SENTENZA N. 200 ANNO 2020

Sentenza 200/2020 (ECLI:IT:COST:2020:200)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: MORELLI - Redattore:  SCIARRA
Udienza Pubblica del 22/07/2020;    Decisione  del 22/07/2020
Deposito del 10/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Artt. 2, c. 1° e 2°, e 30, c. 1°, della legge della Regione Liguria 27/12/2018, n. 29.
Massime: 
Atti decisi: ric. 41 e 74/2019
  

Pronuncia

SENTENZA N. 200

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1 e 2, e 30, comma 1, della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), e della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 1°-8 marzo e il 24-27 giugno 2019, depositati in cancelleria rispettivamente l’8 marzo e il 28 giugno 2019, iscritti ai numeri 41 e 74 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 22 e 34, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione della Regione Liguria;

udito nella udienza pubblica del 22 luglio 2020 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Ettore Pafundi per la Regione Liguria;

deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020.


Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 41 del 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1, 2, 9, 10 e 11 (recte: gli articoli 2, commi 1 e 2) e 30 (recte: 30, comma 1) della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019).

1.1.– L’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è impugnato per violazione degli artt. 51, primo comma, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione all’art. 70 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e all’art. 6 del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi). La disposizione regionale impugnata ha riscritto l’intero testo dell’art. 6 della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali), rubricato «Calendario e svolgimento delle prove». Al comma 1, nel testo sostituito, si prevede quanto segue: «Il diario delle prove è pubblicato nel sito internet istituzionale dell’Ente, con valenza di notifica ai candidati a tutti gli effetti, non meno di quindici giorni prima dell’inizio delle prove scritte e non meno di venti giorni prima dell'inizio della prova orale. Qualora il ridotto numero dei candidati lo consenta, la convocazione alle suddette prove può essere effettuata con comunicazione scritta tramite posta elettronica certificata o raccomandata con avviso di ricevimento, nel rispetto dei predetti termini di preavviso. La comunicazione del diario delle prove scritte può essere già contenuta nel bando di concorso».

Secondo il ricorrente, tale disposizione contrasterebbe con la normativa statale, in particolare, con l’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994, quale richiamato dall’art. 70, comma 13, del d.lgs. n. 165 del 2001. L’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994 stabilisce quanto segue: «Il diario delle prove scritte deve essere comunicato ai singoli candidati almeno quindici giorni prima dell'inizio delle prove medesime. Tale comunicazione può essere sostituita dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica – 4a serie speciale – concorsi ed esami». Il contrasto tra la norma regionale e quella statale starebbe nel fatto che la prima – così afferma il ricorrente – «contempla, in alternativa alla comunicazione personale, la pubblicazione del diario delle predette prove nella Gazzetta Ufficiale». Il ricorrente invoca, in proposito, il «consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa» secondo cui «le forme di pubblicità previste dal D.P.R. n. 487 del 1994 citato, che rappresentano una diretta attuazione degli articoli 51 e 97 della Costituzione, non risultano in alcun modo sostituite dalle forme di “adeguata pubblicità” della selezione e modalità di svolgimento previste dall’articolo 35, comma 3, lett. a), del D.lgs. n. 165 del 2001 citato».

1.2.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha sostituito l’intero testo dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, recante la disciplina della selezione pubblica per le assunzioni di personale regionale a tempo determinato. Oggetto di censura da parte dello Stato sono i soli commi 9, 10 e 11 del testo così introdotto.

Il comma 9 dell’art. 16, come sostituito dalla norma regionale impugnata, prevede come meramente facoltativo, e non come obbligatorio, l’accertamento – in sede di procedura concorsuale – della conoscenza da parte dei candidati dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse. Questa previsione contrasterebbe con quanto stabilisce l’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, a norma del quale i bandi di concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni devono prevedere, quale requisito di ammissione, tra gli altri, la conoscenza da parte dei candidati proprio dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse. Si avrebbe, pertanto, una violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il comma 10 dello stesso art. 16 stabilisce che le assunzioni a tempo determinato «avvengono per chiamata dei candidati nel rispetto dell’ordine di avviamento o graduatoria» e che, nel caso sia necessario assumere più dipendenti con uguale decorrenza, e per periodi di diversa durata, «l’assunzione per il periodo più lungo avviene nei confronti dei candidati risultati idonei seguendo l’ordine della graduatoria o dell’elenco». Secondo il ricorrente si avrebbe, in tal modo, una disciplina difforme da quella statale (di cui all’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021»), che limita l’utilizzazione delle graduatorie dei concorsi esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso. Ne deriverebbe la violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il comma 11 dello stesso art. 16 stabilisce quanto segue: «I candidati che si trovino nel periodo corrispondente all’interdizione anticipata dal lavoro e all’astensione obbligatoria per maternità hanno titolo a permanere in graduatoria e ad essere richiamati in caso di ulteriore utilizzo della graduatoria stessa da parte dell’Amministrazione al termine del predetto periodo». Questa disposizione, a giudizio del ricorrente, detterebbe «regole peculiari in relazione alla fattispecie del personale in aspettativa per maternità», introducendo «una discriminazione in ragione dello stato di gravidanza», con violazione del principio di non discriminazione in base al sesso di cui all’art. 3 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53). Secondo il ricorrente, infatti, la norma regionale impugnata consentirebbe all’amministrazione di derogare, «per le candidate in astensione per maternità», dall’ordine di merito della graduatoria, consentendo altresì «di non utilizzare la stessa graduatoria, una volta trascorso il periodo di interdizione anticipata o di astensione obbligatoria dal lavoro», in tal modo sostanzialmente «negando [...] il diritto alla assunzione in servizio». Ne deriverebbe la violazione degli artt. 2, 3, 31 e 51 Cost.

1.3.– L’art. 30 della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha introdotto, al comma 1, una norma di «interpretazione autentica» dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge della Regione Liguria 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea legislativa della Liguria).

Quest’ultima disposizione, nel riferirsi al personale dell’Ufficio stampa dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, prevedeva che, «[s]ino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni», al personale dell’Ufficio stampa venissero attribuiti i profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili.

Con la norma di interpretazione autentica oggetto dell’impugnativa dello Stato, si è stabilito che l’accordo collettivo nazionale quadro (la cui entrata in vigore funge da spartiacque temporale per la definizione del regime giuridico ed economico del personale de quo) «è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali del 21 maggio 2018». La stessa norma impugnata ha poi aggiunto: «Rimane comunque ferma l’applicazione dei “profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili” nei confronti del personale assunto con contratto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018».

In sostanza, sostiene il Presidente del Consiglio dei ministri, il regime giuridico ed economico che la legge regionale del 2006 aveva transitoriamente applicato al personale dell’Ufficio stampa (quello previsto dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti) rimarrebbe comunque vigente per tutti coloro che sono stati assunti prima del 21 maggio 2018, nonostante l’avverarsi della condizione risolutiva che era stata prevista dalla norma del 2006.

Secondo il ricorrente, la norma impugnata avrebbe un contenuto innovativo (e non di mera interpretazione) dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006 e finirebbe «per cristallizzare il trattamento economico e giuridico applicabile al personale assunto in data anteriore al 21 maggio 2018». Nel ricordare che l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali presso gli uffici stampa «sono affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione», secondo quanto prevede l’art. 9, comma 5, della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed Enti locali, in seguito alla privatizzazione, è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è, perciò, soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tale tipo di rapporti. Quelli derivanti dalla legge statale sarebbero, pertanto, «limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati». In tale quadro, si ricaverebbe il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici deve essere regolato mediante contratti collettivi, principio che si porrebbe quale limite alla potestà legislativa regionale in materia.

La disposizione impugnata, pertanto, risulterebbe in contrasto con gli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., posto che, con riferimento al personale assunto entro il 21 maggio 2018, non si limiterebbe a rinviare alla contrattazione collettiva, ma specificherebbe essa stessa il trattamento economico che deve essere riconosciuto, facendo di tale disciplina «il frutto, non del libero esplicarsi dell’autonomia negoziale collettiva, bensì dell’intervento del legislatore». Essa infatti «non dispone che il rapporto di lavoro di detto personale debba essere regolato dalla contrattazione collettiva, bensì individua il trattamento che si deve applicare a quel personale», non consentendo che gli agenti negoziali rappresentativi delle categorie interessate possano contrattare alcunché in proposito.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione Liguria, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso, previa disamina, nel merito, delle singole questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

2.1.– Relativamente alla prima delle questioni sollevate, la Regione – nel lamentare «una sospetta sinteticità» del motivo complessivamente considerato – ha innanzitutto eccepito l’inammissibilità della censura concernente la violazione, da parte dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto «generica» e non argomentata «in alcun modo».

Nel merito, ha invocato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale rientrerebbe nella competenza residuale delle Regioni a norma dell’art. 117, quarto comma, Cost. (in specie, è citata la sentenza n. 380 del 2004).

Quanto, poi, alle ulteriori censure ex artt. 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost., la Regione osserva che «è proprio l’art. 6, comma 1, del DPR n. 487 a consentire che la comunicazione al singolo ammetta l’equipollente della pubblicazione in G.U.», con ciò introducendo «il principio di libertà delle forme e di adeguatezza». Del resto, aggiunge la resistente, l’art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) ha stabilito che, con decorrenza 1° gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni stesse.

In definitiva, precisa la Regione, «nemmeno la norma statale esige la inderogabilità della comunicazione del diario delle prove ai singoli candidati». In tale quadro, la disposizione regionale impugnata sarebbe «pienamente in sintonia con i principi desumibili dalle richiamate normative statali e rende per ciò solo adeguata la conoscibilità dell’atto da parte di quanti, avendo avanzato domanda di partecipazione alla procedura concorsuale, siano già edotti della pendenza della procedura».

2.2.– La Regione resistente eccepisce, inoltre, la genericità, e quindi l’inammissibilità, delle censure avversarie anche con riguardo alla seconda questione sollevata, con riferimento all’impugnazione dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui introduce il comma 9 del nuovo art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 (concernente la natura meramente facoltativa dell’accertamento, rimesso alla commissione giudicatrice dei concorsi per l’assunzione di dipendenti regionali a tempo determinato, delle competenze informatiche dei candidati). Tale impugnazione non sarebbe in alcun modo argomentata e si limiterebbe «per lo più a mere affermazioni».

Nel merito, la Regione ribadisce che le procedure di selezione del personale dipendente delle Regioni non andrebbero ascritte alla materia dell’ordinamento civile ma, collocandosi a monte dell’instaurando rapporto di impiego, rientrerebbero nella competenza regionale residuale in materia di organizzazione degli uffici regionali, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Inammissibile, «in assenza di sviluppo, sia pur embrionale, delle argomentazioni», sarebbe poi il profilo di dedotta violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

Quanto alla censura che fa leva sull’art. 97 Cost., la Regione resistente – sul presupposto che, mediante tale censura, il ricorrente abbia voluto dolersi di una selezione non adeguata dei candidati, in spregio al principio di buon andamento – obietta che la norma impugnata riguarda solo le selezioni di personale a tempo determinato, laddove l’art. 37 del d.lgs. n. 165 del 2001, invocato quale norma interposta, farebbe riferimento solo alle procedure concorsuali per l’accesso a tempo indeterminato. Tale diversità giustificherebbe, quindi, le diverse conoscenze richieste. Del resto, secondo la Regione, apparirebbe ragionevole rimettere alla discrezionalità dell’amministrazione procedente la scelta di richiedere la valutazione delle cognizioni informatiche e linguistiche «in considerazione della durata dell’incarico da ricoprire e della mansione di maggiore o minore responsabilità da occupare».

2.3.– Quanto, poi, ai commi 10 e 11 dell’art. 16 novellato, introdotti anch’essi dall’impugnato art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, la Regione resistente riferisce che essi sono stati abrogati «nella seduta del Consiglio Regionale del 9 aprile u.s.». L’abrogazione, in effetti, risulta essere stata disposta dall’art. 3, comma 1, della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 4, recante «Modifiche alla legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019) e altre disposizioni di adeguamento». Ne deriverebbe, ad avviso della resistente, la cessazione della materia del contendere.

2.4.– Quanto, infine, alla terza questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, concernente la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, la Regione resistente, nella memoria di costituzione in giudizio, ha annunciato il proprio «intendimento» di «abrogare la norma», omettendo, pertanto, di svolgere difese.

3.– Con ricorso iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente impugnato l’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica).

Questa legge regionale – dopo che, con l’art. 1, comma 1, della coeva legge reg. Liguria n. 4 del 2019, era stata abrogata la norma di interpretazione autentica di cui all’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 – ha introdotto una nuova disposizione di interpretazione autentica dell’art. 29, comma 2, lettera d), della legge reg. Liguria n. 25 del 2006. Essa dispone quanto segue: «Alla lettera d) del comma 2 dell’articolo 29 della legge regionale 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea Legislativa della Liguria) e successive modificazioni e integrazioni, le parole: “sino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni” si interpretano nel senso che l’accordo collettivo nazionale quadro è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) funzioni locali del 21 maggio 2018».

In sostanza, la nuova norma di interpretazione autentica ha riprodotto la prima parte di quella precedente – ribadendo, quindi, che l’accordo collettivo nazionale quadro destinato a fungere da spartiacque temporale per il regime giuridico ed economico del personale dell’Ufficio Stampa deve considerarsi quello definito a seguito della sequenza contrattuale di cui alla citata dichiarazione congiunta n. 8 – mentre ne ha espunto la seconda parte, quella che aveva formato oggetto delle censure di incostituzionalità dello Stato, di cui al ricorso iscritto al n. 41 del reg. ric. 2019.

Ciò nondimeno, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che anche la sopravvenuta norma regionale del 2019 continui a presentare «un contenuto non limitato a una mera funzione interpretativa», essendo anch’essa diretta ad innovare il contenuto precettivo della disposizione del 2006. L’effetto della novella del 2019 sarebbe, infatti, quello di posticipare l’applicazione delle previsioni del Contratto collettivo nazionale di lavoro (da ora in avanti: CCNL) del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018. Anche la nuova norma regionale, pertanto, si porrebbe in contrasto con il principio generale che riserva alla contrattazione collettiva il trattamento economico dei dipendenti pubblici. Ciò avverrebbe nel solco di quanto previsto, a livello statale, dalla legge n. 150 del 2000, con connotati di specialità rispetto al d.lgs. n. 165 del 2001. Nell’ambito del processo di contrattualizzazione del lavoro pubblico, essa ha previsto una specifica area di contrattazione per gli addetti agli uffici stampa nella pubblica amministrazione. A sua volta – ricorda il ricorrente – l’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel testo novellato dal d.lgs. n. 150 del 2009, ha ridotto a quattro i comparti di contrattazione collettiva nazionale nel pubblico impiego e ha previsto che, nell’ambito di tali comparti, possono essere istituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

Le richiamate disposizioni statali sarebbero espressione della competenza esclusiva dello Stato nella disciplina del rapporto di lavoro pubblico, anche in riferimento al personale di aree professionali specifiche, e della riserva di contrattazione collettiva. Ne deriverebbe l’illegittimità dell’intervento normativo regionale, pur se caratterizzato da natura transitoria, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Si avrebbe, inoltre, una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici, in violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., insieme al «contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’articolo 97 Cost.».

Del resto, aggiunge il ricorrente, la richiamata dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, lungi dall’escludere l’applicazione del medesimo CCNL al personale addetto agli uffici stampa, si sarebbe limitata a prevedere un’apposita sequenza contrattuale, ovvero «una specifica regolazione di raccordo, anche ai sensi dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che provveda a disciplinare l’applicazione della citata disposizione contrattuale nei confronti del personale al quale, in forza di specifiche, vigenti norme di legge regionale in materia, sia stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale, seppure in via transitoria». La disapplicazione del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, da parte del legislatore regionale, non sarebbe quindi, a giudizio del ricorrente, «neppure sotto il profilo letterale, compatibile con il contenuto della citata dichiarazione congiunta».

4.– Anche con riferimento al ricorso ora in esame, si è costituita in giudizio la Regione Liguria, in persona del proprio Presidente pro tempore, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

La Regione evidenzia, anzitutto, la natura transitoria della disposizione contenuta nell’art. 29, comma 2, lettera d), della legge reg. Liguria n. 25 del 2006. Tale disposizione, nell’attesa dell’entrata in vigore della fonte contrattuale nazionale, avrebbe chiarito che i profili professionali riguardanti i giornalisti dell’Ufficio stampa avrebbero dovuto essere disciplinati dal contratto collettivo valido per i giornalisti. A distanza di 18 anni dalla legge statale è stato firmato il CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, relativo al comparto «Funzioni locali», il cui art. 18-bis ha descritto il profilo professionale di giornalista addetto all’ufficio stampa di Regioni ed Enti locali.

Tale art. 18-bis, tuttavia, riguarderebbe – secondo la Regione – solo l’inquadramento del personale da assumere presso gli uffici stampa regionali. Esso sarebbe quindi «inidoneo» a ricostruire correttamente la posizione economico-giuridica raggiunta dal personale già in servizio, come risulterebbe confermato anche dal tenore della dichiarazione congiunta n. 8 con la quale le parti firmatarie avrebbero convenuto di rimandare, ad apposita e futura sequenza contrattuale di raccordo, l’applicazione dell’art. 18-bis nei confronti del personale degli uffici stampa che, in via transitoria, era stato destinatario di una diversa disciplina contrattuale nazionale (come è accaduto proprio con riguardo ai dipendenti dell’Ufficio stampa oggetto delle norme regionali impugnate, cui è stato transitoriamente applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, ai sensi dell’art. 29, comma 2, lettera d, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006).

Il tutto, quindi, si iscriverebbe nella cornice di quanto previsto dall’art. 9, comma 5, della legge n. 150 del 2000, ai fini dell’individuazione e della regolamentazione dei profili professionali indicati dalla contrattazione collettiva, nell’ambito di una speciale area di contrattazione separata con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti.

Di conseguenza, a giudizio della Regione, il regime transitorio delineato dall’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006 non poteva dirsi cessato a seguito dell’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018. Con la norma di interpretazione autentica oggetto di impugnativa, la Regione si sarebbe limitata a trarre «le naturali conseguenze dalla volontà delle parti come espressamente manifestata nella sede della contrattazione nazionale con la dichiarazione congiunta n. 8, volontà orientata a dare attuazione al CCNL Funzioni Locali secondo una sequenza procedimentale a sé stante, che proprio la dichiarazione congiunta n. 8 descrive ed il successivo accordo sottoscritto anche con la FNSI andrà a definire». In sostanza, quindi, la Regione non avrebbe assunto iniziative autonome, ma si sarebbe limitata a dare applicazione ad una volontà emersa nella competente sede contrattuale nazionale. Ne deriverebbe il rispetto del riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost.

Del resto, aggiunge la Regione, «sotto il profilo pratico», l’applicazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro, specie laddove comporti nuovi inquadramenti di personale, non è affatto «automatica», poiché è necessaria l’adozione di «atti interni», e viene spesso definita in seguito a indicazioni fornite dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN).

In conclusione, l’impugnata norma di interpretazione autentica regolerebbe solo i rapporti di lavoro in essere, rimanendo fermo che l’assunzione di nuovo personale presso gli uffici stampa regionali avverrà in esecuzione del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

5.– A seguito del rinvio di entrambe le cause a nuovo ruolo, disposto con decreto presidenziale del 9 marzo 2020, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la Regione Liguria, con memorie successivamente depositate, hanno ribadito, con riferimento a entrambi i ricorsi, le argomentazioni difensive già illustrate.


Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, con ricorso iscritto al n. 41 del registro ricorsi 2019, alcune disposizioni della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), nonché, con successivo ricorso iscritto al n. 74 del registro ricorsi 2019, l’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica), deducendo la violazione degli artt. 2, 3, 31, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Quanto al primo dei ricorsi, lo scrutinio è limitato agli artt. 2, commi 1 e 2, e 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni proposte con lo stesso.

Il secondo dei due ricorsi riguarda una disciplina che, come verrà chiarito più avanti, è strettamente connessa a quella dettata dall’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

I giudizi, così delimitati, devono pertanto essere riuniti, in ragione della loro connessione oggettiva, per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.

2.– L’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nel sostituire l’intero art. 6 della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali), ha disciplinato, nel novellato comma 1 di quest’ultimo, le modalità di pubblicazione e comunicazione del diario delle prove dei concorsi per l’accesso agli impieghi regionali.

Il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera l), 51, primo comma, e 97, quarto comma, Cost. Risulterebbe violata la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile, posto che le forme di pubblicità indicate dalla norma regionale non corrisponderebbero a quelle previste dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), come richiamato dall’art. 70, comma 13, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Inoltre, secondo il ricorrente, le forme di pubblicità previste dall’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 487 del 1994 rappresenterebbero una «diretta attuazione» degli artt. 51 e 97 Cost., con conseguente violazione anche di tali parametri.

2.1.– La Regione Liguria ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della questione per genericità, in quanto essa risentirebbe di una «sospetta sinteticità» e la censura dedotta non sarebbe argomentata «in alcun modo».

L’eccezione non è fondata.

Le censure formulate dal ricorrente sono unitarie e denunciano, con sufficiente chiarezza, la violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordinamento civile, che includerebbe, nella prospettazione del ricorso, anche la disciplina delle forme di pubblicità del calendario delle prove di esame, in quanto attinente al lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e diretta espressione dei princìpi sanciti dagli artt. 51 e 97 Cost.

2.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

La norma regionale impugnata, che regola la pubblicazione del diario delle prove di concorso e le modalità di convocazione dei candidati, rientra nella competenza legislativa residuale della Regione ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la disciplina dei concorsi per l’accesso al lavoro pubblico è sottratta all’incidenza della privatizzazione del lavoro presso le pubbliche amministrazioni, riferita alla disciplina del rapporto già instaurato. I profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale «rientrano nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione» (ex multis, sentenza n. 126 del 2020, punto 5.1 del Considerato in diritto; sentenza n. 191 del 2017, punto 5.4 del Considerato in diritto; sentenza n. 149 del 2012, punto 4.2 del Considerato in diritto).

La precisazione delle modalità con cui deve avvenire la pubblicazione del diario delle prove, nonché la convocazione dei singoli candidati, costituisce un profilo inerente alla disciplina della procedura concorsuale pubblicistica per l’accesso ai ruoli regionali e, come tale, rientra nella competenza residuale delle Regioni.

Nel caso di specie, peraltro, questa competenza è stata esercitata dalla Regione Liguria adottando forme di pubblicità che appaiono non solo adeguate allo scopo, nel rispetto dei principi di trasparenza della procedura e di accessibilità in favore dei candidati, ma anche in linea con gli intendimenti generali fatti propri dallo stesso legislatore statale. È prevista, infatti, la pubblicazione del diario nel sito istituzionale dell’ente, in coerenza con la regola generale dettata, in materia di pubblicità legale degli atti e dei provvedimenti amministrativi, dall’art. 32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), facendo ricorso comunque, «[q]ualora il ridotto numero dei candidati lo consenta», alla comunicazione scritta personale ai singoli candidati. Nell’esercitare la propria competenza residuale, pertanto, la Regione non incorre neanche nella dedotta violazione degli artt. 51 e 97 Cost.

3.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri nelle parti in cui riscrive i commi 9, 10 e 11 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 (rubricato «Selezione pubblica per assunzioni di personale a tempo determinato»).

Il nuovo comma 9 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996 stabilisce che, per le assunzioni «in tutte le categorie», «può essere previsto anche l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse». Secondo il ricorrente, la previsione di un simile accertamento come facoltativo, e non come obbligatorio, determinerebbe la violazione degli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., avuto riguardo a quanto prevede la corrispondente normativa statale in tema di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 37, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001.

3.1.– La Regione Liguria ha, anche in questo caso, eccepito l’inammissibilità delle questioni, assumendo la genericità delle censure statali, in quanto non argomentate e limitate «a mere affermazioni».

L’eccezione non è fondata.

Le censure proposte dall’Avvocatura dello Stato, pur sintetiche, seguono un’argomentazione idonea a prospettare la dedotta invasione della competenza esclusiva statale, coerentemente sorretta dal richiamo agli artt. 3, 51 e 97.

3.2.– La questione non è fondata.

In sede di concorso per accedere a impieghi regionali, la valutazione discrezionale circa la conoscenza da parte dei candidati delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse costituisce uno degli aspetti riconducibili alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali. Tale discrezionalità non può che manifestarsi «nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro e incide in modo diretto sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive» (da ultimo, sentenza n. 241 del 2018).

La disposizione della legge regionale in esame è da ricondurre alla competenza residuale della Regione (art. 117, quarto comma, Cost.). Nell’esercizio della propria discrezionalità in materia ben può la Regione calibrare i requisiti di accesso alle selezioni pubbliche in relazione al profilo professionale di volta in volta valutato, affiancando le conoscenze informatiche ad altri requisiti ritenuti pertinenti per lo svolgimento delle mansioni dedotte nel contratto. La formulazione della disposizione impugnata, nel prevedere come meramente facoltativo l’accertamento delle conoscenze informatiche, consente all’amministrazione di valutarne l’effettiva necessità, in coerenza con i principi di parità nell’accesso agli uffici pubblici e di buon andamento dell’amministrazione, sottesi agli invocati artt. 3, 51 e 97 Cost.

4.– L’art. 16, comma 10, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, quale sostituito dall’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, stabilisce quanto segue: «Le assunzioni a tempo determinato avvengono per chiamata dei candidati nel rispetto dell’ordine di avviamento o graduatoria. Nel caso sia necessario assumere più dipendenti con uguale decorrenza, e per periodi di diversa durata, l’assunzione per il periodo più lungo avviene nei confronti dei candidati risultati idonei seguendo l’ordine della graduatoria o dell’elenco».

Secondo il ricorrente, questa disposizione confliggerebbe con gli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 1, comma 361, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), in quanto disciplinerebbe la fattispecie dello scorrimento delle graduatorie in modo difforme dalla normativa statale di riferimento.

4.1.– Nelle more del giudizio, la disposizione censurata è stata abrogata dall’art. 3 della legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 4, recante «Modifiche alla legge regionale 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019) e altre disposizioni di adeguamento», con effetto dal 27 aprile 2019. La Regione, quindi, ha concluso per l’intervenuta cessazione della materia del contendere.

Questa Corte ha costantemente affermato che lo ius superveniens determina la cessazione della materia del contendere, purché la modifica sia satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso e la norma censurata non abbia, medio tempore, ricevuto applicazione (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 70 e n. 25 del 2020; ordinanza n. 140 del 2020).

In sede di pubblica udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri, in considerazione dell’intervenuta abrogazione della norma, ha dichiarato di non coltivare più alcun interesse per l’impugnazione. La Regione ha inoltre dichiarato che, durante il periodo di vigenza – peraltro assai breve (su quest’ultimo aspetto, sentenza n. 32 del 2015, punto 3.2 del Considerato in diritto) – la norma non ha ricevuto alcuna applicazione.

Da queste convergenti allegazioni si deve pertanto desumere che esistono i presupposti per dichiarare cessata la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018.

5.– L’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 è impugnato anche nella parte in cui sostituisce il comma 11 dell’art. 16 della legge reg. Liguria n. 15 del 1996. La norma così introdotta prevede quanto segue: «I candidati che si trovino nel periodo corrispondente all’interdizione anticipata dal lavoro e all’astensione obbligatoria per maternità hanno titolo a permanere in graduatoria e ad essere richiamati in caso di ulteriore utilizzo della graduatoria stessa da parte dell’Amministrazione al termine del predetto periodo».

Secondo il ricorrente, questa disposizione violerebbe gli artt. 2, 3, 31 e 51 Cost., in relazione all’art. 3 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in quanto, nel dettare «regole peculiari» per la fattispecie del «personale in aspettativa per maternità», finirebbe con l’introdurre una «discriminazione in ragione dello stato di gravidanza».

5.1.– Deve premettersi che, nelle more del giudizio, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 3 della legge reg. Liguria n. 4 del 2019, con decorrenza 27 aprile 2019. La Regione Liguria ha concluso per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, in ragione dell’intervenuta abrogazione.

Non ricorrono in questo caso gli estremi per la declaratoria di cessazione della materia del contendere. In sede di pubblica udienza, il ricorrente non ha esteso a questa disposizione la propria volontà di non coltivare l’impugnazione proposta. Inoltre, non c’è evidenza alcuna della mancata applicazione, medio tempore, della norma impugnata. Essa, infatti, è rimasta in vigore per più di quattro mesi (dal 1° gennaio al 26 aprile 2019), arco temporale durante il quale non può escludersi che l’effetto di discriminazione lamentato dallo Stato sia venuto in essere. Tanto basta per sostenere che non vi è cessazione della materia del contendere (da ultimo, sentenze n. 68 del 2018, punto n. 14.1 del Considerato in diritto, e n. 191 del 2017, punto n. 5.3 del Considerato in diritto).

5.2.– Nel merito, la questione è fondata.

La norma impugnata richiama esplicitamente gli istituti del congedo obbligatorio di maternità, disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001 (norma che prevede, come condizione ordinaria, il «divieto di adibire al lavoro le donne» durante i due mesi precedenti la data presunta del parto – ovvero, ove il parto avvenga oltre tale data, anche per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto – nonché durante i tre mesi dopo il parto), e dell’interdizione anticipata dal lavoro, di cui all’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 151 del 2001 (disposizione che prevede per le lavoratrici in stato di gravidanza un ulteriore periodo di astensione dal lavoro, che si va ad aggiungere a quello di congedo obbligatorio per maternità, in caso di gravi o particolari motivi che sono valutati dalla Direzione territoriale del lavoro e dalla ASL).

Essa prevede che, per i corrispondenti periodi di tempo, i candidati già inclusi in una graduatoria hanno «titolo» a permanervi e ad essere «richiamati» in caso di «ulteriore» utilizzo della graduatoria stessa. Il ricorrente assume che, in tal modo, si finisce per negare il diritto all’immediata assunzione in servizio dei candidati che, pur inclusi in graduatoria, si trovino nel periodo corrispondente al congedo per maternità, ovvero che godano dell’interdizione anticipata dal lavoro, poiché si posticipa l’accesso al lavoro al momento del successivo – ma solo eventuale – «ulteriore» scorrimento della graduatoria.

Così ricostruita, la disposizione censurata si pone in insanabile contrasto con i principi costituzionali che tutelano l’interesse primario dei minori. I principi già espressi da questa Corte, relativamente al divieto di discriminazioni connesse allo stato di gravidanza e alla maternità, nonché alla cura del bambino, intesa come valorizzazione di un peculiare legame affettivo e relazionale (sentenza n. 158 del 2018, che richiama le sentenze n. 61 del 1991 e n. 423 del 1995), devono, peraltro, seguendo il corso dell’evoluzione legislativa, considerarsi estesi al padre lavoratore, quando ricorrono le condizioni indicate dall’art. 28 del d.lgs. n. 151 del 2001. Secondo questa disposizione, in caso di morte o di infermità grave della madre, ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre, quest’ultimo ha il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo corrispondente a quello del congedo obbligatorio di maternità.

La previsione della legge della Regione Liguria secondo cui i candidati non possono essere immediatamente assunti, qualora si trovino nei periodi corrispondenti al congedo ovvero all’interdizione dal lavoro, è in contrasto con tutti i parametri evocati dal ricorrente, che congiuntamente esprimono i principi di non discriminazione, di protezione del minore e di tutela della maternità, più volte enunciati da questa Corte. Tale disposizione, nel privare i candidati di una concreta possibilità di immissione in ruolo, con la perdita dei connessi benefici giuridici ed economici, compromette il loro accesso all’impiego, nell’ipotesi in cui la graduatoria non divenga oggetto di «ulteriore» utilizzo. Ciò determina una palese discriminazione in ragione dello stato di gravidanza e di maternità, che si sostanzia nella perdita di chance, collegata a un effettivo ingresso in ambito lavorativo.

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 11, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996.

6.– Anche l’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 forma oggetto delle censure di cui al primo dei due ricorsi di cui qui si discute. Con tale disposizione il legislatore regionale ha introdotto una norma di «interpretazione autentica» dell’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge della Regione Liguria 17 agosto 2006, n. 25 (Disposizioni sull’autonomia del Consiglio regionale Assemblea legislativa della Liguria). Essa interviene sul profilo professionale (e sul connesso «equivalente economico») attribuibile al personale dell’Ufficio stampa dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale. La norma di «interpretazione autentica» è impugnata dallo Stato per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto essa consisterebbe in una norma innovativa, e non di mera interpretazione, atta a cristallizzare il trattamento economico e giuridico applicabile al personale assunto in data anteriore al 21 maggio 2018, senza alcun rinvio alla contrattazione collettiva di settore (costituita, adesso, dal Contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto «Funzioni locali», per il periodo 2016-2018, sottoscritto in data 21 maggio 2018).

Successivamente alla proposizione del primo ricorso, la norma impugnata è stata abrogata dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Liguria n. 4 del 2019. L’art. 1 della coeva legge reg. Liguria n. 5 del 2019, tuttavia, ha contestualmente introdotto una nuova norma di interpretazione autentica, simile a quella abrogata, oggetto del secondo ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri.

In questo caso, l’Avvocatura dello Stato – nell’impugnare, con il secondo dei due ricorsi qui esaminati, l’intera legge regionale n. 5 del 2019 che, oltre all’art. 1, contiene anche l’art. 2, rubricato «Dichiarazione d’urgenza» – ha dedotto la violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la nuova norma di interpretazione autentica, quale introdotta dall’art. 1 della legge reg. Liguria n. 5 del 2019, comporterebbe la disapplicazione, in parte qua, del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018. Secondo il ricorrente, da ciò deriverebbe una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici, oltre che la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.

6.1.– Quanto all’ammissibilità della questione sollevata sull’intera legge reg. Liguria n. 5 del 2019, si deve porre in evidenza che l’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri investe l’intera legge regionale, composta, come già detto, da due articoli. Anche se le doglianze si riferiscono al contenuto del solo art. 1, è di tutta evidenza che i due articoli sono tenuti insieme da un forte e coerente nesso, tanto da non ingenerare incertezze circa il contenuto delle censure (da ultimo, sentenza n. 128 del 2020).

Questa Corte ha chiarito che se «è inammissibile l’impugnativa di una intera legge ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità», sono, invece, ammissibili «le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (tra le tante, sentenze nn. 143 e 128 del 2020, n. 247 del 2018, n. 14 del 2017 e n. 141 del 2010).

Questo è il caso della legge regionale impugnata, poiché l’art. 2, che prevede la precisazione del giorno della sua entrata in vigore, riveste una funzione meramente accessoria rispetto al contenuto dell’art. 1 (sentenze n. 128 del 2020, n. 14 del 2017 e n. 201 del 2008).

6.2.– Nel passare al merito, si impone un breve inquadramento delle questioni sollevate.

6.2.1.– La legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), prevede all’art. 9 che le pubbliche amministrazioni possono dotarsi di un ufficio stampa che svolge attività indirizzata ai mezzi di comunicazione di massa. A norma del comma 2 dell’art. 9, il personale degli uffici stampa è iscritto all’albo nazionale dei giornalisti ed è costituito da dipendenti di amministrazioni pubbliche, anche in comando o fuori ruolo (ovvero, da personale estraneo alla p.a.).

Il comma 5 dell’art. 9 ha, inoltre, stabilito che l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali del personale in questione «sono affidate alla contrattazione collettiva nell’àmbito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti». Per molti anni successivi al varo della legge, tale «speciale area di contrattazione» non è stata creata. Alcune Regioni – tra queste la Liguria – hanno stabilito pertanto di applicare le previsioni del vigente contratto collettivo dei giornalisti, stipulato dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI). L’art. 29, comma 2, lettera d), secondo periodo, della legge reg. Liguria n. 25 del 2006, con specifico riguardo al personale dell’Ufficio stampa della Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, ha stabilito che, «[s]ino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni», sono attribuiti a quel personale «i profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili».

In data 21 maggio 2018 è stato sottoscritto il contratto collettivo nazionale del comparto «Funzioni locali», per il triennio 2016-2018 (d’ora innanzi: CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018). Tale contratto, all’art. 18-bis, ha istituito i nuovi profili per le attività di comunicazione e informazione delle amministrazioni locali. Al tempo stesso, la allegata dichiarazione congiunta n. 8 ha preso in considerazione la situazione di quel personale «al quale, in forza di specifiche, vigenti norme di legge regionale in materia, sia stata applicata una diversa disciplina contrattuale nazionale, seppure in via transitoria», e ha quindi stabilito, per tale personale, di rimandare ad «apposita sequenza contrattuale» la «specifica regolazione di raccordo» atta a disciplinare l’applicazione delle norme di cui all’art. 18-bis.

6.2.2.– In tale quadro si collocano le due norme regionali oggetto dell’impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Con la norma di «interpretazione autentica» di cui all’art. 30, comma 1, della legge regionale n. 29 del 2018 (impugnata con il primo dei due ricorsi in decisione), il legislatore ligure ha stabilito che l’inciso «sino alla data di entrata in vigore dell’apposito accordo collettivo nazionale quadro relativo alla costituzione del profilo professionale del personale addetto alle attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni» (espressione contenuta nel secondo periodo della lettera d del comma 2 dell’art. 29 della legge reg. Liguria n. 25 del 2006), deve essere inteso «nel senso che l’accordo collettivo nazionale quadro è quello definito a seguito dell’apposita sequenza contrattuale di cui alla dichiarazione congiunta n. 8 al CCNL funzioni locali del 21 maggio 2018». In tal modo, si è disposta l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche oltre l’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

Lo stesso art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 ha altresì stabilito, nella seconda parte, quanto segue: «Rimane comunque ferma l’applicazione dei “profili professionali dei giornalisti previsti dal vigente contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti, nonché l’equivalente economico previsto dal medesimo contratto collettivo nazionale di lavoro dei giornalisti per i relativi profili” nei confronti del personale assunto con contratto a tempo determinato anteriormente alla data del 21 maggio 2018». Si è così confermata per tale personale l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche per il periodo successivo all’entrata in vigore della specifica regolazione di raccordo preannunziata dalla dichiarazione congiunta n. 8 di cui al CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018.

Con la successiva disposizione di cui all’art. 1 della legge regionale n. 5 del 2019 (oggetto del secondo ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri) la Regione Liguria, abrogato l’intero comma 1 dell’art. 30 della legge regionale n. 28 del 2019, ne ha riproposto in modo identico la prima parte, con l’effetto di confermare l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti anche oltre l’entrata in vigore del CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018, ma pur sempre fino all’entrata in vigore della specifica regolazione di raccordo menzionata dalla dichiarazione congiunta n. 8. Non è stata, invece, più riprodotta la (già abrogata) seconda parte della stessa disposizione, che manteneva fermo, per il personale assunto prima del 21 maggio 2018, il regime dettato dalla contrattazione collettiva dei giornalisti.

Il quadro normativo si completa poi, a livello statale, con la novella introdotta dall’art. 1, comma 160, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022). Si tratta del nuovo comma 5-bis dell’art. 9 della legge n. 150 del 2000, che ha stabilito, con decorrenza 1° gennaio 2020, quanto segue: «Ai dipendenti di ruolo in servizio presso gli uffici stampa delle amministrazioni di cui al comma 1 ai quali, in data antecedente all’entrata in vigore dei contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, risulti applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico per effetto di contratti individuali sottoscritti sulla base di quanto previsto dagli specifici ordinamenti dell’amministrazione di appartenenza, può essere riconosciuto il mantenimento del trattamento in godimento, se più favorevole, rispetto a quello previsto dai predetti contratti collettivi nazionali di lavoro, mediante riconoscimento, per la differenza, di un assegno ad personam riassorbibile, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con le modalità e nelle misure previste dai futuri contratti collettivi nazionali di lavoro».

Come recentemente affermato da questa Corte, tale novella legislativa «deve intendersi riferita unicamente ai rapporti di lavoro dei singoli soggetti, ancorché la loro regolazione con il contratto di lavoro giornalistico abbia trovato fonte e ragione in normative regionali, che tale applicazione espressamente autorizzavano, mentre non potrebbe intendersi quale ratifica di tali leggi regionali anche al fine di autorizzazione della spesa da parte dell’ente locale» (sentenza n. 112 del 2020, punto 5 del Considerato in diritto).

6.3.– Alla luce del quadro normativo qui ricostruito nei suoi tratti essenziali, le due questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri sono fondate.

Con riferimento a leggi regionali simili a quelle oggi sub iudice, questa Corte ha affermato che l’applicazione a una categoria di personale di ruolo della Regione di un contratto collettivo non negoziato dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ma dalle organizzazioni degli editori e dalla Federazione nazionale della stampa italiana, vìola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto «[l]a disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra [...] nella materia “ordinamento civile” e spetta in via esclusiva al legislatore nazionale». Viene, infatti, in considerazione un rapporto di lavoro che, a seguito della privatizzazione, «è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalla specifica contrattazione collettiva, espressamente regolata dall’art. 2» del d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 10 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).

L’art. 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modificazioni, prevede, al comma 2, ultimo periodo, che «[n]ell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità». Proprio alla luce di tale previsione, il CCNL sottoscritto il 21 maggio 2018 ha disciplinato la posizione dei giornalisti addetti agli uffici stampa in questione, con la conseguenza che «la legge impugnata vìola la sfera di competenza statale, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del pubblico impiego» (sentenza n. 10 del 2019, punto 6 del Considerato in diritto).

Anche le disposizioni regionali censurate, nello stabilire le condizioni di perdurante applicabilità della contrattazione collettiva dei giornalisti, in luogo di quella del comparto «Funzioni locali», determinano l’effetto di rendere applicabile un contratto collettivo che non coincide con quello indicato dalla fonte a ciò deputata, con conseguente violazione delle prerogative statali in materia (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.)

Né a considerazioni diverse può condurre la natura solo transitoria delle norme impugnate (ovvero, l’avvenuta abrogazione dell’art. 30, comma 1, seconda parte, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, che regolava l’applicazione del contratto collettivo dei giornalisti per il personale assunto antecedentemente al 21 maggio 2018), poiché la contrattazione collettiva cui rinvia la legislazione statale non è derogabile neanche in via provvisoria.

Queste conclusioni, ribadite dalla già citata sentenza n. 112 del 2020 (punto 12 del Considerato in diritto), chiariscono che è la contrattazione collettiva di settore la sede in cui si adottano le soluzioni più consone per regolamentare l’attività dei giornalisti alle dipendenze della pubblica amministrazione.

Si deve pertanto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 e dell’intera legge reg. Liguria n. 5 del 2019. Restano assorbiti gli ulteriori parametri evocati dal Presidente del Consiglio dei ministri.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 41 del 2019;

riuniti i giudizi;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge della Regione Liguria 27 dicembre 2018, n. 29 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità per l’anno 2019), nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 11, della legge della Regione Liguria 25 marzo 1996, n. 15 (Norme sull’assunzione agli impieghi regionali);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018 e dell’intera legge della Regione Liguria 19 aprile 2019, n. 5 (Norma di interpretazione autentica);

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, promossa, in riferimento agli artt. 51, primo comma, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 9, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, promossa, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge reg. Liguria n. 29 del 2018, nella parte in cui ha sostituito l’art. 16, comma 10, della legge reg. Liguria n. 15 del 1996, promossa, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 luglio 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA

SENTENZA N. 199 ANNO 2020

Sentenza 199/2020 (ECLI:IT:COST:2020:199)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: MORELLI - Redattore:  AMOROSO
Udienza Pubblica del 21/07/2020;    Decisione  del 21/07/2020
Deposito del 02/09/2020;   Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Artt. 11, 14, 22, c. 2° e 3°, e 26, c. 2°, della legge della Regione Siciliana 22/02/2019, n. 1.
Massime: 
Atti decisi: ric. 54/2019
  

Pronuncia

SENTENZA N. 199

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 26, comma 2, della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato in cancelleria il 3 maggio 2019, iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nella udienza pubblica del 21 luglio 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marina Valli per la Regione Siciliana;

deliberato nella camera di consiglio del 21 luglio 2020.


Ritenuto in fatto

1.‒ Con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato il 3 maggio 2019 e iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre (già decise con sentenze n. 194 e n. 144 del 2020), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, della Costituzione, nonché dell’art. 26, comma 2, della medesima legge regionale Siciliana, in riferimento agli artt. 81, e 117, secondo comma, lettera l), Cost.

2.‒ In primo luogo, il ricorrente impugna l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 rubricato «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», il quale stabilisce che: «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».

3.‒ La difesa statale impugna, poi, l’art. 14 della legge reg. Siciliana citata, il quale dispone «[a]l fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».

Secondo il ricorrente, tale disposizione consentirebbe che il personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento riservato, e ciò in mancanza di qualsiasi termine finale e senza alcuna limitazione numerica.

4.‒ Inoltre, quanto all’impugnato art. 22, comma 2, il ricorrente osserva che dal quadro normativo di riferimento emerge una contrapposizione tra la disciplina di cui all’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale nelle procedure di stabilizzazione prevede la garanzia dell’adeguato accesso dall’esterno e quella contenuta nella disposizione impugnata, là dove si prevede che le procedure di cui all’art. 3, comma 6, della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2016, n. 27 (Disposizioni in materia di autonomie locali e per la stabilizzazione del personale precario) e di cui all’art. 26, comma 6, della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale) sono da intendere come procedure di stabilizzazione del personale precario «interamente riservate» a detto personale.

Il ricorrente, poi, alla luce della deliberazione della Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Siciliana, n. 28 del 2019 ‒ con cui il giudice contabile si è pronunciato sulla corretta interpretazione degli artt. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, dell’art. 3, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 27 del 2016 e 26, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018, ‒ afferma che la disposizione censurata è incompatibile sia con la disciplina contenuta nell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, sia con il principio dell’adeguato accesso dall’esterno, che costituisce un precipitato della previsione di cui all’art. 97, quarto comma, Cost., secondo cui «[a]gli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».

5.‒ Il ricorrente impugna, poi, l’art. 22, comma 3, della legge regionale in oggetto il quale prevede che le procedure seguite per l’assunzione del personale precario costituiscono requisito utile all’applicazione del comma 1, lettera b) dell’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017.

La diposizione in esame, dunque, qualificherebbe come procedure concorsuali quelle seguite per il reclutamento del personale a tempo determinato. Sul punto, il ricorrente ribadisce che la procedura selettiva di tipo concorsuale rimane la regola per l’accesso al pubblico impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme in materia di stabilizzazione. Del resto, – osserva la difesa erariale – il requisito di cui alla lettera b) dell’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017 è predicabile esclusivamente con riguardo ai cosiddetti precari che, in quanto già scelti all’esito di un precedente pubblico concorso, garantiscono comunque un’elevata professionalità all’amministrazione presso la quale prestano servizio.

Ciò premesso, ad avviso del ricorrente, tutte le disposizioni richiamate presentano analoghi profili di incostituzionalità.

Al riguardo, l’Avvocatura generale richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui il principio del pubblico concorso, per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, quando l’intento è di valorizzare esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione, può andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, già ricoperte da personale precario dipendente.

Affinché, però, «sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost.», è necessario che «l’area delle eccezioni» alla regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo rigoroso» (sentenze n. 9 del 2010, n. 215 del 2009 e n. 363 del 2006).

In particolare, la difesa statale ricorda come sia indispensabile che le eccezioni al principio del pubblico concorso siano numericamente contenute in percentuali limitate, rispetto alla globalità delle assunzioni poste in essere dall’amministrazione; che l’assunzione corrisponda a una specifica necessità funzionale dell’amministrazione stessa; e, soprattutto, che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico (sentenza n. 215 del 2009).

Il ricorrente osserva, ancora, che tale principio non è destinato a subire limitazioni neppure nel caso in cui il personale da stabilizzare abbia fatto ingresso, in forma precaria, nell’amministrazione con procedure di evidenza pubblica, e neppure laddove la selezione a suo tempo svolta sia avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l’accesso alle funzioni pubbliche, in base all’art. 51 Cost.

Aggiunge, poi, che «la natura comparativa e aperta della procedura è [..] elemento essenziale del concorso pubblico», sicché deve escludersi la legittimità costituzionale di «procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno» violando il carattere pubblico del concorso (in tal senso, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 100 del 2010 e n. 293 del 2009).

Ad avviso del ricorrente, poi, «il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica” presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso», perché esso «non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 225 del 2010).

Non sarebbe conforme al quadro normativo delineato la possibilità, per chiunque, e anche per i precari assunti a tempo determinato con modalità alternative al pubblico concorso, di accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale, ai benefici della stabilizzazione ogniqualvolta per quelle specifiche mansioni sia possibile un’assunzione nei ruoli del pubblico impiego, non potendosi ritenere che l’attingere alle graduatorie di cui alla legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all’articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l’attuazione di politiche attive del lavoro), e alla legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2003, n. 21 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2004), possa essere assimilato all’espletamento di prove selettive concorsuali.

6.‒ Il ricorrente censura, poi, l’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, il quale ha abrogato l’art. 13, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale).

Tale ultima disposizione stabiliva che il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, come determinato ai sensi dell’art. 49, comma 27, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale), fosse ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.

Ad avviso del ricorrente l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.

La disposizione statale, infatti, rappresenterebbe una cornice cui tutte le pubbliche amministrazioni devono fare riferimento, in quanto costituisce un limite alla contrattazione integrativa, che la Regione non è legittimata a superare, pur nella sua autonomia.

Pertanto, la norma in esame violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile e dai contratti collettivi.

La norma censurata contrasterebbe, altresì, con il principio di cui all’art. 81 Cost.

7.‒ Con atto depositato in data 14 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato all’impugnazione proposta nei confronti dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in quanto le citate disposizioni non sono state ricomprese nella deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri.

8.‒ Con atto depositato in data 10 giugno 2019, si è costituita nel presente giudizio la Regione Siciliana, che ha accettato la rinuncia all’impugnativa proposta nei confronti dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge regionale citata, e ha chiesto, con riferimento alle altre disposizioni, che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, non fondate.

La difesa regionale, in primo luogo, eccepisce che il ricorso non contiene alcun cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

Inoltre, per quanto attiene a ciascuna delle disposizioni di cui agli artt. 11 e 14, rileva la genericità e indeterminatezza delle censure sollevate, giacché il ricorrente omette di indicare argomenti a sostegno del preteso contrasto tra la norma impugnata e i parametri evocati limitandosi, in riferimento all’art. 11 della reg. Siciliana citata, a trascriverne il contenuto.

In ogni caso la resistente osserva che, qualora la Corte volesse ritenere trasferibili agli artt. 11 e 14 della legge regionale citata le argomentazioni svolte per i successivi artt. 22 e 23, le censure non coglierebbero nel segno. In tal caso, infatti, si partirebbe dall’assunto che la norma abbia configurato un «accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni», sul presupposto di una esperienza già maturata all’interno.

In particolare, con riferimento all’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, ad avviso della difesa regionale non si configura alcun rapporto di lavoro, né con le cooperative (ove i soggetti venivano utilizzati in attività socialmente utili), né tanto meno con il Dipartimento beni culturali.

Destinatari della disposizione sarebbero, infatti, soggetti utilizzati in attività socialmente utile dalle cooperative del cosiddetto “privato sociale” nel 2014 (di provenienza dal decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, recante «Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144») che, attraverso procedure svolte presso i competenti Servizi centri per l’impiego, sono stati assegnati in utilizzo indiretto a uffici della Regione.

Non sussisterebbe, pertanto, né un rapporto di lavoro di origine con le cooperative, né di conseguenza è possibile configurare alcuna forma di accesso al pubblico impiego; la norma perseguirebbe l’obiettivo della cessazione dell’utilizzo indiretto dei soggetti in attività socialmente utili, senza che questo comporti alcun insorgere di rapporti di lavoro di natura autonoma o subordinata.

Analoghe considerazioni, ad avviso della difesa regionale, valgono per l’art. 14 della legge reg. Siciliana citata, impugnato «nonostante il Comando del Corpo forestale abbia prontamente controdedotto a tutte le osservazioni formulate in sede di controllo della legge».

Inoltre, la resistente riferisce che anche l’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del Ministero dell’Interno ha rappresentato che «la formulazione dell’articolo 14, laddove dispone il mantenimento in servizio, nelle medesime mansioni, di personale addetto al servizio antincendio boschivo regionale, presso le Sale operative provinciali, necessita dell’assicurazione che sia rivolta al personale utilizzato già da tempo per la predetta finalità».

Infine, la difesa regionale dà atto che l’ufficio affari legali del Ministero della giustizia ha osservato che «la genericità del testo normativo “mantenimento del personale forestale nelle medesime mansioni” non consente di comprendere se il legislatore regionale abbia inteso attivare meccanismi di proroga o di reiterazione di contratti a termine, piuttosto che di stabilizzazione del personale».

Ma proprio per chiarire tali perplessità è stato precisato che il personale forestale, cui la norma fa riferimento, è costituito da lavoratori assunti con rapporto di lavoro a tempo determinato (disciplinato dal CCNL degli addetti ai lavori di sistemazione idraulico forestale ed idraulico agraria); la prestazione di detti lavoratori non supera le 151 giornate lavorative e gli stessi sono assunti ogni anno per il periodo della campagna antincendio boschivo (in genere dal 15 giugno al 15 ottobre) in base alle disposizioni della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), approvata nell’ambito della potestà legislativa esclusiva ex art. 14, comma primo, lettera a), dello statuto.

La norma impugnata, pertanto, non mirerebbe ad attivare meccanismi di proroga né la reiterazione di contratti a termine, in quanto tali lavoratori sono inclusi in appositi elenchi e rientrano nei contingenti distrettuali previsti dalla succitata legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.

Conclude, pertanto, la difesa regionale che la ratio dell’art. 14 della legge reg. Siciliana citata consiste nel consentire che i lavoratori, una volta assunti per la campagna antincendio, svolgano le mansioni di addetti alle sale operative provinciali, qualora abbiano maturato la relativa esperienza professionale attraverso il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018. Il personale interessato rientra nei contingenti del personale a tempo determinato, ed il numero degli stessi è individuato “in re ipsa” dalla circostanza dell’esperienza professionale maturata nel quinquennio 2014-2018 quali addetti alle sale operative.

Infine, con riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente contesta che per effetto dell’abrogazione disposta dal comma impugnato verrebbe superato il limite stabilito dallo Stato per le future contrattazioni.

In proposito osserva che la norma indicata nel ricorso come parametro interposto, l’ossia l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, sarebbe stato rispettato.

E ciò poiché il valore del fondo per la dirigenza, quale risulta a seguito dell’applicazione della norma oggi abrogata, resta fissato per gli anni a venire in euro 28.189.241, importo minore di quello di euro 30.940.00 stabilito per il 2016, anno al quale la norma statale impone di rifarsi per stabilire il limite insuperabile da parte di ciascuna amministrazione pubblica.

9.‒ Con memoria depositata in data 25 febbraio 2020, la Regione Siciliana ha ribadito l’inammissibilità delle censure prospettate in relazione all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.


Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato il 3 maggio 2019 e iscritto al n. 54 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre (già decise con sentenze n. 194 e n. 144 del 2020), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 26 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), in riferimento agli artt. 51, 81, 97, quarto comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Il ricorrente censura, in primo luogo, l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», il quale stabilisce che: «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».

Ad avviso del ricorrente la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., in quanto consentirebbe che il personale precario ivi indicato possa essere stabilizzato senza l’espletamento di una procedura concorsuale, negando la possibilità agli altri cittadini di accedere alle funzioni pubbliche.

Il ricorrente impugna, poi, l’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Servizio antincendio boschivo», il quale stabilisce che: «1. Al fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».

Osserva il ricorrente che tale disposizione violerebbe gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost. in quanto, in assenza del termine finale e di una limitazione numerica, determinerebbe che il personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento riservato.

È, inoltre, impugnato l’art. 22, comma 2, il quale prevede che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 3 della legge regionale n. 27/2016 e di cui all’articolo 26, comma 6, della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono da intendersi relative a procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte all’esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel medesimo articolo 26».

Ad avviso della difesa statale tale disposizione violerebbe gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., perché, prevedendo che le procedure di stabilizzazione del personale precario siano «interamente riservate», recherebbero una disciplina in contrasto con l’art. 20, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a, e 2, lettere b, c, d ed e e 17, comma 1, lettere a, c, e, f, g, h, l, m, n, o, q, r, s e z, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale invece contempla la garanzia dell’adeguato accesso di personale dall’esterno.

Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 22, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, il quale dispone che «[i]l reclutamento con le procedure di cui alla legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85, alla legge regionale 14 aprile 2006, n. 16, alla legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, alla legge regionale 31 dicembre 2007, n. 27 […] è requisito utile ai fini dell’applicazione dell’articolo 20, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75».

Anche tale disposizione violerebbe gli art. 51 e 97, quarto comma, Cost., in quanto qualifica le procedure ivi indicate come concorsuali, in contrasto con l’art. 20, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale, invece, si riferisce ai cosiddetti precari scelti all’esito di un precedente pubblico concorso.

Infine, la difesa dello Stato censura l’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, rubricato «Fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti», il quale dispone la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2016. Legge di stabilità regionale).

La disposizione regionale abrogata stabiliva che il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, come determinato ai sensi dell’art. 49, comma 27, della legge della Regione Siciliana 7 maggio 2015, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2015. Legge di stabilità regionale), fosse ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.

Secondo il ricorrente la disposizione censurata violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 81 Cost., in quanto l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016 renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.

La norma statale rappresenterebbe, infatti, una cornice cui tutte le pubbliche amministrazioni devono fare riferimento e definirebbe un limite alla contrattazione integrativa che la Regione, pur nella sua autonomia, non è legittimata a superare, così incidendo sui rapporti di diritto privato (contratti collettivi regolabili dal codice civile) e, dunque, nella materia «ordinamento civile».

La disposizione regionale si porrebbe, poi, in contrasto con l’art. 81 Cost.

2.– In via preliminare, occorre evidenziare che con atto depositato in data 14 maggio 2019, l’Avvocatura generale ha rinunciato all’impugnazione proposta nei confronti dei commi 2 e 3 dell’art. 22 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in quanto tali disposizioni non erano state ricomprese nella deliberazione di impugnativa del Consiglio dei ministri.

La Regione ha dichiarato di accettare tale rinuncia parziale.

Le parti, pertanto, hanno chiesto a questa Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio.

In vero, da un lato, non è stata depositata dalla difesa della Regione alcuna delibera di accettazione della rinuncia ad opera della Giunta regionale. Deve però rilevarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 37 del 2016; ordinanze n. 23 del 2020 e n. 78 del 2017), la deliberazione dell’organo politico è necessaria soltanto per la rinuncia al ricorso, non anche per l’accettazione della rinunzia all’impugnazione.

Dall’altro, la mancata inclusione dell’art. 23, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, nella delibera di autorizzazione al ricorso è di per sé significativa dell’assenza dell’interesse dello Stato a ricorrere. Essendo mancata, in positivo, la delibera di autorizzazione a impugnare tale disposizione, non occorre il contrarius actus, in negativo, di una deliberazione di rinuncia da parte dell’organo politico.

Pertanto, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del processo in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.

3.– Ancora in via preliminare, occorre delimitare il thema decidendum, con riferimento ai parametri costituzionali evocati.

Questa Corte ha costantemente affermato che la questione proposta in via principale, rispetto alla quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016).

In primo luogo, deve osservarsi che con riferimento all’art. 11 della legge reg. Siciliana impugnata, l’esame delle censure va limitato alle sole questioni promosse in riferimento alla violazione degli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost. e non anche dell’art. 3 Cost., ancorché indicato nella delibera di autorizzazione all’impugnazione, in quanto tale parametro non è stato poi riportato nel ricorso.

Con riferimento poi all’impugnato art. 14, la questione di legittimità costituzionale deve essere limitata al solo parametro di cui all’art. 97 Cost. (e segnatamente all’art. 97, quarto comma, Cost.); l’art. 51 Cost., infatti, è stato indicato nel ricorso, ma non è stato ricompreso nella delibera di autorizzazione all’impugnazione.

È, quindi, inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento alla violazione dell’art. 51 Cost.

Analogamente, con riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata, la questione di legittimità costituzionale va circoscritta al solo parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost, e non può essere esaminata in riferimento all’art. 81 Cost, parametro ricompreso nel ricorso, ma non indicato nella delibera di autorizzazione ad impugnare.

È, dunque, inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 81 Cost.

4.– Proseguendo nell’esame dei profili di ammissibilità del ricorso, deve rilevarsi che la Regione Siciliana – anche con riferimento ad altra disposizione impugnata con lo stesso ricorso n. 54 del 2019 e già oggetto di una precedente decisione di questa Corte (sentenza n. 144 del 2020) – ha evidenziato «in via generale che nel ricorso non si fa mai cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù dello Statuto speciale».

Tale rilievo, nel caso in esame deve essere limitato alla sola questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, perché nei confronti delle altre disposizioni impugnate, il ricorrente non ha fatto valere la lesione di una sfera di competenza legislativa, ai sensi dell’art. 127, secondo comma, Cost.

Ciò precisato, si deve evidenziare il costante l’orientamento di questa Corte, secondo cui nel caso in cui venga impugnata, in via principale, la legge di una Regione ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio, onere di cui è gravato il ricorrente, non può prescindere dalla indicazione delle competenze legislative assegnate allo statuto (regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) alle quali le disposizioni impugnate sarebbero riferibili qualora non operasse il nuovo testo dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 194 del 2020, n. 119 del 2019, n. 58 del 2016, n. 151 del 2015 e n. 288 del 2013).

Deve tuttavia rilevarsi che, nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il contrasto con l’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.

Nella fattispecie, il contenuto di rilievo privatistico della disposizione censurata, che incide sull’ammontare delle risorse destinate alla retribuzione di risultato e di posizione del personale anche dirigenziale, e la natura del parametro evocato, che fa riferimento alla materia dell’ordinamento civile, escludono di per sé l’utilità di uno scrutinio alla luce delle disposizioni statutarie, avendo il ricorrente ben presente che lo statuto speciale per la Regione Siciliana nulla dispone sulla competenza legislativa regionale nella materia «ordinamento civile» (sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 103 del 2017, n. 252 e n. 58 del 2016).

5.– Parimenti infondate sono le ulteriori eccezioni di inammissibilità espressamente formulate dalla Regione Siciliana.

5.1.– Con specifico riferimento agli artt. 11 e 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente ha eccepito la inadeguata descrizione del quadro normativo.

Analoga eccezione di inammissibilità la Regione ha formulato in riferimento alle censure sollevate nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge regionale citata, evidenziando, in particolare, che il ricorrente ha omesso di dar conto della pertinenza del richiamato parametro interposto in riferimento ai parametri costituzionali evocati.

Tali eccezioni non possono essere accolte.

È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il ricorrente ha l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali si lamenta la violazione e di proporre una motivazione che non sia meramente assertiva e che contenga una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati, dovendo contenere una sia pure sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 194 e n. 25 del 2020, n. 83 del 2018 e n. 261 del 2017).

Nella fattispecie va osservato che il ricorso – nel riportare il testo integrale dell’art. 11 della legge regionale citata, evidenziando che la norma reca con sé la previsione della stabilizzazione del personale ivi indicato, senza l’espletamento della procedura concorsuale e, con riferimento all’art. 14 della medesima legge regionale, nel sottolineare che la norma determina «un inquadramento riservato» del personale forestale – contiene una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno dell’impugnazione, per cui può ritenersi raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e completezza» (ex plurimis, sentenza n. 83 del 2018), «che rende ammissibile l’impugnativa proposta (sentenza n. 201 del 2018)» (sentenza n. 25 del 2020).

5.2.– Altresì infondata è l’eccezione di inammissibilità diretta nei confronti dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana citata.

Il ricorrente, nel richiamare la disposizione statale in tema di salario accessorio, che rimette alla contrattazione collettiva nazionale la distribuzione delle risorse finanziarie destinate alla integrazione dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione ha, sia pure concisamente, dato conto dell’attinenza di detto parametro interposto, rispetto alla violazione della competenza legislativa esclusiva nella materia «ordinamento civile» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., da parte della disposizione regionale impugnata.

6.– Ciò precisato, si può ora passare all’esame del merito delle censure.

7.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, non è fondata in riferimento ad alcuno dei parametri evocati, nei termini di seguito indicati.

La disposizione in esame, rubricata «Personale ASU Assessorato Beni Culturali», dispone che «[a]l fine di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana i soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in utilizzazione presso gli stessi».

Ad avviso del ricorrente, la norma regionale determinerebbe una stabilizzazione del personale ivi indicato senza procedura concorsuale, con ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.

7.1.– Deve, in primo luogo, premettersi che i destinatari della disposizione indubbiata, ai quali rinvia l’art. 1 della legge della Regione Siciliana 5 novembre 2001, n. 17 (Interventi urgenti in materia di lavoro), sono quelli contemplati dall’art. 70 della legge della Regione Siciliana 7 marzo 1997, n. 6 (Programmazione delle risorse e degli impieghi. Contenimento e razionalizzazione della spesa e altre disposizioni aventi riflessi finanziari sul bilancio della Regione).

Tale disposizione regionale a sua volta si riferisce a categorie di lavoratori disciplinate da una pluralità di leggi regionali.

In particolare, vengono in rilievo i soggetti impegnati in progetti di lavori socialmente utili, di cui all’art. 1 della legge 28 novembre 1996, n. 608 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale), e i giovani coinvolti in piani di inserimento professionale che prevedono lo svolgimento di lavori socialmente utili, di cui all’art. 15 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1994, n. 451.

Inoltre, sempre per il tramite dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 17 del 2001, la disposizione regionale censurata si rivolge anche ai lavoratori che, ai sensi dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l’inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all’articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l’attuazione di politiche attive del lavoro), svolgono progetti di utilità collettiva secondo quanto specificamente previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)», il quale si riferisce, in particolare, ai giovani di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, privi di occupazione ed iscritti nella prima classe delle liste di collocamento.

In sostanza, la disposizione regionale censurata è indirizzata ad una pluralità di soggetti, tutti riconducibili, in via generale, alla categoria dei lavoratori socialmente utili (d’ora in avanti: LSU).

Sul piano della legislazione statale, la disciplina di tale forma flessibile di impiego si è caratterizzata per il susseguirsi di testi normativi costituiti, in origine, dal decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196), poi in parte abrogato dall’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell’articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), e definitivamente soppresso dall’art. 34, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183).

I progetti in cui tali lavoratori – cosiddetti soggetti utilizzati – sono impiegati possono essere promossi da amministrazioni pubbliche, da enti pubblici economici, da società a totale o prevalente partecipazione pubblica, e dalle cooperative sociali, i quali sono dunque denominati «enti utilizzatori».

Ai fini che qui interessano, deve in particolare rilevarsi che l’art. 26 del d.lgs. n. 150 del 2015, allo scopo di permettere il mantenimento e lo sviluppo delle competenze acquisite da detti lavoratori, prevede l’impiego diretto dei medesimi, titolari di strumenti di sostegno al reddito, che si svolge sotto la direzione e il coordinamento di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), attraverso apposite convenzioni tra le Regioni e le Province autonome e le amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n.165 del 2001.

L’utilizzo diretto da parte delle amministrazioni pubbliche di lavoratori socialmente utili era già previsto dall’art. 7 del d.lgs. n. 468 del 1997 come modalità alternativa alla procedura tramite i centri per l’impiego, i quali dunque provvedevano all’assegnazione dei LSU in base alla domanda formulata dall’ente utilizzatore.

7.2.– La peculiare natura giuridica dell’attività dei LSU risulta, in modo espresso, dall’art. 4 del d.lgs. n. 81 del 2000 e dall’art. 26, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2015, secondo cui l’utilizzazione dei lavoratori nelle attività socialmente utili non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro con l’ente utilizzatore.

L’esclusione delle attività socialmente utili dalla sfera dei rapporti di lavoro, e in particolare della qualità subordinata della prestazione lavorativa, trova conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui per tali lavoratori è estranea ex lege la disciplina dell’impiego subordinato, di talché anche in caso di prestazioni rese in difformità dal programma originario o in contrasto con le norme poste a tutela del lavoratore, non si costituisce un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, trovando applicazione solo la disciplina sul diritto alla retribuzione prevista dall’art. 2126 del codice civile (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 21 ottobre 2014, n. 22287 e 15 giugno 2010, n. 14344; sezione sesta civile, ordinanza 9 novembre 2018, n. 28841).

Nello stesso senso si è, sostanzialmente, espressa la Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha affermato che «[l]a clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella in cui al procedimento principale, che prevede che il rapporto costituito tra i lavoratori socialmente utili e le amministrazioni pubbliche per cui svolgono le loro attività non rientri nell’ambito di applicazione di detto accordo quadro, qualora, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare, tali lavoratori non beneficino di un rapporto di lavoro quale definito dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi nazionale in vigore, oppure gli Stati membri e/o le parti sociali abbiano esercitato la facoltà loro riconosciuta al punto 2 di detta clausola» (Corte giustizia dell’Unione europea, sezione sesta, sentenza 15 marzo 2012, in causa C-157/11, Sibilio contro Comune di Afragola).

7.3.– Ciò premesso, è alla luce di tale contesto normativo e giurisprudenziale che deve essere interpretato l’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019.

La disposizione regionale in esame, allo scopo di garantire la continuità dei servizi prestati presso gli uffici dell’assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, dai lavoratori socialmente utili specificamente indicati nella disposizione e, per non disperderne le competenze già da questi acquisite, prevede che essi «transitano in utilizzazione presso gli stessi».

La norma censurata si rivolge, dunque, a quei LSU i cui enti utilizzatori sono soggetti diversi dalla Regione e, in loro favore, dispone il transito in utilizzazione diretta da parte della Regione, presso gli stessi uffici.

Tali lavoratori, pertanto, continuano a espletare l’attività socialmente utile in favore degli uffici dell’assessorato regionale, ma per effetto della disposizione censurata, come lavoratori utilizzati in via diretta dalla Regione, la quale quindi diventa il nuovo ente utilizzatore.

Quale espressione della competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana, nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» di cui all’art. 14, lettera p), dello statuto, la norma impugnata è quindi funzionale alle esigenze organizzative dell’amministrazione regionale.

Essa va dunque interpretata nel senso che la previsione del «transito in utilizzazione» non comporta l’instaurarsi di alcun rapporto di lavoro subordinato con l’amministrazione regionale; ma, piuttosto, determina il solo mutamento del soggetto utilizzatore, che ora va individuato nella Regione che si assume direttamente gli oneri derivanti dall’impiego dei soggetti coinvolti in attività lato sensu socialmente utili.

Invece, la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili potrà avvenire nel rispetto e nell’ambito delle procedure regolate dalla legge e con l’osservanza della regola del concorso pubblico posta dall’art. 97, quarto comma, Cost.

In tale direzione è, infatti, intervenuto il legislatore statale, dapprima con l’art. 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, poi con l’art. 1, commi 446 e 448, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e, in tempi più recenti, con l’art.1, comma 495, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022).

Si tratta di interventi normativi attraverso i quali le amministrazioni pubbliche utilizzatrici dei lavoratori socialmente utili possono procedere all’assunzione a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori, anche con contratti di lavoro a tempo parziale, nei limiti della dotazione organica e del piano di fabbisogno del personale, attraverso il ricorso a procedure selettive, in conformità alle disposizioni di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001, in tema di assunzione del personale con forme flessibili, e all’art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, il quale detta le condizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni.

Così interpretata la norma censurata, devono dunque essere dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost.

8.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come prima evidenziato, deve essere circoscritta alla sola violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost., è, invece, fondata.

La disposizione regionale dispone che «al fine di garantire la continuità del servizio antincendio boschivo regionale il personale di cui all’articolo 12 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, in ragione dell’elevata esperienza professionale acquisita durante il servizio prestato nel quinquennio 2014-2018 presso le Sale operative provinciali, è mantenuto nelle medesime mansioni senza determinare maggiori oneri a carico del bilancio regionale».

La censura del ricorrente si fonda sull’argomentazione secondo cui tale disposizione, in assenza di un termine finale e in mancanza di una limitazione numerica, determinerebbe una stabilizzazione del personale forestale mediante un inquadramento riservato nel ruolo dell’amministrazione regionale.

8.1.– Va in primo luogo brevemente descritto il contesto normativo al cui interno si colloca la disposizione regionale impugnata.

Il personale considerato dalla norma regionale è quello di cui all’art. 12 della legge della Regione Siciliana 28 gennaio 2014, n. 5 (Disposizione programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale), il quale si riferisce al personale impiegato nel servizio di antincendio boschivo, inserito nell’elenco speciale dei lavoratori forestali, di cui all’art. 45-ter della legge della Regione Siciliana 6 aprile 1996, n. 16 (Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione), disposizione introdotta dall’art. 43 della legge della Regione Siciliana 14 aprile 2006, n. 14 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 “Riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione”. Istituzione dell’Agenzia della Regione siciliana per le erogazioni in agricoltura - A.R.S.E.A.).

L’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, rubricato «Elenco speciale dei lavoratori forestali», dispone, ai fini che qui interessano, l’istituzione dell’elenco speciale regionale dei lavoratori forestali, articolato su base provinciale, presso i competenti uffici periferici provinciali del dipartimento regionale del lavoro.

In questo elenco sono iscritti, a domanda, tutti i lavoratori già utilmente inseriti nelle graduatorie distrettuali o che abbiano espletato compiutamente, a partire dall’anno 1996, almeno quattro turni di lavoro di cinquantuno giornate lavorative ai fini previdenziali, esclusi i casi di malattia, infortunio o documentate cause di forza maggiore, alle dipendenze dell’amministrazione forestale nel periodo di vigenza della legge, ovvero almeno due turni nel triennio 2003-2005.

Ciò che precipuamente rileva nella fattispecie è che l’iscrizione nell’elenco speciale è prevista quale condizione essenziale per l’avviamento al lavoro alle dipendenze del dipartimento regionale delle foreste e dell’Azienda regionale delle foreste demaniali (art. 45-ter, commi 1, 2 e 3 della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996).

Inoltre, l’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 rinvia poi all’art. 44 della legge reg. Siciliana n. 14 del 2006, rubricato «Misure urgenti per l’occupazione forestale», il quale, anche, si riferisce al personale operaio impiegato dall’amministrazione forestale e, al fine di favorire il processo di progressiva stabilizzazione di detto personale, dispone, al comma 1, che non è consentito l’ulteriore avviamento di lavoratori non inseriti nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, introdotto, come visto, proprio dall’art. 43 della legge reg. citata.

Più in particolare, poi, al successivo comma 2, si prevede un incremento del personale, «[p]er le mutate esigenze connesse all’attuazione degli interventi del programma operativo regionale 2000-2006 ed al fine di procedere all’incremento della superficie forestale e migliorare la fruizione sociale dei boschi e delle aree protette gestite dall’Azienda regionale delle foreste demaniali».

In tale contesto normativo si inquadra la disposizione regionale censurata che, come suoi destinatari, individua solo i lavoratori forestali di cui all’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 5 del 2014 che, nel quinquennio 2014-2018, abbiano prestato servizio di antincendio boschivo presso le sale operative provinciali. In relazione a tale personale la disposizione prevede che esso «è mantenuto nelle medesime mansioni».

8.2.– La Regione Siciliana, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva, ai sensi dell’art. 14, comma primo, lettera a), dello statuto, nella materia «agricoltura e foreste», ha disciplinato il settore forestale con la legge reg. Siciliana n. 16 del 1996.

Tale settore, a livello statale, è stato oggetto di riorganizzazione da parte del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a, della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), il quale però non ha ricompreso le Regioni a statuto speciale e le Province autonome nel processo di assorbimento del Corpo forestale dello Stato, lasciando, dunque inalterate tutte le attribuzioni spettanti ai rispettivi Corpi forestali regionali e provinciali.

Pertanto, la Regione Siciliana, con la legge regionale n. 16 del 1996, ha disciplinato una materia di competenza legislativa esclusiva, e attraverso la disposizione censurata è intervenuta anche sulla disciplina della gestione del personale impiegato nel settore forestale.

La Regione Siciliana ha competenza legislativa esclusiva anche nella materia «ordinamento degli uffici e degli enti regionali» (art. 14, primo comma, lettera p, dello statuto).

È, infatti, sulla scorta di tali competenze che è stato adottato il decreto del Presidente della Regione Siciliana 29 maggio 2014 (Approvazione della convenzione di cui all’art. 12, comma 3, della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5, per l’avvalimento del personale appartenente all’elenco speciale dei lavoratori forestali di cui all’art. 45-ter della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e di cui all’art. 44 della legge regionale 14 aprile 2006, n. 14, da impiegare nel servizio antincendio boschivo), mediante il quale sono state dettate le norme che regolano l’organizzazione del personale di cui all’elenco speciale in oggetto (art. 7), prevedendo, ai fini che qui interessano, le condizioni per il trasferimento della titolarità dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 3) e a tempo determinato (art. 4), da parte del Comando del Corpo forestale, al Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale.

Non di meno la disposizione regionale censurata, là dove stabilisce che il descritto personale «è mantenuto nelle medesime mansioni», ha ecceduto dalle competenze statutarie, in quanto si pone in contrasto con l’art. 97, quarto comma, Cost.

Infatti, alla previsione regionale in esame, che non contempla alcun termine di durata, non può essere attribuito altro significato se non quello di determinare la trasformazione dei rapporti di lavoro di tali lavoratori forestali, avviati attraverso l’iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 45-ter della legge reg. Siciliana n. 16 del 1996, in rapporti di impiego a tempo indeterminato nel ruolo dell’amministrazione regionale.

Nel prevedere il mantenimento nelle medesime mansioni senza alcun limite temporale, l’art. 14 impugnato determina la stabilizzazione del personale antincendio boschivo adibito alle sale operative provinciali, già impiegato in quelle mansioni, con periodicità stagionale, per effetto della specifica disciplina sopra riportata, in violazione della regola del pubblico concorso, che rappresenta il necessario sistema di reclutamento per l’accesso ai pubblici impieghi.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, il pubblico concorso costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare l’efficienza, il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2020, n. 40 del 2018 e n. 251 del 2017).

Invece, la disposizione regionale censurata, non indicando un termine finale del “mantenimento” nelle pregresse mansioni, consente un generalizzato e implicito meccanismo di proroga dei rapporti in essere con l’amministrazione regionale, senza limiti temporali, determinando la prosecuzione del rapporto di lavoro, da parte dell’amministrazione regionale, tendenzialmente in via definitiva senza l’indizione di una selezione pubblica (sentenza n. 36 del 2020).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, per violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost.

9.– La questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 26, comma 2, della reg. Siciliana n. 1 del 2019, che, come sopra evidenziato, va limitata alla sola violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non è fondata.

La disposizione regionale, rubricata «Fondo per il trattamento accessorio dei dipendenti», dispone la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, il quale testualmente prevedeva: «1. Per effetto della disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 49 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica dirigenziale della Regione siciliana, come determinato ai sensi dell’articolo 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, è ridotto, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843 migliaia di euro e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2017, dell’ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro».

La censura del ricorrente si incentra sull’argomentazione per cui la soppressione dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, rubricato «Norme di contenimento della spesa della Pubblica Amministrazione regionale», renderebbe la materia priva di riferimenti e di vincoli, per il mancato richiamo all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. Più specificamente la disposizione regionale inciderebbe sulla materia «ordinamento civile» di competenza esclusiva dello Stato, in quanto interviene sulla regolamentazione dei rapporti di diritto privato, oggetto di contrattazione collettiva integrativa regionale.

9.1.– Per meglio inquadrare la questione, si deve evidenziare che l’art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017, rubricato «Salario accessorio e sperimentazione», dispone, al comma 1, che «[a]l fine di perseguire la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la contrattazione collettiva nazionale, per ogni comparto o area di contrattazione opera, tenuto conto delle risorse di cui al comma 2, la graduale convergenza dei medesimi trattamenti anche mediante la differenziata distribuzione, distintamente per il personale dirigenziale e non dirigenziale, delle risorse finanziarie destinate all’incremento dei fondi per la contrattazione integrativa di ciascuna amministrazione».

Inoltre, al comma 2, specificamente richiamato dal ricorrente quale parametro interposto, dispone, inoltre, che: «2. [n]elle more di quanto previsto dal comma 1, al fine di assicurare la semplificazione amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualità dei servizi e garantire adeguati livelli di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, assicurando al contempo l’invarianza della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016».

Tali disposizioni statali stabiliscono, dunque, un tetto massimo dell’ammontare complessivo delle risorse destinate, annualmente, al trattamento economico accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, rimettendone la differenziata distribuzione alla contrattazione collettiva.

Più in particolare, il citato comma 2, disponendo che l’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento economico accessorio non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016, si pone come limite alla contrattazione collettiva.

Ciò precisato, deve rilevarsi che la disposizione regionale censurata ha «soppresso» la norma regionale (art. 13 della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016) che aveva previsto la riduzione delle risorse del fondo destinato alla retribuzione di posizione e di risultato del solo personale con qualifica dirigenziale della Regione Siciliana, determinato in un ammontare complessivo definito secondo i criteri indicati dall’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015.

Tale ultimo articolo, come modificato dall’art. 26, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 dispone testualmente: «[a] decorrere dal 1°gennaio 2016 e sino al 31 dicembre 2018, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale comunque cessato dal servizio».

9.2.– Da tale quadro normativo risulta che la norma regionale censurata non incide sulla competenza statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», in quanto essa non interviene sullo strumento di regolamentazione del trattamento accessorio, che resta rimesso alla contrattazione collettiva.

Essa, piuttosto, incide sulla spesa concernente l’indennità di risultato e di posizione destinata, in particolare, al personale dirigenziale regionale.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, infatti, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici, tra i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni, compete unicamente al legislatore statale, rientrando nella materia «ordinamento civile» (ex multis, sentenze n. 196 del 2018, n. 175 e n. 72 del 2017 e n. 257 del 2016); e ciò significa che detta disciplina «è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva» (sentenza n. 160 del 2017), cui la legge dello Stato rinvia.

La disciplina impugnata, dunque, in linea con la giurisprudenza di questa Corte non si sostituisce alla contrattazione collettiva nella determinazione delle risorse destinate al trattamento economico accessorio.

Deve, pertanto, essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

9.3.– Non è superfluo evidenziare, infine, che dal quadro normativo sopra riportato, non risulta che la disposizione regionale censurata, abrogando l’art. 13, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 3 del 2016, abbia facoltizzato il superamento dei limiti di spesa previsti, a decorrere dal 1° gennaio 2017, dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017, in via generale, per il trattamento accessorio dei dipendenti pubblici; limiti rimasti invariati.

D’altra parte, è rimasto in vigore anche l’art. 49, comma 27, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2015, il quale, come sopra già evidenziato, per il periodo intercorrente dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2018, dispone che l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio del personale, incluse le retribuzioni di posizione e di risultato del personale dirigenziale, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2014.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 51 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 81 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara estinto il processo, limitatamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, commi 2 e 3, della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse, dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 51 e 97, quarto comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 2020.

F.to:

Mario Rosario MORELLI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 settembre 2020.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA