SENTENZA N. 27
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 1, e 34, comma 1, della legge della Regione Molise 17 gennaio 2013, n. 4 (Legge finanziaria regionale 2013), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 19-21 marzo 2013, depositato in cancelleria il 25 marzo 2013 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2013.
Udito nell’udienza pubblica del 14 gennaio 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
udito l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato il 19-21 marzo 2013 e depositato il successivo 25 marzo il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 12, comma 1, e 34, comma 1, della legge della Regione Molise 17 gennaio 2013, n. 4 (Legge finanziaria regionale 2013), per violazione degli artt. 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.− L’art. 12, comma 1, della legge reg. n. 4 del 2013, autorizza transitoriamente gli enti inseriti nella Sezione II della Tabella A1 di cui alla legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2 (Legge finanziaria regionale 2012), a procedere alla copertura della dotazione organica e del relativo fabbisogno triennale di personale con le modalità indicate nelle leggi istitutive.
Il Presidente del Consiglio evidenza che la censurata disposizione prevede, quale limite per le assunzioni ivi indicate, la sola dotazione organica degli enti, senza fare riferimento ai limiti di spesa previsti per le nuove assunzioni contenuti nella normativa nazionale in materia di personale delle pubbliche amministrazioni. Essa si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), come modificato dall’art. 14, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo cui gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale con azioni rivolte ai seguenti ambiti: a) riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti; b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative; c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa. La norma, inoltre, contrasterebbe anche con l’art. 1, comma 557-ter, della medesima legge n. 296 del 2006 il quale, a sua volta, prevede che in caso di mancato rispetto del comma 557, si applica il divieto di cui all’art. 76, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133. Secondo il citato art. 76, comma 4, «è fatto divieto agli enti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione».
La norma impugnata, limitandosi a considerare quale unico limite a dette assunzioni quello della pianta organica, risulterebbe non in linea con la normativa statale di riferimento che contempla più rigorosi limiti al contenimento della relativa spesa e di conseguenza contrasterebbe con i principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica recati dall’art. 117, terzo comma, Cost.
1.2.− La seconda norma oggetto di impugnazione è l’art. 34 della legge regionale in esame, rubricato «Disposizioni concernenti nomine effettuate da organi regionali» nella parte in cui prevede, al comma 1, che «al termine della legislatura decadono tutte le figure nominate a vario titolo, ragione o causa dal Presidente della Giunta, dalla Giunta regionale e dal Consiglio regionale».
Tale disposizione, nella parte in cui si applica anche alle nomine dei direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, contrasterebbe, da un lato, con la normativa statale in materia di incarichi dei direttori generali e, dall’altro, con il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., come precisato dalla giurisprudenza costituzionale.
La durata in carica del direttore generale, è, infatti, disciplinata dell’art. 3-bis, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), secondo cui «Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile […]».
Sotto questo profilo, quindi, la norma impugnata, disponendo la decadenza automatica, al termine della legislatura regionale, anche dei direttori generali degli enti del Servizio sanitario regionale, contrasterebbe con la richiamata disciplina statale, recante principi fondamentali in materia di «tutela della salute», violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
Essa, inoltre, incidendo su rapporti contrattuali vigenti, determinandone la decadenza, interverrebbe anche nella materia «ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La parte ricorrente richiama, al riguardo, la sentenza n. 104 del 2007 della Corte costituzionale, che ha deciso una analoga questione di legittimità costituzionale sollevata avverso norme della Regione Lazio, precisando che la previsione della decadenza automatica dei direttori delle ASL, una volta decorsi novanta giorni dalla prima seduta del Consiglio regionale, viola l’art. 97 Cost. sotto il duplice profilo dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione.
Pertanto, dovrebbe ritenersi che l’art. 34 della legge regionale in esame, nella parte in cui non esclude dalla sua applicazione i direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, contrasti con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di «tutela della salute», di cui al richiamato art. 3-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, violando conseguentemente gli artt. 117, terzo comma, e 97 Cost.
Infine, nella parte in cui incide sui rapporti contrattuali in essere, lederebbe altresì l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’«ordinamento civile».
2.− La Regione Molise non si è costituita.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 1, e 34, comma 1, della legge della Regione Molise 17 gennaio 2013, n. 4 (Legge finanziaria regionale 2013), in riferimento agli artt. 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1.− Secondo la parte ricorrente l’art. 12, comma 1, della legge reg. n. 4 del 2013 nella parte in cui prevede che «gli Enti inseriti nella Sezione II della Tabella A1, allegata alla medesima legge regionale n. 2/2012, sono transitoriamente autorizzati a procedere alla copertura della dotazione organica e del relativo fabbisogno triennale di personale con le modalità indicate dalle leggi istitutive» contrasterebbe con l’art. 117, terzo comma, Cost. perché, prevedendo la possibilità di nuove assunzioni, violerebbe il principio fondamentale in materia di «coordinamento della finanza pubblica» stabilito dall’art. 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), come modificato dall’art. 14, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale con azioni rivolte ai seguenti ambiti: a) riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti; b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative; c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa. La medesima norma regionale violerebbe anche il principio fondamentale in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di cui all’art. 1, comma 557-ter, della medesima legge n. 296 del 2006 secondo il quale: «In caso di mancato rispetto del comma 557, si applica il divieto di cui all’art. 76, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», che vieta di procedere ad assunzioni di personale.
1.2.− La questione è fondata.
In primo luogo, deve affermarsi che l’interpretazione data alla disposizione da parte del ricorrente è corretta. L’art. 12, comma 1, della legge reg. n. 4 del 2013, infatti, consente agli enti di cui alla Sezione II della Tabella A1 allegata alla legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2 (Legge finanziaria regionale 2012), di procedere a nuove assunzioni senza alcun riferimento ai limiti di spesa per esse previsti, contenuti nella normativa nazionale in materia di personale delle pubbliche amministrazioni.
Come si è detto, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la violazione dell’art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006 come modificato dall’art. 14, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 1, comma 557-ter, della medesima legge.
I commi 557 e 557-ter dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 (come risultanti a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 14, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010) sono già stati qualificati da questa Corte come principi generali di «coordinamento della finanza pubblica» che le Regioni devono rispettare. In particolare con la sentenza n. 108 del 2011 si è detto che: «Tali norme statali, ispirate alla finalità del contenimento della spesa pubblica, costituiscono princìpi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto pongono obiettivi di riequilibrio, senza, peraltro, prevedere strumenti e modalità per il perseguimento dei medesimi. Invero, come ha chiarito questa Corte, “… la spesa per il personale, per la sua importanza strategica ai fini dell’attuazione del patto di stabilità interna (data la sua rilevante entità), costituisce non già una minuta voce di dettaglio, ma un importante aggregato della spesa di parte corrente, con la conseguenza che le disposizioni relative al suo contenimento assurgono a principio fondamentale della legislazione statale” (sentenza n. 69 del 2011, che richiama la sentenza n. 169 del 2007)».
In altra occasione si è ulteriormente ribadita la natura di principio fondamentale in materia di «coordinamento della finanza pubblica» dell’art. 1, comma 557-ter, della legge n. 296 del 2006, introdotto dall’art. 14, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, in quanto diretto ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa mediante la previsione di sanzioni nel caso di inosservanza delle prescrizioni di contenimento (sentenza n. 148 del 2012).
A sua volta l’art. 76, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008 sopra citato prevede che «In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno nell’esercizio precedente è fatto divieto agli enti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione continuata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione».
La norma impugnata, dunque, consente agli enti di cui alla Sezione II della Tabella A1 allegata alla legge reg. n. 2 del 2012 di procedere a nuove assunzioni in assenza, tuttavia, di un piano per il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006, in particolare con riferimento alla riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti ed alla razionalizzazione ed allo snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici.
Come si è ricordato, l’art. 1, comma 557-ter, nel caso di mancato rispetto di quanto previsto dal comma 557 dell’art. 1, prevede che si applichi il divieto tassativo di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale ex art. 76, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008.
Risulta, quindi, palese la violazione dei principi di «coordinamento della finanza pubblica» e di conseguenza dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.− La seconda questione ha ad oggetto l’art. 34 della legge reg. n. 4 del 2013.
Secondo il ricorrente la norma impugnata, nella parte in cui prevede, al comma 1, che «al termine della legislatura decadono tutte le figure nominate a vario titolo, ragione o causa dal Presidente della Giunta, dalla Giunta regionale e dal Consiglio regionale», applicandosi anche alle nomine dei direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, violerebbe il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Inoltre, risulterebbe violato anche l’art. 117, terzo comma, Cost. perché la norma si porrebbe in contrasto con la normativa statale in materia di incarichi dei direttori generali e in particolare con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute» stabilito dall’art. 3-bis, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), secondo cui «Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile […]».
Infine, il Presidente del Consiglio lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. perché l’art. 34, comma 1, impugnato inciderebbe su rapporti contrattuali vigenti, determinandone la decadenza, con invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
2.1.− La questione è fondata.
Il legislatore regionale individua un’ipotesi di decadenza di tutte le figure nominate a vario titolo, ragione o causa dal Presidente della Giunta, dalla Giunta regionale e dal Consiglio regionale.
In questa definizione estremamente ampia e generica rientrano certamente anche le nomine dei direttori generali delle aziende sanitarie. Questa Corte più volte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali che prevedevano la decadenza automatica dei direttori generali delle aziende sanitarie locali (sentenze n. 152 del 2013; n. 228 del 2011; n. 304, n. 224 e n. 34 del 2010; n. 104 del 2007).
In particolare, da ultimo si è ribadito che i direttori generali delle ASL costituiscono «una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale» (sentenze n. 152 del 2013 e n. 104 del 2007).
Le funzioni svolte dai direttori sono di carattere tecnico-gestionale, come confermato anche dai requisiti che la legge richiede per la loro nomina ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992 e delle relative norme regionali di dettaglio (sentenza n. 34 del 2010).
Sotto il profilo organizzativo, tra l’organo politico e i predetti direttori generali «non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato», ma vi è «una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl» (sentenze n. 34 del 2010 e n. 104 del 2007).
La disposizione impugnata, trovando applicazione nei confronti della tipologia di figure dirigenziali appena descritta – che esercita funzioni di carattere gestionale e non è legata all’organo politico da un rapporto diretto –, viola l’art. 97 Cost. sotto più profili.
Innanzitutto, essa è in contrasto con il principio di buon andamento, perché il meccanismo di decadenza automatica incide sulla continuità dell’azione amministrativa (sentenze n. 228 del 2011, n. 304 e n. 224 del 2010). Come questa Corte ha statuito nella sentenza n. 124 del 2011, infatti, «il rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione che attribuisce l’incarico deve essere […] connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa […]».
In secondo luogo, il carattere automatico della decadenza dall’incarico del direttore, previsto dalla disposizione impugnata, viola i principi di efficienza e di efficacia dell’azione amministrativa, perché esclude una valutazione oggettiva dell’operato del funzionario (sentenze n. 224 e n. 34 del 2010).
In terzo luogo, la disposizione impugnata viola il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, perché introduce un’ipotesi di cessazione anticipata e automatica dall’incarico del direttore generale dipendente da un atto dell’organo politico (sentenze n. 228 del 2011 e n. 224 del 2010).
Infine, la disposizione impugnata viola il principio del giusto procedimento, perché non prevede «il diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la motivazione di tale decisione» (sentenze n. 34 del 2010 e n. 390 del 2008).
Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal ricorrente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della legge della Regione Molise 17 gennaio 2013, n. 4 (Legge finanziaria regionale 2013);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, della legge della Regione Molise n. 4 del 2013 nella parte in cui non esclude gli incarichi di funzione dirigenziale di cui all’art. 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
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