SENTENZA N. 199
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 26, comma 2, della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato in cancelleria il 3 maggio 2019, iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;
udito nella udienza pubblica del 21 luglio 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
uditi l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marina Valli per la Regione Siciliana;
deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato il 3 maggio 2019 e iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre (già decise con sentenze n. 194 e n. 144 del 2020), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, della Costituzione, nonché dell’art. 26, comma 2, della medesima legge regionale Siciliana, in riferimento agli artt. 81, e 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2.‒ In primo luogo, il ricorrente impugna l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 rubricato «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», il quale stabilisce che: «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».
3.‒ La difesa statale impugna, poi, l’art. 14 della legge reg. Siciliana citata, il quale dispone «[a]l fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».
Secondo il ricorrente, tale disposizione consentirebbe che il personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento riservato, e ciò in mancanza di qualsiasi termine finale e senza alcuna limitazione numerica.
4.‒ Inoltre, quanto all’impugnato art. 22, comma 2, il ricorrente osserva che dal quadro normativo di riferimento emerge una contrapposizione tra la disciplina di cui all’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale nelle procedure di stabilizzazione prevede la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno e quella contenuta nella disposizione impugnata, là dove si prevede che le procedure di cui all’art. 3, comma 6, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 27 (Disposizioni in materia di autonomie locali e per la stabilizzazione del personale precario) e di cui all’art. 26, comma 6, della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale) sono da intendere come procedure di stabilizzazione del personale precario «interamente riservate» a detto personale.
Il ricorrente, poi, alla luce della deliberazione della Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Siciliana, n. 28 del 2019 ‒ con cui il giudice contabile si è pronunciato sulla corretta interpretazione degli artt. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, dell’art. 3, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 27 del 2016 e 26, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018, ‒ afferma che la disposizione censurata è incompatibile sia con la disciplina contenuta nell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, sia con il principio dell’adeguato accesso dall’esterno, che costituisce un precipitato della previsione di cui all’art. 97, quarto comma, Cost., secondo cui «[a]gli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
5.‒ Il ricorrente impugna, poi, l’art. 22, comma 3, della legge regionale in oggetto il quale prevede che le procedure seguite per l’assunzione del personale precario costituiscono requisito utile all’applicazione del comma 1, lettera b) dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017.
La diposizione in esame, dunque, qualificherebbe come procedure concorsuali quelle seguite per il reclutamento del personale a tempo determinato. Sul punto, il ricorrente ribadisce che la procedura selettiva di tipo concorsuale rimane la regola per l’accesso al pubblico impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme in materia di stabilizzazione. Del resto, – osserva la difesa erariale – il requisito di cui alla lettera b) dell’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017 è predicabile esclusivamente con riguardo ai cosiddetti precari che, in quanto già scelti all’esito di un precedente pubblico concorso, garantiscono comunque un’elevata professionalità all’amministrazione presso la quale prestano servizio.
Ciò premesso, ad avviso del ricorrente, tutte le disposizioni richiamate presentano analoghi profili di incostituzionalità.
Al riguardo, l’Avvocatura generale richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio del pubblico concorso, per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, quando l’intento è di valorizzare esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione, può andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, già ricoperte da personale precario dipendente.
Affinché, però, «sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost.», è necessario che «l’area delle eccezioni» alla regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo rigoroso» (sentenze n. 9 del 2010, n. 215 del 2009 e n. 363 del 2006).
In particolare, la difesa statale ricorda come sia indispensabile che le eccezioni al principio del pubblico concorso siano numericamente contenute in percentuali limitate, rispetto alla globalità delle assunzioni poste in essere dall’amministrazione; che l’assunzione corrisponda a una specifica necessità funzionale dell’amministrazione stessa; e, soprattutto, che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico (sentenza n. 215 del 2009).
Il ricorrente osserva, ancora, che tale principio non è destinato a subire limitazioni neppure nel caso in cui il personale da stabilizzare abbia fatto ingresso, in forma precaria, nell’amministrazione con procedure di evidenza pubblica, e neppure laddove la selezione a suo tempo svolta sia avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l’accesso alle funzioni pubbliche, in base all’art. 51 Cost.
Aggiunge, poi, che «la natura comparativa e aperta della procedura è [..] elemento essenziale del concorso pubblico», sicché deve escludersi la legittimità costituzionale di «procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno» violando il carattere pubblico del concorso (in tal senso, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 100 del 2010 e n. 293 del 2009).
Ad avviso del ricorrente, poi, «il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica” presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso», perché esso «non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 225 del 2010).
Non sarebbe conforme al quadro normativo delineato la possibilità, per chiunque, e anche per i precari assunti a tempo determinato con modalità alternative al pubblico concorso, di accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale, ai benefici della stabilizzazione ogniqualvolta per quelle specifiche mansioni sia possibile un’assunzione nei ruoli del pubblico impiego, non potendosi ritenere che l’attingere alle graduatorie di cui alla legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all’articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l’attuazione di politiche attive del lavoro), e alla legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2003, n. 21 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2004), possa essere assimilato all’espletamento di prove selettive concorsuali.
6.‒ Il ricorrente censura, poi, l’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, il quale ha abrogato l’art. 13, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale).
Tale ultima disposizione stabiliva che il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, come determinato ai sensi dell’art. 49, comma 27, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale), fosse ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.
Ad avviso del ricorrente l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
La disposizione statale, infatti, rappresenterebbe una cornice cui tutte le pubbliche amministrazioni devono fare riferimento, in quanto costituisce un limite alla contrattazione integrativa, che la Regione non è legittimata a superare, pur nella sua autonomia.
Pertanto, la norma in esame violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile e dai contratti collettivi.
La norma censurata contrasterebbe, altresì, con il principio di cui all’art. 81 Cost.
7.‒ Con atto depositato in data 14 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato all’impugnazione proposta nei confronti dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in quanto le citate disposizioni non sono state ricomprese nella deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri.
8.‒ Con atto depositato in data 10 giugno 2019, si è costituita nel presente giudizio la Regione Siciliana, che ha accettato la rinuncia all’impugnativa proposta nei confronti dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge regionale citata, e ha chiesto, con riferimento alle altre disposizioni, che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.
La difesa regionale, in primo luogo, eccepisce che il ricorso non contiene alcun cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
Inoltre, per quanto attiene a ciascuna delle disposizioni di cui agli artt. 11 e 14, rileva la genericità e indeterminatezza delle censure sollevate, giacché il ricorrente omette di indicare argomenti a sostegno del preteso contrasto tra la norma impugnata e i parametri evocati limitandosi, in riferimento all’art. 11 della reg. Siciliana citata, a trascriverne il contenuto.
In ogni caso la resistente osserva che, qualora la Corte volesse ritenere trasferibili agli artt. 11 e 14 della legge regionale citata le argomentazioni svolte per i successivi artt. 22 e 23, le censure non coglierebbero nel segno. In tal caso, infatti, si partirebbe dall’assunto che la norma abbia configurato un «accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni», sul presupposto di una esperienza già maturata all’interno.
In particolare, con riferimento all’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, ad avviso della difesa regionale non si configura alcun rapporto di lavoro, né con le cooperative (ove i soggetti venivano utilizzati in attività socialmente utili), né tanto meno con il Dipartimento beni culturali.
Destinatari della disposizione sarebbero, infatti, soggetti utilizzati in attività socialmente utile dalle cooperative del cosiddetto “privato sociale” nel 2014 (di provenienza dal decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, recante «Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144») che, attraverso procedure svolte presso i competenti Servizi centri per l’impiego, sono stati assegnati in utilizzo indiretto a uffici della Regione.
Non sussisterebbe, pertanto, né un rapporto di lavoro di origine con le cooperative, né di conseguenza è possibile configurare alcuna forma di accesso al pubblico impiego; la norma perseguirebbe l’obiettivo della cessazione dell’utilizzo indiretto dei soggetti in attività socialmente utili, senza che questo comporti alcun insorgere di rapporti di lavoro di natura autonoma o subordinata.
Analoghe considerazioni, ad avviso della difesa regionale, valgono per l’art. 14 della legge reg. Siciliana citata, impugnato «nonostante il Comando del Corpo forestale abbia prontamente controdedotto a tutte le osservazioni formulate in sede di controllo della legge».
Inoltre, la resistente riferisce che anche l’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del Ministero dell’Interno ha rappresentato che «la formulazione dell’articolo 14, laddove dispone il mantenimento in servizio, nelle medesime mansioni, di personale addetto al servizio antincendio boschivo regionale, presso le Sale operative provinciali, necessita dell’assicurazione che sia rivolta al personale utilizzato già da tempo per la predetta finalità».
Infine, la difesa regionale dà atto che l’ufficio affari legali del Ministero della giustizia ha osservato che «la genericità del testo normativo “mantenimento del personale forestale nelle medesime mansioni” non consente di comprendere se il legislatore regionale abbia inteso attivare meccanismi di proroga o di reiterazione di contratti a termine, piuttosto che di stabilizzazione del personale».
Ma proprio per chiarire tali perplessità è stato precisato che il personale forestale, cui la norma fa riferimento, è costituito da lavoratori assunti con rapporto di lavoro a tempo determinato (disciplinato dal CCNL degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico forestale ed idraulico agraria); la prestazione di detti lavoratori non supera le 151 giornate lavorative e gli stessi sono assunti ogni anno per il periodo della campagna antincendio boschivo (in genere dal 15 giugno al 15 ottobre) in base alle disposizioni della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), approvata nell’ambito della potestà legislativa esclusiva ex art. 14, comma primo, lettera a), dello statuto.
La norma impugnata, pertanto, non mirerebbe ad attivare meccanismi di proroga né la reiterazione di contratti a termine, in quanto tali lavoratori sono inclusi in appositi elenchi e rientrano nei contingenti distrettuali previsti dalla succitata legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.
Conclude, pertanto, la difesa regionale che la ratio dell’art. 14 della legge reg. Siciliana citata consiste nel consentire che i lavoratori, una volta assunti per la campagna antincendio, svolgano le mansioni di addetti alle sale operative provinciali, qualora abbiano maturato la relativa esperienza professionale attraverso il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018. Il personale interessato rientra nei contingenti del personale a tempo determinato, ed il numero degli stessi è individuato “in re ipsa” dalla circostanza dell’esperienza professionale maturata nel quinquennio 2014-2018 quali addetti alle sale operative.
Infine, con riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente contesta che per effetto dell’abrogazione disposta dal comma impugnato verrebbe superato il limite stabilito dallo Stato per le future contrattazioni.
In proposito osserva che la norma indicata nel ricorso come parametro interposto, l’ossia l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, sarebbe stato rispettato.
E ciò poiché il valore del fondo per la dirigenza, quale risulta a seguito dell’applicazione della norma oggi abrogata, resta fissato per gli anni a venire in euro 28.189.241, importo minore di quello di euro 30.940.00 stabilito per il 2016, anno al quale la norma statale impone di rifarsi per stabilire il limite insuperabile da parte di ciascuna amministrazione pubblica.
9.‒ Con memoria depositata in data 25 febbraio 2020, la Regione Siciliana ha ribadito l’inammissibilità delle censure prospettate in relazione all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato il 3 maggio 2019 e iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre (già decise con sentenze n. 194 e n. 144 del 2020), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 26 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), in riferimento agli artt. 51, 81, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», il quale stabilisce che: «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».
Ad avviso del ricorrente la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., in quanto consentirebbe che il personale precario ivi indicato possa essere stabilizzato senza l’espletamento di una procedura concorsuale, negando la possibilità agli altri cittadini di accedere alle funzioni pubbliche.
Il ricorrente impugna, poi, l’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Servizio antincendio boschivo», il quale stabilisce che: «1. Al fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».
Osserva il ricorrente che tale disposizione violerebbe gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost. in quanto, in assenza del termine finale e di una limitazione numerica, determinerebbe che il personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento riservato.
È, inoltre, impugnato l’art. 22, comma 2, il quale prevede che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 3 della legge regionale n. 27/2016 e di cui all’articolo 26, comma 6, della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono da intendersi relative a procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte all’esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel medesimo articolo 26».
Ad avviso della difesa statale tale disposizione violerebbe gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., perché, prevedendo che le procedure di stabilizzazione del personale precario siano «interamente riservate», recherebbero una disciplina in contrasto con l’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale invece contempla la garanzia dell’adeguato accesso di personale dall’esterno.
Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 22, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, il quale dispone che «[i]l reclutamento con le procedure di cui alla legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85, alla legge regionale 14 aprile 2006, n. 16, alla legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, alla legge regionale 31 dicembre 2007, n. 27 […] è requisito utile ai fini dell’applicazione dell’articolo 20, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75».
Anche tale disposizione violerebbe gli art. 51 e 97, quarto comma, Cost., in quanto qualifica le procedure ivi indicate come concorsuali, in contrasto con l’art. 20, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale, invece, si riferisce ai cosiddetti precari scelti all’esito di un precedente pubblico concorso.
Infine, la difesa dello Stato censura l’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti», il quale dispone la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale).
La disposizione regionale abrogata stabiliva che il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, come determinato ai sensi dell’art. 49, comma 27, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale), fosse ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.
Secondo il ricorrente la disposizione censurata violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 81 Cost., in quanto l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016 renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
La norma statale rappresenterebbe, infatti, una cornice cui tutte le pubbliche amministrazioni devono fare riferimento e definirebbe un limite alla contrattazione integrativa che la Regione, pur nella sua autonomia, non è legittimata a superare, così incidendo sui rapporti di diritto privato (contratti collettivi regolabili dal codice civile) e, dunque, nella materia «ordinamento civile».
La disposizione regionale si porrebbe, poi, in contrasto con l’art. 81 Cost.
2.– In via preliminare, occorre evidenziare che con atto depositato in data 14 maggio 2019, l’Avvocatura generale ha rinunciato all’impugnazione proposta nei confronti dei commi 2 e 3 dell’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in quanto tali disposizioni non erano state ricomprese nella deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri.
La Regione ha dichiarato di accettare tale rinuncia parziale.
Le parti, pertanto, hanno chiesto a questa Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio.
In vero, da un lato, non è stata depositata dalla difesa della Regione alcuna delibera di accettazione della rinuncia ad opera della Giunta regionale. Deve però rilevarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 37 del 2016; ordinanze n. 23 del 2020 e n. 78 del 2017), la deliberazione dell’organo politico è necessaria soltanto per la rinuncia al ricorso, non anche per l’accettazione della rinunzia all’impugnazione.
Dall’altro, la mancata inclusione dell’art. 23, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, nella delibera di autorizzazione al ricorso è di per sé significativa dell’assenza dell’interesse dello Stato a ricorrere. Essendo mancata, in positivo, la delibera di autorizzazione a impugnare tale disposizione, non occorre il contrarius actus, in negativo, di una deliberazione di rinuncia da parte dell’organo politico.
Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del processo in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.
3.– Ancora in via preliminare, occorre delimitare il thema decidendum, con riferimento ai parametri costituzionali evocati.
Questa Corte ha costantemente affermato che la questione proposta in via principale, rispetto alla quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016).
In primo luogo, deve osservarsi che con riferimento all’art. 11 della legge reg. Siciliana impugnata, l’esame delle censure va limitato alle sole questioni promosse in riferimento alla violazione degli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost. e non anche dell’art. 3 Cost., ancorché indicato nella delibera di autorizzazione all’impugnazione, in quanto tale parametro non è stato poi riportato nel ricorso.
Con riferimento poi all’impugnato art. 14, la questione di legittimità costituzionale deve essere limitata al solo parametro di cui all’art. 97 Cost. (e segnatamente all’art. 97, quarto comma, Cost.); l’art. 51 Cost., infatti, è stato indicato nel ricorso, ma non è stato ricompreso nella delibera di autorizzazione all’impugnazione.
È, quindi, inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento alla violazione dell’art. 51 Cost.
Analogamente, con riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata, la questione di legittimità costituzionale va circoscritta al solo parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost, e non può essere esaminata in riferimento all’art. 81 Cost, parametro ricompreso nel ricorso, ma non indicato nella delibera di autorizzazione ad impugnare.
È, dunque, inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 81 Cost.
4.– Proseguendo nell’esame dei profili di ammissibilità del ricorso, deve rilevarsi che la Regione Siciliana – anche con riferimento ad altra disposizione impugnata con lo stesso ricorso n. 54 del 2019 e già oggetto di una precedente decisione di questa Corte (sentenza n. 144 del 2020) – ha evidenziato «in via generale che nel ricorso non si fa mai cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù dello Statuto speciale».
Tale rilievo, nel caso in esame deve essere limitato alla sola questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, perché nei confronti delle altre disposizioni impugnate, il ricorrente non ha fatto valere la lesione di una sfera di competenza legislativa, ai sensi dell’art. 127, secondo comma, Cost.
Ciò precisato, si deve evidenziare il costante l’orientamento di questa Corte, secondo cui nel caso in cui venga impugnata, in via principale, la legge di una Regione ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio, onere di cui è gravato il ricorrente, non può prescindere dalla indicazione delle competenze legislative assegnate allo statuto (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) alle quali le disposizioni impugnate sarebbero riferibili qualora non operasse il nuovo testo dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 194 del 2020, n. 119 del 2019, n. 58 del 2016, n. 151 del 2015 e n. 288 del 2013).
Deve tuttavia rilevarsi che, nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il contrasto con l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
Nella fattispecie, il contenuto di rilievo privatistico della disposizione censurata, che incide sull’ammontare delle risorse destinate alla retribuzione di risultato e di posizione del personale anche dirigenziale, e la natura del parametro evocato, che fa riferimento alla materia dell’ordinamento civile, escludono di per sé l’utilità di uno scrutinio alla luce delle disposizioni statutarie, avendo il ricorrente ben presente che lo statuto speciale per la Regione Siciliana nulla dispone sulla competenza legislativa regionale nella materia «ordinamento civile» (sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 103 del 2017, n. 252 e n. 58 del 2016).
5.– Parimenti infondate sono le ulteriori eccezioni di inammissibilità espressamente formulate dalla Regione Siciliana.
5.1.– Con specifico riferimento agli artt. 11 e 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente ha eccepito la inadeguata descrizione del quadro normativo.
Analoga eccezione di inammissibilità la Regione ha formulato in riferimento alle censure sollevate nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge regionale citata, evidenziando, in particolare, che il ricorrente ha omesso di dar conto della pertinenza del richiamato parametro interposto in riferimento ai parametri costituzionali evocati.
Tali eccezioni non possono essere accolte.
È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione e di proporre una motivazione che non sia meramente assertiva e che contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pure sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 83 del 2018 e n. 261 del 2017).
Nella fattispecie va osservato che il ricorso – nel riportare il testo integrale dell’art. 11 della legge regionale citata, evidenziando che la norma reca con sé la previsione della stabilizzazione del personale ivi indicato, senza l’espletamento della procedura concorsuale e, con riferimento all’art. 14 della medesima legge regionale, nel sottolineare che la norma determina «un inquadramento riservato» del personale forestale – contiene una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno dell’impugnazione, per cui può ritenersi raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e completezza» (ex plurimis, sentenza n. 83 del 2018), «che rende ammissibile l’impugnativa proposta (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 25 del 2020).
5.2.– Altresì infondata è l’eccezione di inammissibilità diretta nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata.
Il ricorrente, nel richiamare la disposizione statale in tema di salario accessorio, che rimette alla contrattazione collettiva nazionale la distribuzione delle risorse finanziarie destinate alla integrazione dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione ha, sia pure concisamente, dato conto dell’attinenza di detto parametro interposto, rispetto alla violazione della competenza legislativa esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., da parte della disposizione regionale impugnata.
6.– Ciò precisato, si può ora passare all’esame del merito delle censure.
7.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, non è fondata in riferimento ad alcuno dei parametri evocati, nei termini di seguito indicati.
La disposizione in esame, rubricata «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», dispone che «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».
Ad avviso del ricorrente, la norma regionale determinerebbe una stabilizzazione del personale ivi indicato senza procedura concorsuale, con ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.
7.1.– Deve, in primo luogo, premettersi che i destinatari della disposizione indubbiata, ai quali rinvia l’art. 1 della legge della Regione Siciliana 5 novembre 2001, n. 17 (Interventi urgenti in materia di lavoro), sono quelli contemplati dall’art. 70 della legge della Regione Siciliana 7 marzo 1997, n. 6 (Programmazione delle risorse e degli impieghi. Contenimento e razionalizzazione della spesa e altre disposizioni aventi riflessi finanziari sul bilancio della Regione).
Tale disposizione regionale a sua volta si riferisce a categorie di lavoratori disciplinate da una pluralità di leggi regionali.
In particolare, vengono in rilievo i soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili, di cui all’art. 1 della legge 28 novembre 1996, n. 608 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), e i giovani coinvolti in piani di inserimento professionale che prevedono lo svolgimento di lavori socialmente utili, di cui all’art. 15 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1994, n. 451.
Inoltre, sempre per il tramite dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 17 del 2001, la disposizione regionale censurata si rivolge anche ai lavoratori che, ai sensi dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all’articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l’attuazione di politiche attive del lavoro), svolgono progetti di utilità collettiva secondo quanto specificamente previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)», il quale si riferisce, in particolare, ai giovani di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, privi di occupazione ed iscritti nella prima classe delle liste di collocamento.
In sostanza, la disposizione regionale censurata è indirizzata ad una pluralità di soggetti, tutti riconducibili, in via generale, alla categoria dei lavoratori socialmente utili (d’ora in avanti: LSU).
Sul piano della legislazione statale, la disciplina di tale forma flessibile di impiego si è caratterizzata per il susseguirsi di testi normativi costituiti, in origine, dal decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196), poi in parte abrogato dall’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), e definitivamente soppresso dall’art. 34, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).
I progetti in cui tali lavoratori – cosiddetti soggetti utilizzati – sono impiegati possono essere promossi da amministrazioni pubbliche, da enti pubblici economici, da società a totale o prevalente partecipazione pubblica, e dalle cooperative sociali, i quali sono dunque denominati «enti utilizzatori».
Ai fini che qui interessano, deve in particolare rilevarsi che l’art. 26 del d.lgs. n. 150 del 2015, allo scopo di permettere il mantenimento e lo sviluppo delle competenze acquisite da detti lavoratori, prevede l’impiego diretto dei medesimi, titolari di strumenti di sostegno al reddito, che si svolge sotto la direzione e il coordinamento di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), attraverso apposite convenzioni tra le Regioni e le Province autonome e le amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n.165 del 2001.
L’utilizzo diretto da parte delle amministrazioni pubbliche di lavoratori socialmente utili era già previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 468 del 1997 come modalità alternativa alla procedura tramite i centri per l’impiego, i quali dunque provvedevano all’assegnazione dei LSU in base alla domanda formulata dall’ente utilizzatore.
7.2.– La peculiare natura giuridica dell’attività dei LSU risulta, in modo espresso, dall’art. 4 del d.lgs. n. 81 del 2000 e dall’art. 26, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2015, secondo cui l’utilizzazione dei lavoratori nelle attività socialmente utili non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro con l’ente utilizzatore.
L’esclusione delle attività socialmente utili dalla sfera dei rapporti di lavoro, e in particolare della qualità subordinata della prestazione lavorativa, trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui per tali lavoratori è estranea ex lege la disciplina dell’impiego subordinato, di talché anche in caso di prestazioni rese in difformità dal programma originario o in contrasto con le norme poste a tutela del lavoratore, non si costituisce un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trovando applicazione solo la disciplina sul diritto alla retribuzione prevista dall’art. 2126 del codice civile (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 21 ottobre 2014, n. 22287 e 15 giugno 2010, n. 14344; sezione sesta civile, ordinanza 9 novembre 2018, n. 28841).
Nello stesso senso si è, sostanzialmente, espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha affermato che «[l]a clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella in cui al procedimento principale, che prevede che il rapporto costituito tra i lavoratori socialmente utili e le amministrazioni pubbliche per cui svolgono le loro attività non rientri nell’ambito di applicazione di detto accordo quadro, qualora, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare, tali lavoratori non beneficino di un rapporto di lavoro quale definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi nazionale in vigore, oppure gli Stati membri e/o le parti sociali abbiano esercitato la facoltà loro riconosciuta al punto 2 di detta clausola» (Corte giustizia dell’Unione europea, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2012, in causa C-157/11, Sibilio contro Comune di Afragola).
7.3.– Ciò premesso, è alla luce di tale contesto normativo e giurisprudenziale che deve essere interpretato l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.
La disposizione regionale in esame, allo scopo di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, dai lavoratori socialmente utili specificamente indicati nella disposizione e, per non disperderne le competenze già da questi acquisite, prevede che essi «transitano in utilizzazione presso gli stessi».
La norma censurata si rivolge, dunque, a quei LSU i cui enti utilizzatori sono soggetti diversi dalla Regione e, in loro favore, dispone il transito in utilizzazione diretta da parte della Regione, presso gli stessi uffici.
Tali lavoratori, pertanto, continuano a espletare l’attività socialmente utile in favore degli uffici dell’assessorato regionale, ma per effetto della disposizione censurata, come lavoratori utilizzati in via diretta dalla Regione, la quale quindi diventa il nuovo ente utilizzatore.
Quale espressione della competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana, nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» di cui all’art. 14, lettera p), dello statuto, la norma impugnata è quindi funzionale alle esigenze organizzative dell’amministrazione regionale.
Essa va dunque interpretata nel senso che la previsione del «transito in utilizzazione» non comporta l’instaurarsi di alcun rapporto di lavoro subordinato con l’amministrazione regionale; ma, piuttosto, determina il solo mutamento del soggetto utilizzatore, che ora va individuato nella Regione che si assume direttamente gli oneri derivanti dall’impiego dei soggetti coinvolti in attività lato sensu socialmente utili.
Invece, la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili potrà avvenire nel rispetto e nell’ambito delle procedure regolate dalla legge e con l’osservanza della regola del concorso pubblico posta dall’art. 97, quarto comma, Cost.
In tale direzione è, infatti, intervenuto il legislatore statale, dapprima con l’art. 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, poi con l’art. 1, commi 446 e 448, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e, in tempi più recenti, con l’art.1, comma 495, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022).
Si tratta di interventi normativi attraverso i quali le amministrazioni pubbliche utilizzatrici dei lavoratori socialmente utili possono procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, nei limiti della dotazione organica e del piano di fabbisogno del personale, attraverso il ricorso a procedure selettive, in conformità alle disposizioni di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in tema di assunzione del personale con forme flessibili, e all’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale detta le condizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni.
Così interpretata la norma censurata, devono dunque essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.
8.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come prima evidenziato, deve essere circoscritta alla sola violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost., è, invece, fondata.
La disposizione regionale dispone che «al fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».
La censura del ricorrente si fonda sull’argomentazione secondo cui tale disposizione, in assenza di un termine finale e in mancanza di una limitazione numerica, determinerebbe una stabilizzazione del personale forestale mediante un inquadramento riservato nel ruolo dell’amministrazione regionale.
8.1.– Va in primo luogo brevemente descritto il contesto normativo al cui interno si colloca la disposizione regionale impugnata.
Il personale considerato dalla norma regionale è quello di cui all’art. 12 della legge della Regione Siciliana 28 gennaio 2014, n. 5 (Disposizione programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale), il quale si riferisce al personale impiegato nel servizio di antincendio boschivo, inserito nell’elenco speciale dei lavoratori forestali, di cui all’art. 45-ter della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), disposizione introdotta dall’art. 43 della legge della Regione Siciliana 14 aprile 2006, n. 14 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 “Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione”. Istituzione dell’Agenzia della Regione siciliana per le erogazioni in agricoltura - A.R.S.E.A.).
L’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, rubricato «Elenco speciale dei lavoratori forestali», dispone, ai fini che qui interessano, l’istituzione dell’elenco speciale regionale dei lavoratori forestali, articolato su base provinciale, presso i competenti uffici periferici provinciali del dipartimento regionale del lavoro.
In questo elenco sono iscritti, a domanda, tutti i lavoratori già utilmente inseriti nelle graduatorie distrettuali o che abbiano espletato compiutamente, a partire dall’anno 1996, almeno quattro turni di lavoro di cinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali, esclusi i casi di malattia, infortunio o documentate cause di forza maggiore, alle dipendenze dell’amministrazione forestale nel periodo di vigenza della legge, ovvero almeno due turni nel triennio 2003-2005.
Ciò che precipuamente rileva nella fattispecie è che l’iscrizione nell’elenco speciale è prevista quale condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del dipartimento regionale delle foreste e dell’Azienda regionale delle foreste demaniali (art. 45-ter, commi 1, 2 e 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996).
Inoltre, l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 rinvia poi all’art. 44 della legge reg. Siciliana n. 14 del 2006, rubricato «Misure urgenti per l’occupazione forestale», il quale, anche, si riferisce al personale operaio impiegato dall’amministrazione forestale e, al fine di favorire il processo di progressiva stabilizzazione di detto personale, dispone, al comma 1, che non è consentito l’ulteriore avviamento di lavoratori non inseriti nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, introdotto, come visto, proprio dall’art. 43 della legge reg. citata.
Più in particolare, poi, al successivo comma 2, si prevede un incremento del personale, «[p]er le mutate esigenze connesse all’attuazione degli interventi del programma operativo regionale 2000-2006 ed al fine di procedere all’incremento della superficie forestale e migliorare la fruizione sociale dei boschi e delle aree protette gestite dall’Azienda regionale delle foreste demaniali».
In tale contesto normativo si inquadra la disposizione regionale censurata che, come suoi destinatari, individua solo i lavoratori forestali di cui all’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 che, nel quinquennio 2014-2018, abbiano prestato servizio di antincendio boschivo presso le sale operative provinciali. In relazione a tale personale la disposizione prevede che esso «è mantenuto nelle medesime mansioni».
8.2.– La Regione Siciliana, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 14, comma primo, lettera a), dello statuto, nella materia «agricoltura e foreste», ha disciplinato il settore forestale con la legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.
Tale settore, a livello statale, è stato oggetto di riorganizzazione da parte del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale però non ha ricompreso le Regioni a statuto speciale e le Province autonome nel processo di assorbimento del Corpo forestale dello Stato, lasciando, dunque inalterate tutte le attribuzioni spettanti ai rispettivi Corpi forestali regionali e provinciali.
Pertanto, la Regione Siciliana, con la legge regionale n. 16 del 1996, ha disciplinato una materia di competenza legislativa esclusiva, e attraverso la disposizione censurata è intervenuta anche sulla disciplina della gestione del personale impiegato nel settore forestale.
La Regione Siciliana ha competenza legislativa esclusiva anche nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, primo comma, lettera p, dello statuto).
È, infatti, sulla scorta di tali competenze che è stato adottato il decreto del Presidente della Regione Siciliana 29 maggio 2014 (Approvazione della convenzione di cui all’art. 12, comma 3, della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, per l’avvalimento del personale appartenente all’elenco speciale dei lavoratori forestali di cui all’art. 45-ter della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e di cui all’art. 44 della legge regionale 14 aprile 2006, n. 14, da impiegare nel servizio antincendio boschivo), mediante il quale sono state dettate le norme che regolano l’organizzazione del personale di cui all’elenco speciale in oggetto (art. 7), prevedendo, ai fini che qui interessano, le condizioni per il trasferimento della titolarità dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 3) e a tempo determinato (art. 4), da parte del Comando del Corpo forestale, al Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale.
Non di meno la disposizione regionale censurata, là dove stabilisce che il descritto personale «è mantenuto nelle medesime mansioni», ha ecceduto dalle competenze statutarie, in quanto si pone in contrasto con l’art. 97, quarto comma, Cost.
Infatti, alla previsione regionale in esame, che non contempla alcun termine di durata, non può essere attribuito altro significato se non quello di determinare la trasformazione dei rapporti di lavoro di tali lavoratori forestali, avviati attraverso l’iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, in rapporti di impiego a tempo indeterminato nel ruolo dell’amministrazione regionale.
Nel prevedere il mantenimento nelle medesime mansioni senza alcun limite temporale, l’art. 14 impugnato determina la stabilizzazione del personale antincendio boschivo adibito alle sale operative provinciali, già impiegato in quelle mansioni, con periodicità stagionale, per effetto della specifica disciplina sopra riportata, in violazione della regola del pubblico concorso, che rappresenta il necessario sistema di reclutamento per l’accesso ai pubblici impieghi.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, il pubblico concorso costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare l’efficienza, il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2020, n. 40 del 2018 e n. 251 del 2017).
Invece, la disposizione regionale censurata, non indicando un termine finale del “mantenimento” nelle pregresse mansioni, consente un generalizzato e implicito meccanismo di proroga dei rapporti in essere con l’amministrazione regionale, senza limiti temporali, determinando la prosecuzione del rapporto di lavoro, da parte dell’amministrazione regionale, tendenzialmente in via definitiva senza l’indizione di una selezione pubblica (sentenza n. 36 del 2020).
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, per violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost.
9.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come sopra evidenziato, va limitata alla sola violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non è fondata.
La disposizione regionale, rubricata «Fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti», dispone la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, il quale testualmente prevedeva: «1. Per effetto della disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 49 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione siciliana, come determinato ai sensi dell’articolo 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, è ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro».
La censura del ricorrente si incentra sull’argomentazione per cui la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, rubricato «Norme di contenimento della spesa della Pubblica Amministrazione regionale», renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, per il mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. Più specificamente la disposizione regionale inciderebbe sulla materia «ordinamento civile» di competenza esclusiva dello Stato, in quanto interviene sulla regolamentazione dei rapporti di diritto privato, oggetto di contrattazione collettiva integrativa regionale.
9.1.– Per meglio inquadrare la questione, si deve evidenziare che l’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017, rubricato «Salario accessorio e sperimentazione», dispone, al comma 1, che «[a]l fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione».
Inoltre, al comma 2, specificamente richiamato dal ricorrente quale parametro interposto, dispone, inoltre, che: «2. [n]elle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016».
Tali disposizioni statali stabiliscono, dunque, un tetto massimo dell’ammontare complessivo delle risorse destinate, annualmente, al trattamento economico accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, rimettendone la differenziata distribuzione alla contrattazione collettiva.
Più in particolare, il citato comma 2, disponendo che l’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento economico accessorio non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016, si pone come limite alla contrattazione collettiva.
Ciò precisato, deve rilevarsi che la disposizione regionale censurata ha «soppresso» la norma regionale (art. 13 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016) che aveva previsto la riduzione delle risorse del fondo destinato alla retribuzione di posizione e di risultato del solo personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, determinato in un ammontare complessivo definito secondo i criteri indicati dall’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015.
Tale ultimo articolo, come modificato dall’art. 26, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 dispone testualmente: «[a] decorrere dal 1°gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale comunque cessato dal servizio».
9.2.– Da tale quadro normativo risulta che la norma regionale censurata non incide sulla competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», in quanto essa non interviene sullo strumento di regolamentazione del trattamento accessorio, che resta rimesso alla contrattazione collettiva.
Essa, piuttosto, incide sulla spesa concernente l’indennità di risultato e di posizione destinata, in particolare, al personale dirigenziale regionale.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, tra i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni, compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia «ordinamento civile» (ex multis, sentenze n. 196 del 2018, n. 175 e n. 72 del 2017 e n. 257 del 2016); e ciò significa che detta disciplina «è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva» (sentenza n. 160 del 2017), cui la legge dello Stato rinvia.
La disciplina impugnata, dunque, in linea con la giurisprudenza di questa Corte non si sostituisce alla contrattazione collettiva nella determinazione delle risorse destinate al trattamento economico accessorio.
Deve, pertanto, essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
9.3.– Non è superfluo evidenziare, infine, che dal quadro normativo sopra riportato, non risulta che la disposizione regionale censurata, abrogando l’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, abbia facoltizzato il superamento dei limiti di spesa previsti, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, in via generale, per il trattamento accessorio dei dipendenti pubblici; limiti rimasti invariati.
D’altra parte, è rimasto in vigore anche l’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015, il quale, come sopra già evidenziato, per il periodo intercorrente dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, dispone che l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 51 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 81 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara estinto il processo, limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse, dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 settembre 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA