La Corte Costituzionale

Nel sistema politico della Repubblica Italiana la Corte costituzionale, chiamata informalmente anche con la metonimia "Consulta" (avendo sede nel Palazzo della Consulta a Roma), è un organo previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948. L'attuazione impiegò del tempo e la Corte costituzionale fu l'ultimo tra gli organi costituzionali ad entrare in funzione. Nel 1955, dopo l'approvazione delle leggi istitutive, fu completata la composizione della Corte e la prima udienza si tenne nel 1956.
Le norme del suo funzionamento sono contenute nella Costituzione stessa, nella legge costituzionale n. 1 del 1948 e nella legge n. 87 del 1953, nonché in altre disposizioni integrative e nel regolamento generale di cui la Corte è dotata.
 
In base all'art. 134 della Costituzione, la Corte costituzionale giudica:
  • sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
  • sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni;
  • sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione;
  • sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo (art. 2 legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 11).
L'art. 135 comma 1 della Costituzione afferma che «la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati:
  • per un terzo dal Presidente della Repubblica;
  • per un terzo dal Parlamento in seduta comune;
  • per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa»; di questi (secondo l'art. 2, comma 1, lettere a), b) e c) della legge n. 87 dell'11 marzo 1953):
  • tre sono eletti da un collegio del quale fanno parte il presidente, il procuratore generale, i presidenti di sezione, gli avvocati generali, i consiglieri e i sostituti procuratori generali della Corte di cassazione;
  • uno da un collegio del quale fanno parte il presidente, i presidenti di sezione e i consiglieri del Consiglio di Stato;
  • uno da un collegio del quale fanno parte il presidente, i presidenti di sezione, i consiglieri, il procuratore generale e i viceprocuratori generali della Corte dei conti.
Questa struttura mista è finalizzata a conferire equilibrio alla Corte costituzionale: per favorire tale equilibrio il costituente associa, nella composizione dell'organo, l'elevata preparazione tecnico-giuridica e la necessaria sensibilità politica.
La nomina da parte del capo dello Stato è un atto presidenziale in senso stretto per il quale è prevista la controfirma del presidente del Consiglio dei ministri, che può essere negata nel caso di mancanza dei requisiti nei candidati o per gravi ragioni di opportunità. Quindi il contenuto del decreto è deciso autonomamente dal presidente della Repubblica, e la controfirma ha solo lo scopo di certificare la regolarità del procedimento seguito.
L'elezione a opera del Parlamento in seduta comune avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei due terzi dei componenti dell'assemblea. Per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti. L'alto quorum ha spesso determinato ritardi (oltre il termine di un mese previsto da norma costituzionale) nell'elezione dei giudici, pericolosi perché la Corte per funzionare necessita di almeno 11 giudici. Tanto che nel 2002 per la prima volta la Corte ha rinviato la discussione su una delle cause in ruolo per mancato raggiungimento del quorum di 11 giudici.
L'elezione da parte della magistratura avviene con una maggioranza assoluta dei componenti del collegio e in mancanza, in seconda votazione a maggioranza relativa con ballottaggio fra i candidati, in numero doppio di quelli da eleggere, più votati. I giudici sono scelti tra magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinarie e amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni di esercizio. Nel momento in cui il soggetto diventa giudice della Corte deve interrompere l'eventuale attività di membro del Parlamento o di un Consiglio regionale, di avvocato e di ogni carica e ufficio stabiliti dalla legge.
In relazione a questa componente elettiva si è posto il problema di stabilire che cosa si debba intendere per suprema magistratura: la tesi che ha prevalso è di ritenere che il soggetto debba possedere requisiti sia formali (cioè l'essere magistrato) sia sostanziali (cioè esercitare effettivamente le funzioni).
Il giudice così nominato resta in carica nove anni, decorrenti dal giuramento, alla scadenza dei quali cessa dalla carica e dall'esercizio delle funzioni. Il mandato non può essere rinnovato.
Non è possibile la prorogatio del giudice con mandato scaduto, in attesa della nomina e dell'entrata nelle funzioni del nuovo giudice. Ciò potrebbe comportare qualche problema, per il fatto che non sempre il termine di un mese per la nomina di un nuovo giudice viene rispettato.
I membri della Corte costituzionale godono dell'immunità politica e penale simile a quella prevista dall'articolo 68.

Accanto alla composizione ordinaria la Corte conosce una composizione integrata, che si ha ogni volta che la Corte è chiamata a giudicare dei reati presidenziali di alto tradimento e di attentato alla costituzione, previa messa in stato di accusa del Capo dello Stato dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri. In tal caso la Corte è integrata con 16 membri tratti a sorte da un elenco di 45 cittadini eleggibili a senatore che il Parlamento compila ogni nove anni mediante l’elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. In tal caso la Corte deve essere composta da almeno 21 giudici e quelli aggregati devono essere la maggioranza.

Ai sensi del combinato disposto dell'articolo 6 della l. n. 87 dell'11 marzo 1953 e dell'articolo 7 del Regolamento Generale della Corte costituzionale, «la Corte elegge a scrutinio segreto sotto la presidenza del giudice più anziano di carica [e] a maggioranza dei suoi componenti il Presidente».
Nel caso in cui nessuno ottenga la maggioranza si procede a una nuova votazione e, dopo di questa, eventualmente, alla votazione di ballottaggio tra i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e si proclama eletto chi abbia riportato la maggioranza. In caso di parità è proclamato presidente il più anziano di carica e, in mancanza, il più anziano di età.
Dopo l'elezione, il presidente della Corte deve comunicare immediatamente la sua nomina al presidente della Repubblica, al presidente della Camera dei Deputati, al presidente del Senato della Repubblica e al presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 6, comma 3, della l. n. 87/1953.
Il presidente, in ossequio al disposto dell'articolo 135, comma 5, della Costituzione, «rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall'ufficio di giudice».
Fino alla modifica del'art. 135, avvenuta nel 1967, il presidente durava in carica quattro anni ed era rieleggibile.
Il presidente della Corte, che è la quinta carica dello Stato, è scelto per una prassi invalsa fra i giudici che stanno concludendo il mandato, in modo da garantire una certa mobilità della carica. Durante l'elezione del presidente, per evitare che le preferenze espresse dai giudici siano conosciute all'esterno, le schede di voto vengono bruciate subito dopo la votazione nel caminetto della Camera di Consiglio.
Il presidente della Corte costituzionale svolge svariate funzioni fra le quali risaltano:
  • la nomina di un giudice per l'istruzione e la relazione nei giudizi di legittimità costituzionale e la convocazione della Corte per la discussione entro i successivi venti giorni, ai sensi dell'articolo 26 della l. n. 87/1953;
  • la facoltà di ridurre i termini dei procedimenti nei casi in cui lo ritenga necessario, ai sensi dell'articolo 9 della legge costituzionale n. 1/1953;
  • la fissazione con decreto del giorno dell'udienza pubblica della Corte, ai sensi dell'articolo 8 delle norme integrative del 2008;
  • la facoltà di regolare la discussione e di determinare i punti più importanti sui quali essa deve svolgersi, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, delle norme integrative del 2008;
  • la facoltà di votare per ultimo nelle deliberazioni delle ordinanze e delle sentenze e, in caso di parità di voti, la prevalenza della sua preferenza (tranne nei giudizi di accusa nei quali – in ossequio all'articolo 28 della l. n. 20/1962 – «prevale l'opinione più favorevole all'accusato»[), ai sensi dell'articolo 17, comma 3, delle norme integrative del 2008.
Le attribuzioni conferite dalla legge e dai regolamenti al presidente della Corte, se formalmente lo pongono come primus inter pares rispetto agli altri giudici, sostanzialmente lo pongono in una posizione di effettiva preminenza, seppur non assoluta, ma tale da consentirgli di assolvere a una funzione d'impulso e di coordinamento dei lavori della Corte, oltre che d'influenzare i giudizi di legittimità costituzionale, pur nell'osservanza del principio di collegialità cui s'informa l'attività della Consulta.
 
Ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della l. 87/1953, «il Presidente, subito dopo l'insediamento nella carica, designa un giudice destinato a sostituirlo per il tempo necessario in caso di impedimento». Dal 1971 questo giudice assume formalmente il titolo di vicepresidente.
Inoltre dal 1996, al giudice più anziano che presiede la Corte in caso di assenza del presidente e del vicepresidente può essere conferito dalla Corte il titolo di vicepresidente.