ORDINANZA N. 207 ANNO 2020

Ordinanza 207/2020 (ECLI:IT:COST:2020:207)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: MORELLI - Redattore:  ANTONINI
Camera di Consiglio del 08/09/2020;    Decisione  del 08/09/2020
Deposito del 25/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 102 della legge della Regione Puglia 28/12/2018, n. 67.
Massime: 
Atti decisi: ric. 42/2019
  

Pronuncia

ORDINANZA N. 207

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 102 della legge della Regione Puglia 28 dicembre 2018, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 1°-7 marzo 2019, depositato in cancelleria l’8 marzo 2019, iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.


Ritenuto che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, unitamente ad altre disposizioni della medesima legge regionale, l’art. 102 della legge della Regione Puglia 28 dicembre 2018, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2019)», per violazione degli artt. 3, 23, 41, 117, secondo comma, lettere e) e s), 119, secondo comma, e 120, primo comma, della Costituzione;

che la disposizione impugnata dispone che «[i] rifiuti urbani e quelli speciali provenienti da fuori regione destinati allo smaltimento nei siti discarica, ubicati nel territorio regionale pugliese, soggiacciono al riconoscimento in favore della Regione Puglia di oneri finanziari nella misura pari ad un incremento del 20 per cento della tariffa applicata dal soggetto gestore, a titolo di ristoro e compensazione ambientale. Il gettito andrà a finanziare un fondo per la realizzazione di interventi di piano volti al miglioramento ambientale del territorio interessato, alla tutela igienico-sanitaria dei residenti, allo sviluppo di sistemi di controllo e monitoraggio ambientale, nonché alla gestione integrata del ciclo dei rifiuti»;

che, ad avviso del ricorrente, con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 23, 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., l’incremento tariffario per il deposito di rifiuti di provenienza extraregionale disposto dall’impugnato art. 102 della legge reg. Puglia n. 67 del 2018 costituirebbe un prelievo tributario aggiuntivo, a favore della Regione, non previsto dalla legislazione statale e avente le medesime finalità e i medesimi presupposti della tariffa del tributo speciale di cui all’art. 3, comma 27, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), quale modificato, da ultimo, dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), ciò anche in contrasto con le ulteriori norme interposte costituite dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’art. 119 della Costituzione) e dal connesso decreto legislativo attuativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi dei fabbisogni standard nel settore sanitario);

che, inoltre, secondo l’Avvocatura generale, l’impugnato art. 102 violerebbe gli artt. 3, 41 e 120, primo comma, Cost., perché: a) introdurrebbe «un trattamento sfavorevole per le imprese esercenti attività di smaltimento dei rifiuti nella Regione Puglia rispetto a quelle operanti sul restante territorio nazionale»; b) restringerebbe «la libertà di iniziativa economica in assenza di concrete e giustificate ragioni attinenti alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana»; c) introdurrebbe un ostacolo alla libera circolazione delle cose e delle persone tra Regioni, in assenza di «ragioni giustificatrici»;

che, infine, secondo il ricorrente la normativa regionale impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. perché eccederebbe i limiti posti dalle norme statali in àmbito ambientale, in quanto contempla «talune disposizioni che afferiscono alla tutela dell’ambiente», quale materia «“trasversale” e “prevalente”» di competenza esclusiva statale;

che, la Regione Puglia, nel resistere al ricorso, ha sostenuto l’infondatezza di tutte le questioni;

che, quanto alla prospettata violazione degli artt. 23 e 119, secondo comma, Cost., la difesa regionale ritiene che la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni risulterebbe parzialmente incisa dalla legge delega n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo attuativo n. 68 del 2011, che in relazione ai tributi regionali propri derivati riconoscono «un significativo margine d’azione»;

che, quanto alle questioni riferite agli artt. 3, 41 e 120, primo comma, Cost., la Regione deduce che la previsione di un trattamento differenziato non confligge necessariamente con il principio di uguaglianza né con il divieto di ostacoli alla libera circolazione delle cose e delle persone tra Regioni;

che, quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la difesa della Regione – argomentando dalla natura trasversale della materia «ambiente» – osserva che tale «concetto comporta necessariamente la coesistenza di livelli di competenza sia statale che regionale»; da qui, la norma regionale impugnata, in quanto finalizzata a conseguire livelli più elevati di protezione ambientale all’interno del territorio regionale pugliese, sarebbe rispettosa del principio ritraibile dalla giurisprudenza di questa Corte per cui alle Regioni è consentito introdurre standard più restrittivi, al fine di garantire una maggiore tutela ambientale;

che l’Avvocatura ha depositato, in data 17 febbraio 2020, memoria in cui ribadisce le ragioni del ricorso;

che nelle more del giudizio la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia 12 dicembre 2019, n. 54, recante «Modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2018, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2019 e bilancio pluriennale 2019-2021 della Regione Puglia -Legge di stabilità regionale 2019) e alla legge regionale 12 agosto 2005, n. 12 (Seconda variazione al bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2005)»;

che, con atto depositato il 25 giugno 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di rinunciare al ricorso, limitatamente all’impugnato art. 102 della legge reg. Puglia n. 67 del 2018, su conforme delibera del Consiglio dei ministri assunta nella seduta del 5 giugno 2020;

che, con atto depositato il 19 agosto 2020, la Regione Puglia ha dichiarato di accettare la rinuncia parziale al ricorso, giusta delibera della Giunta regionale assunta il 31 luglio 2020.

Considerato che, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall’accettazione della controparte costituita, comporta l’estinzione del processo (ex multis, ordinanze n. 109, n. 68, n. 48 e n. 28 del 2020).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, 9, comma 2, e 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

SENTENZA N. 206 ANNO 2020

Sentenza 206/2020 (ECLI:IT:COST:2020:206)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: MORELLI - Redattore:  BARBERA
Udienza Pubblica del 08/09/2020;    Decisione  del 08/09/2020
Deposito del 25/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 23, c. 1°, lett. a), della legge della Regione Toscana 25/03/2015, n. 35.
Massime: 
Atti decisi: ord. 136/2019
  

Pronuncia

SENTENZA N. 206

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana nel procedimento vertente tra la Escavazione Marmi Lorano II srl e il Comune di Carrara, con ordinanza del 23 aprile 2019, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di costituzione della Escavazione Marmi Lorano II srl, nonché l’atto di intervento della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Giuseppe Morbidelli e Riccardo Diamanti per la Escavazione Marmi Lorano II srl e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 23 aprile 2019 (r.o. n. 136 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995; l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014) in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La disposizione censurata prevede che l’impresa autorizzata all’esercizio di attività estrattiva nelle cave debba richiedere una nuova autorizzazione a seguito di una variazione, rispetto all’originario progetto di coltivazione del sito, che comporti un «ampliamento delle volumetrie di scavo eccedenti il limite massimo di 1.000 metri cubi».

2.– Il giudizio principale è stato promosso da Escavazioni Marmi Lorano II srl, titolare di autorizzazione all’estrazione di materiale lapideo nel distretto delle Alpi Apuane.

Detta società aveva dapprima impugnato innanzi al TAR Toscana l’ordinanza del 27 luglio 2018, n. prot. 59205, con la quale il Comune di Carrara le aveva ordinato la sospensione dei lavori, contestandole di aver svolto attività di escavazione in difformità dall’autorizzazione rilasciata, in particolare ampliando le proprie volumetrie di scavo in misura eccedente il limite normativo di 1.000 metri cubi; quindi, poiché l’amministrazione aveva revocato tale atto – ritenuta l’applicabilità al caso di specie dell’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, nel frattempo entrato in vigore – ed emesso il 27 novembre 2018 una nuova ordinanza di sospensione dei lavori (n. prot. 91001) del 27 novembre 2018, la citata società aveva impugnato quest’ultima con ricorso per motivi aggiunti.

3.– In ordine alla rilevanza della questione, il TAR Toscana ha osservato che il provvedimento impugnato si fonda sul superamento, da parte della ricorrente, del limite quantitativo di tolleranza negli scavi.

3.1.– Quanto, invece, alla non manifesta infondatezza, il rimettente ha sostenuto che la determinazione di un limite massimo di volumetria, entro cui considerare tollerabile il margine di aumento del volume delle escavazioni, a prescindere dalle dimensioni della cava in cui esso è realizzato, violerebbe il principio di uguaglianza, comportando l’identico trattamento di fattispecie diverse fra loro.

Infatti, dopo aver premesso in fatto che «il lavoro di escavazione del marmo non è esattamente programmabile a priori», il TAR Toscana ha rilevato che il margine stabilito dal legislatore «può essere sufficiente ad affrontare gli imprevisti in una cava di dimensioni modeste», ma in una di fronte particolarmente esteso il limite potrebbe essere superato «per fatti anche non addebitabili all’escavatore»; di qui la dedotta violazione, avuto vieppiù riguardo al fatto che al superamento del limite la stessa legge regionale ricollega la sanzione più grave della decadenza dall’autorizzazione.

3.2.– Più specificamente, il rimettente ha richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale, formatasi a partire dalla nota sentenza n. 53 del 1958, secondo la quale la parificazione di situazioni oggettivamente diverse costituisce violazione del principio di uguaglianza; mentre, per contro, siffatta violazione non esiste laddove una diversità di disciplina corrisponda ad una diversità di situazioni, fatto salvo il limite generale dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (sentenze n. 79 del 2016 e n. 85 del 2013).

Da tanto il giudice a quo ha fatto conseguire una valutazione di irragionevolezza della norma, che – pur a fronte di cave diversamente dimensionate – prevede un limite generale di tolleranza nella difformità degli scavi espresso in termini quantitativi, «anziché in termini proporzionali alle dimensioni di ciascun sito estrattivo».

4.– Con atto depositato il 7 ottobre 2019 è intervenuta nel giudizio la Regione Toscana.

4.1.– In via preliminare, la Regione ha rilevato che successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, la norma censurata è stata sostituita dall’art. 10, comma 1, della legge della Regione Toscana 5 agosto 2019, n. 56 (Nuove disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 35/2015 e alla l.r. 65/2014); per effetto di tale modifica, il nuovo testo dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge Reg. Toscana n. 35 del 2015 prescrive il rilascio di nuova autorizzazione per il caso in cui vengano realizzate «difformità volumetriche, entro il dimensionamento autorizzato, eccedenti il 4,5 per cento delle volumetrie autorizzate qualora tali difformità risultino pari o superiori a 1.000 metri cubi e fermo restando il limite massimo di 9.500 metri cubi».

Su tale base ha chiesto che gli atti vengano restituiti al giudice a quo per la rivalutazione dei presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione.

4.2.– Nel merito, la Regione ha in ogni caso dedotto l’infondatezza della questione di legittimità.

A tale riguardo, ha sostenuto che il rimettente avrebbe errato nell’interpretare la norma censurata come disposizione meramente indicativa di un “margine di tolleranza”, idoneo a consentire alle imprese di escavazione le variazioni in aumento delle volumetrie autorizzate, senza attendere i tempi di un nuovo procedimento amministrativo.

La norma andrebbe invece interpretata nel solco della regola affermata dall’art. 17 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, che sancisce il ruolo centrale del «progetto di coltivazione» consegnato al Comune per l’autorizzazione, e nel quale sono indicati i metodi adottati, le specifiche di dimensionamento spazio-temporale dei lavori di scavo, l’analisi di stabilità geologica ed ogni altro dato necessario a valutare la compatibilità dell’attività svolta con il territorio, in tutti i suoi molteplici aspetti (ambientale, paesaggistico, idrogeologico e di sicurezza dei luoghi).

In tal senso, la previsione censurata costituirebbe un’eccezione alla necessità di autorizzazione ex ante, perché riafferma l’inammissibilità di coltivazioni di cava in ambiti non previamente sottoposti alle valutazioni ed autorizzazioni prescritte, se non per ipotesi circoscritte di minore entità, fra le quali l’aumento del volume di scavo contenuto nel limite di 1.000 metri cubi.

Ciò posto, e ritenuta altresì la finalità deterrente della norma censurata, in quanto presupposto per l’applicazione del regime sanzionatorio in materia di attività estrattiva, la Regione ha concluso osservando che la stessa si sottrae ad ogni sindacato di legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza, poiché il perimetro della condotta punibile e la gravità della risposta sanzionatoria costituiscono espressione della discrezionalità del legislatore nel perseguimento di un obiettivo di tutela dell’ambiente, in termini che prescindono dal dimensionamento del sito estrattivo.

5.– Con atto depositato l’8 ottobre 2019, si è costituita la ricorrente nel giudizio principale Escavazione Marmi Lorano II srl.

5.1.– Ricostruite le vicende processuali anteriori all’avvio del giudizio di legittimità, anche la società interveniente ha fatto cenno al mutamento del quadro normativo, dichiarandosi «soddisfatta della modifica legislativa intervenuta»; tuttavia, ritenuta l’irretroattività della nuova disciplina, ha dichiarato di rimettersi «al prudente apprezzamento della Corte, in merito alla valutazione sul superamento o meno della questione d’illegittimità costituzionale sollevata ad opera della citata novella legislativa».

5.2.– Quanto al merito della questione, la società ha poi aderito alla richiesta di declaratoria di illegittimità della norma censurata, evidenziando l’opportunità di estenderla all’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, ove continua ad essere indicato un margine di tolleranza in misura fissa e non proporzionale alla dimensione complessiva del sito estrattivo.

5.3.– In pari data la stessa ricorrente nel giudizio principale ha depositato un atto denominato “memoria di costituzione con nomina di nuovi difensori in aggiunta a quelli già costituiti”, nel quale ha svolto considerazioni inerenti alla possibile contrarietà della norma censurata a parametri costituzionali diversi ed ulteriori rispetto a quello indicato nell’ordinanza di rimessione.

5.4.– Infine, il 17 agosto 2020 la medesima società ricorrente nel giudizio principale ha depositato memoria integrativa con la quale ha ribadito le proprie argomentazioni difensive.


Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana dubita della legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), in riferimento all’art. 3 della Costituzione.

La norma censurata prevede che l’impresa autorizzata all’esercizio di attività estrattiva nelle cave debba richiedere una nuova autorizzazione a seguito di una variazione, rispetto all’originario progetto di coltivazione del sito, che comporti un «ampliamento delle volumetrie di scavo eccedenti il limite massimo di 1.000 metri cubi».

1.1.– Secondo il rimettente, la disposizione violerebbe il principio di uguaglianza, e sarebbe altresì intrinsecamente irragionevole, poiché, nel prevedere un limite di tolleranza nella difformità degli scavi espresso in termini quantitativi fissi, anziché proporzionati alle dimensioni di ciascun sito estrattivo, assoggetterebbe ad identica disciplina fattispecie diverse fra loro, anche in considerazione del fatto che la stessa legge regionale prevede che il superamento di tale margine comporti la sanzione più grave della decadenza dall’autorizzazione.

2.– Ai fini dello scrutinio richiesto a questa Corte è necessario richiamare, nei suoi tratti salienti, il quadro normativo di riferimento, insieme agli antecedenti di fatto nel giudizio principale.

2.1.– Nel disciplinare l’esercizio dell’attività estrattiva, la legge reg. Toscana n. 35 del 2015 prevede che lo stesso sia «subordinato ad autorizzazione del comune» (art. 16, comma 1) e che la relativa domanda sia corredata, fra l’altro, da un «progetto di coltivazione», che indichi anche le «tipologie ed i quantitativi dei materiali da estrarre» (art. 17, comma 1, lettera c, numero 3); il contenuto di tale progetto costituisce l’oggetto dell’autorizzazione (art. 18).

Per le ipotesi nelle quali il titolare intenda introdurre varianti al progetto autorizzato, l’art. 23 consente il ricorso a segnalazione certificata di inizio attività (comma 2), fatti salvi alcuni casi nei quali, per la rilevanza della variante, è richiesto il rilascio di una nuova autorizzazione (comma 1).

Rientra in tali casi la fattispecie prevista dalla norma censurata, che concerne la variazione in aumento del volume di scavo, prescrivendo – per l’appunto – che ove tale variazione superi il margine di 1.000 metri cubi sia necessario ottenere una nuova autorizzazione.

2.2.– Ai fini che qui vengono in rilievo, detta ultima previsione non può essere letta disgiuntamente da quella di cui all’art. 21 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, che – per il caso di «realizzazione di interventi in difformità dal progetto autorizzato che comportino varianti sostanziali di cui all’articolo 23, comma 1» (comma 1, lettera d) – dispone l’adozione, da parte del comune, del «provvedimento di sospensione dell’autorizzazione» (comma 1), da notificarsi al trasgressore con l’indicazione dei termini entro cui provvedere a presentare le eventuali controdeduzioni (comma 2); il successivo comma 3 prevede, infine, che, ove «non ritenga meritevoli di accoglimento le controdeduzioni o queste non siano state presentate entro il medesimo termine, il comune adotta il provvedimento di decadenza» dall’autorizzazione stessa.

2.3.– Il giudizio principale prende avvio in tale contesto normativo.

Riferisce infatti il rimettente che, all’esito dell’accertamento di lavorazioni quantitativamente difformi dal «progetto di coltivazione» autorizzato, in data 27 luglio 2018 il Comune di Carrara emise un’ordinanza con la quale sospendeva l’autorizzazione già rilasciata ad Escavazione Marmi Lorano II srl.

La società aveva impugnato detta ordinanza con ricorso davanti al TAR Toscana.

2.4.– L’ordinanza impugnata era stata tuttavia revocata dal citato Comune con provvedimento del 30 ottobre 2018, a seguito dell’intervenuta modifica della normativa applicabile.

L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana 2 ottobre 2018, n. 54, recante «Modifiche alla legge regionale 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014)», aveva infatti inserito, nella legge reg. Toscana n. 35 del 2015, l’art. 58-bis.

2.5.– Quest’ultima previsione era stata introdotta in quanto – come evincibile dal preambolo della legge di modifica – i controlli effettuati dai Carabinieri forestali della Toscana nelle cave del distretto apuo-versiliese avevano rilevato aumenti di scavo per quantitativi idonei a dar luogo alla decadenza dalle autorizzazioni rilasciate; tali condotte non erano però state contestate alle imprese da alcuni comuni del distretto, i quali, nel verificare se fosse stato o meno superato il margine di 1.000 metri cubi di cui all’art. 23, non tenevano conto degli scavi effettuati al di fuori del perimetro di cui al «progetto di coltivazione», ma che rimanevano comunque all’interno della più ampia area a disposizione del gestore.

Questa interpretazione aveva ingenerato l’affidamento degli operatori in ordine alla conformità volumetrica dell’attività di escavazione, rendendo perciò necessario un intervento normativo che, nel fornire espressamente una più rigorosa definizione del perimetro estrattivo in termini corrispondenti a quello del «progetto di coltivazione», prevedesse tuttavia anche un periodo transitorio di adeguamento, durante il quale veniva esclusa l’immediata applicazione della più grave misura sanzionatoria.

2.6.– A questo scopo, l’art. 58-bis della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, rubricato «Disposizioni transitorie per il sanzionamento di difformità volumetriche sino all’approvazione dei piani attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane» dispone, al comma 1, che «[F]ino all’approvazione dei piani attuativi previsti dall’articolo 113 della L.R. 65/2014 e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2019, qualora il titolare di un’autorizzazione in corso di validità abbia realizzato una difformità volumetrica superiore ai 1000 metri cubi rispetto al progetto di coltivazione autorizzato, ma comunque all’interno dell’area in disponibilità a destinazione estrattiva, il comune ordina la cessazione immediata dell’attività nell’area oggetto della difformità e la presentazione di una perizia giurata», ove si attesti che le difformità sono state realizzate in epoca anteriore al 25 ottobre 2018, data di entrata in vigore della legge stessa.

Con il medesimo provvedimento, il Comune ordina «altresì la presentazione e realizzazione di un progetto di messa in sicurezza e risistemazione ambientale dell’area che tenga conto degli impatti complessivi derivanti dalle lavorazioni difformi».

Il comma successivo dispone che l’autorizzazione resti sospesa sino all’approvazione del progetto e al completamento delle opere di messa in sicurezza dell’area, ma che tali adempimenti, ove intervenuti nei termini prescritti, determinino l’applicazione di una sola sanzione pecuniaria; la più grave sanzione della decadenza dall’autorizzazione è infatti prevista, in base al comma 3, per la diversa ipotesi in cui «il titolare non ottemperi agli obblighi stabiliti con l’ordinanza», ovvero «nel caso in cui, a seguito di nuovo accertamento, venga rilevata una ulteriore difformità».

2.7.– In conformità a tali previsioni, in data 27 novembre 2018 il Comune di Carrara aveva dunque ordinato alla società ricorrente nel giudizio principale di sospendere le attività estrattive e di produrre, entro novanta giorni, la perizia giurata ed il progetto di messa in sicurezza e risistemazione ambientale dell’area previsti dal predetto art. 58-bis.

Quest’ultima ordinanza è stata oggetto di impugnazione con motivi aggiunti nel ricorso principale.

3.– Tale essendo il quadro normativo di riferimento nel contesto del giudizio principale, la questione sollevata dal TAR Toscana è inammissibile per errata individuazione della norma applicabile (aberratio ictus).

3.1.– Il rimettente, infatti, pur rilevando espressamente che la prima ordinanza del Comune di Carrara, fondata sulla violazione dell’art. 23 della legge reg. Toscana n. 35 del 2015, è stata revocata e sostituita da una nuova ordinanza, che trova fondamento nella distinta previsione di cui all’art. 58-bis della stessa legge, rivolge le sue censure unicamente nei confronti della prima norma.

3.2.– Secondo il costante orientamento di questa Corte, nei giudizi incidentali ricorre l’inammissibilità della questione per aberratio ictus ogni qual volta le doglianze del giudice rimettente investono una disposizione diversa da quella effettivamente applicabile nel giudizio a quo (fra le altre, sentenze n. 15 del 2020 e n. 109 del 2019): la questione, in tali casi, è irrilevante, poiché, quale che sia la pronunzia nel merito in relazione alle censure prospettate, il giudizio a quo resterebbe definito da norme contenute in disposizioni diverse.

3.3.– Nel caso di specie, la diversità fra la norma censurata e quella applicata nel giudizio principale si coglie anzitutto dalla disamina delle condotte che, nelle rispettive previsioni, impongono il rilascio di una nuova autorizzazione; l’art. 23, infatti, prende in considerazione tutti gli aumenti volumetrici di scavo effettuati dall’impresa autorizzata, mentre, come si è detto, l’art. 58-bis, pur richiamando lo stesso limite di volume, riguarda i soli aumenti realizzati mediante scavi esterni al perimetro del «progetto di coltivazione», ma compresi nell’area in disponibilità a destinazione estrattiva, ed entro il citato limite temporale del 25 ottobre 2018.

3.4.– Inoltre, e ciò che più conta, tale distinzione si riverbera nella diversità del procedimento amministrativo che prende avvio dall’applicazione dell’una norma piuttosto che dell’altra.

Come è stato illustrato nel punto 2.2, infatti, il superamento del margine di scavo di cui all’art. 23 comporta l’immediata sospensione dell’attività e l’avvio di un procedimento volto all’adozione della sanzione della decadenza, previo contraddittorio con l’impresa che viene invitata a presentare le proprie controdeduzioni.

Invece, il riscontro di una fattispecie riconducibile alla previsione di cui all’art. 58-bis, che nella prospettazione dell’ordinanza di rimessione scherma l’art. 23, comporta che l’impresa cessi provvisoriamente l’attività, provvedendo al contempo ad alcuni adempimenti che, ove tempestivi ed approvati, ne consentano la prosecuzione con l’applicazione della sola sanzione pecuniaria.

Ciò, del resto, chiarisce il motivo per il quale il Comune di Carrara si era determinato a revocare la prima ordinanza emanata nei confronti dell’impresa ricorrente.

Della norma su cui si fonda la seconda ordinanza del medesimo Comune, oggetto di ricorso per motivi aggiunti ed in relazione alla quale pende il contenzioso, non vi è traccia nell’ordinanza di rimessione, che, pertanto, non chiarisce il profilo della perdurante rilevanza dell’art. 23.

4.– Peraltro la norma censurata è stata modificata, successivamente all’ordinanza di rimessione, dalla legge della Regione Toscana 5 agosto 2019, n. 56 (Nuove disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 35/2015 e alla l.r. 65/2014), che, all’art. 10, comma 1, stabilisce un margine di tolleranza espresso in termini proporzionati alle dimensioni dell’area di scavo, nel senso prospettato dallo stesso rimettente.

Tuttavia, detta modifica non ha inciso sul contenuto dell’art. 58-bis (eccetto che per profili che qui non rilevano); essa, pertanto, non viene in considerazione in questa sede come possibile jus superveniens, poiché non riguarda la norma destinata a definire il giudizio principale.

5.– L’errata individuazione della disposizione applicabile al giudizio principale costituisce ragione decisiva di inammissibilità della questione proposta.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lettera a), della legge della Regione Toscana 25 marzo 2015, n. 35 (Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla l.r. 104/1995, l.r. 65/1997, l.r. 78/1998, l.r. 10/2010 e l.r. 65/2014), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale Amministrativo Regionale per La Toscana con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

ORDINANZA N. 205 ANNO 2020

Ordinanza 205/2020 (ECLI:IT:COST:2020:205)
Giudizio:  GIUDIZIO PER LA CORREZIONE DI OMISSIONI E/O ERRORI MATERIALI
Presidente: MORELLI - Redattore:  DE PRETIS
Camera di Consiglio del 08/09/2020;    Decisione  del 08/09/2020
Deposito del 24/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Sentenza n. 186 del 9 - 31 luglio 2020.
Massime: 
Atti decisi: ordd. 145, 153, 158 e 159/2019
Correzione di errore materiale delle seguenti pronunce:  2020/186  
  

Pronuncia

ORDINANZA N. 205

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per la correzione di errore materiale contenuto nella sentenza n. 186 del 9-31 luglio 2020.

Udito nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Daria de Pretis;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.


Considerato che nel dispositivo, al capo numero 3), della sentenza n. 186 del 2020 è indicato – come disposizione oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione – l’art. 4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), anziché l’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, che ha introdotto l’anzidetto art. 4, comma 1-bis;

che, sebbene la norma impugnata sia la medesima, è necessario indicare l’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018 come oggetto della questione sollevata in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost., attenendo quest’ultima a un vizio esclusivo del decreto-legge.

Ravvisata la necessità di correggere tale errore materiale.

Visto l’art. 32 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dispone che, nella sentenza n. 186 del 2020, nel dispositivo, al capo numero 3), le parole «dell’art. 4, comma 1-bis, del d.lgs. n. 142 del 2015» siano sostituite dalle seguenti: «dell’art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113 del 2018».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA

ORDINANZA N. 204 ANNO 2020

Ordinanza 204/2020 (ECLI:IT:COST:2020:204)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: MORELLI - Redattore:  ZANON
Camera di Consiglio del 08/09/2020;    Decisione  del 08/09/2020
Deposito del 24/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 1 bis, c. 2°, lett. e), del decreto-legge 06/07/2010, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 04/08/2010, n. 127, nella parte in cui inserisce l'art. 7 ter del decreto legislativo 21/11/2005, n. 286.
Massime: 
Atti decisi: ord. 247/2019
  

Pronuncia

ORDINANZA N. 204

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 103 (Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2010, n. 127, nella parte in cui inserisce l’art. 7-ter del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), promosso dal Tribunale ordinario di Prato con ordinanza del 21 ottobre 2019, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio dell’8 settembre 2020.


Ritenuto che il Tribunale ordinario di Prato, con ordinanza iscritta al n. 247 del registro ordinanze 2019, ha sollevato, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 103 (Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2010, n. 127, nella parte in cui inserisce l’art. 7-ter del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), che assegna al vettore, il quale ha svolto un servizio di trasporto su incarico di altro vettore, un’azione diretta per il pagamento del corrispettivo nei confronti di tutti coloro che hanno ordinato il trasporto;

che la controversia ha ad oggetto l’opposizione promossa dalla società Conad del Tirreno s.c. (d’ora innanzi: Conad) contro il decreto ingiuntivo emesso su istanza della società C.T.P. Cooperativa Trasportatori Pratesi società cooperativa a r.l. (d’ora innanzi: CTP), per ottenere il pagamento del corrispettivo di prestazioni di autotrasporto di merci su strada per conto terzi;

che la pretesa di pagamento soddisfatta dal decreto ingiuntivo è avanzata dalla CTP allegando di avere eseguito prestazioni di trasporto come vettore su incarico della società SILO spa, a sua volta incaricata dalla committente Conad, nei confronti della quale la ricorrente intende esercitare l’azione diretta di cui all’art. 7-ter del d.lgs. n. 286 del 2005;

che la Conad ha proposto opposizione avverso il predetto decreto ingiuntivo allegando, in primo luogo, di avere stipulato un contratto di trasporto con la SILO spa, ma di non avere avuto alcun rapporto con la CTP, e, in secondo luogo, eccependo l’illegittimità costituzionale dell’art. 7-ter del d.lgs. n. 286 del 2005, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.;

che il Tribunale di Prato ritiene rilevante la questione, in quanto, nel giudizio a quo, la società creditrice, procedendo nei confronti del committente originario, avrebbe esercitato proprio l’azione diretta prevista dalla disposizione censurata, «astrattamente applicabile alla fattispecie in esame, ratione materiae e ratione temporis»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ricorda come l’art. 7-ter del d.lgs. n. 286 del 2005 sia stato introdotto dalla legge n. 127 del 2010, di conversione del d.l. n. 103 del 2010, che in origine non conteneva una simile previsione normativa;

che, infatti, il d.l. n. 103 del 2010, titolato «Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo», sarebbe stato emanato al solo scopo – esplicitato nel relativo preambolo – di completare la procedura di dismissione dell’intero capitale sociale della società Tirrenia di Navigazione spa e, nel contempo, di assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo, con particolare riguardo al periodo di picco del traffico estivo;

che la legge di conversione del d.l. n. 103 del 2010, oltre a modificare il titolo del testo normativo – da «[d]isposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo» a «[d]isposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti» – avrebbe invece introdotto una serie di disposizioni attinenti anche all’attività di autotrasporto di merci per conto di terzi, tra cui quella censurata, giudicata «completamente scollegata dai contenuti già disciplinati dal decreto-legge, riguardanti esclusivamente la necessità di assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo in un arco temporale limitato»;

che il rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui la legge di conversione deve avere un contenuto omogeneo a quello del decreto-legge (sono citate le sentenze n. 32 del 2014 e n. 22 del 2012, nonché l’ordinanza n. 34 del 2013), sicché l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del provvedimento urgente, o alle finalità di quest’ultimo, determinerebbe un vizio della legge di conversione in parte qua;

che, per il giudice a quo, dalla giurisprudenza costituzionale si trarrebbe la conclusione che la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. per difetto di omogeneità si determina quando le disposizioni aggiunte siano totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sono citate le sentenze n. 169 del 2017, n. 145 del 2015 e n. 251 del 2014), ciò che sarebbe avvenuto, appunto, nel caso in esame;

che, per superare la mancanza di un nesso funzionale tra il decreto-legge e la legge di conversione, non sembra al rimettente sufficiente la mera riferibilità di entrambi alla materia del trasporto;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza della questione, non potendosi definire la disposizione censurata “totalmente estranea” o addirittura “intrusa”;

che, in particolare, l’Avvocatura ricorda che sulla medesima questione, sollevata in riferimento al medesimo parametro costituzionale, la Corte costituzionale si è già pronunciata, dichiarandola non fondata, con la sentenza n. 226 del 2019, di cui riporta ampi stralci.

Considerato che il Tribunale ordinario di Prato ha sollevato, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 103 (Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2010, n. 127, nella parte in cui inserisce l’art. 7-ter nel decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore);

che, a parere del rimettente, la disposizione denunciata, aggiunta in sede di conversione, sarebbe stata introdotta in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., presentando un contenuto disomogeneo rispetto a quello dell’originario d.l. n. 103 del 2010;

che, infatti, l’art. 7-ter del d.lgs. n. 286 del 2005 – introducendo l’azione diretta del vettore che ha svolto un servizio di trasporto su incarico di altro vettore nei confronti di tutti coloro che hanno ordinato il trasporto, con riferimento all’attività di autotrasporto di merci per conto di terzi – risulterebbe disposizione «completamente scollegata dai contenuti già disciplinati dal decreto-legge, riguardanti esclusivamente la necessità di assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo», con conseguente «mancanza di un nesso funzionale tra il decreto-legge e la legge di conversione, a causa della totale estraneità degli emendamenti introdotti dalla seconda rispetto all’oggetto e allo scopo del primo»;

che la questione in esame, sollevata in forza di censure del tutto corrispondenti a quelle ora dedotte, è già stata dichiarata non fondata con la sentenza n. 226 del 2019 e manifestamente infondata con l’ordinanza n. 93 del 2020, entrambe successive all’ordinanza di rimessione;

che, in tali pronunce, questa Corte – nel riaffermare il principio secondo cui la legge di conversione rappresenta una legge funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi a oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nel provvedimento convertito (tra le ultime, sentenza n. 181 del 2019) – ha anche ribadito che un difetto di omogeneità, in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., si determina solo quando le disposizioni aggiunte in sede di conversione sono totalmente «estranee» o addirittura «intruse», cioè tali da interrompere ogni correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione (sentenza n. 251 del 2014);

che, pertanto, solo la palese «estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge» (sentenza n. 22 del 2012) oppure la «evidente o manifesta mancanza di ogni nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge» (sentenza n. 154 del 2015) possono inficiare di per sé la legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di conversione (sentenza n. 181 del 2019);

che, si è pure ribadito, la coerenza delle disposizioni aggiunte in sede di conversione con la disciplina originaria può essere valutata sia dal punto di vista oggettivo o materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico (sentenza n. 32 del 2014), come del resto confermato anche dalla giurisprudenza successiva (sentenza n. 115 del 2020 e ordinanza n. 274 del 2019);

che la disposizione censurata, relativa alla stessa «materia» sulla quale incide l’atto con forza di legge da convertire, cioè il trasporto, prevede un intervento a favore delle imprese di autotrasporto (in particolare dei vettori finali, nell’ambito del trasporto di merci su strada), e perciò condivide con il decreto-legge originario la “comune natura” (sentenza n. 251 del 2014) di misura finalizzata alla risoluzione di una situazione di crisi, sicché, sia dal punto di vista oggettivo o materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico, deve essere esclusa l’evidente o manifesta mancanza di un nesso di interrelazione tra le disposizioni incorporate nella legge di conversione e quelle dell’originario decreto-legge;

che, in base a questi criteri di valutazione, è già stata affermata da questa Corte l’insussistenza di elementi sufficienti a sostenere la palese estraneità, o addirittura il carattere intruso, della disposizione censurata;

che la questione oggi proposta, non aggiungendo né argomenti, né profili nuovi rispetto a quelli già esaminati, deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis, comma 2, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2010, n. 103 (Disposizioni urgenti per assicurare la regolarità del servizio pubblico di trasporto marittimo ed il sostegno della produttività nel settore dei trasporti), convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2010, n. 127, nella parte in cui inserisce l’art. 7-ter del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione regolata dell’esercizio dell’attività di autotrasportatore), sollevata, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Prato, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 settembre 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA