ORDINANZA N. 260 ANNO 2010

ORDINANZA N. 260 ANNO 2010

Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza dell'alcool - Sanzioni amministrative accessorie conseguenti a comportamento penalmente rilevante - Opposizione avverso provvedimento prefettizio di sospensione provvisoria della validità della patente di guida - Ritenuta impossibilità per il prefetto di valutare le esigenze lavorative del trasgressore in sede di applicazione della sanzione accessoria - Omessa previsione che il giudice dell'opposizione, esercitando i medesimi poteri conferiti al giudice dell'esecuzione penale e al giudice dell'opposizione alle misure restrittive di cui al d.P.R. n. 309 del 1990, possa disciplinare la sospensione della patente in modo da non ostacolare il lavoro del trasgressore.
 
Ordinanza 260/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE



Presidente AMIRANTE - Redattore FINOCCHIARO



Camera di Consiglio del 09/06/2010 Decisione del 07/07/2010

Deposito del 21/07/2010 Pubblicazione in G. U. 28/07/2010

Norme impugnate: Artt. 186, c. 2°, del codice della strada (d.lgs. 30.4.1992, n. 285) e 23 della legge 24/11/1981, n. 689.

Massime: 34856



Titoli:

Atti decisi: ord. 330/2009





ORDINANZA N. 260



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



ORDINANZA



nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Giudice di pace di Chiavenna nel procedimento vertente tra G. P. e la Prefettura di Sondrio, con ordinanza del 27 maggio 2009, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2010.



Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.









Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione con cui il Prefetto di Sondrio aveva disposto a carico di P.G. la sospensione cautelare della patente, per guida in stato di ebbrezza, l’opponente ha chiesto la determinazione delle modalità della sospensione, nel senso di limitare l’inibizione alla guida alla fascia oraria dalle ore 22.00 alle ore 7.00, con eventuale estensione del divieto all’intera giornata in corrispondenza del sabato e della domenica, sì da non impedirgli lo svolgimento della propria attività lavorativa;



che il Giudice di pace di Chiavenna, con ordinanza del 27 maggio 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), per violazione degli artt. 1, 3, 4 e 97 della Costituzione;



che il rimettente riferisce che l’opponente ha sollecitato il giudice a esercitare, in ordine alle modalità di esecuzione della misura cautelare, i poteri derivanti dal combinato disposto dell’art. 62, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, e dell’art. 75, comma 12, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), a tutela della propria posizione lavorativa;



che, secondo il giudice a quo, l’art. 23 della legge n. 689 del 1981 non conferisce tali poteri al giudice dell’opposizione a ordinanza-ingiunzione, onde è da considerare rilevante ai fini del decidere non solo la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2, del codice della strada – che dispone la sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza – sollevata dall’opponente, ma anche quella, che il rimettente solleva d’ufficio, riguardante lo stesso art. 23 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non consente al giudice dell’opposizione ad una misura cautelare prevista dal codice della strada di esercitare i poteri che sono conferiti al giudice dell’esecuzione penale e al giudice dell’opposizione alle misure restrittive previste in materia di stupefacenti;



che, riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice denuncia la disparità di trattamento con i casi in cui al giudice dell’esecuzione penale e al giudice dell’opposizione alle misure restrittive previste in materia di stupefacenti è consentito modulare l’attuazione della misura della sospensione tenendo conto delle esigenze di lavoro del soggetto e, inoltre, il contrasto con il principio dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e con il valore del lavoro come elemento fondante della vita collettiva (artt. 1, 3 e 4 della Costituzione), oltre che con quello della ragionevolezza;



che, nei casi riferiti, la tutela delle condizioni di lavoro beneficia soggetti resisi responsabili di reati ben più gravi, perché il condannato a pena detentiva sino a due anni di reclusione, che abbia ottenuto la sostituzione della pena detentiva con la libertà controllata o con la semi-detenzione, può ottenere dal magistrato di sorveglianza, giusta l’art. 62 della legge n. 689 del 1981, che la sospensione della patente di guida sia disciplinata in modo da non ostacolare lo svolgimento dell’attività lavorativa, ed il soggetto a carico del quale è stata accertata la detenzione di sostanze stupefacenti può vedersi applicata dal prefetto, in base all’art. 75, comma 12, del d.P.R. n. 309 del 1990, la misura della sospensione della patente di guida con modalità tali da non ostacolare il lavoro del condannato;



che, viceversa, il quadro normativo disegnato dagli artt. 186, comma 2, e 223 del codice della strada e 23 della legge n. 689 del 1981 prevede che il conducente che si sia reso colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza, anche in presenza di un tasso alcolemico appena superiore al limite di legge, debba scontare il periodo della eventuale sospensione cautelare disposta dal prefetto senza alcun riguardo alle proprie esigenze lavorative, non potendo né l’autorità amministrativa né il giudice dell’opposizione adottare una soluzione diversa.



Considerato che il Giudice di pace di Chiavenna dubita della legittimità costituzionale degli artt. 186, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’opposizione all’ordinanza-ingiunzione, con la quale il prefetto irroga la sanzione cautelare della sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza, possa regolare l’esecuzione della misura con modalità tali da non ostacolare il lavoro del condannato;



che tale combinato disposto, secondo il rimettente, viola gli artt. 1, 3, 4 e 97 Cost., per disparità di trattamento rispetto ai casi nei quali il giudice dell’esecuzione penale, riguardo al condannato a pena detentiva sostituita da libertà controllata o da semi-detenzione, e il giudice dell’opposizione, riguardo al condannato a misure restrittive previste dal T.U. sugli stupefacenti, possono disciplinare la sospensione della patente in modo da non ostacolare lo svolgimento dell’attività lavorativa; per irragionevolezza, a causa del trattamento deteriore rispetto a quello che consegue alla commissione di reati più gravi; nonché per contrasto con il valore del lavoro come elemento fondante della vita collettiva;



che l’ordinanza del Giudice di pace di Chiavenna è priva di qualsiasi descrizione del fatto da cui possa rilevarsi se sussistano le esigenze lavorative conclamate dall’opponente e se, per soddisfare le stesse, sia indispensabile il possesso della patente di guida (vedi, in precedenza, su analoga questione relativa alla sospensione della patente, l’ordinanza n. 45 del 2007, di inammissibilità per insufficiente descrizione delle esigenze lavorative che avrebbero reso necessario l’uso della patente di guida);



che, sulla base delle anzidette considerazioni, la questione proposta è manifestamente inammissibile per omessa motivazione sulla rilevanza della stessa nel giudizio a quo (ex plurimis, ordinanze n. 85 del 2010; n. 201 del 2009; n. 441 del 2008), a prescindere da qualsiasi considerazione in merito alla fondatezza della stessa per avere il rimettente confuso la diversa natura della sospensione cautelare della patente (costantemente riaffermata dalla giurisprudenza costituzionale con ordinanze n. 344 del 2004, n. 167, n. 313 e n. 381 del 1998) con le normative concernenti l’esecuzione delle sanzioni accessorie.



Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento agli articoli 1, 3, 4 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Chiavenna con l’ordinanza in epigrafe indicata.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Alfio FINOCCHIARO, Redattore



Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2010.



Il Direttore della Cancelleria



F.to: DI PAOLA

SENTENZA N. 259 ANNO 2010

SENTENZA N. 259 ANNO 2010

Sicurezza pubblica - Controlli di polizia nei confronti di alcuni esercizi pubblici siti nella Provincia di Bolzano.

SENTENZA N. 259

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



nei giudizi per conflitti di attribuzione tra enti sorti a seguito dell’ordinanza del Commissario del Governo per la Provincia autonoma di Bolzano n. 964/2008, Area III, del 10 settembre 2008; del decreto del Questore della Provincia autonoma di Bolzano n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 17 settembre 2008, e della relativa lettera di comunicazione datata 18 settembre 2008, dei decreti del Questore della Provincia autonoma di Bolzano n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 16 settembre 2008 e del 21 ottobre 2008, e delle relative lettere di comunicazione; del decreto del Questore della Provincia autonoma di Bolzano n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 22 ottobre 2008 e della relativa lettera di comunicazione; del decreto del Questore della Provincia autonoma di Bolzano n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 21 ottobre 2008, e della relativa lettera di comunicazione e del decreto del Questore della Provincia autonoma di Bolzano n. 11-A/2008/P.A.S.I., dell’11 ottobre 2008, e della relativa lettera di comunicazione, atti aventi ad oggetto la chiusura di alcuni esercizi pubblici siti nella Provincia autonoma di Bolzano, promossi dalla Provincia autonoma di Bolzano con ricorsi notificati il 13 novembre e l’11 dicembre 2008, depositati in cancelleria il 21 novembre e il 19 dicembre 2008 ed iscritti ai nn. 19, 20, 21, 25, 26 e 27 del registro conflitti tra enti 2008.



Udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;



uditi gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma di Bolzano.







Ritenuto in fatto



1.– Con ricorso, iscritto al reg. ric. n. 19 del 2008, notificato il 13 novembre 2008, depositato il successivo 21 novembre, la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all’ordinanza del Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano del 10 settembre 2008 (prot. n. 964/2008, Area III del 10 settembre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 19 settembre 2008), che ha disposto la chiusura per sette giorni dell’esercizio pubblico “Kalterer Weinstadl” a seguito dell’intervenuto accertamento, nel corso di controlli di polizia, della somministrazione di bevande alcoliche, presso il medesimo esercizio, oltre l’orario consentito, in violazione del disposto dell’art. 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160.



Tale provvedimento – secondo la ricorrente – opererebbe un’illegittima invasione delle competenze in materia di esercizi pubblici e di spettacoli pubblici per quanto attiene alla pubblica sicurezza, attribuite alla Provincia dagli artt. 9, primo comma, nn. 6 e 7, e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), oltre che delle attribuzioni già spettanti all’autorità di pubblica sicurezza, assegnate al Presidente della Provincia, nelle materie di competenza provinciale, dall’art. 20 del medesimo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, in specie dall’art. 3, primo comma, e 4, primo comma, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1973, n. 686 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernente esercizi pubblici e spettacoli pubblici), nonché dall’art. 4, comma 1, decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e dall’art. 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616).



Esso sarebbe, quindi, gravemente lesivo delle prerogative costituzionali assegnate alla Provincia, oltre che dalle predette norme statutarie e di attuazione, anche dagli artt. 105 e 107 dello statuto medesimo e dall’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).



L’attribuzione alla Provincia delle competenze inerenti anche alla funzione di garanzia della sicurezza pubblica, in relazione a determinate materie di spettanza provinciale, risponderebbe ad esigenze di contemperamento tra un adeguato collegamento con il territorio ed un sufficiente grado di accentramento della medesima funzione, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 97 Cost., oltre che, nel quadro dei principi delineati dalle norme dello statuto e dalle norme di attuazione dello stesso, alla salvaguardia dell’autonomia speciale della Provincia autonoma di Bolzano che trova il suo fondamento nell’art. 6 della Costituzione.



Pertanto, la ricorrente chiede che la Corte dichiari che non spetta allo Stato, e per esso al Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano, disporre con proprio provvedimento la sospensione della licenza di un esercizio pubblico e, per l’effetto, annulli l’atto impugnato.



2.– Con i ricorsi iscritti al reg. conflitti del 2008 ai numeri 20, 21, 25, 26 e 27, la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione a sei decreti del Questore della Provincia di Bolzano che hanno disposto la sospensione della licenza di alcuni esercizi pubblici.



In particolare, il ricorso iscritto al n. 20 del reg. conflitti del 2008 concerne il provvedimento del Questore della Provincia di Bolzano del 18 settembre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 17 settembre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 18 settembre 2008) e la relativa lettera di comunicazione. Con tale provvedimento è stata disposta la chiusura per dieci giorni, ai sensi dell’art. 100 del regio decreto 16 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), dell’esercizio pubblico “Caffè Agadir”, sito in Bolzano, in quanto, nel corso di controlli di polizia, è stata accertata la presenza abituale di persone pregiudicate ed il verificarsi di liti ed aggressioni che hanno comportato la necessità dell’intervento delle forze dell’ordine, con l’individuazione di una persona non in regola con le norme sul soggiorno.



Con il ricorso iscritto al n. 21 del reg. conflitti del 2008 sono stati impugnati il provvedimento del Questore della Provincia di Bolzano del 16 settembre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 16 settembre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 16 settembre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni, ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S., dell’esercizio pubblico “Bar Casablanca”, sito in Bolzano, e la relativa lettera di comunicazione, nonché il successivo provvedimento del medesimo Questore del 21 ottobre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 21 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 22 ottobre 2008), con cui è stata disposta nuovamente la chiusura per 15 giorni, ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S., del medesimo esercizio, e la relativa lettera di comunicazione. Tali provvedimenti sono stati adottati dal Questore in quanto, nel corso di controlli di polizia, era stata accertata la presenza abituale di persone pregiudicate e la violazione delle disposizioni in materia di orario di chiusura dei locali pubblici e, successivamente, si era reso necessario l’intervento delle forze di polizia per sedare una rissa in corso tra persone di nazionalità straniera, intervento in esito al quale era stato altresì disposto il sequestro di 2 grammi di cocaina.



Il ricorso iscritto al n. 25 del reg. conflitti del 2008 ha ad oggetto il provvedimento del Questore della Provincia di Bolzano del 22 ottobre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 22 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 22 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per sette giorni, ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S., dell’esercizio pubblico “New Bar”, sito in Bolzano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 22 ottobre 2008, nonché la lettera del Questore prot. n. 11-A/2008/P.A.S.I. del 21 ottobre 2008, comunicata alla Provincia di Bolzano in data 21 ottobre 2008. Siffatto provvedimento è stato adottato in quanto, nel corso di controlli di polizia, era stata accertata la presenza abituale, in detto esercizio pubblico, di persone pregiudicate.



Con i ricorsi iscritti ai nn. 26 e 27 del reg. conflitti del 2008, sono stati, infine, impugnati, rispettivamente, il provvedimento del Questore della Provincia di Bolzano dell’11 ottobre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., dell’11 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 14 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni dell’esercizio pubblico “Bar Muuh”, sito in Merano, e la relativa lettera di comunicazione datata 11 ottobre 2008, comunicata alla Provincia di Bolzano in data 14 ottobre 2008, nonché il provvedimento del Questore dell’11 ottobre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., dell’11 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 14 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni dell’esercizio pubblico “Bar Romana”, sito in Merano, e la relativa lettera di comunicazione. Anche tali provvedimenti sono stati adottati in quanto, nel corso di controlli di polizia, era stata accertata, in detti esercizi pubblici, la presenza abituale di persone pregiudicate.



Secondo la ricorrente, i provvedimenti avrebbero illegittimamente invaso le competenze in tema di “turismo ed industria alberghiera”, “esercizi pubblici” e “spettacoli pubblici per quanto attiene alla pubblica sicurezza”, attribuite alla Provincia dagli artt. 8, primo comma, n. 20, 9, primo comma, nn. 6 e 7, e 16 dello statuto speciale, nonché le attribuzioni già spettanti all’autorità di pubblica sicurezza, assegnate al Presidente della Provincia, nelle rispettive materie, dall’art. 20 del medesimo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione (in specie dall’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 686 del 1973, nonché dall’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 266 del 1992 e dall’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 526 del 1987).



Tali provvedimenti sarebbero, quindi, gravemente lesivi delle prerogative costituzionali attribuite alla medesima Provincia, oltre che dalle predette norme statutarie e di attuazione statutaria, anche dall’art. 107 dello statuto e dall’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.



In tutti i citati ricorsi, la ricorrente sostiene, inoltre, che l’attribuzione alla Provincia delle competenze inerenti anche alla funzione di garanzia della sicurezza pubblica, in relazione a determinate materie di spettanza provinciale, risponderebbe ad esigenze di contemperamento tra un adeguato collegamento con il territorio ed un sufficiente grado di accentramento della medesima funzione, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 97 Cost., oltre che, nel quadro dei principi delineati dalle norme dello statuto e dalle norme di attuazione, alla salvaguardia dell’autonomia speciale della Provincia autonoma di Bolzano che trova il suo fondamento nell’art. 6 della Costituzione.



Pertanto, la ricorrente chiede che la Corte dichiari che non spetta allo Stato, e per esso al Questore della Provincia di Bolzano, imporre con proprio provvedimento la sospensione della licenza di un esercizio pubblico e, per l’effetto, annulli gli atti impugnati.



3.– All’udienza pubblica del 22 settembre 2009 la Provincia di Bolzano ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.



4.– In ordine ai conflitti iscritti ai numeri 20, 21, 25, 26 e 27 del registro conflitti del2008, questa Corte, con ordinanza istruttoria, in esito all’udienza del 22 settembre 2009, ha disposto l’acquisizione dei provvedimenti del Questore impugnati, che non erano stati prodotti in giudizio.



5.– Nell’imminenza della successiva udienza pubblica del 25 maggio 2010, alla quale il giudizio era stato nel frattempo rinviato, la ricorrente ha depositato ulteriori memorie, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.



6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva.







Considerato in diritto



1.– Con sei distinti ricorsi, la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto altrettanti conflitti di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione ad una serie di provvedimenti di sospensione della licenza di svariati esercizi pubblici, adottati, rispettivamente, dal Commissario del Governo (reg. confl. n. 19 del 2008) e dal Questore (reg. confl. nn. 20, 21, 25, 26 e 27 del 2008) della Provincia di Bolzano.



La Provincia ritiene – in tutti i ricorsi – che con l’adozione degli atti impugnati lo Stato abbia violato le competenze legislative ed amministrative provinciali in materia di “turismo e industria alberghiera”, “esercizi pubblici” e “spettacoli pubblici per quanto attiene alla pubblica sicurezza”, di cui agli artt. 8, primo comma, n. 20, 9, primo comma, nn. 6 e 7, e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e le connesse attribuzioni di cui all’art. 20 del medesimo statuto.



Secondo la ricorrente, tali norme attribuirebbero al Presidente della Provincia i poteri di pubblica sicurezza inerenti alle materie di competenza provinciale, configurando come meramente residuali i poteri di pubblica sicurezza spettanti agli organi statali. Nella Provincia di Bolzano, la linea di demarcazione fra le proprie competenze e le competenze statali non correrebbe, pertanto, «fra le funzioni di polizia amministrativa e l’area delle funzioni di polizia di pubblica sicurezza», ma si delineerebbe all’interno di quest’ultima, come risulterebbe confermato dalle pertinenti norme di attuazione dello statuto speciale ed in specie dagli artt. 3, primo comma, e 4, primo comma, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 1° novembre 1973, n. 686 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige concernente esercizi pubblici e spettacoli pubblici), dall’art. 3, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), nonché dall’art. 4, comma 1, decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento).



I provvedimenti impugnati sarebbero lesivi delle prerogative provinciali, in quanto gli interessi tutelati dall’autorità statale di pubblica sicurezza con i predetti non avrebbero rilevanza esterna alle materie di competenza provinciale ed alle connesse attribuzioni provinciali di cui all’art. 20 dello statuto speciale, non attenendo in modo diretto all’ordine pubblico strettamente inteso, e rientrando, invece, nell’ampia competenza provinciale delimitata dalle citate norme statutarie e di attuazione statutaria.



2.– I ricorsi proposti, avendo ad oggetto provvedimenti di contenuto analogo, corrispondenti alla sospensione della licenza di esercizio pubblico, e impugnati con censure di identico contenuto, vanno riuniti e decisi con un’unica pronuncia.



3.– I ricorsi non sono fondati.



3.1.– Cinque dei sei ricorsi proposti (quelli iscritti ai numeri 20, 21, 25, 26 e 27 del 2008) impugnano alcuni decreti di sospensione temporanea della licenza di esercizi pubblici, adottati dal Questore della Provincia di Bolzano ai sensi dell’art. 100 del regio decreto 16 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), allo scopo di scongiurare il verificarsi di situazioni atte a turbare l’ordine pubblico e la sicurezza. Come riconosciuto dalla stessa ricorrente, dal testo degli atti impugnati, prodotti in giudizio, emerge, infatti, che l’adozione dei medesimi è avvenuta in quanto, nel corso di controlli di polizia, è stata accertata la presenza abituale di persone pregiudicate e talora si sono verificate liti ed aggressioni che hanno comportato la necessità dell’intervento delle forze dell’ordine.



Tali atti rientrano fra quelli, adottati ai sensi dell’art. 100 T.U.L.P.S., di sospensione della licenza di pubblico esercizio, la cui finalità, come questa Corte ha già espressamente affermato, «non è quella di sanzionare la condotta del gestore di un pubblico esercizio per avere consentito la presenza, nel proprio locale, di persone potenzialmente pericolose per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, bensì quella di impedire, attraverso la chiusura del locale, il protrarsi di una situazione di pericolosità sociale; ragion per cui si ha riguardo esclusivamente alla esigenza obiettiva di tutelare l’ordine e la sicurezza dei cittadini, indipendentemente da ogni responsabilità dell’esercente» (sentenza n. 129 del 2009).



I provvedimenti impugnati, in quanto strumentali esclusivamente alla tutela della sicurezza dei cittadini, non determinano, quindi, alcuna lesione delle prerogative della Provincia e non sono riconducibili ai poteri di polizia assegnati al suo Presidente in materia di esercizi pubblici, costituendo legittimo svolgimento dei compiti di ordine pubblico, riservati allo Stato.



3.2.– Analoghe considerazioni devono svolgersi con riguardo al ricorso iscritto al n. 19 del 2008, avente ad oggetto un’ordinanza del Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano, con cui è stata del pari disposta la sospensione temporanea della licenza di un esercizio pubblico, anche se a seguito dell’intervenuto accertamento, nel corso di controlli di polizia, della somministrazione di bevande alcoliche, presso il medesimo locale, oltre l’orario consentito, in violazione del disposto dell’art. 6 del decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti modificative del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza nella circolazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160.



Anche in tal caso, infatti, il provvedimento in esame è stato posto in essere in vista della prevalente necessità di tutelare la pubblica sicurezza, in attuazione di quanto, a tale scopo, prescritto dal citato art. 6 del d.l. n. 117 del 2007. Questa Corte ha già riconosciuto, a tal proposito, che la predetta disposizione si inserisce in un contesto normativo volto a favorire una «presa di coscienza dei pericoli, per l’incolumità degli utenti della strada, derivanti dall’abuso di bevande alcoliche» (sentenza n. 152 del 2010), cosicché risulta evidente che i provvedimenti adottati in attuazione della stessa sono volti esclusivamente ad evitare che si possano verificare episodi di guida in stato di ubriachezza potenzialmente lesivi dell’ordine pubblico.



Pertanto il provvedimento in esame non lede alcuna competenza provinciale, in quanto adottato nell’esercizio della competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e pubblica sicurezza.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



riuniti i giudizi,



dichiara che spettava allo Stato adottare:



- l’ordinanza del Commissario del Governo per la Provincia di Bolzano n. 964/2008, Area III, del 10 settembre 2008, con la quale è stata disposta la chiusura per sette giorni dell’esercizio pubblico “Kalterer Weinstadl”, sito in Caldano (reg. ric. n. 19 del 2008);



- il decreto del Questore della Provincia di Bolzano del 18 settembre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 17 settembre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 18 settembre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni, dell’esercizio pubblico bar “Caffè Agadir”, sito in Bolzano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 17 settembre 2008, giunta al protocollo provinciale in data 18 settembre 2008 (reg. conflitti n. 20 del 2008);



- il decreto del Questore della Provincia di Bolzano del 16 settembre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 16 settembre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 16 settembre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni, dell’esercizio pubblico bar caffè “Bar Casablanca”, sito in Bolzano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 16 settembre 2008, giunta al protocollo provinciale in data 16 settembre 2008, nonché il decreto del Questore della Provincia di Bolzano del 21 ottobre 2008 (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 21 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 22 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per quindici giorni del medesimo bar caffè “Bar Casablanca”, e la relativa lettera di comunicazione, datata 21 ottobre 2008, giunta al protocollo provinciale in data 22 ottobre 2008 (reg. conflitti n. 21 del 2008);



- il decreto del Questore della Provincia di Bolzano (n. 11-A/2008/P.A.S.I., del 22 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 22 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per sette giorni dell’esercizio pubblico “New Bar”, sito in Bolzano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 22 ottobre 2008, nonché la lettera del Questore prot. n. 11-A/2008/P.A.S.I. del 21 ottobre 2008, comunicata alla Provincia di Bolzano in data 21 ottobre 2008, con cui quest’ultimo formulava richiesta di parere ai sensi dell’art. 21 dello statuto speciale (reg. conflitti n. 25 del 2008);



- il decreto del Questore della Provincia di Bolzano (n. 11-A/2008/P.A.S.I., dell’11 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 14 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni dell’esercizio pubblico “Bar Muuh”, sito in Merano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 11 ottobre 2008, comunicata alla Provincia di Bolzano in data 14 ottobre 2008 (reg. conflitti n. 26 del 2008);



- il decreto del Questore della Provincia di Bolzano (n. 11-A/2008/P.A.S.I., dell’11 ottobre 2008, comunicato alla Provincia di Bolzano il 14 ottobre 2008), con cui è stata disposta la chiusura per dieci giorni dell’esercizio pubblico “Bar Romana”, sito in Merano, e la relativa lettera di comunicazione, datata 11 ottobre 2008, comunicata alla Provincia di Bolzano in data 14 ottobre 2008 (reg. conflitti n. 27 del 2008).



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Giuseppe TESAURO, Redattore



Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2010.



Il Direttore della Cancelleria



F.to: DI PAOLA


ORDINANZA N. 258 ANNO 2010

ORDINANZA N. 258 ANNO 2010

Processo penale - Appello - Modifiche normative recate dalla legge n. 46/2006 - Possibilità per il pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace per i reati puniti con pena alternativa - Preclusione.
Ordinanza 258/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE



Presidente AMIRANTE - Redattore NAPOLITANO



Camera di Consiglio del 09/06/2010 Decisione del 07/07/2010

Deposito del 15/07/2010 Pubblicazione in G. U. 21/07/2010

Norme impugnate: Art. 9, c. 2°, della legge 20/02/2006, n. 46, che modifica l'art. 36 del decreto legislativo 28/08/2000, n. 274.

Massime: 34854



Titoli:

Atti decisi: ord. 308 e 309/2009





ORDINANZA N. 258



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



ORDINANZA



nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promossi dal Tribunale di Pordenone con ordinanze del 7 febbraio e del 16 ottobre 2008 iscritte ai nn. 308 e 309 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2009.



Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;



udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.









Ritenuto che il Tribunale di Pordenone in qualità di giudice d’appello, con due ordinanze di identico tenore, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace per reati puniti con pena alternativa;



che, in entrambi i casi, il rimettente premette in fatto di dover esaminare l’appello proposto dal Procuratore generale avverso sentenze di «proscioglimento per remissione tacita di querela» emesse dal Giudice di pace di Pordenone nei confronti di due imputati nei confronti dei quali si procedeva, rispettivamente, per lesioni, ingiuria e minacce (artt. 582, 594 e 612 cod. pen.) e per diffamazione e minacce (artt. 595 e 612 cod. pen.);



che, in punto di rilevanza, il giudice dell’appello precisa che, in applicazione della disposizione censurata, l’impugnazione dovrebbe essere convertita in ricorso per cassazione alla luce della regola generale di cui all’art. 568 cod. proc. pen. con conseguente trasmissione degli atti alla Corte di cassazione;



che, quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale di Pordenone evidenzia che l’art. 37, comma 1, della legge n. 274 del 2000, consente all’imputato di appellare le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena di specie diversa da quella pecuniaria nonché quelle che applicano la pena pecuniaria, se l’impugnazione ha ad oggetto anche la condanna al risarcimento del danno;



che, invece, la norma oggetto di censura nega radicalmente il «correlativo potere di appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento» pronunciate dal giudice di pace;



che tale differente trattamento si porrebbe in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. che sancisce il principio di parità delle parti nel processo.



Considerato che il Tribunale di Pordenone in qualità di giudice d’appello, con due ordinanze di identico tenore, ha sollevato, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace;



che, secondo il rimettente, risulterebbe violato l’art. 111, secondo comma, Cost. sotto il profilo della lesione del principio di parità delle parti nel processo, attesa la differenza di disciplina dell’appello del pubblico ministero, rispetto agli omologhi poteri riconosciuti in capo all’imputato;



che la questione è manifestamente infondata;



che analoga questione, sollevata dalla Corte di cassazione con una precedente ordinanza, è già stata dichiarata infondata da questa Corte con la sentenza n. 298 del 2008;



che, in tale occasione, si è evidenziato come la preesistente disciplina, con specifico riguardo al regime delle impugnazioni, «vedeva l’imputato, per certi versi, sfavorito rispetto al pubblico ministero in quanto in base al previgente art. 36 del d.lgs. n. 274 del 2000, […] la parte pubblica era abilitata ad appellare sia le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria; sia le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa. Per contro, ai sensi dell’art. 37 del medesimo decreto legislativo, l’imputato era – ed è – ammesso ad appellare le sentenze di condanna a pena diversa da quella pecuniaria; nonché le sentenze di condanna a quest’ultima pena, ma solo ove venga congiuntamente impugnato il capo di condanna, anche generica, al risarcimento del danno»;



che, dunque, la scelta del legislatore di escludere la proponibilità di censure di merito, da parte del pubblico ministero, avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace non può ritenersi che ecceda i limiti di compatibilità del principio di parità delle parti, trovando «una sufficiente ratio giustificatrice sia nella ritenuta opportunità di evitare un secondo giudizio di merito, ad iniziativa della parte pubblica, nei confronti di soggetti già prosciolti per determinati reati “di fascia bassa”, all’esito di un procedimento improntato a marcata rapidità e semplificazione di forme; sia – almeno in parte – nell’ottica del riequilibrio dei poteri rispetto ad un assetto nel quale ad essere collocato in posizione di svantaggio era, sotto certi aspetti, l’imputato: ossia, proprio la parte il cui diritto d’appello ha una maggiore “forza di resistenza” rispetto a spinte di segno soppressivo»;



che, non risultando addotti profili o argomenti diversi o ulteriori rispetto a quelli già valutati nella precedente pronuncia di infondatezza, la questione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve essere dichiarata manifestamente infondata.



Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), come modificato dall’art. 9, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Pordenone con le ordinanze indicate in epigrafe.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore



Roberto MILANA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010.



Il Cancelliere



F.to: MILANA

SENTENZA N. 257 ANNO 2010

SENTENZA N. 257 ANNO 2010

Elezioni - Elezioni comunali e provinciali - Presentazione delle candidature e delle liste - Possibilità della Commissione elettorale circondariale di eliminare i nomi dei candidati alla carica di sindaco dei quali venga accertata la sussistenza della condizione di ineleggibilità di cui all'art. 60, comma 1, n. 12, del d.lgs. n. 267/2000 e di rimuovere le liste collegate agli stessi.Sentenza 257/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE



Presidente AMIRANTE - Redattore QUARANTA



Udienza Pubblica del 08/06/2010 Decisione del 07/07/2010

Deposito del 15/07/2010 Pubblicazione in G. U. 21/07/2010

Norme impugnate: Artt. 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16/05/1960, n. 570.

Massime: 34853



Titoli:

Atti decisi: ord. 306/2009





SENTENZA N. 257



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con ordinanza del 1° ottobre 2009, iscritta al n. 306 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2009.



Visti l’atto di costituzione di G.B. ed altro, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;



udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;



uditi l’avvocato Federico Sorrentino per G.B. ed altro, e l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.







Ritenuto in fatto



1.— Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza del 1° ottobre 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) «nella parte in cui non prevedono che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello − rispettivamente − della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina i nomi dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza della condizione di ineleggibilità di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi», per contrasto con gli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione.



L’art. 60, comma 1, numero 12, sopra richiamato, prevede che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale: i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione.



2.— Il giudizio a quo, proposto da cittadini elettori residenti nel comune di Cengio, ha ad oggetto l’impugnazione del verbale di proclamazione degli eletti alla carica di sindaco e di consigliere comunale del suddetto comune, adottato dall’Adunanza dei presidenti delle sezioni elettorali a seguito delle elezioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009.



3.— Il remittente ha premesso in fatto quanto di seguito, in sintesi, riportato.



La sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte ammetteva alla consultazione elettorale del 6 e 7 giugno 2009 tre liste: “Lista civica Cengio c’è”; “Noi per Cengio”; “Cengio cambia – Bagnasco Sindaco – Lista civica”. Quest’ultima lista indicava quale candidato sindaco Arnaldo Bagnasco, consigliere comunale del comune di Cairo Montenotte.



L’incarico consiliare presso quest’ultimo comune rendeva ineleggibile il Bagnasco alla carica di sindaco del comune di Cengio ai sensi dell’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Ciò nonostante, la sottocommissione elettorale circondariale di Cairo Montenotte, non rilevando tale condizione di ineleggibilità, ammetteva la lista “Cengio cambia – Bagnasco Sindaco – Lista civica”, alla consultazione elettorale.



A seguito di un esposto, la Prefettura di Savona, sul punto, precisava che «la commissione elettorale circondariale deve rilevare solo le cause di incandidabilità, mentre non ha il potere di impedire la presentazione della lista per ragioni di ineleggibilità». In tal senso si esprimeva anche la suddetta sottocommissione elettorale.



In data 8 giugno 2009 l’Adunanza dei presidenti delle sezioni elettorali proclamava i risultati elettorali ed assegnava alla suddetta lista un solo seggio, attribuito al candidato sindaco Arnaldo Bagnasco. Quest’ultimo, in data 16 giugno 2009, rassegnava le dimissioni dalla carica di consigliere comunale di Cengio, con ciò determinando il subentro del proprio figlio Emil Bagnasco, primo dei non eletti della lista a lui collegata.



4.— Tanto premesso, il TAR remittente, in ordine alla rilevanza della questione, afferma di condividere l’orientamento della Corte di cassazione, secondo il quale l’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, con l’uso dell’avverbio «rispettivamente» intende prefigurare non già una pedissequa simmetria, quanto alle limitazioni alla eleggibilità, tra cariche identiche (sindaco con sindaco di altro comune, consigliere comunale con consigliere di altro comune), bensì limitare, a chi rivesta una carica all’interno dell’organo elettivo, l’accesso ad altro organo omologo, sia come consigliere che come sindaco, posta la indiscutibile appartenenza di quest’ultimo al consiglio comunale e la sua partecipazione alle relative funzioni.



Disciplina analoga, ricorda il giudice a quo, era già contenuta nel combinato disposto di cui all’art. 2, numero 13 (recte: numero 12), della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale) e dell’art. 6 del d.P.R. n. 570 del 1960.



Né, d’altronde, il d.lgs. n. 267 del 2000, per sua natura, in ragione della delega conferita dell’art. 31 della legge 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142), sarebbe stato idoneo ad innovare detta disciplina senza incorrere in un eccesso di delega.



5.— Ciò premesso, il TAR ligure dubita della legittimità costituzionale dei citati artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, nei termini sopra esposti.



Tali articoli contengono una elencazione analitica dei casi di esclusione dei candidati e di ricusazione delle liste da parte dell’Ufficio elettorale in questione, che ha carattere tassativo. In base alle suddette disposizioni, la Commissione elettorale non ha il potere di escludere una lista per ragioni di ineleggibilità del candidato sindaco al quale la stessa è collegata.



Ogni verifica è infatti rinviata alla prima seduta consiliare (art. 41 del d.lgs. n. 267 del 2000), con la conseguenza, ad avviso del giudice remittente, che «se il candidato ineleggibile viene eletto sindaco, la decadenza che lo riguarda rende necessaria la celebrazione di nuove elezioni; se, invece, rimane soccombente, le elezioni resteranno valide e si verifica solo la decadenza del candidato sindaco dalla carica di consigliere comunale» (è richiamata la decisione del Consiglio di Stato, sezione V, 15 giugno 2000, n. 3338).



6.— Il TAR precisa che le cause di ineleggibilità, tra le quali figura quella di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, riguardano coloro che, ricoprendo un incarico o una funzione pubblica di notevole rilievo sociale, politico o istituzionale, possono trarne immediato giovamento, in termini di prestigio personale e di potenziale aumento del consenso elettorale, esercitando la captatio benevolentiae.



Esse divergono dalle cause di incompatibilità, che offrono invece al candidato eletto la facoltà di scegliere tra la carica elettiva e l’ufficio o l’incarico da cui discende l’impedimento.



Coloro che non abbiano rimosso la causa di ineleggibilità prima del termine di legge incorrono in una causa di decadenza.



L’ineleggibilità, pertanto, opera come temporanea sospensione del diritto di elettorato passivo.



7.— Orbene, ad avviso del TAR remittente, occorre considerare che tale assetto normativo è sorto nel vigore del precedente sistema elettorale, il quale prevedeva l’elezione del sindaco ad opera del consiglio comunale, nel suo ambito, alla prima adunanza, subito dopo la convalida degli eletti (art. 34 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che reca «Ordinamento delle autonomie locali», nel testo in vigore anteriormente alla sostituzione operata dall’art. 16 della legge 25 marzo 1993, n. 81, che reca «Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale»).



In tale contesto, appariva dunque del tutto ragionevole che la causa di ineleggibilità del candidato determinasse soltanto la sua decadenza, senza travolgere l’intero procedimento elettorale.



Il giudice a quo deduce, quindi, che tale situazione sia radicalmente mutata a seguito dell’entrata in vigore della citata legge n. 81 del 1993, con specifico riguardo alla situazione dei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, com’è il caso del comune di Cengio.



Con l’entrata in vigore dell’art. 5 della legge n. 81 del 1993 (successivamente abrogato dal d.lgs. n. 267 del 2000, ma sostanzialmente riprodotto nell’art. 71 del medesimo d.lgs.), infatti, è sorto un rapporto di stretta integrazione tra il candidato alla carica di sindaco e la lista a quest’ultimo collegata, rapporto che costituisce il tratto più significativo della riforma del sistema elettorale amministrativo attuata con tale legge.



A sostegno delle proprie argomentazioni il remittente pone in evidenza:



a) che con la lista di candidati al consiglio comunale deve essere anche presentato il nome e cognome del candidato alla carica di sindaco e il programma amministrativo da affiggere all’albo pretorio;



b) che ciascuna candidatura alla carica di sindaco è collegata ad una lista di candidati alla carica di consigliere comunale;



c) che nella scheda elettorale è indicato, a fianco del contrassegno, il candidato alla carica di sindaco;



d) che a ciascuna lista di candidati alla carica di consigliere si intendono attribuiti tanti voti quanti sono i voti conseguiti dal candidato alla carica di sindaco ad essa collegato, di modo che nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, «l’indicazione di voto apposta sul nominativo del candidato alla carica di sindaco o sul rettangolo che contiene il nominativo stesso» vale anche come voto alla lista collegata.



Ne consegue che la presentazione della lista integra, oggi, una fattispecie di cui sono elementi essenziali sia l’indicazione del candidato alla carica di sindaco, sia l’elenco dei candidati al consiglio comunale.



Tanto ciò è vero che, nel caso del candidato sindaco che versi nella situazione di incandidabilità ai sensi della disciplina antimafia, le norme contenute negli artt. 30, comma 1, lettera c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 570 del 1960 prevedono espressamente l’esclusione del nominativo del candidato. A ciò consegue che la lista a lui collegata, venendo a mancare dell’indefettibile requisito di ammissibilità costituito dall’indicazione del candidato sindaco (art. 71, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000), diviene a sua volta inammissibile e, come tale, immediatamente esclusa dalla competizione elettorale.



8.— Un primo profilo di illegittimità della normativa in questione, è ravvisato dal TAR per la Liguria nella violazione del principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost.



Benché in entrambe le ipotesi (incandidabilità ed ineleggibilità del candidato sindaco) sussista un inscindibile collegamento tra la presentazione della candidatura alla carica di sindaco e quella della lista dei candidati al consiglio comunale ad essa collegata – tale per cui simul stabunt, simul cadent – non sarebbe dato comprendere perché in un caso (incandidabilità) l’inammissibilità della candidatura alla carica di sindaco debba essere rilevata prima della celebrazione delle elezioni ex artt. 30, comma 1, lettera c), e 33, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 570 del 1960 e determini l’inammissibilità anche della lista collegata, mentre nell’altro (ineleggibilità) debba essere dichiarata soltanto dopo, ex art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000, con il rischio concreto di invalidare (nel caso di elezione del candidato sindaco ineleggibile) l’intero procedimento elettorale.



9.— Sussisterebbe, altresì, la violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 48, secondo comma, e 51, primo comma, Cost.



Da un lato, infatti, le cause di ineleggibilità, di cui agli artt. 60 e 61 del d.lgs. n. 274 del 2000, sono stabilite allo scopo di garantire la eguale e libera espressione del voto, tutelata dall’art. 48, secondo comma, primo periodo, Cost., «rispetto a qualsiasi possibilità di captatio benevolentiae o di metus potestatis».



Dall’altro, esse sono intese a garantire pari opportunità tra coloro che concorrono alle cariche pubbliche (è richiamata la sentenza n. 84 del 2006).



Invece, in ragione della disciplina censurata, i candidati alla carica di consigliere comunale eletti in una lista collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, si trovano nella condizione di avvantaggiarsi degli effetti positivi della candidatura di quest’ultimo.



10.— Le disposizioni de quibus sarebbero, inoltre, in contrasto con il principio di buon andamento dell’attività amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., che vale anche per il procedimento amministrativo elettorale.



Diversamente dal passato, deduce il TAR, la posizione nella quale il legislatore ha individuato una causa di ineleggibilità è in grado di alterare non solo il risultato personale del candidato, ma anche il risultato della lista cui egli è collegato.



In tale mutato contesto, dunque, non sarebbe più ragionevole e conforme al principio di buon andamento che la causa di ineleggibilità del candidato determini soltanto la sua decadenza a posteriori, senza travolgere l’intero procedimento elettorale.



Sul punto, ricorda il remittente, la Corte costituzionale, seppure nell’ambito di una decisione di inammissibilità della questione sottopostale, per carenza di incidentalità, ha già affermato di essere «consapevole che la vigente normativa consente di rilevare l’esistenza di cause di ineleggibilità – nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunità fra i concorrenti – soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni (…). Si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l’ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l’ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali» (già citata sentenza n. 84 del 2006).



11.— Si è costituita la parte ricorrente del giudizio a quo che ha concluso per la fondatezza della questione di costituzionalità.



12.— È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi non fondata la questione sollevata dal TAR Liguria richiamando le motivazioni della decisione del Consiglio di Stato n. 3338 del 2000.



13.— In data 18 maggio 2010, hanno depositato memoria i ricorrenti in prime cure.



La difesa privata, pone in evidenza, in particolare, come, in ragione della disciplina vigente, l’unica finalità che può perseguire un soggetto ineleggibile, che si candidi a sindaco in un comune con popolazione inferiore a quindicimila abitanti, è quella di attirare voti per favorire candidati inseriti nella lista a lui collegata. Tale finalità incide in modo distorsivo sulla par condicio elettorale ed è pregiudizievole in ordine alla genuinità del voto (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 84 del 2006).



È contrastata, altresì, la difesa dell’Avvocatura dello Stato.



14.— Anche la difesa dello Stato ha depositato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni svolte e le conclusioni già rassegnate.



Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la diversa ratio che sottende le ipotesi di incandidabilità rispetto a quelle di ineleggibilità giustificherebbe la rilevabilità di quest’ultima, nella fattispecie in esame, dopo lo svolgimento delle elezioni.



La corretta composizione degli organi elettivi è affidata, infatti, a controlli successivi, in occasione dell’insediamento degli organi stessi.



La pronuncia additiva richiesta, infine, inciderebbe sulla discrezionalità che l’ordinamento affida al legislatore.







Considerato in diritto.



1.— Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con ordinanza in data 1° ottobre 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) «nella parte in cui non prevedono che la Commissione elettorale circondariale, entro il giorno successivo a quello − rispettivamente − della presentazione delle candidature e della presentazione delle liste, elimina i nomi dei candidati alla carica di sindaco a carico dei quali viene accertata la sussistenza della condizione di ineleggibilità di cui all’art. 60, comma 1, numero 12, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e ricusa le liste collegate agli stessi», per contrasto con gli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione.



2.— Il giudice a quo, con riguardo alla dedotta violazione del principio di eguaglianza, invoca, quale tertium comparationis, l’art. 15, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), il quale, occorre ricordare, «risulta formalmente abrogato», dall’art. 274, comma 1, lettera p), del citato d.lgs. n. 267 del 2000, «ma il suo contenuto precettivo è stato integralmente riprodotto dal combinato disposto degli artt. 58, comma 1, lettera a), e 59, comma 1, lettera a), e comma 4», del medesimo decreto (sentenza n. 25 del 2002).



3.— In particolare, il remittente lamenta la mancata previsione, nelle disposizioni censurate, della competenza della predetta Commissione elettorale ad eliminare dalle liste i nomi dei candidati alla carica di sindaco e a disporre la conseguente ricusazione delle liste stesse, in presenza della causa di ineleggibilità di cui al citato art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, in analogia a quanto espressamente previsto dall’art. 15, comma 1, della legge n. 55 del 1990, in una fattispecie – a suo dire – per alcuni aspetti analoga.



Il suddetto art. 60, comma 1, numero 12, prevede che «non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale» (…) «i sindaci, presidenti di provincia, consiglieri comunali, provinciali o circoscrizionali in carica, rispettivamente in altro comune, provincia o circoscrizione».



A sua volta, l’art. 58, come nel tempo modificato, del citato d.lgs. n. 267 del 2000, prevede, al comma 1, con disciplina analoga a quella del richiamato art. 15 della legge n. 55 del 1990, che «non possono essere candidati alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all’articolo 114, presidente e componente degli organi delle comunità montane» coloro che hanno riportato condanna penale definitiva per determinati reati, o coloro nei cui confronti è stata applicata, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, o comunque criminale, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.



3.1.— In riferimento alla prospettata violazione dei suindicati parametri costituzionali, il TAR remittente ha dedotto che i candidati alla carica di consigliere comunale, eletti in una lista collegata ad un candidato sindaco ineleggibile, sarebbero avvantaggiati dagli effetti positivi della candidatura di quest’ultimo, con lesione sia del diritto degli elettori comunali alla libera espressione del voto, sia di quello degli aspiranti alla carica di consigliere comunale, appartenenti ad altre liste, di concorrere in condizioni di sostanziale eguaglianza.



3.2.— Infine, con specifico riferimento alla prospettata violazione dell’art. 97 Cost., il remittente afferma come non sia ragionevole e conforme al principio costituzionale di buon andamento che la causa di ineleggibilità del candidato determini soltanto la sua decadenza a posteriori, senza travolgere l’intero procedimento elettorale. Ciò ancor più, laddove si consideri che l’art. 76 del d.lgs. n. 267 del 2000 disciplina l’anagrafe degli amministratori locali e regionali, che contiene i dati relativi agli eletti a cariche locali e regionali ed è agevolmente consultabile da chiunque, sicché la situazione di ineleggibilità del candidato, che versi in tale condizione, è accertabile in modo semplice e rapido.



4.— In via preliminare, occorre precisare che il thema decidendum del presente giudizio verte sulle limitazioni al diritto di elettorato passivo alla carica di sindaco, che rientra fra quelli «inviolabili» riconosciuti dall’art. 2 Cost., per cui la sua restrizione è ammissibile soltanto nei limiti strettamente necessari alla tutela di altri interessi costituzionalmente protetti e secondo le regole della necessità e della ragionevole proporzionalità (sentenze n. 240 del 2008 e n. 141 del 1996). Da ciò deriva che le norme che derogano al principio della generalità di tale diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono essere applicate nei limiti di quanto sia necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (sentenze n. 306 del 2003 e n. 364 del 1996).



E deve anche essere precisato che, come questa Corte ha più volte affermato, la previsione della ineleggibilità tende a prevenire che il candidato ponga in essere, in ragione della carica ricoperta o delle funzioni svolte, indebite pressioni sugli elettori (sentenza n. 217 del 2006), esercitando una captatio benevolentiae o inducendo un metus publicae potestatis, idonei ad alterare la par condicio tra i candidati. Tale funzione distingue l’istituto in questione da quello dell’incompatibilità, che è volta, invece, ad evitare il conflitto di interessi nel quale venga a trovarsi il soggetto che sia stato eletto (citata sentenza n. 217 del 2006).



Orbene, nella specie, la doglianza del remittente si appunta sulle modalità con le quali l’ineleggibilità, sancita dall’art. 60, comma 1, numero 12, del d.lgs. n. 267 del 2000, deve essere rilevata, nonché sulle ricadute di essa sul complessivo sistema elettorale per l’elezione del sindaco e dei consiglieri comunali.



5.— Così precisato l’oggetto del contendere, deve essere esaminata, innanzi tutto, l’eccezione di inammissibilità della questione sotto il profilo secondo cui essa sarebbe diretta ad ottenere una pronunzia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato.



6.— L’eccezione è fondata.



Il remittente, nel prospettare la necessità della integrazione, ad opera di questa Corte, delle norme censurate nel senso suindicato, invoca una parificazione tra l’ipotesi della ineleggibilità disciplinata dall’art. 60, comma 1, numero 12, del T.U. n. 267 del 2000 e quella della incandidabilità già prevista dall’art. 15 della legge n. 55 del 1990, la quale sarebbe funzionale a salvaguardare la libertà del voto e la partecipazione alla competizione elettorale in posizione di uguaglianza tra i concorrenti.



Tuttavia, l’uguaglianza delle situazioni poste a confronto, che dovrebbe giustificare la invocata identità di trattamento normativo, non appare rispondente né alla ratio degli istituti in esame, né al quadro normativo di riferimento.



Occorre considerare, innanzitutto, la ratio sottesa alle disposizioni contenute nella citata normativa antimafia.



Come questa Corte ha già affermato, le previsioni contenute in tale normativa speciale sono dirette «ad assicurare la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente gli interessi dell’intera collettività» (sentenza n. 352 del 2008, che richiama l’affermazione della sentenza n. 288 del 1993).



Il legislatore, in tal modo, «ha inteso essenzialmente contrastare il fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto istituzionale locale e, in generale, perseguire l’esclusione dalle amministrazioni locali di coloro che per gravi motivi non possono ritenersi degni della fiducia popolare» (citata sentenza n. 352 del 2008 che richiama l’affermazione della sentenza n. 407 del 1992).



Ciò comporta che è speculare al potere della Commissione elettorale circondariale di escludere i candidati che versino nelle condizioni di cui al citato art. 15 della legge n. 55 del 1990, la sanzione della nullità dell’elezione, sancita prima dal medesimo art. 15 e ora dall’art. 58 del d.lgs. n. 267 del 2000.



Si è, dunque, in presenza di una specifica causa ostativa alla candidatura, dalla quale l’ordinamento fa scaturire le suddette conseguenze.



Diversa è, invece, l’ipotesi di ineleggibilità prevista dall’art. 60, comma 1, numero 12, del T.U. n. 267 del 2000, che rientra tra quelle per le quali le limitazioni del diritto di elettorato passivo sono fondate sul timore di distorsione della volontà degli elettori a causa dell’influenza che su di essi può essere esercitata da chi ricopre determinati uffici, o sono comunque fondate su elementi di carattere personale (sentenza n. 450 del 2000).



A ciò è da aggiungere che la ratio di limitazioni analoghe a quelle in esame è stata ravvisata nella diversa circostanza che «chi di una di tali amministrazioni fa parte si consideri così strettamente legato da doveri e da responsabilità verso la comunità prescelta da non potere partecipare agli organi rappresentativi degli interessi omologhi di altra comunità dello stesso tipo, con l’assunzione di altrettanti doveri e responsabilità verso di essa» (sentenza n. 97 del 1991).



Anzi, il potere attribuito alla Commissione elettorale circondariale dalle norme censurate rispetto alla incandidabilità ex art. 15 della legge n. 55 del 1990, ha fondamento proprio nella sanzione della nullità, in quanto tende ad evitare, in un’ottica di buon andamento dell’amministrazione, relativa anche al procedimento elettorale, che si dia luogo ad una consultazione elettorale destinata ad essere travolta.



D’altronde, come ha avuto modo di rilevare la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione V, decisione 15 giugno 2000, n. 3338), le citate disposizioni, oltre a sancire il divieto di candidatura, regolano anche un potere di controllo su questa causa di impedimento, che può risolversi nella radicale esclusione del candidato consigliere ineleggibile, come anche nell’esclusione della lista collegata al candidato sindaco ineleggibile.



È, dunque, evidente che, nel bilanciamento fra i principi previsti dagli artt. 51 e 97 Cost., spetta esclusivamente al Parlamento valutare, sulla base della ragionevolezza e con scelte di carattere certamente politico, le diverse ipotesi e, in relazione alla gravità di ciascuna di esse, graduare il trattamento normativo più appropriato e proporzionato (sentenza n. 240 del 2008).



7.— Quanto sopra, da un lato, fa emergere l’incompletezza della ricostruzione normativa posta dal giudice remittente a fondamento della lesione del principio di eguaglianza; dall’altro, mette in luce come il remittente stesso prospetti la necessità di un intervento manipolativo che esorbita dai poteri di questa Corte, risolvendosi in un ampliamento dei compiti della Commissione elettorale circondariale che solo il legislatore può prevedere. Il remittente chiede, in definitiva, una pronuncia a contenuto non costituzionalmente obbligato, proponendo un petitum additivo a carattere creativo rientrante soltanto nella discrezionalità del legislatore (ex plurimis: sentenza n. 138 del 2010; ordinanze n. 243 del 2009, n. 316 del 2008, n. 185 del 2007).



8.— Il giudice a quo, nella sua ordinanza, nel prospettare le ragioni poste a base della valutazione di non manifesta infondatezza della questione, ha fatto, tra l’altro, riferimento a quanto osservato nella sentenza n. 84 del 2006 da questa Corte, la quale, pronunciandosi su una fattispecie connotata dalla mancanza del carattere di incidentalità della questione di costituzionalità allora proposta, ha affermato di essere «consapevole che la vigente normativa consente di rilevare l’esistenza di cause di ineleggibilità – nonostante che queste siano intese a garantire la pari opportunità fra i concorrenti – soltanto dopo lo svolgimento delle elezioni». E la Corte ha aggiunto che «si tratta di una normativa evidentemente incongrua: non assicura la genuinità della competizione elettorale, nel caso in cui l’ineleggibilità sia successivamente accertata; induce il cittadino a candidarsi violando la norma che, in asserito contrasto con la Costituzione, ne preveda l’ineleggibilità; non consente che le cause di ineleggibilità emergano, come quelle di incandidabilità, in sede di presentazione delle liste agli uffici elettorali».



Pur ribadendo quanto osservato nella citata sentenza, questa Corte, tuttavia, non può che dichiarare inammissibile la questione in esame, in quanto essa, comunque, si risolve nella richiesta di un intervento manipolativo che, esulando dai suoi poteri, spetta soltanto al legislatore nella sua discrezionale valutazione con specifico riferimento agli aspetti anche di natura politica che connotano la materia elettorale.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, con l’ordinanza in epigrafe.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Alfonso QUARANTA , Redattore



Roberto MILANA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010.



Il Cancelliere



F.to: MILANA

SENTENZA N. 256 ANNO 2010

SENTENZA N. 256 ANNO 2010

Elezioni - Elezioni comunali e provinciali - Presentazione delle candidature e partecipazione dei partiti politici alla competizione elettorale - Sindacato dell'Ufficio elettorale comunale in ordine al rispetto da parte dei presentatari delle liste delle disposizioni statutarie o di legge - Mancata previsione.
 
Sentenza 256/2010


Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE



Presidente AMIRANTE - Redattore QUARANTA



Udienza Pubblica del 08/06/2010 Decisione del 07/07/2010

Deposito del 15/07/2010 Pubblicazione in G. U. 21/07/2010

Norme impugnate: Artt. 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16/05/1960, n. 570.

Massime: 34849 34850 34851 34852



Titoli:

Atti decisi: ordd. 233/2009 e 3/2010





SENTENZA N. 256



ANNO 2010









REPUBBLICA ITALIANA



IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



LA CORTE COSTITUZIONALE



composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente



SENTENZA



nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con sentenze del 2 giugno e del 21 ottobre 2009, rispettivamente iscritte al n. 233 del registro ordinanze 2009 ed al n. 3 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2009, e n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2010.



Visti gli atti di costituzione di L.G. ed altri, del Coordinamento provinciale del “Popolo della Libertà” di Lecce, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;



udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;



uditi gli avvocati Luigi Melica, Mario Esposito e Adriano Tolomeo per L.G. ed altri, Luciano Ancora e Roberto G. Marra per il Coordinamento provinciale del “Popolo della Libertà” di Lecce e l’avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri.







Ritenuto in fatto



1.— Con due sentenze di analogo tenore, rispettivamente n. 1296 del 2009 (reg. ord. n. 233 del 2009) e n. 2314 del 2009 (reg. ord. n. 3 del 2010), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), «nella parte in cui non prevedono il sindacato, da parte dell’Ufficio elettorale centrale, in ordine al rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico ad una competizione elettorale», deducendo la violazione degli articoli 49 e 51 della Costituzione.



Le sentenze sono state rese in due giudizi, entrambi promossi dai medesimi soggetti, qualificatisi come cittadini elettori, oltre che aderenti alla formazione politica “Popolo della Libertà”, aventi ad oggetto l’impugnazione di provvedimenti adottati dall’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce, nell’ambito del procedimento elettorale per l’elezione del Presidente della Provincia di Lecce e del Consiglio provinciale di Lecce indetta, per un primo turno di votazione nei giorni 6 e 7 giugno 2009, nonché, per il ballottaggio, nei successivi giorni 21 e 22.



2.— In particolare, il primo giudizio a quo ha ad oggetto il provvedimento di ammissione alla competizione elettorale dei candidati alla carica di consigliere provinciale nei collegi di Veglie-Salice Salentino, Martano, Presicce, Maglie e Lecce, inseriti nelle liste del “Popolo della Libertà”, nonché il provvedimento, in data 11 maggio 2009, dell’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce.



Nel secondo giudizio, il TAR è chiamato a pronunciarsi oltre che in ordine alla legittimità amministrativa dei suddetti atti, anche sull’impugnativa del verbale di proclamazione degli eletti.



3.— Il remittente premette, in fatto, che uno dei ricorrenti è Coordinatore provinciale della “Unione Liberale di Centro”, affiliata alla formazione politica “Popolo della Libertà”, e Presidente delle “Case del Cittadino”, associazione aderente al detto raggruppamento politico, mentre gli altri ricorrenti aderiscono alla “Unione Liberale di Centro” e, quindi, al “Popolo della Libertà”.



In tale veste i ricorrenti chiedevano di essere candidati per la carica di consigliere provinciale, rispettivamente, nei suddetti collegi, nelle liste della indicata formazione politica.



Ritenendo che le designazioni dei candidati non stessero avvenendo nel rispetto dell’art. 25 dello statuto del “Popolo della Libertà”, uno dei ricorrenti «diffidava il Coordinatore provinciale» del suddetto partito «a vagliare la propria proposta di candidatura» e, successivamente, proponeva ricorso al Collegio dei Probiviri, ai sensi dell’art. 41 del citato statuto (ricorso che, afferma il TAR, non risulterebbe ancora deciso).



I ricorrenti, quindi, apprendevano che la formazione politica in questione aveva deciso di candidare, nei collegi sopra richiamati, altri aderenti alla medesima e decidevano di sottoporre la questione all’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce, lamentando la violazione dell’art. 25 dello statuto del “Popolo della Libertà”, che regolamenta la presentazione delle candidature anche con riferimento alle elezioni provinciali.



Con provvedimento in data 11 maggio 2009, l’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce dichiarava l’inammissibilità del ricorso e il non luogo a provvedere su di esso, in base alla considerazione che le proprie competenze si esaurissero nel controllo della regolarità del procedimento di presentazione delle candidature, sicché l’Ufficio stesso non avrebbe alcuna competenza ad interferire in tutto ciò che è a monte dello stesso e, in particolare, nella scelta da parte del gruppo politico delle candidature da presentare.



Il provvedimento del suddetto Ufficio elettorale centrale veniva, quindi, impugnato dai ricorrenti.



All’esito delle elezioni, l’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce dichiarava eletto il candidato presidente Antonio Maria Gabellone e proclamava l’elezione dei consiglieri provinciali.



I ricorrenti provvedevano ad impugnare l’atto di proclamazione degli eletti.



4.— Il remittente, ritenendo ben incardinati i giudizi quanto al rispetto del contraddittorio, in via preliminare ha affrontato due temi.



Da un lato, ha ritenuto l’immediata lesività ed impugnabilità dei provvedimenti censurati, non essendosi formato diritto vivente in senso contrario (in proposito, è citata la sentenza n. 90 del 2009 di questa Corte); dall’altro, ha escluso che l’art. 41 dello statuto del “Popolo della Libertà”, che prevede il ricorso al Collegio dei Probiviri, precluda la tutela giurisdizionale nel caso di specie.



In ordine al primo profilo, il TAR ha dedotto di poter riaffermare il proprio orientamento che ammetteva il sindacato giurisdizionale autonomo ed immediato del provvedimento di ammissione delle liste e dei candidati, in quanto lo stesso risponde, con maggiore efficacia, all’esigenza di tutela dei ricorrenti e, in definitiva, all’interesse alla corretta esplicazione della competizione elettorale; esigenze che sono presenti anche nella presente fattispecie e che hanno indotto lo stesso remittente a sollevare la questione di costituzionalità già in sede di vaglio della decisione dell’Ufficio elettorale centrale in materia di ammissione delle liste e dei candidati.



In ordine al secondo profilo, il TAR remittente ha precisato che i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di cassazione «attengono, infatti, univocamente a controversie instaurate tra affiliati ed il partito politico di riferimento» e non hanno attinenza con la fattispecie al suo esame, che riguarda la legittimità del sindacato operato dall’Ufficio elettorale centrale.



5.— Ad avviso del giudice a quo, la decisione 11 maggio 2009 dell’Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Lecce si presenta sostanzialmente corretta ed aderente alla sistematica degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, che non prevedono attualmente la possibilità, per il suddetto Ufficio elettorale, di verificare la legittimazione del soggetto che presenti la lista, «con riferimento, soprattutto, alle norme di legge o di statuto che regolamentano la stessa formazione della volontà di una determinata associazione politica e, quindi, in definitiva, garantiscono che una determinata lista di candidati costituisca genuina espressione di una formazione politica e non di iniziative “esterne” al contesto politico di riferimento».



Non sarebbe, infatti, condivisibile un’interpretazione estensiva delle suddette disposizioni, in quanto essa inciderebbe su due ambiti di peculiare rilevanza quale il diritto di voto e la libertà di associazione (è richiamata la sentenza n. 407 del 1999 di questa Corte), che richiedono parametri obiettivi.



L’attuale formulazione degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 non sarebbe conforme a Costituzione e contrasterebbe, soprattutto, con la previsione dell’art. 49 Cost., il quale garantisce a tutti i cittadini il «diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».



A giudizio del remittente, in ragione delle norme censurate, la verifica del rispetto delle previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste elettorali è del tutto preclusa, proprio nel delicato momento della presentazione delle stesse. In tal modo, argomenta il TAR, si giunge «al sostanziale paradosso per cui una decisione in ordine alla presentazione di una lista assunta in violazione delle previsioni statutarie», come nella vicenda in esame, «potrebbe essere sindacata dal giudice ordinario in sede di impugnazione della delibera dell’associazione irregolarmente adottata, ma non potrebbe costituire oggetto di alcuna valutazione in sede di presentazione delle liste».



La complessiva irrazionalità dell’attuale ambito di sindacato dell’ufficio elettorale centrale sarebbe, poi, ulteriormente percepibile, laddove si consideri che esso non si limita ad un vaglio “formale” delle liste, ma investe anche la salvaguardia di interessi di particolare pregnanza, come la tutela della collettività da infiltrazioni criminose, le quali non rivestono minore importanza rispetto alla possibilità di concorrere democraticamente alla politica nazionale, ai sensi dell’art. 49 Cost., o del diritto di accedere agli uffici pubblici elettivi garantito dall’art. 51 Cost.



L’ufficio elettorale centrale, senza interferire, in tal modo, nella vita interna dei partiti, svolgerebbe solo un sindacato esterno in ordine al rispetto delle previsioni statutarie sulla presentazione delle candidature e, in generale, sulla legittimazione di chi presenti le relative liste.



6.— Si sono costituiti nel presente giudizio il Coordinamento provinciale del “Popolo della Libertà” di Lecce, nonché, con un unico atto d’intervento, i ricorrenti nei giudizi a quibus.



Nel solo giudizio r.o. n. 233 del 2009 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.



7.— Il Coordinamento provinciale del “Popolo della Libertà” ha dedotto la inammissibilità della questione. In particolare, si osserva che il remittente avrebbe chiesto una pronuncia additiva che esorbita dai poteri del Giudice delle leggi.



Nel merito, si prospetta la non fondatezza della questione, in quanto la pronuncia richiesta introdurrebbe «elementi di disequilibrio nella norma complessivamente considerata, non in linea con i principi garantiti dall’art. 97 della Costituzione». Inoltre, l’attività di sostituzione di un candidato ad un altro, che si vorrebbe attribuita all’Ufficio elettorale, sarebbe incompatibile con il sistema fissato dalla normativa in ordine alla designazione dei candidati.



8.— Le parti private, ricorrenti nei giudizi a quibus, hanno prospettato argomentazioni analoghe a quelle contenute negli atti di rimessione, chiedendo l’accoglimento della questione.



9.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, dal canto suo, ha dedotto l’inammissibilità e la non fondatezza della questione stessa.



La difesa dello Stato ha eccepito il difetto di giurisdizione del remittente, poiché la fattispecie in esame verte sul mancato rispetto delle regole statutarie del movimento politico del quale la lista in questione costituisce espressione (è richiamata la sentenza n. 203 del 1975).



Il ricorso proposto dinanzi al TAR contro il primo atto endoprocedimentale dell’Ufficio elettorale sarebbe, altresì, inammissibile, avendo i ricorrenti omesso di notificarlo al candidato Presidente della Provincia o ad altri candidati della lista in questione, quali controinteressati.



Infine, ulteriore inammissibilità della questione deriverebbe dalla inadeguatezza della pronuncia additiva richiesta ad integrare una disciplina certa.



Nel merito, a sostegno della non fondatezza della questione, l’Avvocatura dello Stato ha dedotto che la presentazione delle liste nelle elezioni comunali e provinciali non è attribuita ai partiti o ai gruppi politici, in quanto, in realtà, sono gli stessi elettori i veri presentatori della lista, come discende dagli artt. 28 e 32 del citato d.P.R. n. 570 del 1960.



Non sussisterebbero, quindi, i profili di violazione degli artt. 49 e 51 Cost. prospettati dal giudice a quo.



10.— In data 18 maggio 2010 hanno depositato memorie i ricorrenti nei giudizi a quibus, l’Avvocatura generale dello Stato, nonché il Coordinamento del “Popolo della Libertà” di Lecce.



11.— I ricorrenti, nel richiamare le conclusioni già formulate, hanno ribadito l’illegittimità delle norme censurate, in quanto le stesse non consentirebbero alcuna verifica in ordine alla corretta e genuina formazione della volontà del partito politico in nome e per conto del quale vengono presentate le candidature.



12.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, dal canto suo, ha ricordato i profili di inammissibilità già prospettati.



Nel merito, la difesa dello Stato ha insistito per il rigetto della questione.



13.— Anche il Coordinamento del “Popolo della Libertà” di Lecce ha depositato memoria, deducendo, in particolare, la contraddittorietà delle sentenze di rimessione, in particolare in quanto lo stesso giudice a quo riconosce la possibilità di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario.



14.— Analoghe osservazioni difensive sono prospettate dalle medesime parti private nelle memorie depositate in relazione alla sentenza di rimessione iscritta al n. 3 del registro ordinanze del 2010.







Considerato in diritto



1.— Con due sentenze di analogo tenore, rispettivamente n. 1296 del 2009 (reg. ord. n. 233 del 2009) e n. 2314 del 2009 (reg. ord. n. 3 del 2010), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), «nella parte in cui non prevedono il sindacato, da parte dell’Ufficio elettorale centrale, in ordine al rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico ad una competizione elettorale», deducendo la violazione degli articoli 49 e 51 della Costituzione.



2.— I due giudizi devono essere riuniti, ai fini di una unica decisione, stante la loro connessione soggettiva e oggettiva.



3.— In via preliminare, deve essere precisato che non viene in rilievo in questa sede un problema di ammissibilità, con riferimento alla questione prospettata dal TAR remittente con la sentenza n. 233 del 2009, sotto il profilo della non consentita impugnazione di atti endoprocedimentali della competizione elettorale, dal momento che, con la seconda sentenza (n. 3 del 2010), la medesima questione di costituzionalità è stata sollevata, ai sensi dell’art. 83-undecies dello stesso d.P.R. n. 570 del 1960, nella sede della impugnazione giurisdizionale dell’atto terminale del procedimento elettorale, rappresentato dal verbale di proclamazione degli eletti.



4.— Ciò chiarito, deve precisarsi che il giudice a quo ha promosso la suindicata questione di costituzionalità con sentenza e non con ordinanza. Siffatta anomalia, non di meno, è priva di conseguenze nel presente giudizio di costituzionalità.



In proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la suddetta circostanza non comporta la inammissibilità della questione, posto che, come si desume dalla lettura dei due atti di promovimento, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (sentenza n. 151 del 2009).



5.— Ancora in via preliminare, è necessario valutare le eccezioni di inammissibilità della questione prospettate dalle parti.



Nell’ordine logico di trattazione delle suddette eccezioni pregiudiziali, spettando alla Corte «stabilire, anche per economia di giudizio, l’ordine con cui affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre» (da ultimo, sentenza n. 181 del 2010), deve essere esaminata, prima di ogni altra, quella di inammissibilità dedotta dai resistenti per la asserita carenza di giurisdizione del giudice a quo sulla controversia sottoposta al suo scrutinio nel giudizio principale.



6.— L’eccezione non è fondata.



Al riguardo, occorre partire dalla considerazione che la natura amministrativa dei controlli effettuati dall’Ufficio elettorale circoscrizionale e da quello centrale è stata affermata da questa Corte sul rilievo che la collocazione di detti organi, rispettivamente, presso la Corte d’appello e la Corte di cassazione «non comporta che i collegi medesimi siano inseriti nell’apparato giudiziario, evidente risultando la carenza, sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale, di un nesso organico di compenetrazione istituzionale che consenta di ritenere che essi costituiscano sezioni specializzate degli uffici giudiziari presso cui sono costituiti» (sentenza n. 259 del 2009).



Orbene, non è implausibile ritenere che l’azione proposta innanzi al TAR ricada nell’ambito della giurisdizione amministrativa avente ad oggetto le operazioni elettorali, sul presupposto che in detto ambito rientri anche l’impugnazione degli atti amministrativi adottati dai competenti Uffici elettorali in ordine alla ammissione o ricusazione dei candidati, delle liste e dei relativi contrassegni.



Sotto altro aspetto, non assume rilievo in questa sede il ricorso, proposto dagli interessati al Collegio dei probiviri del partito politico, contro le determinazioni assunte dagli organi del partito stesso in sede di formazione delle liste; né può ritenersi che le questioni attinenti alla fase di selezione dei candidati concernano esclusivamente i rapporti interni tra l’associazione politica e gli aderenti medesimi, sicché si verterebbe in una fattispecie nella quale l’unico giudice cui le parti sarebbero state legittimate a ricorrere dovrebbe essere individuato nel giudice ordinario e non in quello amministrativo, venendo in rilievo soltanto la disciplina dettata dal codice civile in tema di associazioni non riconosciute.



Non può, pertanto, considerarsi implausibile l’affermazione del giudice a quo in ordine alla sussistenza della propria giurisdizione sulla controversia, per cui l’eccezione in esame deve essere respinta.



7.— Fondata, invece, è l’eccezione di inammissibilità proposta dalle parti resistenti sotto il profilo della natura additiva della richiesta formulata dal remittente, il cui accoglimento, nella specie, esula dai poteri decisionali di questa Corte.



8.— Al riguardo, si deve osservare come il giudice a quo deduca che, secondo l’attuale formulazione delle norme censurate, «la verifica in ordine al rispetto delle previsioni statutarie o di legge in materia di formazione delle liste elettorali è (…) del tutto preclusa», dandosi luogo, per tale ragione, ad una competizione elettorale viziata dalla presentazione di una lista che non costituisce corretta espressione della volontà degli aderenti alla relativa formazione politica. Il remittente, a questo proposito, muove dalla considerazione che la controversia sollevata con i ricorsi innanzi a sé riceve nell’ordinamento soltanto una “tutela differita”, successiva cioè alla proclamazione degli eletti, secondo quanto disposto dal citato art. 83-undecies, del d.P.R. n. 570 del 1960. Tale forma di tutela non sarebbe idonea, secondo il suo giudizio, ad assicurare l’osservanza dei precetti costituzionali contenuti negli artt. 49 e 51 Cost.



Per ovviare a tale inconveniente, il remittente – esclusa, con motivazione non implausibile, la possibilità di dare alle norme censurate una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a consentire la piena osservanza dei suddetti parametri costituzionali – prospetta la necessità di un intervento additivo di questa Corte diretto alla creazione di una nuova disposizione normativa che attribuisca agli uffici elettorali il compito di provvedere alla verifica che siano state rispettate, da parte dei responsabili dei movimenti politici che formano le liste, le «disposizioni statutarie o di legge in ordine alla presentazione delle candidature ed alla partecipazione del partito politico» alla competizione elettorale.



Come ritenuto da questa Corte (ordinanza n. 407 del 1999), in una fattispecie per molti aspetti analoga a quella in esame, in quanto vertente anch’essa sulle competenze degli uffici elettorali, l’ipotizzata declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa in questione, nella parte in cui non consente agli uffici stessi di valutare la conformità delle candidature indicate dai partiti politici alle rispettive norme statutarie interne, richiederebbe, comunque, la preventiva determinazione di criteri oggettivi per tale valutazione; ciò che rientra indiscutibilmente nella discrezionalità del legislatore.



Non è poi condivisibile l’osservazione del remittente, secondo cui l’intervento dei suddetti uffici elettorali sarebbe agevole data la «natura estremamente semplice degli adempimenti e del sindacato in ordine al rispetto delle previsioni statutarie» concernenti la presentazione delle candidature, giacché essa non tiene conto della diversità delle singole organizzazioni partitiche e delle relative normative interne; né tiene conto del fatto che queste ultime potrebbero anche mancare del tutto, particolarmente nelle competizioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi di piccoli comuni.



In realtà, il giudice remittente, sostanzialmente, lamenta la mancanza di un efficace e tempestivo metodo di controllo nelle procedure seguite dai partiti politici nella designazione dei candidati alle elezioni comunali e provinciali.



A giudizio del remittente medesimo, l’unico modo per eliminare siffatta lacuna sarebbe proprio un intervento additivo di questa Corte, volto ad introdurre nel testo degli artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960 una nuova ipotesi di competenza degli uffici elettorali, relativa alla verifica del rispetto, da parte dei presentatori delle liste, delle normative, di tipo statutario o legislativo (queste ultime, peraltro, neppure indicate), nella fase, politicamente molto delicata, nella quale si individuano i soggetti da candidare e si delineano gli aspetti salienti della stessa partecipazione del partito politico alla competizione elettorale.



È, dunque, evidente che il giudice a quo ha chiesto un intervento di tipo manipolativo che non è consentito a questa Corte, in quanto non è ravvisabile, nella specie, una soluzione costituzionalmente obbligata sia per quanto attiene al tipo di tutela che dovrebbe essere introdotta a favore dei soggetti interessati, sia per quanto concerne i criteri in base ai quali gli uffici elettorali medesimi dovrebbero decidere le relative controversie interne alle organizzazioni di ciascun partito politico – le cui normative, ove esistenti, potrebbero presentare profili del tutto specifici in relazione alle rispettive loro organizzazioni – sia, infine, quanto al relativo procedimento. Elementi, questi, in ordine ai quali deve potersi esplicare pienamente la discrezionalità politica del legislatore, data la pluralità delle possibili soluzioni concretamente adottabili – nel quadro di una più ampia valutazione attinente all’attuazione di quanto previsto dall’art. 49 Cost. – quanto al diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti politici, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Tale libertà associativa trova, del resto, nel momento elettorale la più genuina e significativa espressione, in modo che sia garantita per gli elettori «la possibilità di concorrere democraticamente a determinare la composizione e la scelta degli organi politici rappresentativi» (sentenza n. 429 del 1995).



9.— Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Puglia, sezione staccata di Lecce.



10.— Resta assorbito l’esame di ogni altra questione pregiudiziale o di merito.



per questi motivi



LA CORTE COSTITUZIONALE



riuniti i giudizi;



dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 30 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), sollevata, in riferimento agli articoli 49 e 51 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con gli atti indicati in epigrafe.



Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.



F.to:



Francesco AMIRANTE, Presidente



Alfonso QUARANTA , Redattore



Roberto MILANA, Cancelliere



Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2010.



Il Cancelliere



F.to: MILANA