determina la loro illegittimità, non risultando intervenuta alcuna dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale normativa.
Quanto poi alle infrastrutture di rete, il Presidente del Consiglio ha evidenziato l’ampia discrezionalità che permane in capo alle Regioni e Province autonome in ordine alla predisposizione delle stesse, nonché la previsione dell’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni ai fini della determinazione delle modalità tecniche per la realizzazione delle infrastrutture medesime.
In relazione alla previsione della sanzione della decurtazione della retribuzione dei direttori generali, il resistente ha lamentato l’erroneità del presupposto interpretativo del ricorrente, trattandosi di sanzione non per inadempienze non gravi, ma di sanzione alternativa alla destituzione per le inadempienze gravi, per le quali questa Corte ha già riconosciuto la competenza statale con sentenza n. 371 del 2008.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato che anche la riduzione dei comitati etici per la sperimentazione clinica, costituisce principio fondamentale in materia sanitaria e di coordinamento della finanza pubblica.
3.– Con memoria depositata in data 15 ottobre 2013 la Provincia autonoma di Trento ha ulteriormente sviluppato argomenti a supporto della illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.
In relazione alle censure concernenti l’art. 2, comma 1, lettera b), la ricorrente sottolinea la diversità tra le norme ritenute non illegittime dalla Corte con la sentenza n. 371 del 2008 e le disposizioni ora impugnate. In particolare, la Provincia lamenta l’inesistenza di qualsiasi residuo margine di integrazione normativa, evidenziando come al più sia stato lasciato un margine di scelta amministrativa sul quomodo della ricognizione degli spazi, che ben può essere compiuta dalle aziende sanitarie. La normativa portata all’esame della Corte sarebbe priva, quindi, del carattere di principio fondamentale, che dovrebbe caratterizzare la produzione normativa statale in materia di tutela della salute, di competenza concorrente.
Lo stesso riferimento al fatto che le convenzioni tra professionista interessato all’attività intramuraria e azienda sanitaria debbano rispettare lo schema tipo approvato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome confermerebbe l’inesistenza di margini di integrazione per la ricorrente.
Inconferente sarebbe poi il rinvio della difesa statale alla sentenza n. 284 del 2009, posto che nella specie non si versa in una ipotesi di coordinamento della finanza pubblica, attesa la speciale autonomia finanziaria riconosciuta alla Provincia autonoma; né le norme statali impugnate prevedono poteri statali di rilevazione di dati e controllo.
In relazione all’art. 2, comma 1, lettera c), la ricorrente ha rilevato che anche in questo caso i residui margini di scelta lasciati dalla normativa statale sono tali da poter essere compiuti direttamente dalle aziende sanitarie.
Riguardo all’art. 2, comma 1, lettera h), ad avviso della Provincia, la prospettazione statale di una interpretazione adeguatrice della norma confermerebbe la fondatezza della censura proposta.
Infine, con riferimento all’art. 12, comma 10, l’irragionevolezza della norma sarebbe stata rilevata dallo stesso Ministero della salute che, con decreto ministeriale 8 febbraio 2013 (Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici), ha stabilito all’art. 2, comma 1, che, nelle Regioni e nelle Province autonome con popolazione inferiore a un milione di abitanti, deve essere comunque istituito un comitato etico. Tuttavia, trattandosi di fonte secondaria, che non può abrogare la disposizione censurata, in quanto contenuta in una fonte primaria, non può ritenersi cessata la materia del contendere, con conseguente necessità di dichiarare l’illegittimità della disposizione per impedire che essa sia applicabile alla Provincia autonoma di Trento.

Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 9 gennaio 2013 e depositato il successivo 17 gennaio (iscritto al n. 6 del registro ricorsi 2013), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli articoli 2, comma 1, lettere b), c), e h), e 12, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, per violazione degli artt. 9, numero 10), 16, 79, commi 3 e 4, e 104, nonché dell’intero Titolo VI del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità), dell’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) e degli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
2.– Più precisamente, la ricorrente ritiene che l’impugnato art. 2, comma 1, lettere b), c), nel modificare l’art. 1, comma 4, della legge 3 agosto 2007, n. 120 (Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria), abbia dettato una disciplina dettagliata, esaustiva e autoapplicativa, stabilendo: una ricognizione straordinaria, da parte delle Regioni e delle Province autonome, degli spazi disponibili per l’esercizio dell’attività libero professionale presso le aziende sanitarie e ospedaliere, i policlinici universitari e gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico; la necessità, a carico dei medesimi enti territoriali, di sentire su tale ricognizione le organizzazioni sindacali; un termine fisso entro cui la ricognizione deve essere compiuta; il contenuto della ricognizione medesima; le misure che possono essere assunte in proposito dalle Regioni e dalle Province autonome; la necessità di un parere del collegio di direzione sulle predette misure; la disciplina dell’organo che deve dare il parere in assenza del collegio di direzione; la sottoscrizione di un programma sperimentale, per lo svolgimento dell’attività libero-professionale presso studi privati, vincolato ad uno schema-tipo di convenzione approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni; la decadenza al 31 dicembre 2012 delle autorizzazioni precedentemente rilasciate per l’esercizio della libera professione intramuraria presso studi privati; l’adozione di linee guida; il richiamo alla disciplina statale sulla riduzione dei posti letto ospedalieri per il calcolo del fabbisogno di spazi da destinare alla libera professione intramuraria; la predisposizione di una infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati, in condizioni di sicurezza, tra l’ente o l’azienda e le singole strutture nelle quali vengono erogate le prestazioni di attività libero-professionale inframuraria; il termine del 31 marzo 2013 per la sua attivazione; la determinazione nel dettaglio delle funzioni cui l’infrastruttura dovrà essere destinata; la previsione che le modalità tecniche di realizzazione siano stabilite con decreto ministeriale emanato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
In tal modo, ad avviso della Provincia autonoma di Trento, il legislatore statale avrebbe violato anzitutto l’art. 9, numero 10), dello statuto di autonomia, le disposizioni di cui al d.P.R. n. 474 del 1975, di attuazione del medesimo, e l’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla Provincia in virtù dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto, adottando una disciplina statale esaustiva ed autoapplicativa, non permette alla Provincia autonoma di esercitare la propria competenza legislativa concorrente in materia di sanità e di tutela della salute, consentendo alla ricorrente solo interventi di attuazione amministrativa.
Inoltre, sarebbe violato l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto, prescrivendo l’adozione di atti amministrativi o condizionandone il contenuto e sovrapponendosi a direttive emanate dalla Giunta provinciale e ad atti di organizzazione adottati dalla Azienda provinciale per i servizi sanitari, le suddette disposizioni lederebbero l’autonomia amministrativa della Provincia autonoma.
Le norme censurate si porrebbero altresì in contrasto con l’art. 104 dello statuto e con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto si tratterebbe di disposizioni di leggi statali immediatamente applicabili alla Provincia autonoma, in una materia di competenza provinciale, in violazione del principio in base al quale la legislazione provinciale deve essere adeguata ai principi stabiliti dal legislatore statale entro i sei mesi successivi dalla loro pubblicazione, restando nel frattempo applicabili le disposizioni legislative provinciali preesistenti.
Inoltre, limitatamente al citato art. 2, comma 1, lettera c), il legislatore statale avrebbe violato altresì l’art. 79 e l’intero Titolo VI dello statuto, nonché le disposizioni del d.lgs. n. 268 del 1992, in quanto, impedendo alla Provincia di assumere i costi dell’infrastruttura di rete, ne avrebbe leso l’autonomia finanziaria.
2.1.– Le questioni relative all’art. 2, comma 1, lettere b) e c) sono fondate.
Deve anzitutto osservarsi che, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 266 del 1992, la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai principi e alle norme statali costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito. Nel frattempo restano applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti. Decorso il predetto termine, le disposizioni legislative regionali e provinciali non adeguate possono essere impugnate davanti alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 97 dello statuto speciale per violazione di esso.
Come già riconosciuto da questa Corte (ex plurimis sentenze n. 371 del 2008, n. 162 del 2007 e n. 134 del 2006), la disciplina della libera professione intramuraria deve ascriversi alla competenza legislativa ripartita in materia di sanità e assistenza sanitaria e ospedaliera, che il legislatore provinciale può esercitare nel limite del rispetto dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato, ex art. 5 dello statuto di autonomia, come espressamente previsto dall’art. 9, numero 10), del medesimo e che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, si radica nella più ampia materia della tutela della salute, di competenza concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. In tale materia, dunque, opera la citata previsione di attuazione statutaria, che assegna alle Province autonome un termine di sei mesi per adeguarsi ai principi statali costituenti limiti alla legislazione provinciale, con conseguente successivo onere di impugnativa da parte dello Stato delle norme provinciali che non si siano adeguate.
Nel caso di specie, dunque, nelle more dell’adeguamento e fino allo scadere del termine sopra indicato, avrebbe dovuto continuare a ricevere applicazione la disciplina provinciale delle attività di libera professione intramuraria svolta dai medici del servizio pubblico, contenuta nella legge provinciale 23 luglio 2010, n. 16 (Tutela della salute in provincia di Trento).
Le disposizioni impugnate, tuttavia, confliggono con lo speciale regime di adeguamento vigente per il Trentino-Alto Adige/Südtirol e ne impediscono l’operatività. Infatti, il legislatore statale annovera esplicitamente le Province autonome tra i soggetti a cui la nuova disciplina relativa agli spazi per l’esercizio della professione intramuraria deve applicarsi immediatamente e nella sua integralità, prescrivendo oltretutto che l’attuazione della stessa avvenga secondo scadenze prefissate ed entro termini brevi, anche inferiori ai sei mesi messi a disposizione della Provincia dalle norme di attuazione dello statuto di autonomia. È indubbio, dunque, che le impugnate disposizioni presuppongano la diretta applicabilità delle stesse anche alla ricorrente. Di qui la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
Infatti, la legislazione statale intervenuta in materia di esercizio della professione medica intra moenia non ha preso in considerazione in alcun modo la specificità della Provincia sotto il profilo delle procedure di adeguamento ai sopravvenuti principi statali: non è stato fissato un termine più ampio, di almeno sei mesi, per consentire che la modifica delle norme provinciali vigenti avvenisse in conformità allo speciale regime di autonomia, né è stata introdotta una clausola di salvaguardia che permettesse di applicare la sopravvenuta legislazione statale nei limiti e con le modalità previste dallo statuto speciale. La previsione di una tale clausola avrebbe rimosso ogni ostacolo all’applicazione della speciale procedura di adeguamento prevista dalle norme di attuazione, ponendo al riparo la legislazione statale da tale censura di illegittimità costituzionale (così, ad esempio, sentenza n. 401 del 2007, punto 6.1. del Considerato in diritto).
Il tenore testuale dell’impugnato art. 2, comma 1, lettere b) e c) e l’assenza di una generale clausola di salvaguardia per la Provincia autonoma, determinano, quindi, una violazione della citata norma di attuazione dello statuto speciale, che come tale non è derogabile da disposizioni statali di legge ordinaria, con conseguente illegittimità di queste ultime (sentenze n. 133 del 2010, n. 334 del 2009, n. 145 del 2005). Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettere b) e c) del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, nella parte in cui non contempla una clausola di salvaguardia che preveda che la Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione alle disposizioni in esso contenute, in conformità allo statuto speciale e alle relative norme di attuazione.
Resta fermo che la Provincia autonoma è chiamata a conformarsi ai principi stabiliti dalla legge dello Stato, tenendo conto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle materie di competenza ripartita è da ritenere vincolante anche ogni previsione che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, «è da considerare per la finalità perseguita, in “rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione” con le norme-principio che connotano il settore» (ex plurimis sentenza n. 437 del 2005). Con particolare riferimento alla disciplina degli spazi per l’esercizio della professione medica intramuraria che qui rileva, occorre ribadire che «è destinata a partecipare di questo stesso carattere di normativa di principio anche quella volta ad assicurare che non resti priva di conseguenze, in termini di concrete possibilità di svolgimento dell’attività libero-professionale intramuraria, l’opzione compiuta dal sanitario in favore del rapporto di lavoro esclusivo» (sentenza n. 371 del 2008).
2.2.– Restano assorbite le ulteriori questioni sollevate in riferimento alle disposizioni qui esaminate.
2.3.– La dichiarazione di illegittimità di cui sopra estende la propria efficacia anche nei confronti della Provincia autonoma di Bolzano, tenuto conto dell’identità di contenuto della normativa statutaria e di attuazione violata (sentenze n. 133 del 2010, n. 341 e n. 334 del 2009, n. 45 del 2005).
3.– La Provincia autonoma di Trento ha impugnato l’art. 2, comma 1, lettera h), del medesimo d.l. n. 158 del 2012 nella parte in cui, modificando l’art. 1, comma 7, della legge n. 120 del 2007, introduce la decurtazione sino al venti per cento della retribuzione di risultato dei direttori generali a titolo di sanzione per inadempienze non gravi, in caso di mancato reperimento di spazi per lo svolgimento dell’attività libero-professionale, secondo le modalità previste dalla legge. Ad avviso della ricorrente, il legislatore statale, introducendo la previsione di cui sopra, avrebbe violato l’art. 9, numero 10), dello statuto, le disposizioni di cui al d.P.R. n. 474 del 1975 e l’art. 117, terzo comma, Cost., applicabile alla Provincia in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto avrebbe leso la competenza legislativa ripartita della Provincia autonoma in materia di sanità e di tutela della salute, che include quella di fissare le sanzioni, diverse da quella della destituzione dei direttori generali per gravi inadempienze, irrogabili in presenza di inadempienze di minore rilievo, secondo la ripartizione di competenze, tra Stato e Province autonome, delineata nella sentenza n. 371 del 2008, a proposito del previgente testo, dall’art. 1, comma 7, della legge n. 120 del 2007.
Inoltre, la disciplina statale violerebbe l’art. 104 dello statuto e l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, in quanto si rivolgerebbe direttamente agli organi amministrativi della Provincia, senza prevedere alcuna attuazione da parte della legislazione provinciale.
3.1.– La questione non è fondata.
La censura prospettata dalla ricorrente si basa su un erroneo presupposto interpretativo.
L’art. 1, comma 7 della legge n. 120 del 2007, come modificato dalla disposizione impugnata, recita: «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano il rispetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2, 4, 5 e 6 anche mediante l’esercizio di poteri sostitutivi, la decurtazione della retribuzione di risultato pari ad almeno il 20 per cento ovvero la destituzione, nell’ipotesi di grave inadempienza, dei direttori generali delle aziende, policlinici ed istituti di cui al comma 5».
L’impugnato art. 2, comma 1, lettera h), del decreto-legge n. 158 del 2012 ha dunque modificato il previgente testo dell’art. 1, comma 7, della legge n. 120 del 2007, aggiungendo, accanto ad altri strumenti già messi a disposizione delle Regioni e delle Province autonome per contrastare eventuali inadempienze, l’ulteriore sanzione della decurtazione sino al venti per cento della retribuzione di risultato dei direttori generali. Di conseguenza, l’introduzione della sanzione della decurtazione della retribuzione di risultato, che si affianca ad altre già previste, non eccede dai limiti delle competenze statali e, oltretutto, non comprime in alcun modo la discrezionalità provinciale rispetto a quanto stabilito dalla previgente disciplina legislativa, già scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 371 del 2008, di tal che nessun vulnus alle competenze provinciali può ritenersi verificato.
4.– È impugnato l’art. 12, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012 in quanto, prevedendo la costituzione, da parte di ciascuna Regione e di ciascuna Provincia autonoma, di un comitato etico per la sperimentazione clinica ogni milione di abitanti, violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., perché non tiene conto della dimensione demografica della Provincia autonoma di Trento, che ammonta a soli cinquecentotrentunomila abitanti.
4.1.– La questione è fondata.
La prima parte della disposizione in esame richiede che, entro un termine prestabilito, siano riorganizzati i comitati etici per la sperimentazione clinica da parte di «ciascuna delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano», senza distinguere in alcun modo le diverse Regioni in base all’entità della loro popolazione. La successiva lettera a) della medesima disposizione, però, specificando i criteri a cui attenersi nel rideterminare la distribuzione territoriale di dette strutture, stabilisce che a ciascun comitato etico sia attribuita una competenza territoriale provinciale o interprovinciale, in modo che sia rispettato il parametro minimo di un milione di abitanti. Dunque, la previsione, perseguendo l’evidente intento di contenere il numero di tali strutture e le relative spese, esige che ogni comitato etico esplichi la propria competenza su un territorio che comprenda una popolazione pari ad almeno un milione di abitanti.
Le previsioni contenute nella disposizione impugnata, che incidono sulle competenze delle Regioni e delle Province autonome in materia di tutela della salute, risultano, pertanto, irrealizzabili nelle realtà territoriali di contenute dimensioni demografiche, tra cui rientra la Provincia autonoma di Trento. Infatti, da un lato si esige che ogni Regione e Provincia autonoma istituisca almeno un comitato etico e, dall’altro lato, si richiede che la competenza di tale comitato si esplichi su un territorio che comprenda almeno un milione di abitanti. Ciò determina l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, derivante dalla contraddittorietà intrinseca dei precetti in essa contenuti, con conseguente violazione del principio di ragionevolezza (sentenze n. 234 del 2006, n. 320 del 2005 e n. 416 del 2000).
Del resto, in fase di attuazione della disposizione impugnata, l’art. 2, comma 1, seconda parte, del decreto del Ministro per la salute 8 febbraio 2013 (Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici), allo scopo di ovviare all’incongruenza della legislazione sul punto, ha inteso chiarire espressamente che, nelle Regioni e nelle Province autonome con una popolazione inferiore a un milione di abitanti deve essere comunque costituito un comitato etico.
Tuttavia, considerato che il tenore testuale della disposizione di legge impugnata non concede margini per sciogliere in via interpretativa l’intrinseca contraddizione e che la sopravvenuta precisazione circa la necessità di istituire un comitato etico anche nelle Regioni e Province che non raggiungono la soglia di un milione di abitanti è contenuta in un atto ministeriale, come tale inidoneo a emendare la fonte primaria, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, nella parte in cui non prevede che «nelle Regioni e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano con una popolazione inferiore a un milione di abitanti deve essere comunque costituito un comitato etico».

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 8 novembre 2012, n. 189, nella parte in cui non contempla una clausola di salvaguardia che preveda che le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguino la propria legislazione in conformità alle disposizioni dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, nella parte in cui non prevede che «nelle Regioni e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano con una popolazione inferiore a un milione di abitanti deve essere comunque costituito un comitato etico»;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, lettera h), del medesimo d.l. n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, promossa dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento all’art. 9, numero 10), del d.P.R. 31 agosto 1972. n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI