Sentenza 34/2011

Sentenza 34/2011
Giudizio

Presidente MADDALENA - Redattore MAZZELLA

Camera di Consiglio del 15/12/2010 Decisione del 26/01/2011
Deposito del 02/02/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30/06/1965, n. 1124 e decreto ministeriale del 27/01/1987, n. 137.
Massime:
Atti decisi: ord. 181/2010


SENTENZA N. 34

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), e del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), promosso dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza del 29 gennaio 2010, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella.



Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Ascoli Piceno, con ordinanza del 29 gennaio 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), nella parte in cui non prevede che agli invalidi sul lavoro, che abbiano usufruito dell’assegno d’incollocabilità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, venga corrisposto d’ufficio un assegno di importo pari a quello previsto dall’art. 20, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio.

1.1. – Riferisce il giudice rimettente che il ricorrente nel giudizio principale era titolare di pensione a carico dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e di rendita erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) per infortunio occorsogli durante il servizio prestato quale marinaio per una ditta privata nel settore marittimo; che in ragione del suddetto infortunio sul lavoro era stato riconosciuto inabile permanentemente alla navigazione per infermità ascrivibile alla II Tabella A di cui alla legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra) con invalidità superiore al 30% del normale ed aveva ottenuto la rendita Inail a decorrere dal 1° giugno 1992; che gli era stato altresì concesso l’assegno di incollocabilità fino al 30 giugno 2005, ossia fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età; che aveva invano presentato ricorso amministrativo avverso il provvedimento del 12 aprile 2005 con cui l’Inail glielo aveva revocato, sostenendo di avere diritto alla sostituzione del citato assegno con altro di importo pari alla pensione minima Inps in base alla normativa prevista per gli invalidi per servizio.

1.2. – Secondo il Tribunale di Ascoli Piceno, la questione di legittimità costituzionale – datane per scontata la rilevanza nel giudizio promosso dall’assicurato per il conseguimento dell’assegno sostitutivo dalla data di compimento del sessantacinquesimo anno di età – non è manifestamente infondata. Osserva, infatti, il rimettente che, mentre in forza del decreto ministeriale n. 137 del 1987 l’assegno d’incollocabilità erogato dall’INAIL agli invalidi sul lavoro viene meno al compimento del sessantacinquesimo anno di età, sia gli invalidi per servizio, sia gli invalidi di guerra – dal giorno successivo alla data predetta – acquistano il diritto ad un assegno sostitutivo. In particolare: 1) gli invalidi per servizio già beneficiari dell’assegno d’incollocabilità previsto in loro favore fino al sessantacinquesimo anno di età acquisiscono un assegno pari alla pensione minima prevista per gli assicurati dell’INPS, secondo quanto disposto dall’art. 104, terzo e quarto comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato); 2) gli invalidi di guerra (alla legislazione concernente i quali rinvia per le modalità di attribuzione e di revoca la normativa che regola il trattamento analogo dovuto agli invalidi per servizio), i quali abbiano fruito di assegno d’incollocabilità fino a sessantacinque anni, ottengono d’ufficio un assegno di pari importo (art. 20, ultimo comma, d.P.R. n. 915 del 1978).

Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di un’analoga provvidenza in favore degli invalidi sul lavoro – e segnatamente «di un assegno di importo pari a quello previsto dal comma 1 dell’art. 20 del testo unico n.915/78 per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio» – pone le norme denunciate in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, essendo comuni sia i presupposti per il riconoscimento di detto assegno, sia la ratio legis, collegata alla sua funzione compensativa e non propriamente assistenziale (esulando lo stato di bisogno), né previdenziale (prescindendo dal versamento di contributi).

2.( Con atto depositato il 13 luglio 2010 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, instando per la dichiarazione di manifesta inammissibilità – o, comunque, d’infondatezza – della questione sollevata dal Tribunale di Ascoli Piceno con l’ordinanza succitata.

La difesa dello Stato rimarca in via preliminare l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del decreto ministeriale n. 137 del 1987, trattandosi di atto non avente forza di legge e dunque sottratto al sindacato della Corte costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost.

Stigmatizza, inoltre, il difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, come pure l’omessa sperimentazione di una lettura conforme alla Costituzione delle norme censurate.

Con specifico riferimento alla mancata conversione dell’assegno d’incollocabilità in altra provvidenza ragguagliata alla pensione minima prevista in favore degli assicurati INPS, opina la difesa dello Stato che non vi sarebbe alcuna disparità di trattamento irragionevole rispetto alla disciplina degli assegni riconosciuti agli invalidi per servizio e di guerra secondo le specifiche normative di settore. A suo avviso, infatti, l’assegno d’incollocabilità erogato dall’Inail alternativamente rispetto all’assunzione obbligatoria ha la funzione, tipicamente previdenziale contro il rischio della disoccupazione involontaria, di tutelare l’invalido che non possa essere ricollocato a causa delle infermità contratte. Sicché, coerentemente, esso non ha più alcuna ragion d’essere, una volta venuta meno in assoluto, con il raggiungimento dell’età pensionabile, la realizzabilità dell’ipotesi dell’assunzione obbligatoria dello stesso invalido.

Conclusivamente, secondo la difesa dello Stato l’art. 38 Cost. sarebbe stato invocato a sproposito, essendo documentata la fruizione da parte del ricorrente nel giudizio principale sia di pensione INPS, che di rendita Inail. Quanto, poi, all’art. 3 Cost., a parte il rilievo della palese diversità tra l’assegno di incollocabilità di cui all’art. 180 del d.P.R. n. 1124 del 1965 e gli assegni di incollocabilità destinati agli invalidi per servizio e di guerra, esso non condurrebbe necessariamente ad estendere la portata della disciplina più favorevole, potendo al limite dispiegarsi anche nel senso della rimozione della norma di privilegio.



Considerato in diritto

1. – Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale di Ascoli Piceno, relativamente all’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità).

2. – Il Tribunale di Ascoli Piceno sospetta d’illegittimità costituzionale le norme succitate per non avere previsto in favore degli invalidi sul lavoro, i quali abbiano usufruito dell’assegno di incollocabilità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, una provvidenza analoga a quelle riconosciute dalla legge agli invalidi di guerra e per servizio e, segnatamente, «un assegno di importo pari a quello previsto dal comma 1 dell’art. 20 del testo unico n. 915/78 per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio».

Tale lacuna porrebbe le norme censurate in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, essendo comuni a tutte le predette situazioni invalidanti, sia i presupposti per il riconoscimento dell’assegno d’incollocabilità, sia la ratio legis, collegata alla sua funzione compensativa e non propriamente assistenziale (esulando lo stato di bisogno), né previdenziale (astraendo dal versamento di contributi).

Il giudice rimettente auspica, dunque, che questa Corte ripristini la compatibilità delle disposizioni censurate con gli invocati parametri costituzionali, mediante l’estensione agli invalidi sul lavoro che abbiano fruito dell’assegno di incollocabilità fino a sessantacinque anni di un assegno di importo pari a quello già previsto per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio.

3. – Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dall’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, per avere il giudice rimettente sollevato la questione di legittimità costituzionale di un atto non avente forza di legge, come il decreto ministeriale n. 137 del 1987.

L’eccezione, così formulata, dev’essere disattesa.

La censura investe in via principale l’art. 180 del d.P.R. n. 1124 del 1965, fonte normativa – di rango primario – istitutiva dell’assegno d’incollocabilità, che, letto congiuntamente alle disposizioni regolamentari contestualmente impugnate, fa chiaro riferimento alla ulteriore norma primaria, pur non espressamente indicata, che detta i requisiti di titolarità della prestazione, ossia all’art. 10 della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124). Il testo del richiamato decreto ministeriale n. 137 del 1987 costituisce quindi specificazione di una normativa di rango primario ed in particolare della disposizione censurata sicché, unitamente a quest’ultima, può costituire oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità (v. sentenze n. 354 del 2008, n. 546 del 1994 e n. 1104 del 1988).

3.1. – Neppure sussiste l’eccepito difetto di motivazione in ordine all’affermato contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 38 Cost.

Contrariamente all’assunto della difesa dello Stato, le denunciate carenze di motivazione dell’ordinanza di rimessione non impediscono di cogliere il nodo della questione proposta, ossia la mancanza – nel sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, a differenza di altri contesti – di una prestazione integrativa a beneficio degli invalidi incollocabili anche dopo il superamento del sessantacinquesimo anno di età.

4. – Nel merito, la questione non è fondata.

4.1. – L’assegno mensile di incollocabilità a carico dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) è previsto dalla normativa su richiamata in favore degli invalidi sul lavoro, impossibilitati a fruire del beneficio dell’assunzione obbligatoria, per avere perduto ogni capacità lavorativa, ovvero per avere subìto menomazioni tali da mettere a repentaglio la salute e l’incolumità dei compagni di lavoro e la sicurezza degli impianti.

Tale assegno, dunque, assume una funzione sostitutiva rispetto al beneficio principale, che è quello del “collocamento privilegiato”, e «si inserisce, come elemento accessorio ed eventuale, in un rapporto di previdenza» (sentenza n. 532 del 1988).

Coerentemente con tale funzione, il diritto all’assegno non si conserva dopo il sessantacinquesimo anno di età, perché da quel momento nessun soggetto disabile può più accedere, per raggiunti limiti di età pensionabile, al beneficio dell’assunzione obbligatoria. Cosicché viene meno la stessa ragione giustificativa del trattamento succedaneo.

Nell’ordinamento delle provvidenze riservate agli invalidi di guerra e per causa di servizio, invece, il legislatore dispone che al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età gli invalidi che abbiano goduto dell’assegno di incollocabilità nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti acquistino il diritto ad una provvidenza sostitutiva di pari importo, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), ovvero ragguagliato al trattamento minimo erogato dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), in forza dell’art. 104 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato). In seguito, l’art. 12 della legge 26 gennaio 1980, n. 9 (Adeguamento delle pensioni dei mutilati ed invalidi per servizio alla nuova normativa prevista per le pensioni di guerra dalla Legge 29 novembre 1977, n. 875, e dal Decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915) ha parificato il trattamento di incollocabilità degli invalidi per servizio, anche ultrasessantacinquenni, a quello concernente gli invalidi di guerra (ma v. anche l’art. 1 della legge citata n. 9 del 1980, che ha omogeneizzato la classificazione delle infermità).

4.2. – Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, la disposizione impugnata è immune dai vizi denunciati.

In primo luogo, non sussiste alcun vulnus all’art. 38 Cost., atteso che la titolarità, di altre prestazioni previdenziali, come nel caso del ricorrente nel giudizio principale, assicura mezzi adeguati alle esigenze di vita.

4.3. – Quanto, poi, alla prospettata lesione dell’art. 3 Cost., questa Corte ha più volte affermato la sostanziale incomparabilità dei sistemi previdenziali, nettamente eterogenei, in cui si inseriscono le prestazioni in favore dei soggetti incollocabili messe a confronto, in quanto pertinenti, rispettivamente, al regime Inail e a quello delle prestazioni di guerra e c.d. “privilegiate” (ex multis, sentenze n. 202 del 2008 e n. 83 del 2006; ordinanze n. 178 e n. 83 del 2006). In tale prospettiva, hanno trovato riscontro i limiti intrinseci del sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, cui afferisce l’assegno d’incollocabilità erogato dall’Inail (sentenze n. 17 del 1995 e n. 310 del 1994), nonché la diversità del complesso delle garanzie ad esso sottese rispetto a quelle previste per i dipendenti pubblici, che impediscono una comparazione parcellizzata dei rispettivi elementi (sentenza n. 321 del 1997).

Di conseguenza, la richiesta estensione agli invalidi per lavoro dello speciale assegno sostitutivo previsto per gli invalidi di guerra (e per causa di servizio) in una fase successiva al raggiungimento dell’età pensionabile è preclusa in radice dalle difformità dei rispettivi ordinamenti previdenziali. Tali difformità risultano accentuate dalla peculiarità delle prestazioni erogate agli invalidi di guerra, al cui regime sono state progressivamente assimilate quelle spettanti agli invalidi per ragioni di servizio. Questa Corte, infatti, ha ripetutamente posto in risalto che le indennità dovute per eventi bellici sono tutte contrassegnate da un elemento di natura risarcitoria, che ne rende impossibile un raffronto omogeneo con altre provvidenze sia pure ricollegabili a differenti situazioni d’invalidità, essendo ineliminabile la diversità dei presupposti esistenti alla base del correlativo fatto invalidante (sentenze n. 193 del 1994, n. 405 del 1993 e n. 113 del 1968; ordinanze n. 895 e n. 487 del 1988).

L’attribuzione, quindi, di un beneficio assolutamente eccentrico rispetto alla funzione dell’assegno “sostituito” può trovare giustificazione nella segnalata specificità della condizione degli invalidi di guerra (e, di riflesso, degli invalidi per servizio). Non se ne spiegherebbe altrimenti il riconoscimento in epoca successiva alla data di compimento dell’età pensionabile. Non vi sarebbe, infatti, alcuna ragione per perpetuare una misura compensativa del mancato ingresso nel sistema del lavoro con collocamento obbligatorio, essendo ormai quest’ultimo interdetto per i raggiunti limiti di età.

Ma la stessa singolarità della destinazione di uno speciale assegno sostitutivo a vantaggio degli invalidi di guerra ultrasessantacinquenni è ostativa della sua applicazione nel sistema delle provvidenze degli invalidi sul lavoro, perché il canone dell’eguaglianza non è invocabile a causa del principio dell’inestensibilità di norme derogatorie o eccezionali (sentenze n. 421 del 1995, n. 272 del 1994 e n. 427 del 1990; ordinanza n. 194 del 2000).



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2011.

Il Cancelliere

F.to: FRUSCELLA


Sentenza 34/2011

Sentenza 34/2011
Giudizio

Presidente MADDALENA - Redattore MAZZELLA

Camera di Consiglio del 15/12/2010 Decisione del 26/01/2011
Deposito del 02/02/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30/06/1965, n. 1124 e decreto ministeriale del 27/01/1987, n. 137.
Massime:
Atti decisi: ord. 181/2010


SENTENZA N. 34

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), e del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), promosso dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza del 29 gennaio 2010, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella.



Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Ascoli Piceno, con ordinanza del 29 gennaio 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), nella parte in cui non prevede che agli invalidi sul lavoro, che abbiano usufruito dell’assegno d’incollocabilità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, venga corrisposto d’ufficio un assegno di importo pari a quello previsto dall’art. 20, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra) per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio.

1.1. – Riferisce il giudice rimettente che il ricorrente nel giudizio principale era titolare di pensione a carico dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e di rendita erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) per infortunio occorsogli durante il servizio prestato quale marinaio per una ditta privata nel settore marittimo; che in ragione del suddetto infortunio sul lavoro era stato riconosciuto inabile permanentemente alla navigazione per infermità ascrivibile alla II Tabella A di cui alla legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra) con invalidità superiore al 30% del normale ed aveva ottenuto la rendita Inail a decorrere dal 1° giugno 1992; che gli era stato altresì concesso l’assegno di incollocabilità fino al 30 giugno 2005, ossia fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età; che aveva invano presentato ricorso amministrativo avverso il provvedimento del 12 aprile 2005 con cui l’Inail glielo aveva revocato, sostenendo di avere diritto alla sostituzione del citato assegno con altro di importo pari alla pensione minima Inps in base alla normativa prevista per gli invalidi per servizio.

1.2. – Secondo il Tribunale di Ascoli Piceno, la questione di legittimità costituzionale – datane per scontata la rilevanza nel giudizio promosso dall’assicurato per il conseguimento dell’assegno sostitutivo dalla data di compimento del sessantacinquesimo anno di età – non è manifestamente infondata. Osserva, infatti, il rimettente che, mentre in forza del decreto ministeriale n. 137 del 1987 l’assegno d’incollocabilità erogato dall’INAIL agli invalidi sul lavoro viene meno al compimento del sessantacinquesimo anno di età, sia gli invalidi per servizio, sia gli invalidi di guerra – dal giorno successivo alla data predetta – acquistano il diritto ad un assegno sostitutivo. In particolare: 1) gli invalidi per servizio già beneficiari dell’assegno d’incollocabilità previsto in loro favore fino al sessantacinquesimo anno di età acquisiscono un assegno pari alla pensione minima prevista per gli assicurati dell’INPS, secondo quanto disposto dall’art. 104, terzo e quarto comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato); 2) gli invalidi di guerra (alla legislazione concernente i quali rinvia per le modalità di attribuzione e di revoca la normativa che regola il trattamento analogo dovuto agli invalidi per servizio), i quali abbiano fruito di assegno d’incollocabilità fino a sessantacinque anni, ottengono d’ufficio un assegno di pari importo (art. 20, ultimo comma, d.P.R. n. 915 del 1978).

Ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione di un’analoga provvidenza in favore degli invalidi sul lavoro – e segnatamente «di un assegno di importo pari a quello previsto dal comma 1 dell’art. 20 del testo unico n.915/78 per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio» – pone le norme denunciate in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, essendo comuni sia i presupposti per il riconoscimento di detto assegno, sia la ratio legis, collegata alla sua funzione compensativa e non propriamente assistenziale (esulando lo stato di bisogno), né previdenziale (prescindendo dal versamento di contributi).

2.( Con atto depositato il 13 luglio 2010 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, instando per la dichiarazione di manifesta inammissibilità – o, comunque, d’infondatezza – della questione sollevata dal Tribunale di Ascoli Piceno con l’ordinanza succitata.

La difesa dello Stato rimarca in via preliminare l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del decreto ministeriale n. 137 del 1987, trattandosi di atto non avente forza di legge e dunque sottratto al sindacato della Corte costituzionale ai sensi dell’art. 134 Cost.

Stigmatizza, inoltre, il difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione in ordine alla non manifesta infondatezza della questione sollevata, come pure l’omessa sperimentazione di una lettura conforme alla Costituzione delle norme censurate.

Con specifico riferimento alla mancata conversione dell’assegno d’incollocabilità in altra provvidenza ragguagliata alla pensione minima prevista in favore degli assicurati INPS, opina la difesa dello Stato che non vi sarebbe alcuna disparità di trattamento irragionevole rispetto alla disciplina degli assegni riconosciuti agli invalidi per servizio e di guerra secondo le specifiche normative di settore. A suo avviso, infatti, l’assegno d’incollocabilità erogato dall’Inail alternativamente rispetto all’assunzione obbligatoria ha la funzione, tipicamente previdenziale contro il rischio della disoccupazione involontaria, di tutelare l’invalido che non possa essere ricollocato a causa delle infermità contratte. Sicché, coerentemente, esso non ha più alcuna ragion d’essere, una volta venuta meno in assoluto, con il raggiungimento dell’età pensionabile, la realizzabilità dell’ipotesi dell’assunzione obbligatoria dello stesso invalido.

Conclusivamente, secondo la difesa dello Stato l’art. 38 Cost. sarebbe stato invocato a sproposito, essendo documentata la fruizione da parte del ricorrente nel giudizio principale sia di pensione INPS, che di rendita Inail. Quanto, poi, all’art. 3 Cost., a parte il rilievo della palese diversità tra l’assegno di incollocabilità di cui all’art. 180 del d.P.R. n. 1124 del 1965 e gli assegni di incollocabilità destinati agli invalidi per servizio e di guerra, esso non condurrebbe necessariamente ad estendere la portata della disciplina più favorevole, potendo al limite dispiegarsi anche nel senso della rimozione della norma di privilegio.



Considerato in diritto

1. – Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale sollevata, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale di Ascoli Piceno, relativamente all’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità).

2. – Il Tribunale di Ascoli Piceno sospetta d’illegittimità costituzionale le norme succitate per non avere previsto in favore degli invalidi sul lavoro, i quali abbiano usufruito dell’assegno di incollocabilità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età, una provvidenza analoga a quelle riconosciute dalla legge agli invalidi di guerra e per servizio e, segnatamente, «un assegno di importo pari a quello previsto dal comma 1 dell’art. 20 del testo unico n. 915/78 per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio».

Tale lacuna porrebbe le norme censurate in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, essendo comuni a tutte le predette situazioni invalidanti, sia i presupposti per il riconoscimento dell’assegno d’incollocabilità, sia la ratio legis, collegata alla sua funzione compensativa e non propriamente assistenziale (esulando lo stato di bisogno), né previdenziale (astraendo dal versamento di contributi).

Il giudice rimettente auspica, dunque, che questa Corte ripristini la compatibilità delle disposizioni censurate con gli invocati parametri costituzionali, mediante l’estensione agli invalidi sul lavoro che abbiano fruito dell’assegno di incollocabilità fino a sessantacinque anni di un assegno di importo pari a quello già previsto per gli invalidi di guerra e per gli invalidi per servizio.

3. – Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità proposta dall’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri, per avere il giudice rimettente sollevato la questione di legittimità costituzionale di un atto non avente forza di legge, come il decreto ministeriale n. 137 del 1987.

L’eccezione, così formulata, dev’essere disattesa.

La censura investe in via principale l’art. 180 del d.P.R. n. 1124 del 1965, fonte normativa – di rango primario – istitutiva dell’assegno d’incollocabilità, che, letto congiuntamente alle disposizioni regolamentari contestualmente impugnate, fa chiaro riferimento alla ulteriore norma primaria, pur non espressamente indicata, che detta i requisiti di titolarità della prestazione, ossia all’art. 10 della legge 5 maggio 1976, n. 248 (Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell’assegno di incollocabilità di cui all’articolo 180 del testo unico approvato con d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124). Il testo del richiamato decreto ministeriale n. 137 del 1987 costituisce quindi specificazione di una normativa di rango primario ed in particolare della disposizione censurata sicché, unitamente a quest’ultima, può costituire oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità (v. sentenze n. 354 del 2008, n. 546 del 1994 e n. 1104 del 1988).

3.1. – Neppure sussiste l’eccepito difetto di motivazione in ordine all’affermato contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 38 Cost.

Contrariamente all’assunto della difesa dello Stato, le denunciate carenze di motivazione dell’ordinanza di rimessione non impediscono di cogliere il nodo della questione proposta, ossia la mancanza – nel sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, a differenza di altri contesti – di una prestazione integrativa a beneficio degli invalidi incollocabili anche dopo il superamento del sessantacinquesimo anno di età.

4. – Nel merito, la questione non è fondata.

4.1. – L’assegno mensile di incollocabilità a carico dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) è previsto dalla normativa su richiamata in favore degli invalidi sul lavoro, impossibilitati a fruire del beneficio dell’assunzione obbligatoria, per avere perduto ogni capacità lavorativa, ovvero per avere subìto menomazioni tali da mettere a repentaglio la salute e l’incolumità dei compagni di lavoro e la sicurezza degli impianti.

Tale assegno, dunque, assume una funzione sostitutiva rispetto al beneficio principale, che è quello del “collocamento privilegiato”, e «si inserisce, come elemento accessorio ed eventuale, in un rapporto di previdenza» (sentenza n. 532 del 1988).

Coerentemente con tale funzione, il diritto all’assegno non si conserva dopo il sessantacinquesimo anno di età, perché da quel momento nessun soggetto disabile può più accedere, per raggiunti limiti di età pensionabile, al beneficio dell’assunzione obbligatoria. Cosicché viene meno la stessa ragione giustificativa del trattamento succedaneo.

Nell’ordinamento delle provvidenze riservate agli invalidi di guerra e per causa di servizio, invece, il legislatore dispone che al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età gli invalidi che abbiano goduto dell’assegno di incollocabilità nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti acquistino il diritto ad una provvidenza sostitutiva di pari importo, ai sensi dell’art. 20, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), ovvero ragguagliato al trattamento minimo erogato dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), in forza dell’art. 104 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato). In seguito, l’art. 12 della legge 26 gennaio 1980, n. 9 (Adeguamento delle pensioni dei mutilati ed invalidi per servizio alla nuova normativa prevista per le pensioni di guerra dalla Legge 29 novembre 1977, n. 875, e dal Decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915) ha parificato il trattamento di incollocabilità degli invalidi per servizio, anche ultrasessantacinquenni, a quello concernente gli invalidi di guerra (ma v. anche l’art. 1 della legge citata n. 9 del 1980, che ha omogeneizzato la classificazione delle infermità).

4.2. – Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, la disposizione impugnata è immune dai vizi denunciati.

In primo luogo, non sussiste alcun vulnus all’art. 38 Cost., atteso che la titolarità, di altre prestazioni previdenziali, come nel caso del ricorrente nel giudizio principale, assicura mezzi adeguati alle esigenze di vita.

4.3. – Quanto, poi, alla prospettata lesione dell’art. 3 Cost., questa Corte ha più volte affermato la sostanziale incomparabilità dei sistemi previdenziali, nettamente eterogenei, in cui si inseriscono le prestazioni in favore dei soggetti incollocabili messe a confronto, in quanto pertinenti, rispettivamente, al regime Inail e a quello delle prestazioni di guerra e c.d. “privilegiate” (ex multis, sentenze n. 202 del 2008 e n. 83 del 2006; ordinanze n. 178 e n. 83 del 2006). In tale prospettiva, hanno trovato riscontro i limiti intrinseci del sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, cui afferisce l’assegno d’incollocabilità erogato dall’Inail (sentenze n. 17 del 1995 e n. 310 del 1994), nonché la diversità del complesso delle garanzie ad esso sottese rispetto a quelle previste per i dipendenti pubblici, che impediscono una comparazione parcellizzata dei rispettivi elementi (sentenza n. 321 del 1997).

Di conseguenza, la richiesta estensione agli invalidi per lavoro dello speciale assegno sostitutivo previsto per gli invalidi di guerra (e per causa di servizio) in una fase successiva al raggiungimento dell’età pensionabile è preclusa in radice dalle difformità dei rispettivi ordinamenti previdenziali. Tali difformità risultano accentuate dalla peculiarità delle prestazioni erogate agli invalidi di guerra, al cui regime sono state progressivamente assimilate quelle spettanti agli invalidi per ragioni di servizio. Questa Corte, infatti, ha ripetutamente posto in risalto che le indennità dovute per eventi bellici sono tutte contrassegnate da un elemento di natura risarcitoria, che ne rende impossibile un raffronto omogeneo con altre provvidenze sia pure ricollegabili a differenti situazioni d’invalidità, essendo ineliminabile la diversità dei presupposti esistenti alla base del correlativo fatto invalidante (sentenze n. 193 del 1994, n. 405 del 1993 e n. 113 del 1968; ordinanze n. 895 e n. 487 del 1988).

L’attribuzione, quindi, di un beneficio assolutamente eccentrico rispetto alla funzione dell’assegno “sostituito” può trovare giustificazione nella segnalata specificità della condizione degli invalidi di guerra (e, di riflesso, degli invalidi per servizio). Non se ne spiegherebbe altrimenti il riconoscimento in epoca successiva alla data di compimento dell’età pensionabile. Non vi sarebbe, infatti, alcuna ragione per perpetuare una misura compensativa del mancato ingresso nel sistema del lavoro con collocamento obbligatorio, essendo ormai quest’ultimo interdetto per i raggiunti limiti di età.

Ma la stessa singolarità della destinazione di uno speciale assegno sostitutivo a vantaggio degli invalidi di guerra ultrasessantacinquenni è ostativa della sua applicazione nel sistema delle provvidenze degli invalidi sul lavoro, perché il canone dell’eguaglianza non è invocabile a causa del principio dell’inestensibilità di norme derogatorie o eccezionali (sentenze n. 421 del 1995, n. 272 del 1994 e n. 427 del 1990; ordinanza n. 194 del 2000).



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 180 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in combinato disposto con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 27 gennaio 1987, n. 137 (Regolamento per l’erogazione dell’assegno di incollocabilità), sollevata, in riferimento agli art. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2011.

Il Cancelliere

F.to: FRUSCELLA


Sentenza 33/2011

Sentenza 33/2011
Giudizio

Presidente DE SIERVO - Redattore DE SIERVO

Udienza Pubblica del 30/11/2010 Decisione del 26/01/2011
Deposito del 02/02/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Artt. 4, 5, c. 1° e 2°, 8, 9, c. 1°, 11, c. 5°, 6°, 7°, 8°, 9° e 10°, 13, c. 10°, 11° e 12°, 19, c. 1° e 2°, 20, c. 1° e 2°, 27, c. 6°, 7°, 8°, 9°, 11°, 14°, 15° e 16°, del decreto legislativo 15/02/2010, n. 31.
Massime:
Atti decisi: ric. 75, 76 e 78/2010


SENTENZA N. 33

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5 commi 1 e 2, 8, 9 comma 1, 11 commi 5, 6, 7, 8, 9 e 10, 13 commi 10, 11 e 12, 19 commi 1 e 2, 20 commi 1 e 2, 27 commi 6, 7, 8, 9, 11, 14, 15 e 16 del decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia, notificati i primi due, rispettivamente il 6 e il 7 maggio 2010, il terzo spedito per la notifica il 7 maggio 2010, depositati in cancelleria l’11, il 12 e il 14 maggio 2010 ed iscritti ai nn. 75, 76 e 78 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Enel s.p.a. e dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS (quest’ultima intervenuta in termine nel giudizio iscritto al n. 76 del registro ricorsi 2010 e fuori termine nel giudizio iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2010);

udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Toscana, Rosaria Russo Valentini e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Maria Liberti per la Regione Puglia, Marcello Collevecchio e Carlo Malinconico per l’Enel s.p.a. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 6 maggio 2010 e depositato il successivo 11 maggio 2010 (iscritto al reg. ric. n. 75 del 2010), la Regione Toscana ha promosso, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, dell’art. 8, comma 3, dell’art. 11, commi 6, 7, 8 e 10, dell’art. 13, commi 11 e 12, dell’art. 20, comma 2, e dell’art. 27, commi 7, 8, 9 e 15 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99).

1.1. – La ricorrente, preliminarmente, dà atto che il decreto citato è stato emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) – già impugnata dalla Regione avanti a questa Corte – e che è volto a disciplinare le procedure relative alla localizzazione, realizzazione ed esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, nonché dei sistemi di stoccaggio dei relativi rifiuti.

Ciò premesso, la Regione Toscana sostiene che talune disposizioni del d.lgs. n. 31 del 2010 sarebbero lesive delle competenze regionali costituzionalmente garantite.

1.2. – In particolare, l’art. 4, nel prevedere che l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari sia rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle infrastrutture, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), non assicurerebbe «alcun ruolo incisivo alla Regione direttamente interessata alla localizzazione dell’impianto» come, invece, sarebbe necessario essendo coinvolte molteplici competenze regionali ed in particolare quelle relative al governo del territorio, alla tutela della salute, alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, al turismo e alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

Tale previsione normativa contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost. così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003), nonché con il principio di leale collaborazione.

Infatti, nel settore energetico, caratterizzato dalla interconnessione tra attribuzioni costituzionali dello Stato e delle Regioni, la «chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative» in materie di competenza regionale dovrebbe prevedere necessariamente un’intesa con la Regione direttamente interessata che è incisa dal provvedimento autorizzatorio. L’intesa con la Conferenza unificata potrebbe costituire strumento sufficiente solo in relazione alla adozione di norme legislative e di disposizioni generali, indirizzi e linee guida.

1.3. – La Regione Toscana impugna, inoltre, l’art. 8, comma 3, che disciplina la «definizione delle caratteristiche delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari» affidando ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico – di concerto con il Ministro dell’ambiente, il Ministro delle infrastrutture e il Ministro dei beni culturali – l’individuazione dello schema definitivo contenente i parametri esplicativi dei criteri tecnici. Avverso tale decreto, adottato secondo le procedure individuate dalla norma in esame, entro sessanta giorni dalla pubblicazione, possono presentare osservazioni «le Regioni, gli Enti locali, nonché i soggetti portatori di interessi qualificati».

La ricorrente lamenta la grave lesione del ruolo delle Regioni che sarebbe assimilato a quello di un qualunque cittadino, senza che sia prevista alcuna intesa né con la singola Regione interessata, né con la Conferenza unificata. In tal modo sarebbe vanificata la competenza regionale nelle materie del governo del territorio, della tutela della salute, dell’energia, del turismo e della valorizzazione dei beni culturali e ambientali, in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

1.4. – Nel ricorso si denuncia, altresì, l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 6, 7, 8 e 10.

Tale disposizione, che disciplina il procedimento di certificazione dei siti da destinare alla localizzazione degli impianti, al comma 5 prevede che il Ministro dello sviluppo economico sottoponga ciascuno dei siti certificati all’intesa della Regione interessata.

I successivi commi 6, 7 e 8 regolano l’ipotesi in cui l’intesa non sia raggiunta, stabilendo che si provveda alla costituzione di un Comitato interistituzionale, «i cui componenti sono designati in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da un lato, e dalla Regione, dall’altro, che assicura la presenza di un rappresentante del comune interessato. Le modalità di funzionamento del Comitato interistituzionale sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza unificata da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del parere stesso; il Comitato opera senza corresponsione di compensi o emolumenti a favore dei componenti. Ove non si riesca a costituire il Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa entro i sessanta giorni successivi alla costituzione del Comitato, si provvede all’intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata. L’intesa ovvero il decreto del Presidente della Repubblica di cui al comma 6 operano anche in deroga ai Piani energetico ambientali delle Regioni interessate da ciascuna possibile localizzazione. Al termine della procedura di cui ai commi 4, 5 e 6, il Ministro dello sviluppo economico trasmette l’elenco dei siti certificati, sui quali è stata espressa l’intesa regionale o è intervenuto il decreto sostitutivo di intesa, alla Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro i termini di cui all’art. 3 del medesimo decreto legislativo e, comunque, non oltre sessanta giorni dal ricevimento della relativa richiesta; in mancanza di intesa entro il predetto termine, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata, secondo quanto disposto dallo stesso art. 3, sulla base delle intese già raggiunte con le singole Regioni interessate da ciascun sito o sulla base dei decreti sostitutivi di intesa».

Ad avviso della Regione Toscana tali disposizioni disciplinerebbero il potere sostitutivo statale per il caso di mancato raggiungimento dell’intesa in modo lesivo delle attribuzioni regionali, in violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost. L’autonomia e il ruolo di parità riconosciuti dalla Costituzione alle Regioni imporrebbe, infatti, di prevedere una codeterminazione paritaria del contenuto finale dell’atto e dunque un’intesa forte il cui mancato raggiungimento dovrebbe inibire la definizione del procedimento.

Anche il comma 10 dell’art. 11 violerebbe le attribuzioni costituzionali delle Regioni in quanto imporrebbe loro l’obbligo di adeguare il proprio Piano energetico ambientale entro 12 mesi dalla pubblicazione del decreto di approvazione dell’elenco dei siti certificati, e ciò tenendo conto dell’intesa ovvero del decreto sostitutivo della stessa.

1.5. – Sulla base delle medesime argomentazioni sarebbe incostituzionale, in quanto lesivo degli artt. 117, 118 e 120 Cost., anche l’art. 13, commi 11 e 12, che prevede un analogo potere sostitutivo nel caso di mancato raggiungimento dell’intesa relativa all’autorizzazione unica per la costruzione, l’esercizio degli impianti nucleari, nonché per lo stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi. Le disposizioni in esame stabiliscono che qualora in sede di conferenza di servizi non sia raggiunta l’intesa con un ente locale coinvolto nel procedimento, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per lo sviluppo economico, assegna all’ente un termine per esprimere l’intesa. Decorso inutilmente tale termine, è adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sostitutivo dell’intesa, previa delibera del Consiglio dei ministri, cui partecipa il Presidente della Regione interessata. Nei trenta giorni successivi alla positiva conclusione dell’istruttoria, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle infrastrutture, rilascia con proprio decreto l’autorizzazione unica.

La ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale di tali previsioni richiamando la sentenza di questa Corte n. 62 del 2005 nella quale si afferma che ai fini della validazione, localizzazione e realizzazione dell’impianto deve essere preso in considerazione e adeguatamente tutelato l’interesse della Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata.

Un procedimento analogo sarebbe previsto, altresì, dall’art. 27, commi 7, 8 e 9, i quali disciplinano il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio del Parco tecnologico. Ai fini della individuazione delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco, il comma 7 prevede che il Ministro dello sviluppo economico acquisisca l’intesa delle Regioni interessate. Ove questa non sia raggiunta, si procede alla costituzione di un Comitato interistituzionale ed eventualmente alla adozione di un decreto del Presidente della Repubblica sostitutivo di tale intesa (comma 8). Sulla proposta delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione oggetto dell’intesa regionale è, altresì, prevista l’acquisizione un’intesa meramente eventuale con la Conferenza unificata. In mancanza di essa, infatti, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata (comma 9). In relazione alla fase concernente il rilascio dell’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio del Deposito nazionale e a tutte le altre opere connesse comprese nel Parco, il comma 15 limiterebbe il ruolo delle Regioni alla partecipazione ai lavori della conferenza di servizi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Anche tali disposizioni – ad avviso della ricorrente – contrasterebbero con gli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione in quanto determinerebbero un sostanziale svuotamento delle intese con la Regione interessata, necessarie a garantire la legittimità costituzionale della “chiamata in sussidiarietà” in capo allo Stato di funzioni amministrative inerenti a materie di competenza concorrente.

Le disposizioni impugnate violerebbero, altresì, l’art. 120 Cost. in quanto contemplerebbero un’ipotesi di potere sostitutivo straordinario del Governo al di fuori dei presupposti ivi individuati per i quali è necessario il verificarsi di un previo inadempimento dell’ente sostituito rispetto ad un’attività ad esso imposta come obbligatoria. Tale non potrebbe considerarsi, invece, l’intesa che la Regione è chiamata a raggiungere per l’esercizio di una funzione amministrativa posta in capo allo Stato.

1.6. – La Regione Toscana impugna, infine, l’art. 20 il quale stabilisce che l’attività di gestione dei siti a seguito della disattivazione degli impianti compete esclusivamente alla società Sogin s.p.a.

Nonostante il coinvolgimento, anche in questa fase, di competenze regionali attinenti al governo del territorio, la norma non prevede alcuna partecipazione della Regione con conseguente violazione degli artt. 117 e 118 Cost.

1.7. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Ad avviso del resistente la lamentata lesione delle competenze regionali conseguente alla mancata previsione di un’intesa “forte” sarebbe insussistente dal momento che «la “materia” nucleare non tollera, di per sé» tale tipo di intesa in quanto comporterebbe il riconoscimento di un «diritto di veto» che pregiudicherebbe l’attuazione delle scelte di politica nucleare. Ciò spiegherebbe l’esigenza di «lasciare l’ultima parola allo Stato» pur dopo avere coinvolto la Regione nel procedimento al fine di adottare scelte condivise. Questa, d’altra parte, non potrebbe vantare alcun interesse «a sistemare la centrale in un posto piuttosto che in un altro invocando l’ambiente, il pericolo, etc. poiché questi non mutano con lo spostamento del luogo».

Inoltre – prosegue l’Avvocatura – non vi sarebbe lesione delle funzioni regionali dal momento che la disciplina della produzione, stoccaggio e deposito definitivo del materiale radioattivo atterrebbe alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema che compete in via esclusiva allo Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e in relazione alla quale solo questo potrebbe assicurare una visione globale. Conseguentemente, proprio in forza dell’art. 118 Cost., la produzione di energia nucleare in Italia e la gestione delle relative problematiche potrebbe essere assicurata in modo adeguato solo a livello centrale.

Infondata sarebbe, infine, la censura avente ad oggetto l’art. 20 che affida alla società Sogin s.p.a. la gestione della sicurezza dell’impianto nucleare disattivato. Lo Stato, infatti, interverrebbe «con i propri mezzi e le proprie scelte per le stesse ragioni per cui agisce al momento dell’attivazione».

2. – Con ricorso notificato il 7 maggio 2010, e depositato il successivo 12 maggio 2010 (iscritto al reg. ric. n. 76 del 2010), la Regione Emilia-Romagna ha promosso, in riferimento agli artt. 76, 117, commi secondo, terzo e sesto, 118 e 120 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 31 del 2010 nella sua interezza, nonché con specifico riferimento all’art. 4, comma 1; all’art. 5, comma 2; all’art. 8, comma 3; all’art. 9, comma 1, unitamente all’art. 8 comma 3; all’art. 11, comma 6; all’art. 13, commi 10, 11 e 12, in connessione con l’art. 4, comma 1; all’art. 19, commi 1 e 2; all’art. 20, comma 1; all’art. 27, commi 6, 8, 11, 14, 15 e 16.

La ricorrente premette di non contestare il potere statale di operare la scelta del «ritorno» all’energia nucleare, ma di difendere il ruolo delle Regioni in tutte le procedure in cui tale scelta deve essere attuata. La disciplina dettata dal decreto impugnato, infatti, incide in materie attinenti alla potestà legislativa concorrente regionale quali la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia, il governo del territorio, la tutela della salute e nelle quali (in particolare le prime due) la Regione Emilia-Romagna ha già emanato una propria disciplina legislativa.

2.1. – Ciò premesso, viene denunciato, innanzitutto, l’intero decreto legislativo per violazione dell’art. 76 Cost. dal momento che esso sarebbe stato adottato senza la preventiva acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.

Ciò risulterebbe dalle premesse dello stesso decreto nelle quali si dà atto che la seduta della Conferenza unificata «non si è tenuta». Tale circostanza è stata rilevata dal Consiglio di Stato in sede consultiva il quale ha qualificato tale parere come «atto prodromico essenziale per l’esercizio della specifica potestà delegata».

Osserva la ricorrente che il parere della Conferenza era dovuto in forza di una specifica previsione della legge delega n. 99 del 2009 che, all’art. 25, ne richiedeva espressamente la previa acquisizione seguita, successivamente, dal parere delle Commissioni parlamentari. Dunque, l’intero decreto sarebbe viziato per il mancato rispetto della procedura prevista dalla legge delega.

La ricorrente afferma la propria legittimazione a sollevare la censure in esame in ragione della ridondanza che il vizio denunciato determina sulle competenze regionali in quanto il parere costituiva lo strumento con cui la legge di delega prevedeva che le Regioni partecipassero alla elaborazione del decreto legislativo.

2.2. – La Regione impugna, quindi, specifiche disposizioni del decreto e, innanzitutto, l’art. 5, comma 2 il quale stabilisce che con decreto del Ministro dello sviluppo economico sono definiti i criteri esplicativi dei requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, esercizio e disattivazione dell’impianto.

Tale disposizione avrebbe disatteso la legge delega sotto il profilo della fonte cui avrebbe dovuto essere affidata l’individuazione di tali requisiti dal momento che essa rinvia ad una norma secondaria, anziché, come espressamente indicato nell’art. 25, ad un decreto legislativo. Ciò determinerebbe una violazione dell’art. 76 Cost. ed una compressione delle attribuzioni regionali. Infatti, poiché il citato art. 25 stabilisce che il Governo deve esercitare la delega «secondo le modalità ed i principi direttivi di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59» – vale a dire secondo forme di azione che tengano conto dei «principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di concertazione e nei rapporti tra soggetti istituzionali ed i soggetti interessati, secondo i criteri dell’autonomia, della leale collaborazione, della responsabilità e della tutela dell’affidamento» – emergerebbe chiaramente la «diretta rilevanza degli interessi regionali coinvolti».

Per tale ragione la Regione sarebbe legittimata a far valere il vizio di eccesso di delega.

L’art. 5, comma 2 sarebbe incostituzionale anche sotto un ulteriore profilo, in quanto, cioè, non avrebbe dato attuazione alla delega omettendo di determinare i requisiti soggettivi. Il comma 3, infatti, si sarebbe limitato a riproporre i requisiti richiesti, in via generale, dalla normativa vigente per qualunque appaltatore concessionario pubblico.

2.3. – La Regione Emilia-Romagna impugna, poi, l’art. 8, comma 3. La ricorrente lamenta che nonostante che la definizione dei parametri per l’individuazione delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari debba essere fatta considerando attentamente la realtà locale, e nonostante che la procedura di localizzazione coinvolga competenze regionali – quali il governo del territorio, la tutela della salute, la protezione civile, le grandi reti di trasporti e navigazione, la produzione di energia elettrica e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali – non sarebbe prevista alcuna forma di idonea concertazione con le Regioni. Tale omissione contrasterebbe con quanto espressamente previsto da questa Corte nella sentenza n. 62 del 2005 in cui si precisa che ai fini della localizzazione e realizzazione dell’impianto è necessario dare adeguata tutela all’interesse della Regione nel cui territorio l’opera deve essere ubicata.

Anche l’art. 8, come già l’art. 5, violerebbe l’art. 76 Cost. e le prerogative regionali in quanto, discostandosi dall’art. 25 della legge di delega, rinvierebbe la determinazione dei criteri in questione ad un decreto ministeriale, anziché ad un decreto legislativo. A sostegno di tale censura la ricorrente svolge argomentazioni analoghe a quelle relative al citato art. 5.

2.3.1. – Viene poi impugnato, in combinato disposto con l’art. 8, comma 3, anche l’art. 9, comma 1, a norma del quale «la Strategia nucleare di cui all’articolo 3, insieme ai parametri sulle caratteristiche ambientali e tecniche delle aree idonee ai sensi del comma 3 dell’articolo 8, è soggetta alle procedure di valutazione ambientale strategica ai sensi e per gli effetti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nonché al rispetto del principio di giustificazione di cui alla Direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio del 13 maggio 1996».

Poiché il decreto di cui all’art. 8 rappresenta il presupposto necessario per l’individuazione dei siti su cui saranno localizzati gli impianti nucleari, l’incostituzionalità di tale norma determinerebbe anche quella dell’art. 9, comma 1. Anche in tal caso, infatti, non sarebbe prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni interessate con conseguente compressione delle loro prerogative costituzionali.

2.4. – È censurato, ancora, l’art. 11, comma 6, che, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, prevederebbe l’esercizio del potere sostitutivo per il caso di mancato conseguimento dell’intesa con la Regione in sede di certificazione dei siti.

La giurisprudenza di questa Corte avrebbe chiarito che, ai fini delle localizzazioni nel territorio regionale di impianti di produzione di energia, sarebbe necessario prevedere intese “forti” (sono richiamate le sentenze n. 383 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). Non corrispondente a tale soluzione sarebbe la previsione contenuta nella norma impugnata secondo cui anche nel caso in cui il dissenso regionale sia oggettivamente giustificato e vi sia un comportamento collaborativo, «lo Stato abbia alla fine il potere unilaterale di “provvedere all’intesa”».

La previsione in esame sarebbe incostituzionale anche nella parte in cui richiede il mero parere, anziché l’intesa, della Conferenza unificata sul decreto che definisce le modalità di funzionamento del Comitato nominato in caso di mancato raggiungimento dell’intesa sulla certificazione dei siti.

In via subordinata, la ricorrente denuncia l’art. 11, comma 6, nella parte in cui prevede il potere di acquisizione forzata dell’intesa anche nelle ipotesi in cui questa non si raggiunga a causa di un comportamento non collaborativo dello Stato, come nel caso in cui gli organi statali rimangano inerti.

Sempre in via subordinata, la disposizione in esame è censurata nella parte in prevede che il potere sostitutivo statale «si traduca nel “provvedere all’intesa” con un atto unilaterale». Poiché l’intesa è per sua natura un atto bilaterale, ove dovesse ammettersi un potere sostitutivo unilaterale, esso non potrebbe denominarsi “intesa”.

2.5. – Ancora, la ricorrente impugna l’art. 4, comma 1, e l’art. 13, commi 10, 11 e 12, in quanto, nell’ambito della procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica all’esercizio degli impianti nucleari non è prevista l’intesa “forte” con la Regione interessata. Anzi, neppure sembra essere prevista la necessità di un’intesa dal momento che nelle norme citate si prevede solo la circostanza che nella Conferenza di servizi possa non raggiungersi l’intesa con un ente locale coinvolto. D’altra parte, secondo la ricorrente, nell’ambito di detta Conferenza non vi sarebbe spazio per un intesa “forte”, dal momento che in essa è previsto «un potere decisionale finale unilaterale, che ne contraddice la natura».

In subordine, la Regione censura le disposizioni impugnate per «l’omissione in relazione alla autorizzazione unica della previsione dell’intesa della stessa Regione interessata nel quadro di una procedura corrispondente a quella prevista per la certificazione dei siti, ovviamente emendata dalle illegittimità costituzionali che anche in relazione ad essa sono state sopra lamentate».

2.6. – È censurato, inoltre, l’art. 19, commi 1 e 2, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. e del principio di leale collaborazione. La disposizione in questione attribuisce al soggetto titolare dell’autorizzazione unica la responsabilità della gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del combustibile nucleare per tutta la durata dell’impianto e vincola tale soggetto al rispetto delle disposizioni vigenti nonché delle prescrizioni tecniche impartite dall’Agenzia per la sicurezza nucleare. Questa è un organo collegiale il quale non sarebbe tenuto a dare rilevanza ad interessi ed istanze regionali, né nella sua composizione sarebbe prevista alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni e ciò nonostante che venga in rilievo la competenza concorrente in materia di energia, di tutela della salute, di protezione civile, tutela della sicurezza del lavoro e della materia ambientale.

A quest’ultimo riguardo, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte che ha riconosciuto la natura trasversale dell’«ambiente», precisando che la competenza del legislatore statale atterrebbe alla fissazione di standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale senza escludere la competenza regionale in materia di potestà concorrente o residuale volta alla cura di interessi collegati con quelli propriamente ambientali.

La disciplina in questione, dunque, coinvolgerebbe materie nelle quali sarebbero inestricabilmente connesse competenze statali e regionali, e nelle quali, per il principio di leale collaborazione – quale interpretato dalla giurisprudenza costituzionale – sarebbe necessaria la predisposizione di procedimenti a cui tutte le istanze istituzionali coinvolte possano partecipare.

L’art. 19, invece, non prevede che le prescrizioni da emanarsi dalla Agenzia concernenti la gestione dei rifiuti radioattivi e il loro smaltimento siano definite di concerto con le Regioni interessate «per i profili attinenti alle modalità specifiche di gestione, trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi», o quanto meno «previo parere della Conferenza unificata (in ordine alla definizione delle modalità generali di gestione, trattamento, condizionamento e smaltimento dei rifiuti radioattivi)».

Vi sarebbe, dunque una «illegittima attrazione a livello statale della competenza a disciplinare la materia sia sotto il profilo normativo sia sotto quello della regolamentazione di funzioni amministrative», nonché la lesione del principio di leale collaborazione per la mancata previsione di forme di raccordo e integrazione tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti.

2.7. – È denunciato, altresì, l’art. 20, comma 1 nella parte in cui non prevede che le modalità tecniche di disattivazione degli impianti siano definite d’intesa con le Regioni interessate «o, quanto meno in relazione alla determinazione dei profili generali, di concerto con la Conferenza unificata».

Le modalità di disattivazione degli impianti, infatti, coinvolgerebbero materie che appartengono alla competenza ripartita, quali la produzione, trasporto e distribuzione dell’energia, il governo del territorio, la protezione civile, la tutela della salute e l’ambiente. Pertanto lo Stato, in forza del principio di leale collaborazione, dovrebbe prevedere l’intesa con la Conferenza unificata per l’individuazione delle modalità essenziali e generali di disattivazione degli impianti.

Inoltre, la definizione delle modalità tecniche di detta disattivazione dovrebbe avvenire d’intesa con la Regione o le Regioni nel cui territorio gli impianti sono localizzati. Dovrebbe poi trattarsi di un’intesa “forte”, come si desume dalla giurisprudenza costituzionale più volte richiamata.

2.8. – La Regione Emilia-Romagna deduce, ancora, l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 6, il quale disciplina l’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio del Parco tecnologico in cui dovrà insediarsi il deposito nazionale delle scorie radioattive.

La disposizione è censurata sotto due profili.

Innanzitutto, nella parte in cui essa affida ad un decreto ministeriale, da emanarsi previa acquisizione del parere tecnico dell’Agenzia, la approvazione della Carta delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco. Tale previsione contrasterebbe con l’art. 25 della legge di delega che rimette ad appositi decreti legislativi la determinazione di tale disciplina.

La norma impugnata, dunque, prevede una fonte normativa sottordinata rispetto a quella prevista dalla delega e che non è tenuta al rispetto dei requisiti di cui all’art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e secondo le modalità definite dall’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) con conseguente diretta lesione delle competenze e degli interessi regionali.

In secondo luogo, la ricorrente censura il procedimento delineato dalla norma in questione in quanto, nonostante nella localizzazione del Parco siano coinvolti interessi regionali e siano investite le competenze in materia di governo del territorio, di tutela della salute, di protezione civile, grandi reti di trasporti, produzione e trasporto dell’energia e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, non sarebbe prevista alcuna forma di efficace partecipazione delle Regioni alla determinazione della Carta. In particolare, non sarebbe stato previsto il coinvolgimento della Conferenza unificata in sede di determinazione e approvazione della Carta nazionale, né quello della Regione interessata alla concreta localizzazione dell’impianto.

Del tutto insufficienti a realizzare un adeguato coinvolgimento delle istanze regionali sarebbero le statuizioni contenute nei commi 3, 4 e 5 del citato art. 27 dal momento che è prevista la semplice audizione delle osservazioni che comuni, province o regioni possono formulare in relazione al progetto preliminare della carta nazionale, «senza, tuttavia, che la Sogin s.p.a. o il Ministero, abbiano alcun obbligo sostanziale e formale di tener conto o recepire le istanze degli enti territoriali».

2.9. – È denunciata, poi, l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 8, il quale disciplina il mancato raggiungimento dell’intesa con le Regioni interessate relativamente alla localizzazione del Parco tecnologico.

Nonostante che, ad avviso della ricorrente, nel caso in questione venga in rilevo la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente, sia pure intrecciata con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, e dunque non si possa negare il potere statale di determinazione finale unilaterale, tuttavia si contesta sia la mancata previsione dell’intesa con la Conferenza unificata sulle regole di funzionamento del Comitato interistituzionale, sia la mancata esclusione del potere sostitutivo nel caso in cui sia l’atteggiamento statale ad impedire la costituzione del comitato ovvero il raggiungimento dell’intesa. Si contesta, infine, la previsione di un’intesa formata unilateralmente dallo Stato anziché un semplice atto unilaterale.

2.10 – È impugnato, inoltre, l’art. 27, comma 11, nella parte in cui ai fini della localizzazione del sito per la realizzazione del parco tecnologico non è contemplata l’intesa con la Conferenza unificata nonostante l’interesse delle Regioni a partecipare alla corretta scelta del sito del deposito nazionale e del parco tecnologico.

2.11. – Infine, la ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, commi 14, 15 e 16, per le stesse ragioni esposte in relazione al comma 11. Tali disposizioni, infatti, nel disciplinare il rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio del suddetto deposito e di tutte le opere comprese nel parco tecnologico, non prevedrebbero l’intesa con la Conferenza unificata.

2.12. – Anche in tale giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Quanto alla censura avente ad oggetto l’intero decreto per mancata acquisizione del parere della Conferenza unificata, la difesa dello Stato sostiene che dalla premessa del decreto stesso emergerebbe che la Conferenza era stata appositamente convocata per la seduta del 27 gennaio 2010, la quale, però, è andata deserta. Secondo la resistente, lo Stato avrebbe sì l’obbligo di convocazione di tale soggetto, ma non quello di costringere i suoi componenti ad intervenire; d’altra parte, la semplice «diserzione» delle Regioni non potrebbe impedire l’adozione dell’atto, perché diversamente si riconoscerebbe loro un potere di veto assoluto non previsto dalla Costituzione.

Del pari infondata – «anche a prescindere dall’inammissibilità» – sarebbe la censura relativa all’art. 5, comma 2, il quale avrebbe affidato l’individuazione dei requisiti degli operatori ad un decreto ministeriale anziché ad un decreto legislativo. In realtà, dalla lettura complessiva dell’art. 5 emergerebbe come sia lo stesso decreto delegato ad individuare i criteri per operare tale scelta nonché le cause di esclusione, di tal che il decreto ministeriale avrebbe una funzione meramente applicativa di quanto già previsto dalla legge.

Analoghe ragioni determinerebbero l’infondatezza della censura relativa all’art. 8, comma 3: anche in tal caso, infatti, i criteri tecnici la cui determinazione è rimessa al decreto ministeriale costituirebbero una semplice specificazione di quelli dettati dallo stesso art. 8.

Riguardo alla censura concernente l’art. 9, il quale prevede i modi di attuazione della strategia nucleare, l’Avvocatura osserva come poiché essa è affidata dall’art. 3 allo Stato e tale disposizione non è stata impugnata, non sarebbe necessario alcun coinvolgimento regionale.

Infondate sarebbero anche le censure relative all’art. 11, nonché agli artt. 4 e 13 in relazione alla mancata previsione dell’intesa “forte”. La difesa dello Stato svolge al riguardo le medesime argomentazioni prospettate nella memoria depositata nel giudizio avente ad oggetto il ricorso della Regione Toscana.

Quanto alle questioni aventi ad oggetto gli artt. 19, 20 e 27, si osserva che la disciplina della produzione, fabbricazione, stoccaggio e deposito definitivo di materiale radioattivo atterrebbe alla materia della tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e che soltanto lo Stato potrebbe assicurare una visione globale delle problematiche connesse alle attività produttive con forte impatto ambientale. Proprio il principio di sussidiarietà, unitamente a quello di adeguatezza imporrebbe l’esercizio unitario a livello statale delle funzioni amministrative, atteso che gli enti locali, essendo portatori di interessi contrapposti (e in specie quello alla non installazione della censurale sul proprio territorio) non sarebbero in grado di assicurare il raggiungimento dell’obiettivo di consentire la produzione dell’energia nucleare in Italia.

2.13. – È intervenuta in giudizio l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS, con atto depositato il 28 giugno 2010.

Quanto alla propria legittimazione ad intervenire, la difesa di WWF Italia sostiene che l’interesse alla tutela dell’ambiente, ancorché formalmente estraneo rispetto ai giudizi, «inerisce immediatamente al rapporto sostanziale», in quanto la decisione di questa Corte «eserciterebbe un’influenza diretta con effetti rilevanti sulla posizione soggettiva dell’Associazione».

Nel merito, la interveniente non solo contesta la scelta dello Stato di tornare all’energia nucleare, ma lamenta che ciò avvenga senza una adeguata partecipazione delle Regioni e delle comunità locali in ordine alla localizzazione degli impianti.

In particolare l’interveniente ripropone le medesime censure prospettate dalla Regione Emilia-Romagna. L’intero decreto legislativo sarebbe incostituzionale per la mancata acquisizione del parere della Conferenza unificata, mentre l’art. 5, comma 2 contrasterebbe con l’art. 25 della legge delega n. 99 del 2009 in quanto rimanda ad un decreto ministeriale la fissazione dei requisiti soggettivi per lo svolgimento dell’attività di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti, anziché ad un decreto legislativo.

Analoghe censure sono proposte in relazione all’art. 8, comma 3, il quale, nel rinviare a un decreto ministeriale la individuazione dello schema dei parametri esplicativi dei criteri tecnici per la localizzazione degli impianti, ometterebbe ogni forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali.

Altrettanto lesivo delle prerogative regionali – a detta dell’interveniente – sarebbe l’art. 11, comma 6, sulla certificazione dei siti non essendo prevista un’intesa “forte” con la Regione. Inoltre, il rinvio ad un Comitato interistituzionale per il superamento del dissenso sarebbe vanificato dalla previsione che affida la determinazione delle sue modalità di funzionamento ad una delle parti in causa.

3. – Con ricorso notificato il 7 maggio 2010 e depositato il successivo 14 maggio 2010 (iscritto al reg. ric. n. 78 del 2010), anche la Regione Puglia ha promosso, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’intero d.lgs. n. 31 del 2010, nonché dell’art. 4, dell’art. 5, commi 1 e 2, dell’art. 8, dell’art. 11, commi da 5 a 10, dell’art. 13, commi 10 e 11.

Preliminarmente la ricorrente sostiene che l’oggetto di disciplina del decreto impugnato sarebbe riconducibile alla materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e a quella del governo del territorio, entrambe rientranti nella potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

3.1. – Ciò posto, la Regione eccepisce innanzitutto l’incostituzionalità dell’intero d.lgs. n. 31 del 2010 per violazione della legge delega e, conseguentemente, dell’art. 76 Cost., nonché degli artt. 117 e 118 Cost. Infatti, disattendendo l’espressa previsione contenuta nell’art. 25 della legge delega, non sarebbe stato acquisito sullo schema di decreto il parere della Conferenza unificata, che costituiva «atto prodromico essenziale per l’esercizio della potestà delegata».

Tale omissione avrebbe impedito alle Regioni di partecipare all’iter legislativo, benché esso inerisse all’esercizio della potestà legislativa concorrente e alla disciplina di funzioni amministrative incidenti su interessi territoriali riferibili alle Regioni medesime.

3.2. – Quanto all’art. 5, comma 2, la ricorrente denuncia l’affidamento ad una fonte di normazione secondaria l’individuazione dei requisiti soggettivi per l’attività di costruzione, esercizio e disattivazione degli impianti, laddove la legge delega prescriveva il ricorso a decreti legislativi.

Tale previsione violerebbe l’art. 76 Cost. e lederebbe le prerogative regionali dal momento che ai fini dell’adozione del decreto delegato sarebbe stata necessaria la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata. Di qui la violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost. e del principio di leale collaborazione e di sussidiarietà.

3.3. – La Regione Puglia, inoltre, censura il d.lgs. n. 31 del 2010 nella parte in cui, ai fini della localizzazione e dell’autorizzazione alla realizzazione degli impianti, «circoscrive il coinvolgimento delle Regioni alla formulazione di meri pareri».

In particolare, l’art. 8, comma 2, rimette la determinazione dei criteri localizzativi delle aree potenzialmente da destinarsi agli impianti nucleari all’autorità statale senza la effettiva partecipazione delle Regioni che possono solo proporre mere osservazioni.

Il procedimento per la certificazione dei siti, di cui all’art. 11, commi da 5 a 10, contempla un’intesa “debole” con la Regione interessata. Inoltre, la procedura prevista per il mancato raggiungimento di tale intesa si conclude con un decreto sostitutivo che opera anche in deroga ai Piani energetico ambientali delle Regioni. Il comma 8 stabilisce poi che l’elenco dei siti certificati sia trasmesso alla Conferenza unificata e che, in mancanza di intesa con tale soggetto, provvede il Consiglio dei ministri.

In sostanza, ad avviso della ricorrente, nonostante l’apparente coinvolgimento delle Regioni, il decreto introdurrebbe procedimenti volti al «superamento unilaterale e imperativo del dissenso o del mancato pronunciamento delle autonomie regionali», anche con «effetti modificativi cogenti» sulla programmazione energetica nazionale, ai sensi dell’art. 11, comma 10.

Analoghe considerazioni la Regione svolge in relazione all’art. 13, comma 11, avente ad oggetto il procedimento per il rilascio delle autorizzazioni. In tale ambito, alle Regioni non sarebbe neppure richiesta la partecipazione alla formazione dell’intesa, ma soltanto l’intervento ai lavori del Consiglio dei ministri preordinati alla emanazione della deliberazione presupposta al d.P.C.m. sostitutivo dell’intesa.

In definitiva, conclude la ricorrente, il decreto impugnato disciplinerebbe materie di potestà concorrente senza limitarsi alla fissazione di principi fondamentali, avocando allo Stato «consistenti ambiti di potestà amministrativa», di normazione secondaria e di pianificazione di competenza regionale; tutto ciò senza predisporre un meccanismo idoneo ad assicurare alla Regione un ruolo di codecisione paritaria.

3.4. – Anche nel presente giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, nel contestare le censure svolte dalla ricorrente, svolge le medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con ricorso della Regione Emilia-Romagna.

3.5. – È intervenuta in giudizio l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS, con atto depositato fuori termine l’8 luglio 2010.

L’interveniente osserva che benché il decreto n. 31 del 2010 intervenga in materie di potestà concorrente, quali il governo del territorio e la produzione dell’energia, il legislatore avrebbe sottratto i poteri amministrativi spettanti alle Regioni senza garantire loro una partecipazione paritaria attraverso la previsione di intese “forti”.

In particolare, il WWF propone le medesime censure svolte dalla Regione Emilia-Romagna in relazione sia all’illegittimità dell’intero decreto per la mancata acquisizione del parere della Conferenza unificata, sia in relazione alla lesione delle competenze delle Regioni operata dagli artt. 5 e 8.

4 – In tutti i giudizi è intervenuta Enel s.p.a., la quale, con atti di identico contenuto, ha chiesto che le sollevate questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili e infondate, riservando a successive memorie la compiuta articolazione delle proprie difese.

5. – In prossimità dell’udienza pubblica la Regione Toscana ha depositato una memoria al fine di ulteriormente argomentare in merito alle prospettate doglianze.

5.1. – In via preliminare, la difesa regionale ribadisce il corretto inquadramento materiale del contestato intervento normativo: le impugnate disposizioni ricadono nell’ambito, di competenza concorrente, della produzione dell’energia, come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 278 del 2010.

Al riguardo, la ricorrente contesta la tesi del resistente secondo cui la asserita “materia” del nucleare non tollererebbe una intesa in senso forte tale da consentire alle Regioni di opporre un vero e proprio veto. Non di veto si tratterebbe, bensì della possibilità per le Regioni di rendere la scelta del nucleare compatibile con i rispettivi assetti territoriali.

5.2. – Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 31 del 2010, la Regione ricorrente evoca la giurisprudenza di questa Corte in tema di attrazione in sussidiarietà allo scopo di dimostrare come l’intesa con la Conferenza unificata, quivi contemplata, non appaia adeguata. La denunciata opzione normativa «può costituire lo strumento sufficiente a fronte di norme legislative e di disposizioni generali, indirizzi, criteri e linee guida perché tutte queste hanno ad oggetto misure generali rivolte all’intero sistema delle autonomia; viceversa, a fronte dello specifico atto autorizzatorio, è costituzionalmente indispensabile l’intesa con la Regione interessata».

5.3. – In ordine alla doglianza avente ad oggetto l’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 31 del 2010, la ricorrente ribadisce che negli ambiti materiali incisi dalla disciplina in parola, a cominciare dalla produzione dell’energia, le Regioni non possono essere abilitate alla mera presentazione di osservazioni. Alla luce di quanto statuito dall’adìta Corte nella sentenza n. 278 del 2010, il coinvolgimento della Conferenza unificata può concretizzarsi anche nella sola formulazione di un parere obbligatorio. Al contrario, la censurata disposizione non contempla neppure tale forma di leale collaborazione.

5.4. – In merito alle questioni di costituzionalità relative agli artt. 11, commi 6, 7, 8 e 10; 13, commi 11 e 12; 27, commi 7, 8, 9 e 15, del decreto legislativo in oggetto, la Regione Toscana conferma le doglianze già esposte nel ricorso.

In particolare, è denunciata l’attivazione del potere sostitutivo in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la Regione interessata. Detto potere svilirebbe il carattere forte di tale intesa, come strumento per la codeterminazione paritaria del contenuto finale dell’atto.

5.5. – Infine, quanto alla impugnazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 31 del 2010, per la difesa regionale l’attività di gestione dei siti, a seguito della disattivazione degli impianti, sarebbe stata illegittimamente devoluta, in via esclusiva, alla Sogin s.p.a., «nonostante le evidenti ricadute e l’intreccio che una siffatta attività presenta con le competenze legislative ed amministrative delle Regioni».

6. – Ad ulteriore supporto alle argomentazioni sviluppate nel ricorso, anche la Regione Emilia-Romagna ha depositato due memorie in prossimità dell’udienza.

6.1. – Con la prima, la ricorrente ha lamentato l’inammissibilità dell’intervento, nell’odierno giudizio di costituzionalità, della società Enel s.p.a., alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte.

6.2. – Con la seconda memoria, la Regione Emilia-Romagna ha ribadito e ulteriormente motivato in merito alle prospettate doglianze.

6.2.1. – La difesa regionale ha, innanzitutto, ribadito la sospetta incostituzionalità dell’impugnato decreto legislativo per violazione dell’art. 76 Cost., essendo stata omessa la previa acquisizione del parer obbligatorio della Conferenza unificata.

In punto di fatto, la ricorrente lamenta che la prevista riunione del 27 gennaio 2010 non si è tenuta, «né il Governo si è fatto carico di indirne una nuova né prima né dopo la trasmissione dello schema di decreto legislativo alle Commissioni parlamentari». La controparte non fornisce, peraltro, alcun elemento di fatto idoneo ad acclarare la reale dinamica degli accadimenti rilevanti a tal fine.

Pertanto, «dal mancato rispetto della procedura prevista dalla legge di delega per l’emanazione del decreto legislativo, si origina (…) un vizio di legittimità costituzionale che necessariamente inficia l’intero atto».

6.2.2. – Quanto alla impugnazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 31 del 2010, in punto di ammissibilità della questione la difesa regionale obietta all’Avvocatura dello Stato che la denunciata violazione dell’art. 76 Cost. è potenzialmente idonea a determinare una grave lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni.

Nel merito, l’emanazione di un decreto ministeriale, in luogo di un decreto delegato, per la definizione dei previsti «criteri esplicativi» costituirebbe – secondo la ricorrente – un esercizio della delega palesemente difforme da quanto previsto dall’art. 25 della legge n. 99 del 2009. La fonte abilitata a procedere a tale definizione non è destinata a porre norme meramente esecutive, «andando, al contrario, a definire e, in parte, ad integrare i requisiti che la legge di delegazione voleva fossero disciplinati con atto avente forza di legge.

6.2.3. – La Regione Emilia-Romagna, poi, riafferma l’incostituzionalità dell’art. 8, comma 3, del decreto legislativo in oggetto, non contemplando alcuna forma di adeguato coinvolgimento delle Regioni interessate alla individuazione delle aree potenzialmente destinate alla localizzazione degli impianti nucleari.

E lo stesso ragionamento è riproposto in merito alla impugnazione del combinato disposto dell’art. 8, comma 3, e dell’art. 9, comma 1, versandosi in un ambito materiale in cui la rilevanza assunta dagli interessi regionali «appare di tutta evidenza».

6.2.4. – Sulla censura dell’art. 11, la ricorrente conferma la propria tesi circa la natura “forte” dell’intesa ivi prevista, con conseguente illegittimità della previsione che demanda ad una decisione unilaterale il rimedio al veto opposto dalle Regioni.

6.2.5. – Gli artt. 4 e 13, commi 10, 11 e 12, sarebbero parimenti incostituzionali in quanto, come riaffermato dalla ricorrente, non configurano alcuna intesa con la Regione interessata. A questa conclusione la difesa regionale perviene evocando la sentenza n. 278 del 2010, dalla quale si deduce che, pur in assenza della apposita previsione nella legge di delega, il decreto legislativo avrebbe dovuto prevedere la suddetta intesa.

6.2.6. – Infine, quanto alla impugnazione degli artt. 19, 20 e 27 del decreto legislativo in parola, la difesa regionale ribadisce la necessità, costituzionalmente sancita, di contemplare adeguate forme di coinvolgimento delle istituzioni regionali.

7. – Anche la Regione Puglia ha depositato in termini una memoria integrativa allo scopo di confermare e puntualizzare le doglianze già formulate nel ricorso.

7.1. – Non ritenendo di affermare la sussistenza di un obbligo generale di conformazione del procedimento legislativo al principio di leale collaborazione – peraltro, più volte escluso da questa Corte – la ricorrente lamenta che, nel caso di specie, sarebbe stato disatteso l’obbligo di acquisire il previo parere della Conferenza unificata, come prescritto dalla legge di delega.

Quanto alla obiezione della parte resistente, secondo cui lo Stato aveva l’obbligo di convocare la predetta Conferenza e non di costringere i suoi componenti a parteciparvi, la difesa regionale replica osservando che: a) la legge di delega imponeva il rispetto di un preciso iter procedimentale, scandito da fasi puntualmente determinate; b) il mancato svolgimento, in quella data, della riunione della Conferenza unificata non è un motivo valido per disapplicare la norma di delega. Al più, il Governo avrebbe potuto adire questa Corte in sede di conflitto di attribuzioni per censurare la condotta ostruzionistica di quell’organo collegiale.

7.2. – Premessa una ricostruzione della giurisprudenza di questa Corte in tema di attrazione in sussidiarietà e individuati i punti salienti della sentenza n. 278 del 2010 specie in ordine all’intesa “forte”, la Regione Puglia si duole della mancata previsione di adeguati meccanismi di coinvolgimento delle Regioni ai fini della localizzazione e dell’autorizzazione alla realizzazione ed esercizio degli impianti di produzione di energia nucleare.

Questa doglianza è riproposta in relazione alle contestate previsioni dell’art. 11 del d.lgs. n. 31 del 2010, che disciplina gli adempimenti funzionali alla certificazione dei siti da destinare all’insediamento degli impianti nucleari. La disciplina per il superamento del dissenso non risponderebbe alla «irrinunciabile esigenza che risulti garantita la permanente posizione di paritarietà delle parti coinvolte».

Analogo iter argomentativo è, poi, seguito in relazione ai censurati artt. 4, comma 1, e 13, commi 10 e 11, sul rilascio dell’autorizzazione unica, al fine di contestare la mancata previsione di una intesa “forte”: secondo la difesa regionale i decreti delegati «avrebbero dovuto necessariamente prevedere l’introduzione di idonee forme partecipative della singola Regione all’eventuale esercizio del potere sostitutivo del Governo nelle ipotesi di mancata intesa».

7.3. – La Regione Puglia, inoltre, ribadisce la denunciata devoluzione ad una fonte secondaria – ex artt. 5 e 8 del decreto legislativo in esame – del compito di stabilire i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività qui considerate e di definire le caratteristiche delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari. Si tratterebbe di un rinvio incompatibile con la direttiva enunciata nella legge di delega.

8. – La difesa di Enel s.p.a. ha depositato, nei tre giudizi, altrettante memorie, integrando i rilievi già formulati nell’atto di intervento.

9. – Anche l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS ha depositato una memoria integrativa.

10. – Con un’unica memoria, depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo aver riassunto i passaggi rilevanti della sentenza n. 278 del 2010, ha ulteriormente argomentato in ordine alle questioni di costituzionalità sollevate dalle tre ricorrenti.

10.1. – L’Avvocatura dello Stato premette un inquadramento materiale delle disposizioni che compongono la disciplina in esame, alla luce della sentenza n. 278 del 2010, al fine di dimostrare che solo una parte di essa è inclusa nel settore, di competenza concorrente, della produzione dell’energia, mentre il resto appartiene alla competenza esclusiva del legislatore statale.

Tra i princìpi fondamentali dettati dalla legge n. 99 del 2009 vi sarebbe quello della apertura di tutto il territorio nazionale al nucleare, con conseguente «inesistenza per le Regioni di un diritto di veto».

10.2. – La parte resistente contesta, innanzitutto, la doglianza relativa all’impugnazione dell’intero testo del d.lgs. n. 31 del 2010 per omessa acquisizione del parere della Conferenza unificata.

La questione sarebbe inammissibile non trattandosi di impugnazione sollevata per ragioni di competenza. Nel merito, dagli atti depositati in giudizio risulterebbe che la predetta Conferenza fu convocata «ma gli inviti e le convocazioni restarono disattesi».

10.3. – Per quanto concerne l’impugnazione dell’art. 4, secondo la difesa dello Stato le ricorrenti avrebbero omesso di considerare che «di quel coinvolgimento per l’autorizzazione unica è ampia previsione nell’art. 11».

10.4. – La lamentata violazione dell’art. 76 Cost., ad opera del censurato art. 5 del d.lgs. n. 31 del 2010, non dovrebbe, poi, trovare ingresso nell’odierno giudizio, trattandosi di vizio non deducibile. Per l’Avvocatura dello Stato, il decreto esplicativo quivi previsto «è logico corollario di una funzione di coordinamento e di raccolta di elementi che lo Stato ben può attribuire a se stesso pur nelle materie di competenza concorrente».

10.5. – Le motivazioni addotte dalle ricorrenti a sostegno della asserita incostituzionalità dell’art. 8 non coglierebbero nel segno, a detta della parte resistente, in quanto oggetto della impugnata previsione è la definizione dei requisiti delle aree potenzialmente idonee all’insediamento degli impianti nucleari: «requisiti e idoneità potenziali che tocca allo Stato stabilire perché attengono al principio fondamentale – come tale riconosciuto dalla sentenza n. 278/10 – del coinvolgimento di tutto il territorio nazionale nel momento della produzione dell’energia nucleare». Non si tratta, invero, di disporre l’allocazione di un impianto.

Quanto, poi, al correlato art. 9, la doglianza sarebbe inammissibile, per genericità e, comunque, infondata, essendo provvedimenti propri dello Stato irrilevanti ai fini della distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.

10.6. – Il denunciato art. 11, a detta della difesa dello Stato, contempla un adeguato meccanismo di superamento del dissenso in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la Regione interessata. Il coinvolgimento delle istituzioni regionali è sì necessario, ma «non esiste un modulo unico». La Regione è chiamata ad esprimere una volontà “procedimentalizzata” al fine di partecipare «realmente e lealmente» al procedimento in questione. L’intesa “forte” non può arrestarsi al diniego, essendo indispensabile configurare un meccanismo di superamento della situazione di stallo che verrebbe così a determinarsi. Non si verserebbe, dunque, in una ipotesi di «atto sostitutivo di intesa», bensì di ripristino di un meccanismo davvero informato al principio di leale collaborazione.

10.7. – In merito alle questioni aventi per oggetto l’art. 13, l’Avvocatura dello Stato obietta che le impugnate disposizioni seguono ad un procedimento – ex art. 11 – per il quale già sono stati individuati i siti sia in astratto che in concreto «e si tratta di dare attuazione a quanto già accertato e deciso».

Diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, l’intesa forte è già contemplata per l’individuazione del sito, «che è tutto approvato per l’impianto». Sicché, «non avrebbe senso un’altra “intesa forte” per stabilire dove, nel sito approvato, vada in concreto allocato l’impianto».

10.8. – La questione di costituzionalità avente per oggetto l’art. 19, commi 1 e 2, sarebbe, a detta del Presidente del Consiglio dei ministri, infondata versandosi in un ambito, quale quello della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva dello Stato. Il legislatore statale ben può definire ed organizzare gli opportuni controlli tecnici volti a verificare il rispetto dei procedimenti in parola. Gli atti dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, ove ritenuti lesivi delle attribuzioni regionali, ben potrebbero essere impugnati con gli ordinari rimedi giurisdizionali.

10.9. – Quanto alla disattivazione degli impianti, di cui al censurato art. 20, comma 1, per l’Avvocatura dello Stato la ricorrente avrebbe dovuto, peraltro, impugnare l’art. 26 che meglio definisce le competenze della società Sogin s.p.a.

10.10. – La netta prevalenza delle competenze esclusive statali renderebbe, a detta della parte resistente, infondata la doglianza relativa all’art. 27, comma 6, giacché, quanto al trattamento dei rifiuti radioattivi, sarebbero comunque previste adeguate forme di coinvolgimento delle autorità regionali.

Analoghe conclusioni sono ribadite in merito alle altre denunciate previsioni dell’art. 27.

11. – Con memoria depositata fuori termine, Enel s.p.a. ha ribadito le proprie posizioni, anche alla luce di recenti pronunce di questa Corte.



Considerato in diritto

1. – Il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), è stato oggetto di tre distinti ricorsi regionali.

Più precisamente, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Puglia hanno censurato l’intero testo del decreto, lamentando la violazione dell’art. 76 Cost. e del principio di leale collaborazione. Le stesse Regioni e la Regione Toscana hanno, poi, impugnato alcune specifiche disposizioni, in relazione a molteplici parametri.

2. – Considerato che i ricorsi sono diretti in larga parte contro le medesime disposizioni e pongono questioni analoghe, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3. – Le questioni di costituzionalità sottoposte al sindacato di questa Corte dalle odierne ricorrenti possono essere ordinate in tre distinte aree tematiche, cui corrispondono altrettante doglianze generali: I) impugnazione dell’intero d.lgs. n. 31 del 2010; II) modalità di coinvolgimento delle Regioni; III) disciplina del potere sostitutivo.

3.1. – I) Nella prima area tematica (che verrà trattata, infra, nei paragrafi 5 e ss.) rientra l’impugnazione dell’intero decreto legislativo in oggetto ad opera delle Regioni Emilia-Romagna e Puglia, le quali lamentano la violazione dell’art. 76 Cost. e del principio di leale collaborazione non avendo il Governo previamente acquisito il parere della Conferenza unificata prescritto dall’art. 25, comma 1, della legge delega 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia).

3.2. – II) La seconda area tematica (che verrà trattata, infra, nei paragrafi 6 e ss.) abbraccia, in relazione a diverse disposizioni del d.lgs. n. 31 del 2010, le doglianze con cui si denuncia l’inadeguatezza del coinvolgimento delle Regioni nei diversi momenti in cui si articola il procedimento relativo alla localizzazione, alla realizzazione ed all’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi.

Più precisamente, sono censurati:

II.A.1) l’art. 4, secondo cui «la costruzione e l’esercizio di impianti nucleari sono considerate attività di preminente interesse statale e come tali soggette ad autorizzazione unica che viene rilasciata, su istanza dell’operatore e previa intesa con la Conferenza unificata, con decreto del Ministro della sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo», il quale violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, in quanto prevede l’intesa con la Conferenza unificata e non con la singola Regione interessata, pur trattandosi di una ipotesi di “chiamata in sussidiarietà” (Regione Toscana e Regione Puglia);

II.A.2) gli artt. 4 e 13, commi 10, 11 e 12, che prevedono l’autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio degli impianti nucleari e ne disciplinano la procedura, in quanto violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, dal momento che prevedono l’intesa con la Conferenza unificata e non con la singola Regione interessata (Regione Emilia-Romagna);

II.A.2.1) in subordine, gli stessi artt. 4 e 13, commi 10, 11 e 12, i quali violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, omettendo, in relazione alla autorizzazione unica, la previsione dell’intesa con la Regione interessata «nel quadro di una procedura corrispondente a quella prevista per la certificazione dei siti, ovviamente emendata dalle illegittimità costituzionali che anche in relazione ad essa sono state (...) lamentate» (Regione Emilia-Romagna);

II.B) l’art. 5, il quale prevede, al comma 1, che «gli operatori, anche in forma associata, devono essere in possesso delle capacità tecniche e professionali richieste dalle vigenti disposizioni, anche in materia di sicurezza, nonché disporre di adeguate risorse umane e finanziarie, comprovati in relazione alle attività da realizzare, comprese le attività di progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti nucleari, stoccaggio e gestione dei rifiuti radioattivi, anche nel rispetto delle raccomandazioni formulate dall’AIEA» (Regione Puglia) e, al comma 2, stabilisce che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dall’emanazione della delibera CIPE di cui all’articolo 26, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, sono definiti i criteri esplicativi dei requisiti di cui al comma 1, nonché le modalità per la dimostrazione del possesso dei requisiti stessi» (Regioni Emilia-Romagna e Puglia), contrasterebbe con:

- l’art. 76 Cost., in quanto, rinviando ad una fonte secondaria, violerebbe il principio e criterio direttivo di cui all’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, che invece demanderebbe ad una fonte primaria – il decreto legislativo – la determinazione dei «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione degli impianti» in oggetto, con ciò vulnerando le attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni, impossibilitate ad esprimere il previo parere in sede di Conferenza unificata (Regione Emilia-Romagna e Regione Puglia);

- gli artt. 117, 118 e 120 Cost., e con i princìpi di leale cooperazione e di sussidiarietà (Regione Puglia);

II.C.1) l’art. 8, in tema di definizione delle caratteristiche delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari, violerebbe gli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché i princìpi di sussidiarietà e leale collaborazione, in quanto il coinvolgimento delle Regioni limitato alla formulazione di meri pareri ne circoscriverebbe e depotenzierebbe in misura sostanziale la potestà decisionale (Regione Puglia);

II.C.2) l’art. 8, comma 3, nella parte in cui non prevede che la funzione amministrativa allocata in capo ad organi dello Stato debba essere esercitata mediante adeguate forme di partecipazione al procedimento delle Regioni, contrasterebbe con:

- gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, giacché il ruolo della Regione risulterebbe gravemente svilito in quanto è assimilato a quello di un qualunque cittadino che può presentare osservazioni allo schema in sede di consultazione pubblica, senza che sia prevista alcuna intesa per l’approvazione del decreto né con la Conferenza unificata né con le Regioni interessate (Regione Emilia-Romagna e Regione Toscana);

- l’art. 76 Cost., in quanto, nel prevedere l’emanazione di un decreto ministeriale, in luogo del decreto legislativo, deputato alla definizione dei criteri tecnici da seguire per l’individuazione delle aree destinate alla localizzazione degli impianti nucleari, rappresenta un esercizio del potere delegato palesemente difforme da quanto espressamente previsto all’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, tale da vulnerare le attribuzioni regionali (Regione Emilia-Romagna);

II.C.3) l’art. 9, comma 1, ai sensi del quale «la Strategia nucleare di cui all’articolo 3, insieme ai parametri sulle caratteristiche ambientali e tecniche delle aree idonee ai sensi del comma 3 dell’articolo 8, è soggetta alle procedure di valutazione ambientale strategica ai sensi e per gli effetti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nonché al rispetto del principio di giustificazione di cui alla Direttiva 96/29/EURATOM del Consiglio del 13 maggio 1996», in combinato disposto con l’art. 8, comma 3, dello stesso d.lgs., violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., dal momento che non è prevista alcuna forma di coinvolgimento o collaborazione con le Regioni interessate determinandosi, quindi, un’illegittima compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente previste (Regione Emilia-Romagna);

II.D) l’art. 19, commi 1 e 2, nella parte in cui non prevede il “concerto” con la Regione interessata «o quantomeno» il parere della Conferenza unificata, in ordine alle prescrizioni tecniche e di esecuzione per il trattamento dei rifiuti radioattivi, lederebbe gli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di leale collaborazione:

- non avendo l’impugnata disposizione previsto alcuna forma di collaborazione o coinvolgimento delle istanze territoriali, pur versandosi in ambiti materiali di competenza regionale;

- essendovi una illegittima attrazione della competenza a livello statale a disciplinare la materia sia sotto il profilo normativo sia della regolamentazione delle funzioni amministrative ex art. 118 Cost.;

- non essendovi alcuna previsione di forme di raccordo e integrazione, in nome del principio di leale collaborazione, fra i diversi soggetti coinvolti ed interessati dall’attività disciplinata dall’art. 19 (Regione Emilia-Romagna);

II.E) l’art. 20, commi 1 e 2, nella parte in cui non prevede l’intesa con la Regione interessata, «o quantomeno» il “concerto” della Conferenza unificata, circa le modalità tecniche di disattivazione degli impianti nucleari, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, essendo precluso allo Stato escludere le Regioni in ordine all’assunzione di decisioni e modalità operative che direttamente influiscono sulla loro sfera di competenza (Regione Emilia-Romagna, quanto al comma 1; Regione Toscana, quanto al comma 2);

II.F.1) l’art. 27, comma 6, nella parte in cui non prevede l’intesa con la Conferenza unificata e con la Regione interessata, ai fini dell’approvazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico, contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione (Regione Emilia-Romagna);

II.F.2) l’art. 27, comma 6, nella parte in cui affida ad un decreto ministeriale, su parere dell’Agenzia, l’approvazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico, violerebbe l’art. 76 Cost., posto che l’art. 25 della legge n. 99 del 2009 imporrebbe di provvedere con il decreto delegato (Regione Emilia-Romagna);

II.G) l’art. 27, comma 11, nella parte in cui non prevede l’intesa con la Conferenza unificata ai fini della individuazione del sito per la realizzazione del parco tecnologico, violerebbe il principio di leale collaborazione (parametro non richiamato espressamente), «essendo fuori discussione l’interesse delle Regioni a partecipare alla corretta scelta del sito» (Regione Emilia-Romagna);

II.H) l’art. 27, commi 14, 15 e 16, nella parte in cui non vi si prevede l’intesa con la Conferenza unificata, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica relativa al Parco tecnologico, violerebbe il principio di leale collaborazione (parametro non richiamato espressamente), alla luce dei medesimi rilievi formulati in merito all’art. 27, comma 11 (Regione Emilia-Romagna).

3.3. – Infine, la terza area tematica (che verrà trattata, infra, nei paragrafi 7 e ss.) racchiude le questioni di costituzionalità relative alle diverse previsioni del d.lgs. n. 31 del 2010 afferenti al superamento del dissenso regionale in relazione alle intese con lo Stato.

Più precisamente, sono impugnati:

III.A) l’art. 11, il quale: al comma 6 disciplina il procedimento per la certificazione dei siti prevedendo in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la Regione interessata la costituzione un comitato interistituzionale composto da 3 membri di nomina ministeriale e di un rappresentante della Regione e disponendo che, ove l’intesa non sia raggiunta, viene emanato un decreto del Presidente della Repubblica sostitutivo dell’intesa (tutte le ricorrenti); al comma 7, prevede che l’intesa, ovvero il d.P.R. sostitutivo di essa operano anche in deroga ai Piani energetico ambientali delle Regioni interessate dalla localizzazione degli impianti (Regione Puglia e Regione Toscana); al comma 8, prevede che in caso di mancato raggiungimento dell’intesa con la Conferenza unificata sull’elenco dei siti certificati, il dissenso è superato con deliberazione motivata del Consiglio dei ministri (Regione Puglia e Regione Toscana), contrasterebbe con gli artt. 117, 118 e 120 Cost., in quanto, introducendo meccanismi di superamento unilaterale e imperativo del dissenso, non attribuisce alcun rilievo alla volontà delle Regioni pur vertendosi in materie di potestà concorrente in relazione alle quali sarebbe necessaria la codeterminazione paritaria del contenuto finale dell’atto e in quanto il potere sostitutivo non sarebbe ammesso per superare il mancato raggiungimento dell’intesa (Regione Toscana); contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in quanto comprimerebbe le potestà normative programmatorie e amministrative regionali anche in materia ambientale ove vigono i principi di sussidiarietà e leale collaborazione ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) (Regione Puglia);

III.A.1) in via subordinata, l’art. 11, comma 6, nella parte in cui prevede il potere di acquisizione forzata dell’intesa anche nelle ipotesi in cui questa non sia raggiunta anche a causa della mancata collaborazione dello Stato, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., dal momento che il meccanismo paritetico ivi previsto sarebbe vanificato (Regione Emilia-Romagna);

III.A.2) in via subordinata, l’art. 11, comma 6, nella parte in cui prevede che il potere sostitutivo statale si traduca nell’adozione dell’intesa mediante atto unilaterale, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Emilia-Romagna);

III.A.3) l’art. 11, comma 6, nella parte in cui rimette la definizione delle modalità di funzionamento del Comitato interistituzionale ad un decreto ministeriale previo parere della Conferenza unificata, anziché previa intesa con la stessa, contrasterebbe con gli artt. 117 e 118 Cost. in quanto la definizione delle modalità di funzionamento di un organismo paritetico non possono essere lasciate alla determinazione di una sola parte (Regione Emilia-Romagna);

III.B) l’art. 11, comma 10, il quale impone alle Regioni l’obbligo di adeguare il proprio Piano energetico ambientale entro 12 mesi dalla pubblicazione del decreto di approvazione dell’elenco dei siti, anche nel caso in cui sia adottato il decreto sostitutivo dell’intesa, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. e l’assetto delle attribuzioni ivi stabilito, attribuendo effetti «modificativi cogenti» ad un atto unilaterale per materie di potestà concorrente (Regione Toscana e Regione Puglia);

III.C) l’art. 13, commi 11 e 12, che, con riferimento all’autorizzazione unica per la costruzione ed l’esercizio degli impianti nucleari e lo stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi prevede un potere sostitutivo statale per il caso di mancato raggiungimento dell’intesa su tale autorizzazione, contrasterebbe con:

- gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., in quanto determina un sostanziale svuotamento dell’intesa in senso forte con la Regione interessata, necessaria – secondo la giurisprudenza costituzionale – a garantire la legittimità della “chiamata in sussidiarietà” a livello statale di funzioni amministrative in materie di competenza concorrente, e prevede il superamento unilaterale e imperativo del dissenso (Regione Toscana e Regione Puglia);

- l’art. 120 Cost., in quanto introduce ipotesi di potere sostitutivo straordinario fuori dei presupposti costituzionali per i quali è necessario il previo inadempimento di un’attività prevista come obbligatoria, mentre tale non può considerarsi l’intesa (Regione Toscana);

III.D) l’art. 27, nella parte in cui disciplina la procedura per il superamento del mancato raggiungimento dell’intesa con le Regioni interessate sulla localizzazione del Parco tecnologico, dapprima attraverso la nomina di un Comitato interistituzionale, e poi mediante l’adozione di un d.P.R. sostitutivo dell’intesa (commi 7 e 8), e nella parte in cui sulla proposta di aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco prevede un’intesa meramente eventuale con la Conferenza unificata (comma 9), contrasterebbe con:

- gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione in quanto opererebbe un «sostanziale svuotamento» delle intese in ipotesi di “chiamata in sussidiarietà” di funzioni amministrative (Regioni Toscana ed Emilia-Romagna);

- l’art. 120 Cost. in quanto introdurrebbe ipotesi di potere sostitutivo straordinario fuori dei presupposti costituzionali per i quali è necessario il previo inadempimento di un’attività prevista come obbligatoria, mentre tale non può considerarsi l’intesa (Regione Toscana);

III.E) l’art. 27, comma 8, nella parte in cui rimette la definizione delle modalità di funzionamento del Comitato interistituzionale ad un decreto ministeriale previo parere della Conferenza unificata, anziché previa intesa con la stessa, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la definizione delle modalità di funzionamento di un organismo paritetico non possono essere lasciate alla determinazione di una sola parte (Regione Emilia-Romagna);

III.E.1) in subordine, l’art. 27, comma 8, nella parte in cui prevede il potere di acquisizione forzata dell’intesa anche nelle ipotesi in cui questa non sia raggiunta anche a causa della mancata collaborazione dello Stato, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. dal momento che il meccanismo paritetico ivi previsto sarebbe vanificato (Regione Emilia-Romagna);

III.E.2) in subordine, l’art. 27, comma 8, nella parte in cui prevede che il potere sostitutivo statale si traduca nell’adozione dell’intesa mediante atto unilaterale, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Emilia-Romagna);

III.F) l’art. 27, comma 15, nella parte in cui, in relazione alla fase autorizzatoria per la costruzione e l’esercizio del deposito nazionale e delle opere connesse, limita il ruolo delle Regioni alla partecipazione dei lavori della conferenza di servizi, contrasterebbe con l’art. 120 Cost. in quanto prevede un potere sostitutivo straordinario del Governo fuori dei presupposti ivi delineati (Regione Toscana).

4. – In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento spiegato dall’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS e dall’Enel s.p.a., alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui «il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d’azione si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (sentenza n. 278 del 2010).

5. – Pregiudiziale rispetto alle altre questioni di legittimità costituzionale (in quanto il suo accoglimento determinerebbe l’assorbimento di tutte le altre) è la doglianza inclusa nell’area tematica I), relativa alla impugnazione del d.lgs. n. 31 del 2010 nella sua interezza.

Il contestato eccesso di delega legislativa, unitamente alla asserita violazione del principio di leale collaborazione, discenderebbe, a detta delle ricorrenti, dalla mancata acquisizione del previo parere della Conferenza unificata, come prescritto dall’art. 25, comma 1, della legge delega n. 99 del 2009.

5.1. – La questione non è fondata.

5.2. – Ai sensi della disposizione ora richiamata, i decreti legislativi volti a disciplinare l’oggetto definito dalla stessa legge delega, sono adottati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, e successivamente delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario».

Come risulta dal preambolo del decreto in oggetto, si è «preso atto che la seduta del 27 gennaio 2010 della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modifiche e integrazioni, al cui ordine del giorno era iscritto il presente decreto legislativo, non si è tenuta».

Dallo stesso preambolo risulta, altresì, che il Governo ha «ritenuto di adeguare il testo alle osservazioni del Consiglio di Stato» e che ha acquisito i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Come rilevato dalle ricorrenti, l’omessa acquisizione del parere risulta confermata dal parere espresso dal Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, 8 febbraio 2010, n. 443. La stessa Sezione ritiene, peraltro, «di rendere ugualmente l’avviso ad essa richiesto, in considerazione dell’imminente scadenza del termine per l’esercizio della delega da parte del Governo, non senza sottolineare, però, che lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso a ridosso di detta scadenza sì da non consentire a questo Consiglio di Stato di disporre integralmente dello spatium deliberandi, che il legislatore ha inteso ad esso riservare in ragione della delicatezza e della rilevanza della funzione consultiva affidatagli in subiecta materia».

5.3. – La Regione Emilia-Romagna sostiene che il Parlamento sia legittimato a porre «limiti ulteriori» al legislatore delegato, «segnatamente di carattere procedurale, e che se tali ulteriori limiti e prescrizioni sono violati ne risulta affetto sul piano della legittimità costituzionale l’intero decreto legislativo».

La stessa ricorrente osserva che il legislatore delegante ha definito anche l’ordine di acquisizione di pareri, «palesemente posti allo stesso livello di obbligatorietà […] evidentemente allo scopo che le Commissioni parlamentari potessero dare il proprio parere anche in relazione alle osservazioni della Conferenza unificata».

La difesa regionale fa, al riguardo, notare che, non avendo avuto luogo la riunione del 27 gennaio 2010, non risulta che il Governo abbia provveduto a riconvocare la Conferenza per una successiva riunione, né prima né dopo la trasmissione dello schema di decreto legislativo alle Commissioni parlamentari.

Analoghi sono i rilievi formulati dalla Regione Puglia.

Dal canto suo, la difesa dello Stato sottolinea che la Conferenza unificata, appositamente convocata, «è andata deserta». Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, «lo Stato aveva l’obbligo di convocare la Conferenza, non quello di “costringere” i suoi componenti ad intervenire e a parlare».

5.4. – In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione in esame, sollevata dall’Avvocatura dello Stato alla luce della estraneità del parametro evocato dalle regole di riparto delle competenze tra Stato e Regioni.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, le Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi rispetto a quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo se la lamentata violazione determini una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni (si vedano, tra le più recenti, le sentenze n. 156, n. 52 e n. 40 del 2010, nonché n. 341 del 2009).

Nel solco tracciato da questa giurisprudenza si colloca anche la posizione assunta da questa Corte in merito alla impugnazione, da parte delle Regioni, di decreti legislativi per asserita violazione dell’art. 76 Cost.: le doglianze regionali basate sull’art. 76 Cost. «richiedono, per essere ammissibili, che la lamentata violazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati dalla legge delega, da parte del legislatore delegato, sia suscettibile di comprimere le attribuzioni regionali» (sentenza n. 250 del 2009; dello stesso tenore le sentenze n. 303 del 2003; n. 353 del 2001; n. 503 del 2000; n. 408 del 1998 e n. 87 del 1996).

Le odierne ricorrenti hanno sufficientemente motivato in ordine ai profili di una «possibile ridondanza su tale riparto» della censura da esse prospettata (sentenza n. 52 del 2010). E le medesime Regioni hanno assolto all’onere di operare la «necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione» (sentenza n. 250 del 2009).

Infatti, esse sostengono che il principio direttivo, di cui all’evocato parametro interposto, che impone il coinvolgimento della Conferenza unificata, sarebbe preordinato a presidiare le attribuzioni regionali in una materia concorrente, quale quella della produzione di energia, incisa dalla disciplina in oggetto (sentenza n. 278 del 2010). La Conferenza è, in verità, «una delle sedi più qualificate per l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale collaborazione» (sentenza n. 31 del 2006).

5.5. – In effetti, venendo ad esaminare il merito della censura, si osserva che il legislatore delegante è legittimato a porre, a carico del legislatore delegato, limiti ulteriori – e non meno cogenti – rispetto a quelli fissati dall’art. 76 Cost. (sentenze n. 27 del 1970 e n. 38 del 1964).

Il vincolo procedurale posto dall’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, è diretta espressione del principio di leale collaborazione. L’intreccio degli interessi e, conseguentemente, delle attribuzioni dei diversi livelli di governo, in un ambito composito e multiforme quale quello dell’energia nucleare (sentenza n. 278 del 2010), giustifica, ove il legislatore delegante la reputi opportuna, la configurazione di momenti di confronto con il sistema regionale. Nel caso di specie, la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata risponde all’esigenza, costituzionalmente apprezzabile, di favorire uno scambio dialettico tra le istituzioni a vario titolo incise dalle opzioni normative destinate ad operare in questo ambito (sentenza n. 383 del 2005 sulla Conferenza unificata come organo adeguatamente rappresentativo delle Regioni e degli enti locali).

Ora, è ben vero che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, «le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione» (sentenza n. 278 del 2010; v. pure la sentenza n. 437 del 2001).

Al tempo stesso, è altrettanto vero che questa Corte ha già avuto occasione di precisare che «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che incidono su materie di competenza regionale è costituito dal sistema delle Conferenze» (sentenza n. 401 del 2007). Peraltro, «affinché il mancato coinvolgimento di tale Conferenza, pur previsto da un atto legislativo di rango primario, possa comportare un vulnus al principio costituzionale di leale cooperazione, è necessario che ricorrano i presupposti per la operatività del principio stesso e cioè, in relazione ai profili che vengono in rilievo in questa sede, la incidenza su ambiti materiali di pertinenza regionale» (sentenza n. 401 del 2007).

Nel caso di specie, il Parlamento, nella veste di legislatore delegante, ha declinato il canone della leale collaborazione in termini di attività consultiva della Conferenza unificata, proprio nella consapevolezza della attitudine delle emanande previsioni del decreto delegato ad incidere in settori di competenza regionale. L’osservanza di tale vincolo si pone quale condizione di legittimità costituzionale del decreto delegato che, se non soddisfatta, ridonda sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni.

Da ciò discende, peraltro, la possibilità di scrutinare la questione in oggetto combinando i due parametri – l’art. 76 Cost. ed il principio di leale collaborazione – evocati dalle ricorrenti.

5.6. – Ora, la previsione di un parere, quale espressione del principio di leale collaborazione, esige che le parti della relazione che si viene così ad instaurare si conformino, nei rispettivi comportamenti, a tale principio. Chi richiede il parere deve mettere il soggetto consultato nelle condizioni di esprimersi a ragion veduta: dunque, trasmettendo l’atto oggetto di parere e concedendo un ragionevole lasso di tempo per la formulazione del giudizio. Nel contempo, il soggetto consultato deve provvedere diligentemente ad analizzare l’atto e ad esprimere la propria valutazione nel rispetto del termine fissato.

Siffatta lettura del canone della leale collaborazione ha trovato riscontro in relazione ad una pregressa questione di costituzionalità per certi versi analoga a quella oggetto del presente giudizio. In tale occasione, questa Corte ha statuito che «in assenza di un preciso termine legale (minimo o massimo) ed una volta stabilito che quello in concreto concesso alla Conferenza unificata sia stato non incongruo, deve, d’altra parte, escludersi che tale Conferenza possa rifiutarsi di rendere il parere e con ciò procrastinare il termine, giacché si verrebbe a configurare un potere sospensivo o addirittura di veto in capo alla Conferenza, non conciliabile con la attribuzione costituzionale al Governo del potere legislativo delegato» (sentenza n. 225 del 2009).

Dai dati acquisiti nel corso del presente giudizio, si evince che la Conferenza unificata è stata convocata per il 27 gennaio 2010, alle ore 17.00, con atto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 2010, dopo che lo schema di decreto legislativo era stato licenziato il 22 dicembre 2009.

Nella stessa riunione del 22 gennaio 2010, il Consiglio dei ministri ha deliberato l’attivazione della procedura in via di urgenza, a norma dell’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 281 del 1997, a mente del quale «in caso di motivata urgenza» i provvedimenti adottati sono sottoposti all’esame della Conferenza Stato-regioni in un momento successivo.

Il 27 gennaio 2010, alle ore 10.00, è stata convocata la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome per svolgere, tra l’altro, l’«esame delle questioni all’o.d.g. della Conferenza unificata prevista per lo stesso giorno». In quella circostanza, la Conferenza delle Regioni ha formulato «parere negativo a maggioranza, sullo schema di decreto legislativo, attesa la pendenza dei giudizi di costituzionalità sulla norma di legge delega di cui è attuazione».

Di seguito, un comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 gennaio 2010 ha annunciato che la Conferenza unificata non avrebbe avuto luogo.

Dalla suesposta ricostruzione dei fatti si evince che le istanze regionali sono state rappresentate al Governo in modo irrituale, ossia al di fuori della sede a ciò deputata ex art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009 – nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e non nella Conferenza unificata – e che tale sia la ragione che ha convinto, non implausibilmente, il Governo a soprassedere, in base alla certezza che la Conferenza unificata non avrebbe potuto adottare una deliberazione ai sensi dell’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 281 del 1997.

Non risulta a questa Corte che le Regioni abbiano lamentato la incongruità del lasso temporale concesso alle medesime per esprimersi sullo schema del decreto legislativo. Né un simile rilievo è stato mosso negli odierni ricorsi ove si lamenta la mancata acquisizione del parere della Conferenza unificata. Anzi, la circostanza che sia stato espresso, sia pure in modo irrituale, un parere è il sintomo di una pregressa opera di documentazione e di studio («anche tenuto conto dell’iter istruttorio fin qui svolto», come si legge nella “deliberazione” della Conferenza delle Regioni).

La doglianza è, perciò, priva di fondamento.

6. – La seconda area tematica racchiude le questioni di costituzionalità avvinte dalla comune doglianza generale circa l’inadeguato coinvolgimento delle Regioni.

6.1. – L’itinerario da seguire nel sindacato delle suesposte questioni è stato tracciato dalla sentenza n. 278 del 2010, relativa alla legge delega.

Quanto all’inquadramento materiale della disciplina in oggetto, giova premettere che, secondo questa Corte, è «evidente che le disposizioni impugnate incidono essenzialmente sugli interessi relativi alla materia concorrente della produzione dell’energia, poiché esprimono la scelta del legislatore statale di rilanciare l’importante forma di approvvigionamento energetico costituita dalla utilizzazione dell’energia nucleare e quindi di adottare nuovi princìpi fondamentali, adeguati alle evidenti specificità di questo settore» (sentenza n. 278 del 2010, punto 12 del Considerato in diritto).

Premesso ciò, quanto alla lamentata omissione, da parte della legge delega n. 99 del 2009, di congrue forme di coinvolgimento e di partecipazione delle Regioni, questa Corte dichiarò le questioni inammissibili.

Invero, il silenzio serbato sul punto dal legislatore delegante non aveva, alla luce della doverosa interpretazione costituzionalmente conforme della delega, il significato ostativo paventato dalle ricorrenti. A fronte della omessa previsione di una adeguata forma di partecipazione regionale, per questa Corte «il coinvolgimento delle Regioni interessate si impone con forza immediata e diretta al legislatore delegato, ove intenda esercitare la funzione legislativa. Certamente, il legislatore è poi libero, e talvolta anche obbligato costituzionalmente, nell’attività di ulteriore rafforzamento delle istanze partecipative del sistema regionale e degli enti locali, per la quale, quando l’interesse in gioco non sia accentrato esclusivamente in capo alla singola Regione, ben si presta l’intervento della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato - città ed autonomie locali» (sentenza n. 278 del 2010, punto 13 del Considerato in diritto).

Nell’ipotesi di attrazione in sussidiarietà, in particolare, questa Corte ha osservato come sia «oramai principio acquisito nel rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale che quest’ultima possa venire spogliata della propria capacità di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, a condizione che ciò si accompagni alla previsione di un’intesa in sede di esercizio della funzione, con cui poter recuperare un’adeguata autonomia, che l’ordinamento riserva non già al sistema regionale complessivamente inteso, quanto piuttosto alla specifica Regione che sia stata privata di un proprio potere (sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003)» (sentenza n. 278 del 2010, punto 13 del Considerato in diritto).

6.2. – Le questioni sub II.A.1), II.A.2) e II.A.2.1) possono essere esaminate insieme avendo ad oggetto censure analoghe.

6.2.1. – L’art. 4 del d.lgs. n. 31 del 2010 è impugnato nella parte in cui, relativamente al rilascio dell’autorizzazione unica alla costruzione ed all’esercizio degli impianti nucleari con decreto del Ministro della sviluppo economico (di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), non prevede l’intesa con la singola Regione interessata.

La sola Regione Emilia-Romagna, poi, censura, lamentando il medesimo vizio, l’art. 4 unitamente all’art. 13, commi 10, 11 e 12, che disciplina la procedura di rilascio della suddetta autorizzazione.

6.2.2. – L’impianto normativo edificato dal legislatore statale si regge su presupposti frutto della combinazione dei molteplici elementi che compongono la materia della produzione dell’energia, con particolare riferimento all’energia nucleare.

Uno di essi è il principio di leale collaborazione, le cui potenzialità precettive si manifestano compiutamente negli ambiti di intervento nei quali s’intrecciano interessi ed esigenze di diversa matrice. Invero, questa fitta trama di rapporti tra interessi statali, regionali e locali determina, sul versante legislativo, una «concorrenza di competenze» (sentenza n. 50 del 2005), cui consegue l’applicazione di quel «canone della leale collaborazione, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sentenze n. 278 del 2010; n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005).

L’intera attività preordinata alla localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica nucleare e, quindi, alla costruzione ed all’esercizio dei medesimi, risulta scandita, nella sua conformazione normativa, da molteplici momenti di attuazione del principio di leale collaborazione, secondo un disegno che rispecchia i diversi livelli di compenetrazione e di condizionamento reciproco tra interessi unitari e interessi territoriali. E ciò si verifica già a livello di definizione della disciplina legislativa, atteso che – come si è visto – l’esercizio della delega impone la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.

La costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari sono assoggettati ad una autorizzazione unica di competenza statale, rilasciata previa intesa con la Conferenza unificata: così prevede l’art. 4 del d.lgs. n. 31 del 2010, in attuazione dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009.

Il rilascio di tale provvedimento presuppone l’individuazione delle aree potenzialmente destinate alla localizzazione degli impianti nucleari, che, a mente dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. in parola, deve seguire i criteri tecnici «in linea con le migliori pratiche internazionali, atti ad assicurare adeguati livelli di sicurezza a tutela della salute della popolazione e della protezione dell’ambiente».

Lo stesso art. 8 prevede la definizione, sempre in ambito ministeriale, dello schema di parametri esplicativi dei suddetti criteri. Detto schema è poi pubblicato, a norma del comma 2 dell’art. 8, nei siti telematici dei Ministeri quivi indicati e dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, affinché le Regioni, nonché gli enti locali e i soggetti portatori di interessi qualificati, possano formulare osservazioni e proposte tecniche.

A ciò segue, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 31 del 2010, l’avvio del procedimento unico preordinato al rilascio della suddetta autorizzazione, attraverso la presentazione, da parte dell’operatore interessato, dell’istanza per la certificazione di uno o più siti da destinare all’insediamento di un impianto nucleare.

Una volta effettuata l’istruttoria, da parte della summenzionata Agenzia, il Ministro dello sviluppo economico sottopone ciascuno dei siti certificati «all’intesa della Regione interessata, che si esprime previa acquisizione del parere del comune interessato» (art. 11, comma 5).

Al termine della procedura appena succintamente descritta, lo stesso Ministro dello sviluppo economico trasmette alla Conferenza unificata l’elenco dei siti certificati, sui quali è stata espressa l’intesa regionale oppure, in caso di mancata intesa, sia stato emanato il decreto sostitutivo della stessa di cui all’art. 11, comma 6.

Acquisita l’intesa della Conferenza unificata, è adottato, a livello ministeriale, il decreto di approvazione dell’elenco dei siti certificati. Con il medesimo decreto ciascun sito certificato ed approvato è dichiarato di interesse strategico nazionale, ed il diritto di svolgere le attività in oggetto è attribuito in via esclusiva all’operatore richiedente (art. 11, comma 9, del d.lgs. n. 31 del 2010).

Come dispone il successivo comma 11 dello stesso art. 11, per ciascun sito certificato l’operatore interessato deve presentare l’istanza di rilascio dell’autorizzazione unica entro un determinato termine, secondo la procedura di cui all’art. 13. Al compimento dell’istruttoria, l’Agenzia per la sicurezza nucleare rilascia parere vincolante al Ministero dello sviluppo economico che indice una conferenza di servizi con l’Agenzia stessa, i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali interessati e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni coinvolti (art. 13, comma 10).

6.2.3. – La potenziale attitudine del singolo impianto nucleare, per quanto materialmente localizzato in un determinato territorio, a incidere sugli interessi e sui beni di comunità territoriali insediate anche in altri ambiti regionali, giustifica la previsione – ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica – dell’intesa con la Conferenza unificata, quale sede privilegiata per la rappresentazione delle istanze e delle esigenze proprie di tutti i livelli di governo coinvolti.

Sicché, il meccanismo concertativo adottato dal legislatore delegato va, nel caso di specie, valutato unitariamente alla luce della circostanza che la partecipazione della singola Regione interessata si è già realizzata nella fase anteriore della certificazione dei siti in relazione alla quale è necessaria l’acquisizione dell’intesa, appunto, con ciascuna delle Regioni il cui territorio risulti idoneo alla localizzazione dell’impianto.

Per contro, la previsione dell’intesa con la Regione interessata anche nella fase di rilascio dell’autorizzazione – come prospettato dalle ricorrenti – costituirebbe un onere procedimentale destinato soltanto ad aggravare l’attività amministrativa preordinata al rilascio dell’autorizzazione unica, in modo del tutto sproporzionato rispetto alle esigenze di partecipazione e di codecisione paritaria già adeguatamente appagate dall’intesa con la Conferenza unificata e, comunque, preceduta dall’intesa con la Regione interessata.

Pur in questo contesto la Regione interessata deve essere adeguatamente coinvolta nel procedimento.

Un adeguato meccanismo di rappresentazione del punto di vista della Regione interessata, che ragionevolmente bilanci le esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa e gli interessi locali puntualmente incisi, è costituito dal parere obbligatorio, seppur non vincolante, della Regione stessa. Attraverso tale consultazione mirata, la Regione è messa nelle condizioni di esprimere la propria definitiva posizione, distinta nella sua specificità da quelle che verranno assunte, in sede di Conferenza unificata, dagli altri enti territoriali.

Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 nella parte in cui non prevede che la Regione interessata, anteriormente all’intesa con la Conferenza unificata, esprima il proprio parere in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari.

A seguito di tale declaratoria, risulta non fondata la censura prospettata riguardo all’art. 13, commi 10, 11 e 12 dalla Regione Emilia-Romagna.

6.3. – Le questioni sub II.B), hanno per oggetto l’art. 5 del d.lgs. n. 31 del 2010.

Preliminarmente, deve essere dichiarata inammissibile la censura prospettata dalla Regione Puglia relativamente all’art. 5, comma 1, dal momento che il ricorso non reca alcuna motivazione al riguardo.

Analogamente, inammissibile è la censura formulata dalla medesima ricorrente con riguardo al comma 2 dell’art. 5 per violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost. e dei principi di leale cooperazione e di sussidiarietà, dal momento che anch’essa è del tutto priva di motivazione ( ex plurimis, sentenze n. 200, n. 119 e n. 45 del 2010).

6.3.1. – La questione sub II.B), avente per oggetto l’art. 5, comma 2, prospettata dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 76 Cost., non è fondata.

6.3.1.1. – Le ricorrenti lamentano l’illegittimo divario tra la legge delega ed il decreto legislativo quanto alla individuazione dei requisiti soggettivi degli operatori del settore.

L’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, prevede che il Governo definisca i «requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione degli impianti di cui al primo periodo» attraverso i «medesimi decreti» legislativi di riassetto normativo nell’ambito materiale qui considerato.

Dal canto suo, il censurato art. 5, comma 2, prevede che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da emanarsi entro 30 giorni dall’emanazione della delibera CIPE di cui all’articolo 26, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, sono definiti i criteri esplicativi dei requisiti di cui al comma 1, nonché le modalità per la dimostrazione del possesso dei requisiti stessi».

Secondo le ricorrenti, la devoluzione ad una fonte secondaria della definizione dei predetti requisiti precluderebbe alla Conferenza unificata di esprimere il previo parere contemplato, come si è visto, dallo stesso art. 25, comma 1, per l’adozione dei decreti legislativi in parola.

6.3.1.2. – In via preliminare, questa Corte ribadisce quanto già statuito in precedenza circa l’ammissibilità della doglianza, seppur prospettata in relazione ad un parametro estraneo alle regole di riparto delle competenze tra Stato e Regioni (v., supra, punto 5.4.). Le ricorrenti hanno, infatti, motivato in ordine alla ridondanza del lamentato vizio sulle rispettive attribuzioni costituzionalmente garantite.

6.3.1.3. – Venendo al merito, si osserva che, diversamente dal ragionamento sviluppato dalle ricorrenti, il Governo, con l’art. 5 – complessivamente considerato – ha svolto quanto contenuto nella delega.

Il comma 1 dell’art. 5, invero, stabilisce che gli operatori «devono essere in possesso delle capacità tecniche e professionali richieste dalle vigenti disposizioni, anche in materia di sicurezza, nonché disporre di adeguate risorse umane e finanziarie, comprovate in relazione alle attività da realizzare, comprese le attività di progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti nucleari, stoccaggio e gestione dei rifiuti radioattivi, anche nel rispetto delle raccomandazioni formulate dall’AIEA».

Mentre il denunciato comma 2 demanda ad un decreto interministeriale la definizione dei «criteri esplicativi» di questi requisiti, nonché delle «modalità per la dimostrazione del possesso dei requisiti stessi», il successivo comma 3 fissa, in maniera analitica, una serie di divieti allo svolgimento delle attività in oggetto.

Il comma 4, poi, ammette a dichiarazione sostitutiva l’attestazione, da parte dell’operatore, della insussistenza delle condizioni ostative, mentre il comma 5 di chiusura rinvia ad una fonte puntuale – l’art. 43 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. Testo A) – per le modalità di svolgimento della verifica relativa alle predette condizioni ostative.

L’art. 5 ha, dunque, individuato, almeno in parte significativa, i requisiti soggettivi. Detta disposizione, invero, ha dapprima posto una condizione generale: il possesso delle capacità tecniche e professionali richieste dalle vigenti disposizioni, anche in materia di sicurezza, nonché la disponibilità di adeguate risorse umane e finanziarie, comprovate in relazione alle attività da realizzare. Poi, ha enunciato le condizioni ostative allo svolgimento delle attività in oggetto.

Il decreto interministeriale, nel definire i «criteri esplicativi», dovrà limitarsi a disciplinare, nell’estremo dettaglio, norme già autosufficienti, peraltro in modo compatibile con gli evocati princìpi di cui all’art. 20 della legge n. 59 del 1997, trattandosi di fonte che, per la sue caratteristiche, ben potrebbe in tempi rapidi adeguare (nell’estremo dettaglio) le scelte compiute dal decreto delegato all’evoluzione del settore.

6.4. – La questione sub II.C.1) avente ad oggetto l’art. 8 prospettata dalla Regione Puglia in relazione agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà deve essere dichiarata inammissibile.

Essa, infatti, è priva di qualunque motivazione, atteso che l’art. 8 è meramente evocato nell’epigrafe e nella parte finale del ricorso.

6.5. – La censura sub II.C.2), relativa all’art. 8, comma 3, sollevata in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, non è fondata.

Come evidenziato in precedenza, l’art. 8 disciplina le modalità di predisposizione dello «schema dei parametri esplicativi dei criteri tecnici» per la individuazione delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione degli impianti nucleari.

Detti criteri tecnici sono volti a garantire, «in linea con le migliori pratiche internazionali», adeguati livelli di sicurezza a tutela della salute e dell’ambiente. A tal fine, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero per i beni e le attività culturali definisce, su proposta dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, uno schema di parametri esplicativi dei criteri tecnici, in relazione ai profili di cui all’art. 8, comma 1, del presente decreto legislativo.

In relazione al predetto schema, le Regioni, al pari degli enti locali e dei soggetti portatori di interessi qualificati, sono legittimati a formulare osservazioni e proposte tecniche.

Le ricorrenti lamentano l’inadeguatezza del coinvolgimento regionale nello svolgimento di tale procedura.

In realtà, la peculiare e infungibile posizione della Regione interessata all’insediamento dell’impianto nucleare si esprime, ai sensi dell’art. 11, comma 5, del d.lgs. n. 31 del 2010, attraverso l’intesa sulla certificazione del sito. Essa, cioè, trova specifica considerazione nella fase successiva alla elaborazione dei criteri tecnici, cioè nella fase in cui concretamente deve essere individuato il sito potenzialmente idoneo per l’insediamento degli impianti nucleari. Ciò a condizione che lo schema dei parametri esplicativi non sia così dettagliato da privare la Regione di ogni ulteriore spazio di codeterminazione paritaria dell’atto. Ove tale condizione non dovesse risultare soddisfatta, detto schema potrà essere impugnato, se del caso anche innanzi a questa Corte con lo strumento del conflitto di attribuzione.

Pertanto – contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti – il coinvolgimento della Regione interessata, alla luce di una valutazione complessiva dell’intero procedimento – come, del resto, già tratteggiata in precedenza – trova una adeguata forma di realizzazione.

6.5.1. – Inammissibile è la questione sub II.C.2) avente ad oggetto l’art. 8, comma 3, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna in relazione all’art. 76 Cost.

Secondo la ricorrente, il legislatore delegato, anziché disciplinare con decreti legislativi l’individuazione dei criteri tecnici da seguire per l’individuazione delle aree destinate all’insediamento degli impianti di produzione dell’energia nucleare secondo quanto previsto dall’art. 25 della legge delega n. 99 del 2009, con la disposizione impugnata, ha affidato tale individuazione ad un decreto interministeriale. In tal modo sarebbero lese le prerogative regionali, in quanto il rinvio ad una fonte normativa secondaria escluderebbe la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.

Questa Corte esclude che sussista la asserita ridondanza della lesione del parametro evocato sulle competenze regionali.

La legge delega, infatti, impone l’acquisizione del parere della Conferenza unificata sul testo dei decreti legislativi, senza però precludere ai decreti stessi di devolvere a fonti secondarie lo sviluppo delle norme primarie ivi contenute, tanto più che la Conferenza unificata ben potrà svolgere ogni deduzione utile su queste ultime.

Occorre inoltre considerare che la disposizione impugnata interviene nella fase della procedura che è solo iniziale e che presenta carattere essenzialmente tecnico in quanto volta a delineare lo schema «di parametri esplicativi dei criteri tecnici» finalizzato alla individuazione delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione degli impianti nucleari. La concreta individuazione dei siti interviene solo in un momento successivo secondo procedure analiticamente descritte dal decreto in esame e che assicurano la partecipazione regionale.

6.5.2. – La questione sub II.C.3), sollevata dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., e avente ad oggetto il combinato disposto dell’art. 8, comma 3, e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 31 del 2010, non è fondata.

La ricorrente lamenta l’omissione di qualsiasi forma di coinvolgimento o collaborazione con le Regioni interessate. Replica la controparte osservando che, siccome la strategia nucleare compete allo Stato ex art. 3 del d.lgs. n. 31 del 2010, «coerentemente» l’art. 9, comma 1, contempla le modalità di esecuzione e di attuazione di tale attività statale.

Ai sensi dell’art. 9, comma 1, la Strategia nucleare di cui all’art. 3, «insieme ai parametri sulle caratteristiche ambientali e tecniche delle aree idonee ai sensi del comma 3 dell’articolo 8», è soggetta alle procedure di valutazione ambientale strategica, nonché al rispetto del principio di giustificazione di matrice comunitaria.

A norma del successivo comma 2, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare cura lo svolgimento della consultazione pubblica, secondo i princìpi e le disposizioni di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, ed iniziative volte a consentire la partecipazione al procedimento delle popolazioni.

Al termine della procedura di valutazione ambientale strategica, il predetto Ministro trasmette al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il parere motivato, adottato di concerto, per gli aspetti di competenza, con il Ministro per i beni e le attività culturali (così il comma 3).

Infine, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti adeguano, per le parti di rispettiva competenza, la Strategia e le disposizioni di cui al comma 1 secondo le conclusioni della valutazione ambientale strategica e sottopongono gli atti così adeguati all’approvazione del Consiglio dei Ministri. I testi approvati sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (comma 4).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la considerazione complessiva della procedura consente di ritenere soddisfatte adeguatamente le pretese partecipative delle Regioni.

Alla pretesa regionale di vedersi riconoscere forme più pregnanti di coinvolgimento, sembra opporsi la rilevanza prevalentemente nazionale degli interessi considerati dalla disciplina in oggetto, che concerne il regime di sola sottoposizione alla VAS.

Con la sentenza n. 225 del 2009, questa Corte ha statuito che «se è vero […] che la VAS interviene nell’ambito di piani o programmi statali o regionali, che possono afferire a qualsiasi ambito materiale (trasporti, energia, telecomunicazioni, agricoltura, etc.), essa non è tuttavia riferibile a nessuno di questi, giacché la valutazione ha ad oggetto unicamente profili di compatibilità ambientale e si pone solo come uno strumento conoscitivo e partecipativo nella scelta dell’autorità che propone il piano o programma, al solo fine di assicurare che venga salvaguardato e tutelato l’ambiente […]. La disciplina della VAS rientra nella materia della tutela dell’ambiente di competenza dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed in siffatta materia […] la competenza dello Stato non è limitata alla fissazione di standard minimi di tutela ambientale, ma deve, al contrario, assicurare una tutela “adeguata e non riducibile” […]. La VAS, concludendosi con un “giudizio di compatibilità ambientale” […], rientra […] nella materia della tutela dell’ambiente ed individua in concreto i limiti di tutela ambientale che devono essere rispettati» (sentenza n. 221 del 2010).

Ne consegue la non fondatezza della questione di costituzionalità.

6.6. – La questione sub II.D) non è fondata.

La sola Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 19, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 31 del 2010, in relazione all’art. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione.

La norma oggetto di denuncia stabilisce, al comma 1, che «il titolare dell’autorizzazione unica è responsabile della gestione dei rifiuti radioattivi operazionali e del combustibile nucleare per tutta la durata della vita dell’impianto. A tal fine per rifiuti operazionali si intendono quelli prodotti durante l’esercizio dell’impianto nucleare, che vengono gestiti dall’operatore nel rispetto delle disposizioni vigenti, nonché delle prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite dall’Agenzia, che possono essere stoccati temporaneamente nel sito dell’impianto stesso in attesa del loro conferimento nel Deposito nazionale». Aggiunge il comma 2 che «il titolare dell’autorizzazione unica provvede, secondo la normativa vigente ed in particolare le disposizioni di cui al Capo VII del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 e le prescrizioni di esecuzione impartite dall’Agenzia, al trattamento ed al condizionamento dei rifiuti operazionali, al loro smaltimento presso il Deposito nazionale ed all’immagazzinamento del combustibile irraggiato presso il medesimo Deposito nazionale».

La ricorrente lamenta che, in materia ritenuta a riparto concorrente (produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; tutela della salute; protezione civile; tutela della sicurezza del lavoro), non sia stata prevista un’intesa con la Regione interessata, «o quantomeno» il parere della Conferenza unificata, in ordine alle prescrizioni tecniche e di esecuzione impartite dall’Agenzia per la sicurezza nucleare.

Al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, questa Corte rileva che la disposizione impugnata presidia l’interesse alla gestione, secondo standard tecnici di sicurezza, dei rifiuti radioattivi e del combustile nucleare, sicché non può che ribadirsi quanto già statuito con la sentenza n. 278 del 2010 (punto 12 del Considerato in diritto): «in tale settore, cessata la preponderanza degli interessi connessi alla produzione dell’energia, si pone la necessità, dai primi distinta, di assicurare un idoneo trattamento delle scorie radioattive», nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente.

Ciò premesso, il carattere eminentemente tecnico delle prescrizioni affidate alla competenza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale rende palese che non vi sono, nel caso specifico, interessi intestabili alla sfera di autonomia politico-legislativa delle Regioni (sentenza n. 278 del 2010, punto 16 del Considerato in diritto), tali da potersi opporre con pari forza, rispetto alla prevalente competenza nazionale in tema di rifiuti radioattivi.

In tali casi, la Costituzione non impone, in linea di principio, l’adozione dei meccanismi di leale collaborazione, che vanno necessariamente previsti, viceversa, solo quando vi sia una concorrenza di competenze nazionali e regionali, ove non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di una materia sull’altra (sentenze n. 88 del 2009 e n. 231 del 2005).

6.7. – Anche la questione sub II.E) non è fondata.

L’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 31 del 2010 è impugnato dalla Regione Emilia-Romagna in relazione agli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione, mentre il successivo comma 2 è censurato dalla Regione Toscana, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.

La disposizione denunciata stabilisce, al comma 1, che «all’attività di disattivazione degli impianti attende la Sogin s.p.a. in coerenza con gli scopi statutari, le linee di indirizzo strategico del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’economia e delle finanze di cui all’articolo 27 comma 8 della legge 23 luglio 2009, n. 99, nonché delle vigenti disposizioni in materia», mentre il comma 2 aggiunge che «la Sogin s.p.a., al termine della vita dell’impianto, prende in carico la gestione in sicurezza del medesimo e svolge tutte le attività relative alla disattivazione dell’impianto stesso fino al rilascio del sito per altri usi».

A detta delle ricorrenti, tale disposizione incide sulle materie a riparto concorrente del governo del territorio, e, per quanto concerne la sola Emilia-Romagna, dell’energia, della protezione civile e della tutela della salute, sicché sarebbe costituzionalmente imposta, anche alla luce del principio di leale collaborazione, un’intesa con la Regione interessata, o, secondo la sola Emilia-Romagna, “quantomeno” con la Conferenza unificata.

Diversamente, la sentenza n. 278 del 2010 ha già chiarito (punto 12 del Considerato in diritto) che la normativa concernente lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita, implicando prioritarie esigenze di tutela ambientale, ricade nella sfera di competenza esclusiva dello Stato: anche in tal caso, la prevalenza di tale materia su ogni altra esclude la necessità costituzionale di un coinvolgimento del sistema regionale.

6.8. – La questione sub II.F.1) non è fondata.

La sola Regione Emilia-Romagna impugna, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e al principio di leale collaborazione, l’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010, secondo cui «il Ministro dello sviluppo economico acquisito il parere tecnico dell’Agenzia, che si esprime entro il termine di sessanta giorni, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approva la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico. La Carta è pubblicata sui siti della Sogin s.p.a., dei suddetti Ministeri e dell’Agenzia».

Ai sensi dell’art. 25 dello stesso d.lgs. n. 31 del 2010, il Parco tecnologico è l’area nel cui ambito viene localizzato il deposito nazionale destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, secondo quanto precisato dall’art. 2, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 31 del 2010. Il Parco accoglie, altresì, strutture comuni per i servizi e per le funzioni necessarie alla gestione di un sistema integrato di attività operative, di ricerca scientifica e di sviluppo tecnologico, di infrastrutture tecnologiche per lo svolgimento di attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile irraggiato (art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 31 del 2010).

La ricorrente lamenta che la fase di selezione delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il Parco tecnologico non sia preceduta dall’intesa sia con la Regione interessata, sia con la Conferenza unificata, pur vertendosi in materie a riparto concorrente (governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; tutela della salute; protezione civile; valorizzazione dei beni culturali ed ambientali; grandi reti di trasporto e navigazione).

Questa doglianza non merita accoglimento.

Secondo quanto già posto in rilievo, la fase di gestione dei rifiuti radioattivi va ascritta alla competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente. In questo caso, tuttavia, verso di essa convergono attività certamente riconducibili, su di un piano di concorrenza, all’art. 117, terzo comma, Cost., quanto al governo del territorio. Si tratta, infatti, di localizzare e costruire strutture sul territorio regionale, sicché si rende costituzionalmente necessario un coinvolgimento sia del sistema regionale complessivamente inteso, quanto alla individuazione del sito, sia della Regione interessata, quanto alla «specifica localizzazione e alla realizzazione» delle opere (sentenza n. 278 del 2010, punto 12 del Considerato in diritto; sentenza n. 62 del 2005).

Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, il d.lgs. n. 31 del 2010 già assicura, nelle forme dovute, entrambe le fasi partecipative. L’art. 27, comma 7, espressamente esige l’intesa tra Stato e Regioni interessate, al fine di insediare il Parco tecnologico, mentre l’art. 27, comma 9, sottopone all’intesa con la Conferenza unificata «la proposta di aree potenzialmente idonee sulle quali è stata espressa l’intesa regionale». In tal modo, l’autonomia regionale viene preservata, nelle porzioni che spettano a ciascuno dei soggetti coinvolti: la singola Regione, con riguardo alla specifica selezione del sito, e la Conferenza unificata, ai fini di un apprezzamento delle aree idonee lungo l’intero territorio nazionale, secondo una valutazione svincolata dalla posizione della sola Regione interessata.

Ciò è sufficiente, per garantire un’adeguata sfera di partecipazione dell’autonomia regionale, in un’ipotesi di concorrenza di competenze normative (sentenze n. 339 del 2009 e n. 219 del 2005).

6.8.1. – La questione sub II.F.2), avente per oggetto l’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010, prospettata dalla Regione Emilia-Romanga in relazione all’art. 76 Cost., è inammissibile.

La ricorrente evoca a norma interposta l’art. 25 della legge delega n. 99 del 2009, secondo cui il Governo approva decreti legislativi, recanti, tra l’altro, la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale degli impianti di stoccaggio e deposito definitivo dei rifiuti radioattivi. Tuttavia, prosegue la Regione, anziché disciplinare con norme primarie tale oggetto, il Governo, con la norma impugnata, ha affidato ad un decreto ministeriale l’approvazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico, in tal modo ledendo le prerogative regionali. Infatti, conclude la ricorrente, l’art. 25, comma 1, della legge delega stabilisce che i decreti legislativi sono adottati, secondo le modalità e i principi direttivi di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, ovvero previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, parere che, in tal modo, sarebbe stato eluso.

Come già rilevato sopra al paragrafo 6.5.1, si osserva, in senso contrario, che la legge delega impone l’acquisizione di tale parere sul testo dei decreti legislativi, ma in alcun modo preclude a siffatto testo, di demandare a fonti secondarie lo sviluppo delle norme primarie ivi contenute, tanto più che la Conferenza unificata ben potrà svolgere ogni deduzione utile su queste ultime.

Inoltre, la disposizione impugnata ha ad oggetto l’approvazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del Parco tecnologico. Essa, dunque, interviene in una fase preliminare del procedimento, mentre la concreta individuazione del sito è operata solo successivamente e con il coinvolgimento delle singole Regioni interessate.

Pertanto, la questione in esame con ogni evidenza non ridonda su alcuna competenza regionale.

6.9. – La questione sub II.G) non è fondata.

La Regione Emilia-Romagna, in riferimento al principio di leale collaborazione, ha censurato l’art. 27, comma 11, del d.lgs. n. 31 del 2010, secondo cui «entro trenta giorni dalla ricezione della proposta il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per gli aspetti relativi all’attività di ricerca, sulla base della proposta formulata dalla Sogin s.p.a. e del parere vincolante dell’Agenzia, individua con proprio decreto il sito per la realizzazione del Parco Tecnologico e ne attribuisce il diritto di svolgere le attività di cui al presente articolo in via esclusiva alla stessa Sogin s.p.a. Con il medesimo decreto, la relativa area viene dichiarata di interesse strategico nazionale e soggetta a speciali forme di vigilanza e protezione e vengono definite le relative misure compensative. Il decreto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e contestualmente sui siti internet dei suddetti Ministeri, della Sogin s.p.a. e dell’Agenzia».

La ricorrente lamenta nuovamente il mancato coinvolgimento, per mezzo di intesa, della Conferenza unificata, ai fini della definitiva individuazione del sito ove realizzare il Parco tecnologico.

Valgono, al riguardo, i rilievi espressi, supra, al paragrafo 6.7.

In linea con quanto già affermato nella sentenza n. 62 del 2005, questa Corte non può che ribadire che, in tale fase conclusiva del procedimento, la Costituzione impone il coinvolgimento della Regione interessata, mentre i più diffusi interessi intestati alla Conferenza unificata sono salvaguardati, in forza del già rammentato art. 27, comma 9, del d.lgs. n. 31 del 2010.

6.10. – La questione sub II.H), prospettata dalla Regione Emilia-Romagna relativamente alla impugnazione del comma 15 dell’art. 27, in riferimento al principio di leale collaborazione, è inammissibile per difetto di motivazione.

La ricorrente, infatti, si limita a rinviare, ai fini dell’illustrazione dei motivi di ricorso, a quanto già dedotto, con riguardo all’art. 27, comma 11. Tuttavia, posto che, in riferimento a tale ultima previsione, la ricorrente pone una questione di inidoneo coinvolgimento dell’autonomia regionale nell’esercizio di una funzione amministrativa, mentre l’impugnato comma 15 attiene alle procedure sostitutive dell’intesa, non è possibile cogliere con la necessaria chiarezza ed univocità il senso di una simile trasposizione dei motivi di ricorso da un oggetto ad un altro, del tutto differente.

6.10.1. – La questione sub II.H), in ordine ai commi 14 e 16 dell’art. 27 del d.lgs. n. 31 del 2010, non è fondata.

La Regione Emilia-Romagna si duole della violazione del principio di leale collaborazione, poiché non è prevista l’intesa con la Conferenza unificata, in sede di rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio del deposito nazionale e delle opere comprese nel Parco tecnologico.

Le impugnate disposizioni, infatti, stabiliscono che «al compimento dell’istruttoria, l’Agenzia, anche in base all’esito delle procedure di VIA, rilascia parere vincolante al Ministero dello sviluppo economico che, sulla base di esso, entro trenta giorni dalla comunicazione del parere stesso, indice una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 con i Ministeri concertanti, la Regione e gli enti locali interessati, e con tutti gli altri soggetti e le amministrazioni coinvolti, da individuare sulla base dello specifico progetto, che non abbiano già espresso il proprio parere o la propria autorizzazione nell’ambito dell’istruttoria svolta dall’Agenzia» (comma 14); inoltre si stabilisce che «nei trenta giorni successivi alla positiva conclusione dell’istruttoria, il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, rilascia con proprio decreto l’autorizzazione unica, disponendone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e nei siti Internet dei relativi Ministeri e dell’Agenzia».

Anche in relazione a tale disciplina, questa Corte ribadisce che la fase destinata, una volta selezionata l’area, allo specifico insediamento delle opere sul territorio della Regione coinvolge interessi oramai consolidatisi in capo a quest’ultima, mentre resta adeguata, sul piano costituzionale, e sotto tale profilo, la scelta del legislatore delegato di riservare l’intervento della Conferenza unificata ad una fase precedente, ai sensi del già menzionato art. 27, comma 9.

7. – La terza area tematica, infine, abbraccia le questioni di costituzionalità aventi ad oggetto le disposizioni che disciplinano il superamento del dissenso regionale in occasione delle intese contemplate dal d.lgs. n. 31 del 2010.

7.1 – Le questioni sub III.A) hanno ad oggetto l’art. 11.

La disposizione impugnata disciplina il procedimento di certificazione dei siti idonei all’insediamento degli impianti nucleari disponendo che, all’esito dell’istruttoria compiuta dall’Agenzia per la sicurezza nucleare, il Ministro per lo sviluppo economico sottopone ciascuno dei siti certificati all’intesa della Regione interessata.

Il comma 6 disciplina, poi, il procedimento da seguire ove tale intesa non sia raggiunta entro il termine di sessanta giorni, disponendo che nei successivi trenta giorni si provvede alla costituzione di un comitato interistituzionale «i cui componenti sono designati in modo da assicurare una composizione paritaria», dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell’ambiente e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, «da un lato, e dalla Regione, dall’altro».

La disposizione censurata stabilisce, altresì, che nel caso in cui «non si riesca a costituire il Comitato interistituzionale, ovvero non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa entro i sessanta giorni successivi alla costituzione del Comitato, si provvede all’intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata».

Tutte le ricorrenti sostengono che tale disposizione disciplinerebbe un’ipotesi di potere sostitutivo in violazione dell’art. 120 Cost. in quanto avrebbe introdotto un meccanismo di superamento unilaterale ed autoritativo del dissenso regionale in ordine all’intesa. In tal modo sarebbero lese le prerogative loro attribuite dagli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. in quanto nel procedimento di localizzazione degli impianti non si terrebbe alcun conto della volontà delle Regioni pur vertendosi in materia di potestà concorrente in relazione alla quale sarebbe necessaria la codeterminazione paritaria del contenuto finale dell’atto.

La Regione Puglia lamenta, altresì, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

7.1.1. – Preliminarmente tale ultima censura deve essere dichiarata inammissibile dal momento che risulta evocata come parametro asseritamente violato una disposizione attributiva di una competenza esclusiva statale (sentenza n. 278 del 2010, paragrafo 6 del Considerato in diritto).

7.1.2. – Nel merito le altre censure non sono fondate.

È necessario, innanzitutto, chiarire che l’art. 11, comma 6 regola un procedimento volto a raggiungere un accordo tra lo Stato e le Regioni anche attraverso la nomina di un organo terzo, quale è appunto il comitato interistituzionale e, in caso di esito negativo, attribuisce prevalenza alla volontà dello Stato.

Non c’è dubbio che si è di fronte – come si è già detto – ad una disciplina concernente la materia dell’energia che rientra fra quelle che l’art. 117, terzo comma, Cost. attribuisce alla potestà concorrente di Stato e Regioni e che il d.lgs. n. 31 del 2010 opera una chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative concernenti tale materia.

Il legislatore statale, coerentemente con gli insegnamenti di questa Corte, ha previsto che per l’esercizio di tali funzioni ed in particolare, per quanto qui interessa, di quelle concernenti la certificazione dei siti, sia necessario il raggiungimento dell’intesa con la singola Regione interessata.

Ha però specificamente regolato anche l’ipotesi in cui tale intesa non venga raggiunta entro i termini stabiliti.

Questa Corte ha escluso la legittimità di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell’intesa contenga la «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola parte, affermando, al contrario, la necessità che il contenuto dell’atto sia frutto di una codecisione paritaria e indicando, altresì, la necessità di prevedere – in caso di dissenso – idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005).

Nel caso in esame, il legislatore delegato ha disciplinato appunto tale ipotesi, cioè quella del mancato raggiungimento dell’intesa, introducendo un procedimento che si articola dapprima, attraverso la nomina di un comitato a composizione paritaria il cui scopo è appunto quello di addivenire all’accordo, e quindi, in caso di esito negativo, attraverso l’emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui prende parte il Presidente della Regione interessata.

Dunque, è prevista ed istituzionalizzata una fase di trattative ulteriori attraverso la nomina di un organo ad hoc; qualora, tuttavia, neppure ciò dia esito positivo, la decisione finale è rimessa ad un atto del Governo, il quale assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica e richiede la previa deliberazione del Consiglio dei ministri e la partecipazione regionale.

Per stabilire se tale meccanismo sia o meno lesivo delle prerogative regionali – come denunciato dalle ricorrenti – occorre considerare che questa Corte, nella sentenza n. 278 del 2010, ha chiarito che la chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative in materia di energia nucleare operata dalla legge delega n. 99 del 2009 – e quindi anche dal d.lgs. n. 31 del 2010 – trova giustificazione nell’esigenza di assicurare l’attuazione della scelta operata in materia di politica energetica di introdurre quale ulteriore fonte di produzione di energia quella di origine nucleare.

Se, dunque, la previsione della possibilità di superare il dissenso regionale si giustifica per l’esigenza di garantire l’attuazione della strategia energetica, evitando che si determini un insuperabile stallo nella sua realizzazione, tuttavia il meccanismo introdotto dall’art. 11, comma 6, appare rispettoso delle prerogative delle Regioni dal momento che non solo è prevista la necessità dell’intesa con la Regione interessata ai fini della certificazione dei siti potenzialmente idonei alla installazione di impianti di produzione di energia nucleare, ma, in mancanza dell’accordo regionale, si determina non già l’automatico trasferimento del potere decisorio in capo allo Stato, bensì l’attivazione di un procedimento volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario.

Solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire ad un’intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con il coinvolgimento, peraltro, anche del Presidente della Regione.

Su tale decisione – la quale, come si è detto, assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica – si esercita, inoltre, la funzione di controllo tipica dell’emanazione di tali atti, avverso i quali ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonché eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione.

7.1.3. – Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi non fondata anche la questione, prospettata dalla Regione Emilia in via subordinata, con cui si denuncia la violazione delle competenze regionali laddove si prevede che l’intesa – che per sua natura è un atto bilaterale – venga adottata dallo Stato con atto unilaterale.

Come si è visto, la disposizione impugnata non prevede un superamento “secco” dell’opposizione regionale stigmatizzato da questa Corte, in quanto il decreto del Presidente della Repubblica interviene solo dopo il fallimento delle ulteriori trattative tra le parti, svolte anche attraverso la attivazione del comitato interistituzionale.

7.1.4. – Sempre in via subordinata, la Regione Emilia-Romagna censura l’art. 11, comma 6, in quanto il meccanismo paritetico ivi previsto sarebbe vanificato nelle ipotesi in cui l’intesa non si raggiunga a causa di un comportamento non collaborativo dello Stato. In sostanza, si denuncia che la norma consentirebbe allo Stato di esercitare il potere in via unilaterale, aggirando la necessità dell’intesa.

Anche tale censura non è fondata.

L’ipotesi prospettata dalla ricorrente, infatti, non discende dalla disposizione in esame, bensì da un comportamento dello Stato che sarebbe certamente contrario al principio di leale collaborazione che deve informare la relazione tra le parti. Esso pertanto, ben potrebbe essere censurato avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione.

7.1.5. – La Regione Emilia-Romagna impugna l’art. 11, comma 6, anche nella parte in cui disciplina le modalità di funzionamento del Comitato interistituzionale, disponendo che esse sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza unificata da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta del parere stesso.

Tale previsione, rimettendo la definizione del funzionamento del comitato alla determinazione di una sola parte, anziché ad un’intesa con la Conferenza unificata, violerebbe le prerogative regionali.

La censura non è fondata.

La disposizione interviene a regolare il subprocedimento che si attiva con la nomina del Comitato interistituzionale e affida la determinazione delle modalità di funzionamento ad un decreto ministeriale.

In questa fase, le istanze regionali devono ritenersi sufficientemente tutelate mediante l’acquisizione del parere della Conferenza unificata su tale decreto, e ciò anche al fine di garantire il funzionamento dell’organo, evitando che la sua attività possa essere paralizzata dal mancato raggiungimento di un accordo in tale sede. D’altra parte, ben potranno le Regioni far valere eventuali vizi del decreto ministeriale avanti alla competente autorità giudiziaria.

7.1.6. – Le ricorrenti denunciano, altresì, il comma 7 dell’art. 11 il quale dispone che sia l’intesa, sia «il decreto del Presidente della Repubblica di cui al comma 6 operano anche in deroga ai Piani energetico ambientali delle Regioni interessate da ciascuna possibile localizzazione».

Tale censura, alla luce delle considerazioni svolte sopra, non merita accoglimento.

Poiché, come si visto, il decreto presidenziale è emanato all’esito dello svolgimento delle trattative volte ad addivenire ad un accordo con la Regione interessata, e poiché tale procedura risulta adeguata, non è lesiva dell’autonomia regionale la previsione che quanto stabilito nel suddetto decreto operi in deroga alla pianificazione energetico-ambientale delle Regioni nel cui territorio si trovano i siti certificati.

7.1.7. – Del pari non fondata è la censura avente ad oggetto il comma 8 dell’art. 11.

Questo stabilisce che, una volta raggiunta l’intesa con la Regione interessata, «il Ministro dello sviluppo economico trasmette l’elenco dei siti certificati, sui quali è stata espressa l’intesa regionale o è intervenuto il decreto sostitutivo di intesa, alla Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che si esprime entro i termini di cui all’art. 3 del medesimo decreto legislativo e, comunque, non oltre sessanta giorni dal ricevimento della relativa richiesta; in mancanza di intesa entro il predetto termine, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata, secondo quanto disposto dallo stesso articolo 3, sulla base delle intese già raggiunte con le singole Regioni interessate da ciascun sito o sulla base dei decreti sostitutivi di intesa».

Anche in tal caso – ad avviso delle ricorrenti – sarebbe previsto un meccanismo di superamento unilaterale del dissenso regionale lesivo delle prerogative delle Regioni.

In realtà, a parte il fatto che il comma 8 richiama, ai fini del superamento del dissenso della Conferenza, il meccanismo già previsto dal d.lgs. n. 281 del 1997, tale meccanismo appare sufficientemente rispettoso del sistema regionale, dal momento che l’intesa con la Conferenza unificata interviene dopo che è stato raggiunto l’accordo con ciascuna Regione interessata, ovvero dopo che è intervenuto il decreto che tiene luogo di detto accordo.

7.2. – Con la censura sub III.B) le Regioni Toscana e Puglia impugnano il comma 10 dell’art. 11.

Esso stabilisce che la Regione interessata dalla presenza di un sito nucleare adegua il proprio Piano Energetico Ambientale tenendo conto dell’intesa, ovvero del decreto del Presidente della Repubblica emanato all’esito del procedimento previsto dal comma 6.

Le ricorrenti lamentano la violazione delle proprie competenze in quanto la disposizione attribuirebbe effetti modificativi cogenti ad un atto unilaterale dello Stato in una materia di potestà concorrente.

La censura non è fondata.

Valgono a questo proposito le medesime considerazioni svolte con riguardo alle censure relative al comma 7 (paragrafo 7.1.6).

7.3. – Non fondate sono, altresì, le censure sub III.C), promosse dalla Regione Toscana e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e, dalla sola Regione Toscana, anche all’art. 120 Cost., aventi ad oggetto l’art. 13, commi 11 e 12, del d.lgs. n. 31 del 2010 il quale disciplina il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari e lo stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, disponendo che sia indetta una conferenza di servizi – ai sensi degli artt. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990 – alla quale prendono parte le amministrazioni interessate, tra cui la Regione e gli enti locali.

In particolare, il comma 11 stabilisce che ove in tale sede «non venga raggiunta la necessaria intesa con un ente locale coinvolto», viene ad esso assegnato un congruo termine per esprimere l’intesa e, in mancanza, previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui partecipa il Presidente della Regione interessata all’intesa, è adottato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sostitutivo dell’intesa.

Ad avviso delle ricorrenti, tale previsione contemplerebbe un’ipotesi di potere sostitutivo straordinario e determinerebbe uno svuotamento dell’intesa.

Tali censure muovono, evidentemente, dal presupposto che il meccanismo denunciato abbia ad oggetto un’intesa con le Regioni.

In realtà, la disposizione impugnata si riferisce espressamente alla «necessaria intesa con un ente locale coinvolto». Questa Corte, nella sentenza n. 278 del 2010, ha chiarito che «nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.)», sicché deve escludersi che con l’espressione “ente locale” il legislatore si riferisca alla Regione.

Conseguentemente, la disposizione impugnata nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica non trova applicazione alle intese con le Regioni.

7.4. – Le censure sub III.D) hanno ad oggetto l’art. 27, commi 7 e 8, nella parte in cui disciplina la localizzazione del parco tecnologico e stabilisce che, ove l’intesa a tal fine prevista come necessaria con la singola Regione interessata non venga raggiunta, si provvede alla costituzione di un comitato paritetico a composizione paritaria. Nel caso in cui tale Comitato non sia costituito, ovvero non si pervenga comunque alla definizione dell’intesa, «si provvede all’intesa con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, integrato con la partecipazione del presidente della Regione interessata».

Le Regioni Toscana ed Emilia-Romagna lamentano la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione in quanto si introdurrebbe un meccanismo sostitutivo dell’intesa al di fuori dei presupposti costituzionali e si vanificherebbe l’intesa con la Regione interessata, necessaria a garantire la legittimità costituzionale della chiamata in sussidiarietà di funzioni amministrative in materie di potestà concorrente. Inoltre, la Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 120 Cost.

Tali doglianze non meritano accoglimento.

La disposizione in esame contempla un procedimento in tutto analogo a quello previsto dall’art. 11 sopra esaminato.

Tuttavia, come si è già osservato sopra con riguardo a tale disposizione (paragrafo 7.1), il meccanismo ricordato concerne un procedimento volto al raggiungimento dell’intesa attraverso un meccanismo di superamento del dissenso regionale.

Tale procedimento, peraltro, risulta adeguato a garantire il rispetto dell’autonomia regionale, tenuto conto che nella fattispecie regolata dall’art. 27 si versa in un’ipotesi di concorrenza di competenze nella quale, se viene certamente in rilievo la materia del governo del territorio di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. quanto alla localizzazione del parco tecnologico, viene altresì in considerazione la materia della tutela dell’ambiente di competenza esclusiva dello Stato (supra paragrafo 6.7).

Se, dunque, per la necessità di garantire l’autonomia regionale, il comma 7 dell’art. 27 richiede il raggiungimento dell’intesa con la singola Regione interessata alla localizzazione del Parco, tuttavia il procedimento volto al superamento del dissenso regionale, previsto dal comma 8, consente allo Stato l’esercizio della propria competenza.

7.4.1. – Le suddette ricorrenti hanno mosso le medesime censure ora esaminate anche con riguardo al comma 9 dell’art. 27 il quale prevede che «il Ministro dello sviluppo economico trasmette la proposta di aree potenzialmente idonee sulle quali è stata espressa l'intesa regionale alla Conferenza unificata (…) che esprime la relativa intesa». In mancanza di intesa, «il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata (…) sulla base delle intese già raggiunte con le singole Regioni interessate da ciascun sito»

Secondo le ricorrenti, tale intesa con la Conferenza unificata in quanto meramente eventuale sarebbe lesiva delle prerogative regionali.

Anche tali doglianze non sono fondate per ragioni identiche a quelle esposte nel precedente paragrafo.

7.5. – Con le questioni sub III.E), III.E.1), III.E.2) la Regione Emilia-Romagna ripropone, riguardo al comma 8 dell’art. 27, le medesime censure prospettate in relazione all’art. 11, comma 6. Essa lamenta che la definizione delle modalità di funzionamento del comitato interistituzionale nominato in caso di mancato raggiungimento dell’intesa tra lo Stato e la Regione interessata sia rimessa ad un decreto ministeriale sul quale è acquisito il mero parere regionale, anziché l’intesa.

Denuncia, inoltre, che l’acquisizione forzata dell’accordo sia prevista anche nel caso in cui questo non sia raggiunto per la mancata collaborazione dello Stato. Contesta, infine, la legittimità della «previsione di una intesa formata unilateralmente dallo Stato».

Tali doglianze non sono fondate per le medesime ragioni sopra esposte (paragrafi 7.1.3., 7.1.4. e 7.1.5.)

7.6. – Del pari priva di fondamento è la censura sub III.F) avente ad oggetto l’art. 27, comma 15.

Tale disposizione prevede che qualora nella conferenza di servizi convocata ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e gestione del deposito nazionale dei rifiuti, «non venga raggiunta la necessaria intesa con un ente locale coinvolto, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, assegna all’ente interessato un congruo termine per esprimere l’intesa; decorso inutilmente tale termine, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri cui partecipa il Presidente della Regione interessata all’intesa, è adottato, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sostitutivo dell’intesa».

La Regione Toscana lamenta che tale disposizione introdurrebbe un’ipotesi di potere sostitutivo straordinario in violazione dell’art. 120 Cost.

Valgono al riguardo i rilievi espressi supra al paragrafo 7.3.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile l’intervento spiegato dall’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) ONLUS e da Enel s.p.a.;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99) nella parte in cui non prevede che la Regione interessata, anteriormente all’intesa con la Conferenza unificata, esprima il proprio parere in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 15, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 31 del 2010 promossa, in riferimento all’art. 76 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalle Regioni Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 8, comma 3, e dell’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 31 del 2010, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 10, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 10, 11 e 12 del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 12, del d.lgs. n. 31 del 2010, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 12, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 31 del 2010, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma e 118 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 6, del d.lgs. n. 31 del 2010 promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 7, 8 e 9, del d.lgs. n. 31 del 2010 promosse, in riferimento all’art. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 7, 8 e 9, del d.lgs. n. 31 del 2010 promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 11, del d.lgs. n. 31 del 2010 promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 14 e 16, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 15, del d.lgs. n. 31 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente e Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2011.

Il Cancelliere

F.to: FRUSCELLA