Sentenza 308/2013

Sentenza  308/2013
Giudizio
Presidente SILVESTRI - Redattore TESAURO
Udienza Pubblica del 22/10/2013    Decisione  del 10/12/2013
Deposito del 17/12/2013   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 1, c. 1° e 2°, della legge della Regione autonoma Sardegna 12/10/2012, n. 20.
Massime:
Atti decisi:ric. 193/2012

SENTENZA N. 308
ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione autonoma della Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-19 dicembre 2012, depositato in cancelleria il 21 dicembre 2012 ed iscritto al n. 193 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma della Sardegna.

Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, depositato il 21 dicembre 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici), in riferimento agli artt. 9, 24, 97, 103, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., all’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché al principio di leale collaborazione.
1.1.– Il ricorrente impugna il citato art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012, nella parte in cui stabilisce che «La Giunta regionale, nel rispetto della norma fondamentale di riforma economico-sociale di cui all’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche ed integrazioni, ed in particolare in applicazione di quanto disposto alle lettere a) e b) di detto articolo, assume una deliberazione di interpretazione autentica dell’articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso che la fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia è da riferirsi esclusivamente, come in tali disposizioni già stabilito, ai laghi naturali e agli invasi artificiali e non si applica alle zone umide».
1.2.– Così disponendo, il citato articolo contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «con le norme interposte di fonte ordinaria, direttamente attuative degli artt. 9 e 117 Cost., contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, concernenti la pianificazione paesaggistica congiunta Stato–Regioni (artt. 135 e 143), con la stessa disciplina di statuto speciale (attributiva alla Regione Sardegna di una potestà legislativa regionale propria in materia di tutela del paesaggio, ma nei limiti del rispetto delle norme statali di “grande riforma economico-sociale” di cui all’art. 3, comma 1, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), nonché infine con il principio di leale collaborazione». La disposizione regionale impugnata violerebbe i richiamati parametri costituzionali in quanto attribuirebbe alla sola Giunta regionale, senza alcun coinvolgimento, né preventivo, né successivo, dei competenti organi statali, il compito di interpretare unilateralmente l’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del vigente Piano paesaggistico regionale, che individua, tra le categorie di beni paesaggistici, le «zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi», predeterminando il contenuto di tale delibera regionale nel senso, riduttivo dell’ambito di protezione, che la tutela paesaggistica della fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia non si applica per le suddette zone umide, in violazione dell’obbligo di pianificazione congiunta.
1.3.– L’impugnata disposizione regionale violerebbe, altresì, l’art. 97 Cost., nonché gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto mirerebbe a vanificare gli effetti del giudicato formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, che ha annullato una concessione edilizia rilasciata, in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, per la realizzazione di un edificio, collocato nella fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia in una zona umida, imponendo per legge e con efficacia retroattiva una soluzione opposta a quella affermata dal giudice e favorevole ad una delle parti in contesa, in violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, nonché del principio di separazione dei poteri.
1.4.– Infine, secondo il ricorrente, la norma regionale impugnata contrasterebbe anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto il legislatore regionale, con norma sopravvenuta dotata di efficacia sostanzialmente retroattiva, avrebbe inteso interferire nei giudizi in corso e, in particolare, eliminare gli effetti di una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria.
1.5.– Il ricorrente chiede, altresì, a questa Corte se, «a seguito dell’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012», debba ritenersi «automaticamente caducato anche il comma 2 del predetto articolo, poiché privo di presupposto e quindi inapplicabile».
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Sardegna, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, la quale, nell’atto di costituzione e nelle memorie depositate nell’imminenza dell’udienza pubblica, ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile e comunque infondato il ricorso promosso nei confronti dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012.
2.1.– In via preliminare, la resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso, per il fatto che il ricorrente non avrebbe sufficientemente dato conto dell’ambito di autonomia legislativa affidato alla Regione resistente dalle norme statutarie. Tutte le censure sarebbero, poi, inammissibili per difetto di motivazione e sarebbe anche inammissibile la richiesta di «automatica caducazione» del comma 2 dell’art. 1, sia perché un simile istituto non sarebbe previsto dall’ordinamento, sia perché non sarebbero indicate le norme da colpire, né sarebbero fornite adeguate motivazioni a sostegno della richiesta di caducazione.
2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero tutte prive di fondamento.
2.2.1.– Quanto alla prima questione, la resistente rileva che il legislatore regionale, esercitando la propria competenza in materia di tutela paesaggistica, prevista dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, preso atto della particolare difficoltà interpretativa delle norme tecniche di attuazione del Piano paesistico regionale, ben poteva e può risolvere detta difficoltà attraverso un’interpretazione autentica delle predette norme tecniche, senza dover sottostare al procedimento di pianificazione congiunta ai sensi dell’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004. Quand’anche le previsioni del Codice dei beni culturali invocate dal ricorrente fossero considerate quali limiti alla potestà legislativa regionale, la Regione sostiene che esse non sarebbero applicabili nel caso di specie, posto che le zone umide di cui alla norma regionale impugnata non sono quelle per le quali è prescritta, dal citato d.lgs. n. 42 del 2004, la procedura di pianificazione congiunta. In ulteriore subordine, la Regione rileva che, nel caso in cui la Corte dovesse ritenere viceversa che il procedimento di copianificazione debba seguirsi anche al fine dell’individuazione delle “zone umide” in esame, la questione risulterebbe comunque infondata, in quanto nulla impedirebbe che il procedimento per l’adozione della delibera di interpretazione autentica, per la quale la legge dà mandato alla Giunta regionale, passi attraverso il raggiungimento dell’intesa con il Ministero dei beni e delle attività culturali.
2.2.2.– Anche il secondo gruppo di censure sarebbe privo di fondamento.
Quanto, infatti, alla pretesa lesione del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, la Regione ne contesta la fondatezza sulla base del rilievo che la disposizione impugnata non detterebbe alcuna misura relativa all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici regionali o degli enti territoriali, cosicché non risulterebbe chiaro come essa possa influenzare il buon andamento dell’apparato burocratico pubblico. Anche la dedotta violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost. risulterebbe priva di fondamento, considerato che la disposizione impugnata non impedirebbe ad alcuno di agire per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, né inciderebbe in alcun modo sul riparto di giurisdizione tra magistratura ordinaria, Consiglio di Stato, Corte dei conti e magistratura militare.
2.2.3.– Infine, anche la censura inerente alla pretesa violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, sarebbe infondata. La norma impugnata, infatti, non avrebbe alcuna pretesa di travolgere il giudicato, ma si configurerebbe quale norma di interpretazione autentica, il cui effetto retroattivo sarebbe coerente con la giurisprudenza della Corte EDU, essendo volta, da un lato, a porre rimedio ad un’imperfezione tecnica della norma interpretata, dall’altro a far fronte ad impellenti motivi di ordine generale.
3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici), nella parte in cui stabilisce che «La Giunta regionale, nel rispetto della norma fondamentale di riforma economico-sociale di cui all’articolo 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137) e successive modifiche ed integrazioni, ed in particolare in applicazione di quanto disposto alle lettere a) e b) di detto articolo, assume una deliberazione di interpretazione autentica dell’articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso che la fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia è da riferirsi esclusivamente, come in tali disposizioni già stabilito, ai laghi naturali e agli invasi artificiali e non si applica alle zone umide».
1.1.– Tale norma è in primo luogo censurata in quanto, attribuendo alla sola Giunta regionale, senza alcun coinvolgimento (né preventivo, né successivo) dei competenti organi statali, il compito di interpretare unilateralmente l’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del vigente Piano paesaggistico regionale, violerebbe il principio di pianificazione congiunta dei beni paesaggistici, contenuto negli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che costituisce, in attuazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., l’oggetto di una norma fondamentale di riforma economico-sociale e quindi limite alla competenza primaria attribuita alla Regione Sardegna dall’art. 3, primo comma, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
La predetta norma è inoltre censurata in quanto sarebbe diretta a vanificare gli effetti del giudicato formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, imponendo per legge e con efficacia retroattiva una soluzione opposta a quella affermata dal giudice e favorevole ad una delle parti in contesa, ed incidendo sui procedimenti in corso, in violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), nonché del principio di separazione dei poteri (artt. 103 e 113 Cost.).
Un’ulteriore censura è prospettata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone al potere legislativo, anche regionale, il limite del rispetto degli obblighi internazionali, in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto il legislatore regionale, con una norma sopravvenuta dotata di efficacia sostanzialmente retroattiva, avrebbe inteso interferire nei giudizi in corso e, in particolare, eliminare gli effetti di una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria.
2.– In linea preliminare, occorre valutare l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Regione autonoma Sardegna per il fatto che il ricorrente non avrebbe dato adeguatamente conto delle specifiche competenze assegnate alla medesima Regione dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, concentrando le censure sulla dedotta violazione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
2.1.– L’eccezione non è fondata.
Questa Corte ha affermato che, ai fini del giudizio sulla ammissibilità dei ricorsi proposti nei confronti di una Regione ad autonomia speciale, ciò che assume rilievo è il riferimento alle competenze stabilite dallo statuto e l’indicazione, con riguardo all’art. 117 Cost., di quale tra le diverse sfere di competenza statale sarebbe stata in concreto invasa (sentenza n. 18 del 2012).
Nella specie, il ricorrente riconosce espressamente che la materia appartiene alla competenza attribuita dall’art. 3 dello statuto speciale alla Regione Sardegna e sostiene che la norma regionale impugnata viola il limite delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, che riguarda le competenze primarie assegnate dallo statuto, con conseguente invasione della sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela del’ambiente.
3.– Ancora preliminarmente, si deve rilevare che la norma impugnata è stata oggetto di modifica da parte dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19 (Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici). A seguito di tale modifica l’impugnato art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012, recita: «La Giunta regionale, nel rispetto della norma fondamentale di riforma economico–sociale del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137), e successive modifiche ed integrazioni, assume una deliberazione di interpretazione autentica dell’articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale nel senso che la fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia è da riferirsi esclusivamente, come in tali disposizioni già stabilito, ai laghi naturali e agli invasi artificiali, e non si applica alle citate zone umide tipizzate e individuate ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio)».
Occorre, pertanto, verificare se detta modifica soddisfi le condizioni richieste per determinare la cessazione della materia del contendere (fra le tante, sentenze n. 228 e n. 93 del 2013).
3.1.– Siffatta modifica elimina essenzialmente il riferimento all’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio e precisa che le zone umide oggetto di disciplina devono ritenersi solo quelle «tipizzate e individuate ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 42 del 2004, come modificato dall’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157». Essa, dunque, ha solo esplicitato quanto già stabilito nella norma originariamente impugnata, senza incidere sul contenuto precettivo della stessa, ma confermandone la portata retroattiva.
Pertanto, posto che la sopravvenienza legislativa non è satisfattiva delle censure del ricorrente, non è possibile dichiarare cessata la materia del contendere.
In considerazione della sostanziale identità del contenuto precettivo della norma modificata, la questione, come proposta, si intende trasferita sul testo attualmente vigente dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012.
4.– Quanto alla asserita violazione del principio di pianificazione congiunta dei beni paesaggistici, contenuto negli artt. 135 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, in attuazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., costituisce oggetto di una norma fondamentale di riforma economico–sociale e quindi limite alla competenza primaria regionale, va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione sollevata dalla Regione.
Quest’ultima sostiene che il ricorrente non avrebbe affatto dimostrato – come avrebbe dovuto – che le aree di cui all’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale rientrano tra quelle per le quali è prevista la procedura collaborativa in esame, ai sensi dell’art. 135, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 42 del 2004.
4.1.1. – L’eccezione è priva di fondamento.
Il ricorrente, nel prospettare la suddetta questione, muove chiaramente dall’assunto che le aree di cui all’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione siano soggette alla procedura collaborativa prescritta dall’art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004: la dimostrazione della fondatezza di tale assunto non attiene a profili di ammissibilità della questione, ma al merito della stessa.
4.1.2.– E, nel merito, la questione non è fondata.
Lo statuto speciale della Regione autonoma Sardegna assegna a quest’ultima, all’art. 3, primo comma, lettera f), la competenza legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica». In attuazione di tale norma statutaria, il decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, recante «Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna», al Capo III, intitolato «Edilizia ed urbanistica», precisa che tale materia concerne non solo le funzioni di natura strettamente urbanistica, ma anche quelle relative ai beni culturali ed ambientali, considerato che, all’art. 6, dispone il trasferimento alla Regione delle funzioni attribuite al Ministero per i beni culturali ed ambientali con decreto-legge 14 dicembre 1974, n. 657 (Istituzione del Ministero per i beni culturali e per l’ambiente), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 gennaio 1975, n. 5, ivi compresa la «redazione e l’approvazione dei piani territoriali paesistici, di cui all’art. 5 della legge n. 1497 del 1939».
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, sulla base delle norme richiamate, «la Regione Sardegna dispone, nell’esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale», fatto salvo il rispetto dei limiti espressamente individuati nell’art. 3 del medesimo statuto in riferimento alle materie affidate alla potestà legislativa primaria della Regione (sentenza n. 51 del 2006). Il legislatore statale, pertanto, conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali». Ciò anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; «con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto del legislatore della Regione Sardegna che eserciti la propria competenza statutaria nella materia «edilizia ed urbanistica» (v. sentenza n. 536 del 2002)» (sentenza n. 51 del 2006).
In tale quadro costituzionale di distribuzione delle competenze, il d.lgs. n. 42 del 2004, oltre a stabilire espressamente che «restano ferme le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione» (art. 8), nell’individuare gli strumenti della pianificazione paesaggistica, all’art. 135, «affida alle Regioni la scelta di approvare piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, con ciò confermando l’alternativa tra piano paesistico e piano urbanistico-territoriale già introdotta con l’art. 1-bis del d.l. n. 431 del 1985» (sentenza n. 51 del 2006).
Sulla base delle richiamate indicazioni, la Regione Sardegna ha appositamente previsto e disciplinato i piani territoriali paesistici già con la legge 22 dicembre 1989, n. 45 (Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale) e, all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, con la legge 25 novembre 2004, n. 8 (Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale), ha recepito e fatta propria la disciplina statale paesistico ambientale ed ha introdotto misure di salvaguardia finalizzate alla redazione del nuovo piano paesistico regionale, qualificando quest’ultimo quale «principale strumento della pianificazione territoriale regionale ai sensi dell’articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 […] al fine di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio» (art. 1, comma 1), che «assume i contenuti di cui all’articolo 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004» (art. 1, comma 2).
In attuazione delle disposizioni di cui alla legge regionale n. 8 del 2004, con deliberazione n. 36/7 del 5 settembre 2006, la Giunta regionale ha approvato il Piano paesaggistico regionale (PPR), adottato con successivo decreto del Presidente della Regione 7 settembre 2006, n. 82, il quale, recependo le prescrizioni del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio nel testo modificato, con riguardo al paesaggio, dal d.lgs. n. 157 del 2006, detta le norme tecniche di attuazione.
L’art. 17 delle predette norme tecniche ha stabilito che rientrano nell’assetto regionale ambientale alcune categorie di beni paesaggistici, «tipizzati e individuati nella cartografia del PPR di cui all’art. 5 e nella tabella allegato 2, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157». Fra di essi indica, alla lettera g), la categoria inerente a «Zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi», in relazione alla quale è intervenuta la norma regionale impugnata di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 2012, che impone alla Giunta di assumere una deliberazione di interpretazione autentica con specifico riferimento alle zone umide.
Sulla base delle espresse indicazioni contenute nel predetto art. 17 delle norme tecniche, pertanto, tali beni paesaggistici corrispondono a quegli immobili ed a quelle aree che, in quanto tipizzati ed individuati dallo stesso PPR, sono sottoposti a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione, in attuazione di quanto stabilito dall’art. 143, comma 1, lettera i), e dall’art. 134, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 42 del 2004, nel testo in vigore a seguito delle modifiche del 2006. Tali beni sono, quindi, diversi da quelli indicati all’art. 142 del medesimo decreto, sempre nel testo in vigore nel 2006, che comprendeva le zone umide incluse nell’elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448 (Esecuzione della convenzione relativa alle zone umide d’importanza internazionale, soprattutto come habitat degli uccelli acquatici, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971), adottato in esecuzione della cosiddetta Convenzione Ramsar sulle zone umide di importanza internazionale, le quali sono assoggettate a specifici vincoli posti dal legislatore statale in attuazione dell’obbligo internazionale.
Le zone umide cui fa riferimento l’art. 17, comma 3, lett. g), delle norme tecniche e sulla cui disciplina è intervenuta la norma impugnata, sono, dunque, quelle individuate dallo stesso PPR, per le quali né l’art. 135, né l’art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, nel testo vigente nel settembre 2006, prescrivevano la pianificazione congiunta, ma si limitavano a prevederla come mera facoltà delle Regioni. Infatti, l’art. 135, nel testo allora in vigore, disponeva che «Lo Stato e le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente conosciuto, tutelato e valorizzato. A tale fine le regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall’articolo 143, sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati “piani paesaggistici”». L’art. 143 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel testo allora vigente, al comma 3, prevedeva che «le regioni, il Ministero ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio possono stipulare intese per l’elaborazione congiunta dei piani paesistici».
Con il decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio) sono stati sostituiti svariati articoli della Parte III del d.lgs. n. 42 del 2004, fra i quali anche l’art. 135 e l’art. 143. A seguito di tali modifiche è stata inserita la previsione della pianificazione congiunta obbligatoria in relazione, però, ad appositi beni paesistici. In particolare, l’art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel testo in vigore dal 2008, stabilisce, all’ultimo periodo del comma 1, l’obbligo della elaborazione congiunta dei piani paesaggistici tra Ministero e Regioni «limitatamente ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo art. 143». Quest’ultimo, tuttavia, nel testo anch’esso modificato nel 2008, tra i beni paesaggistici soggetti all’obbligo di pianificazione congiunta, non indica zone umide diverse da quelle incluse nell’elenco previsto dal d.P.R. n. 448 del 1976, adottato in esecuzione della cosiddetta Convenzione Ramsar sulle zone umide di importanza internazionale.
Dall’esame delle norme statali rilevanti, considerate anche nella loro successione cronologica, si desume, quindi, chiaramente l’inesistenza di un obbligo di pianificazione congiunta, per i beni paesaggistici individuati dall’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche ed in specie per le cosiddette zone umide.
Pertanto, la Regione ben poteva, nell’esercizio della propria competenza legislativa primaria, intervenire sulla regolamentazione paesaggistica dei suddetti beni, anche attraverso una norma di interpretazione autentica, non essendo vincolata a coinvolgere, né in via preventiva, né in via successiva, i competenti organi statali.
Sono, quindi, prive di fondamento le censure di violazione dell’obbligo di pianificazione congiunta promosse nei confronti dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012, che reca norme di interpretazione autentica dell’articolo 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale, in specie riguardo all’individuazione del regime delle cosiddette zone umide. Queste ultime rientrano, infatti, fra i beni paesaggistici «tipizzati e individuati nella cartografia del PPR di cui all’art. 5 e nella tabella di cui all’allegato 2, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157» (art. 17, comma 3, delle norme tecniche di attuazione del PPR), per i quali non opera il suddetto obbligo imposto dal legislatore statale.
4.2.– L’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012 è, inoltre, censurato per violazione dell’art. 97 Cost., nonché degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto mirerebbe a vanificare gli effetti del giudicato formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, che ha annullato una concessione edilizia rilasciata, in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, per la realizzazione di un edificio collocato nella fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia in una zona umida, imponendo per legge e con efficacia retroattiva una soluzione opposta a quella affermata dal giudice e favorevole ad una delle parti in contesa, in violazione del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione, nonché del principio di separazione dei poteri.
4.2.1.– In via preliminare occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalla Regione autonoma Sardegna, sull’assunto della vaghezza ed insufficienza delle motivazioni poste a sostegno delle richiamate censure, nonché per l’indeterminatezza delle norme costituzionali invocate a parametro.
4.2.2.– Tale eccezione è fondata.
Le censure proposte dal ricorrente sono riferite a parametri diversi, senza che vi siano adeguate e specifiche motivazioni a sostegno della loro pretesa violazione.
4.3.– L’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012 è infine censurato per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della CEDU, in quanto il legislatore regionale, con norma sopravvenuta dotata di efficacia sostanzialmente retroattiva, ha inteso interferire nei giudizi in corso e, in particolare, ha inteso eliminare gli effetti di una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria.
4.3.1.– In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti delle questione in esame, in quanto oscura ed insufficientemente motivata.
I pur sintetici argomenti contenuti nel ricorso, unitamente ai richiami alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di norme retroattive ed ai limiti da essa individuati con riguardo al giudicato ed alle interferenze sui giudizi in corso rendono sufficientemente chiari i termini della questione, prospettata in relazione alla portata retroattiva della norma impugnata, la quale sarebbe volta a travolgere il giudicato e ad interferire con l’esercizio della funzione giurisdizionale in riferimento ai procedimenti in corso.
4.3.2.– Nel merito, la questione è fondata.
Con riferimento alle leggi di interpretazione autentica, la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che, posto che «il legislatore può […] approvare sia disposizioni di interpretazione autentica, che chiariscono la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva» (sentenza n. 41 del 2011), «quello che rileva è, in entrambi i casi, che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, in una prospettiva di stretto controllo, da parte della Corte, di tale requisito, e non contrasti con valori ed interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 41 del 2011).
In relazione a questioni di legittimità costituzionale, inerenti a leggi retroattive o di interpretazione autentica prospettate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in specie in connessione con l’art. 6 della CEDU, questa Corte ha preliminarmente precisato che i profili di illegittimità costituzionale devono essere esaminati in modo che l’art. 6 CEDU, come applicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, sia letto in rapporto alle altre disposizioni costituzionali, secondo gli orientamenti seguiti dalla giurisprudenza costituzionale in tema di efficacia delle norme della CEDU, sin dalle sentenze n. 349 e n. 348 del 2007 (sentenza n. 170 del 2013). Ciò premesso, ha osservato che «il divieto di retroattività della legge […], pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve dall’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., riservata alla materia penale» (sentenza n. 170 del 2013). Pertanto, «il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale ai sensi della CEDU (ex plurimis sentenza n. 78 del 2012)» (sentenza n. 170 del 2013).
In questa prospettiva occorre ricordare che la Corte EDU ha ripetutamente affermato, con specifico riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, che in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire una regolamentazione innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di «processo equo» sanciti dall’art. 6 della CEDU, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (sentenze 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia) e ha ribadito che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia). Quanto ai “motivi imperativi di interesse generale” tali da legittimare interventi retroattivi del legislatore, la Corte EDU li ha ravvisati al verificarsi di specifiche condizioni, fra le quali la sussistenza di “ragioni storiche epocali” o anche la necessità di porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society ed altri contro Regno Unito), o di «riaffermare l’intento originale del Parlamento» (sentenza 27 maggio 2004, Ogis-Institu Stanislas e altri contro Francia).
Analogamente, questa Corte ha escluso che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica possa dirsi costituzionalmente illegittima, qualora la legge interpretativa abbia lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto», o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore […] a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale» (sentenza n. 78 del 2012). Essa deve, tuttavia, anche rispettare una serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza […]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (sentenza n. 78 del 2012).
Nel caso in esame, con la norma impugnata, che si autoqualifica di interpretazione autentica, il legislatore regionale è intervenuto, a distanza di sei anni dall’entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale (PPR), adottato con deliberazione n. 36/7 del 5 settembre 2006, per imporre alla Giunta regionale di assumere una deliberazione di interpretazione autentica con la quale stabilire, con effetto ricondotto all’entrata in vigore del predetto PPR, che l’art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del PPR, adottate congiuntamente al PPR, deve essere inteso nel senso che la fascia di profondità di 300 metri dalla linea di battigia non si applica alle zone umide, ma solo ai laghi naturali ed agli invasi artificiali, con conseguente esclusione della predetta fascia dal regime di autorizzazione paesaggistica imposto dall’art. 18.
L’efficacia retroattiva della norma è, poi, ulteriormente precisata al comma 2, nel quale si impone ai Comuni ed agli altri enti competenti di «adottare i necessari atti conseguenti con riferimento ai titoli abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di entrata in vigore del Piano paesaggistico regionale», in conformità alla delibera di interpretazione autentica.
Tale norma, dal contenuto sostanzialmente provvedimentale, è stata adottata pochi mesi dopo il deposito della sentenza con la quale il Consiglio di Stato (sentenza 16 aprile 2012, n. 2188) aveva applicato il predetto art. 17, comma 3, lettera g), delle norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale, nel senso che anche alle zone umide si applica la cosiddetta fascia di rispetto di 300 metri dalla battigia, ed aveva su questa base annullato una concessione edilizia rilasciata in assenza della previa autorizzazione paesaggistica proprio in prossimità di una zona umida.
La norma interpretata, nel definire gli elementi dell’assetto ambientale regionale, dispone che «rientrano nell’assetto territoriale ambientale regionale le seguenti categorie di beni paesaggistici, tipizzati e individuati nella cartografia del P.P.R. di cui all’art. 5 e nella tabella allegato 2, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, come modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157», fra le quali colloca: «a) Fascia costiera, così come perimetrata nella cartografia del P.P.R. di cui all’art. 5; b) Sistemi a baie e promontori, falesie e piccole isole; c) Campi dunari e sistemi di spiaggia; d) Aree rocciose di cresta ed aree a quota superiore ai 900 metri s.l.m.; e) Grotte e caverne; f) Monumenti naturali ai sensi della L.R. n. 31/1989; g) Zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi; h) Fiumi torrenti e corsi d’acqua e relative sponde o piedi degli argini, per una fascia di 150 metri ciascuna, e sistemi fluviali, riparali, risorgive e cascate, ancorché temporanee; i) Praterie e formazioni steppiche; j) Praterie di posidonia oceanica; k) Aree di ulteriore interesse naturalistico comprendenti le specie e gli habitat prioritari, ai sensi della Direttiva 92/43/CEE […]».
Pur riferendo a tutti i beni elencati l’operazione di individuazione cartografica, tale norma, come rilevato dal Consiglio di Stato nella sentenza sezione IV, n. 2188 del 16 aprile 2012, con riferimento ad alcuni di essi (in particolare, ad es., alla fascia costiera di cui alla lettera a), demanda la determinazione del concreto ambito di tutela alla perimetrazione in cartografia. Quanto ad altri beni elencati, non è ritenuta sufficiente l’individuazione nel Piano, ma sono fornite ulteriori indicazioni prescrittive (come ad es., nel caso dei «fiumi torrenti e corsi d’acqua e relative sponde o piedi degli argini, per una fascia di 150 metri ciascuna» di cui alla lettera h). Fra questi vi sono anche «g) Zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi», per la determinazione del concreto ambito di tutela dei quali si impone il riferimento prescrittivo alla fascia di rispetto della profondità di 300 metri.
La norma interpretativa, come riconosciuto dalla medesima Regione Sardegna, ha imposto alla Giunta di escludere il riferimento alla fascia di rispetto dei 300 metri dalla battigia con esclusivo riguardo alle zone umide, ai fini della determinazione del loro concreto ambito di tutela, separandole quindi dai laghi naturali e dagli invasi artificiali, facendo retroagire tale ridotta tutela al momento dell’entrata in vigore del PPR, e cioè al 2006, al preteso scopo di rimediare ad una imperfezione tecnica della norma impugnata ed alla necessità di fronteggiare “motivi imperativi di interesse generale”.
Tuttavia, l’ipotesi della norma regionale impugnata non è riconducibile a quella delle norme retroattive volte a rimediare ad «una imperfezione tecnica della legge interpretata, ristabilendo un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore» (sentenza n. 78 del 2012): nella specie, la volontà del legislatore deve ravvisarsi, alla luce di quanto statuito nella legge regionale n. 8 del 2004 e nelle relative norme del cosiddetto Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, nella volontà di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio, in primo luogo attraverso lo strumento del Piano paesistico regionale (art. 1 della legge regionale n. 8 del 2004; art. 135 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). L’effetto prodotto dalla norma regionale impugnata, all’opposto, risulta essere quello di una riduzione dell’ambito di protezione riferita ad una categoria di beni paesaggistici, le zone umide, senza che ciò sia imposto dal necessario soddisfacimento di preminenti interessi costituzionali. E ciò, peraltro, in violazione di quei limiti che la giurisprudenza costituzionale ha ravvisato alla portata retroattiva delle leggi, con particolare riferimento al rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2012.
4.4.– Il ricorrente chiede, altresì, a questa Corte se, «a seguito dell’auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 20 del 2012», debba ritenersi «automaticamente caducato anche il comma 2 del predetto articolo, poiché privo di presupposto e quindi inapplicabile».
4.4.1.– Preliminarmente, deve dichiararsi non fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione in riferimento a tale richiesta, in quanto, in primo luogo, un simile istituto non sarebbe previsto dall’ordinamento, e poi perché non sarebbero indicate le norme da colpire, né sarebbero fornite adeguate motivazioni a sostegno della richiesta di caducazione.
Dal tenore del ricorso si evince chiaramente che si tratta della richiesta di una declaratoria di illegittimità costituzionale consequenziale, di cui all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), del comma 2 dell’art. 1, della medesima legge regionale n. 20 del 2012, basata sull’assunto che tale disposizione, oltre a divenire priva di presupposto e quindi inapplicabile ove “privata” del comma 1, è strettamente connessa alla norma espressa dal comma 1, limitandosi solo a precisarne la portata. L’eccezione proposta è pertanto priva di fondamento, considerato che la norma di cui si chiede la caducazione è precisamente individuata e che sono, sia pure sinteticamente, indicate anche le ragioni che stanno a fondamento di tale richiesta.
4.4.2.– Nel merito, la questione proposta in via consequenziale è fondata.
L’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 20 del 2012, nella parte in cui dispone che «I comuni e gli altri enti competenti, in conformità alla deliberazione di interpretazione autentica della Giunta regionale di cui al comma 1, sono tenuti ad adottare i necessari atti conseguenti con riferimento ai titolo abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del Piano paesaggistico regionale», è infatti strettamente ed inscindibilmente connesso a quanto statuito nel comma 1, non solo perché ne conferma la portata retroattiva, ma anche in quanto ne presuppone l’applicazione.
Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale dell’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 20 del 2012, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 1, comma 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 12 ottobre 2012, n. 20 (Norme di interpretazione autentica in materia di beni paesaggistici).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI