ORDINANZA N. 184
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Mario Rosario MORELLI; Giudici : Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), modificativo dell’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in relazione agli artt. 314, comma 1, 318 e 319 del codice penale, nonché dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, come integrato dall’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, a sua volta modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, promossi dalla Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, con quattro ordinanze del 15 novembre 2019, dal Tribunale ordinario di Lagonegro, sezione penale, con ordinanza del 22 ottobre 2019, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Belluno, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza dell’8 gennaio 2020, e dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Tivoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 2 dicembre 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri da 7 a 10, 16, 24 e 32 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 6, 8, 9 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2020.
Visto l’atto di costituzione di M. S.;
udito nella camera di consiglio del 22 luglio 2020 il Giudice relatore Francesco Viganò;
deliberato nella camera di consiglio del 22 luglio 2020.
Ritenuto che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al n. 7 del r.o. 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, come integrato dall’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), a sua volta modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), «nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione ed, in particolare, l’art. 319 quater, comma 1 [recte: 318], c.p., tra quelli ostativi alla concessione del beneficio penitenziario di cui all’art. 4 bis legge 26.7.1975 n. 354 […] senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile la norma di cui all’art. 1 comma 6 lett. b) legge 9.1.2019 n. 3 ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore»;
che il giudice a quo ha altresì sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui inserisce all’art. 4-bis, comma 1, dell[a] legge 26 luglio 1975 n. 354 il riferimento al delitto di cui all’art. 318 c.p.»;
che il Collegio rimettente espone di essere investito, in qualità di giudice dell’esecuzione, di un’istanza di temporanea inefficacia dell’ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti di G. T., condannato con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre 2019, per fatti di corruzione per l’esercizio della funzione commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che, in punto di rilevanza delle questioni, il giudice a quo evidenzia come l’introduzione – ad opera dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019 – del delitto di cui all’art. 318 del codice penale nell’elenco contenuto nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. comporti, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena; sospensione che, invece, potrebbe essere accordata ove le questioni di legittimità costituzionale fossero accolte;
che, quanto alla questione relativa all’assenza di una disciplina transitoria, non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme censurate, alla luce del diritto vivente che ritiene soggette al principio tempus regit actum le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione (sono citate, tra le altre, Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 17 luglio 2006, n. 24561 e sezione prima penale, ordinanza 18 luglio 2019, n. 31853);
che, secondo il giudice a quo, l’applicabilità immediata delle modifiche all’art. 4-bis ordin. penit., introdotte dall’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019 e riverberantisi sull’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., confliggerebbe con la garanzia di irretroattività della legge penale di cui agli artt. 25, secondo comma, Cost. e 7 CEDU; garanzia che abbraccerebbe anche modifiche legislative, successive alla definitiva inflizione della pena, suscettibili di ridefinirne o modificarne la portata (sono citate le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 12 febbraio 2008, Kafkaris contro Cipro, e della Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 20 marzo 2019, n. 12541);
che la disciplina censurata sarebbe altresì foriera di una ingiustificata disparità di trattamento, lesiva dell’art. 3 Cost., tra soggetti che abbiano commesso identici fatti di reato anteriormente o posteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che, quanto alla non manifesta infondatezza dell’ulteriore questione di legittimità prospettata – che censura l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui include il reato di cui all’art. 318 cod. pen. nel novero di quelli elencati all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione – il Collegio rimettente, richiamati ampi stralci dell’ordinanza della Corte di cassazione 18 luglio 2019, n. 31853, osserva che la disposizione censurata sarebbe anzitutto contraria al principio di ragionevolezza, in quanto la condotta di corruzione per l’esercizio della funzione, così come configurata dal legislatore, ben potrebbe risolversi in un’occasione di consumazione «isolata e episodica» e non esprimerebbe «alcuno dei connotati idonei a sostenere una accentuata e generalizzata considerazione di elevata pericolosità del suo autore, trattandosi di condotta difficilmente inquadrabile in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi», diversamente dalle condotte riconducibili a fenomeni associativi di tipo mafioso o terroristico, originariamente oggetto della previsione dell’art. 4-bis ordin. penit.;
che sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la norma censurata sottrarrebbe «alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza (con anticipazione degli effetti pregiudizievoli in tema di libertà personale derivante dalla previsione di legge di cui all’art. 656 co. 9 cod. proc. pen.)» l’apprezzamento concreto delle caratteristiche obiettive del fatto e della personalità dell’autore, con conseguente pregiudizio ai principi di individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo, recentemente riaffermati da questa Corte nella sentenza n. 149 del 2018;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al n. 8 del r.o. 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., come integrato dall’art. 4-bis ordin. penit., a sua volta modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui ha inserito i reati contro la pubblica amministrazione ed, in particolare, l’art. 319 quater, comma 1 [recte: 319], c.p., tra quelli ostativi alla concessione del beneficio penitenziario di un all’art. 4 bis legge 26.7.1975 n. 354 […] senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile la norma di cui all’art. 1 comma 6 lett. b) legge 9.1.2019 n. 3 ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore»;
che il giudice a quo ha altresì sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui inserisce all’art. 4-bis, comma 1, dell[a] legge 26 luglio 1975 n. 354 il riferimento al delitto di cui all’art. 319 c.p.»;
che il collegio rimettente è investito, in qualità di giudice dell’esecuzione, di un’istanza di temporanea inefficacia dell’ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti di G. M., condannato con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre 2019, per fatti di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che, in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice a quo svolge considerazioni analoghe a quelle contenute nell’ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020, ritenendo – con particolare riferimento al secondo gruppo di questioni – che nemmeno il reato di cui all’art. 319 cod. pen. abbia connotati idonei a sostenere «una accentuata e generalizzata pericolosità del suo autore, né l’inserimento di quest’ultimo in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi», tali da giustificare l’inserimento nel novero dei reati di cui all’art. 4-bis ordin. penit.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al n. 9 del r.o. 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale – investita di un’istanza di temporanea inefficacia dell’ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti di F. F., condannato con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre 2019 per fatti di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, commessi prima dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale identiche, quanto a petitum, parametri evocati e motivazione, a quelle proposte con l’ordinanza iscritta al n. 8 del r.o. 2020;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con ordinanza del 15 novembre 2019 (iscritta al n. 10 del r.o. 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., come integrato dall’art. 4-bis ordin. penit., a sua volta modificato dall’art. l, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui ha inserito il reato di cui all’art. 319 cod. pen. nell’elenco di cui all’art. 4-bis, comma l, ordin. penit.;
che il collegio rimettente ha altresì sollevato in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale del medesimo combinato disposto, nella parte in cui non ha previsto un regime transitorio che dichiari applicabile la modifica normativa ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore;
che il giudice a quo deve esaminare le istanze di nullità o inefficacia o sospensione degli ordini di esecuzione della pena emessi nei confronti di M. C., A. T., M. S. e M. P., condannati con sentenza divenuta irrevocabile il 22 ottobre 2019 per fatti di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che, in punto di rilevanza delle questioni e di impossibilità di adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina censurata, il Collegio rimettente svolge considerazioni sovrapponibili a quelle esposte nell’ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020;
che, in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice a quo ritiene – in esito ad un’estesa analisi della giurisprudenza costituzionale pertinente – che l’inclusione del delitto di cui all’art. 319 cod. pen. sia irragionevole e suscettibile di comprimere indebitamente la funzione rieducativa della pena, non essendo ravvisabili motivazioni della scelta legislativa, ulteriori rispetto a ragioni di mera deterrenza, che possano giustificare l’estensione a tale delitto del regime “ostativo” di cui all’art. 4-bis, primo comma, ordin. penit., né il necessario periodo di osservazione intramuraria discendente dal divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione; di qui le censure di contrarietà del combinato disposto censurato agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;
che, quanto alle questioni sollevate in via subordinata, il Collegio rimettente osserva che la mancata previsione di una tale disciplina transitoria «si traduce […] nel passaggio a sorpresa e non prevedibile, al momento della commissione del reato, alla sanzione con necessaria incarcerazione»: ciò che si porrebbe in aperto contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e in particolare con la sentenza 21 dicembre 2013, Del Rio Prada contro Spagna, che ha esteso il divieto di applicazione retroattiva di cui all’art. 7 CEDU a modifiche normative che comportino la ridefinizione o la modifica della portata della pena inflitta, con conseguente violazione – assieme – degli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.;
che la disciplina censurata sarebbe altresì foriera di una ingiustificata disparità di trattamento, lesiva dell’art. 3 Cost., tra soggetti che abbiano commesso identici fatti di reato anteriormente o posteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che si è costituito in giudizio M. S., illustrando diffusamente la giurisprudenza della Corte EDU in tema di legalità dei delitti e delle pene e chiedendo l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Roma;
che, con ordinanza del 22 ottobre 2019 (iscritta al n. 16 del r.o. 2020), il Tribunale ordinario di Lagonegro, sezione penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto di cui all’art. 314, primo comma, cod. pen.;
che il rimettente è investito di un’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena emesso nei confronti di A. M., condannata con sentenza divenuta irrevocabile il 26 marzo 2019 per fatti di peculato commessi fino al 25 luglio 2014;
che, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata, includendo il delitto di peculato nell’elenco dei reati di cui all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., ostativi, secondo l’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena, avrebbe inciso su norme di natura meramente processuale, sicché non verrebbe in rilievo il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole (è citata l’ordinanza n. 31853 del 2019 della Corte di cassazione);
che tuttavia l’inserimento del delitto di peculato nell’elenco di cui all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. porrebbe dubbi di compatibilità con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., in specie rilevanti poiché, ove le questioni fossero ritenute fondate da questa Corte, l’istanza di A. M. dovrebbe essere accolta;
che, in particolare, la disposizione censurata sarebbe contraria all’art. 3 Cost., in quanto irragionevole e foriera di disparità di trattamento, atteso che il legislatore «ha inserito nell’ordinamento penitenziario (con riverberi peggiorativi anche nell’espletamento della fase iniziale dell’esecuzione) una condizione ostativa per i condannati per peculato destinata ad operare indistintamente sia nei confronti di coloro i quali denotino effettivamente una elevata pericolosità e ritrosia alla rieducazione in quanto particolarmente radicati nelle prassi malsane che talvolta affliggono la p.a., sia nei confronti di coloro i quali, ad esempio per la occasionalità della condotta e per la avulsione da contesti allargati e capillari di cattiva gestione della cosa pubblica, denotino già prima facie una migliore propensione all’emenda»;
che sarebbe altresì violato l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto «rendere inaccessibile, se non a stringenti condizioni, la misura alternativa alla detenzione a soggetti per i quali tale misura si paleserebbe di per sé idonea alla rieducazione, esaspera l’aspetto generalpreventivo e punitivo della pena ed accresce nell’individuo quel senso di sfiducia nell’ordinamento che trova quale naturale effetto la refrattarietà alle tecniche rieducative»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con ordinanza dell’8 gennaio 2020 (iscritta al n. 24 del r.o. 2020), il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Belluno, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto di cui all’art. 314, primo comma, cod. pen.;
che il rimettente è investito di un incidente di esecuzione promosso dal pubblico ministero per il rigetto dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di esecuzione della pena, presentata alla Procura generale presso la Corte d’appello di Venezia – e poi trasmessa per competenza alla Procura della Repubblica bellunese – da F. D.P., condannato, con sentenza irrevocabile dal 15 aprile 2019, inter alia per fatti di peculato commessi da luglio 2014 ad aprile 2015;
che il giudice a quo – ritenuta la propria competenza, per avere la sentenza della Corte d’appello di Venezia riformato la precedente pronuncia del GUP solo in punto di pena, e per essere stata frattanto emessa ulteriore sentenza del GUP, divenuta irrevocabile il 30 dicembre 2019 – osserva in punto di rilevanza delle questioni sollevate che, dal loro accoglimento, deriverebbe la possibilità di per F. D.P. di ottenere l’immediata sospensione dell’ordine di esecuzione per richiedere la concessione di misure alternative alla detenzione;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente, richiamati ampi stralci dell’ordinanza n. 31853 del 2019 della Corte di cassazione, lamenta l’irragionevolezza dell’inserimento del delitto di cui all’art. 314, primo comma, cod. pen. nel catalogo di cui all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. (atteso che la condotta di peculato sarebbe «difficilmente inquadrabile – sul piano della frequenza statistica delle forme di manifestazione – in contesti di criminalità organizzata o evocativi di condizionamenti omertosi») e la contrarietà all’art. 27, terzo comma, Cost., in ragione della sottrazione «alla discrezionalità del tribunale di sorveglianza (con anticipazione degli effetti pregiudizievoli in tema di libertà personale derivante dalla previsione di legge di cui all’art. 656 comma 9 del codice di procedura penale)» dell’apprezzamento concreto delle caratteristiche obiettive del fatto e della personalità dell’autore, con conseguente pregiudizio ai principi di individualizzazione della pena e del finalismo rieducativo;
che, nel sollevare dette questioni di legittimità costituzionale, il rimettente ha contestualmente sospeso l’efficacia dell’ordine di esecuzione della pena nei confronti di F. D.P.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con ordinanza del 2 dicembre 2019 (iscritta al n. 32 del r.o. 2020), il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Tivoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1 (recte: 1, comma 6), lettera b), della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui, ampliando il novero dei reati c.d. “ostativi”, ai sensi dell’art. 4 bis L. 354/1975, includendovi i reati contro la pubblica amministrazione, ha mancato di prevedere un regime intertemporale»;
che il rimettente deve delibare un’istanza di sospensione dell’ordine di esecuzione emesso nei confronti di K. B., destinatario di una sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. (irrevocabile dal 2 febbraio 2019), per i reati di cui agli artt. 322, secondo comma, cod. pen., e 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza);
che, quanto alla rilevanza delle questioni sollevate, il giudice a quo osserva che la «certa natura processuale delle norme previste dalla L. 354/1975» imporrebbe il rigetto dell’istanza di K. B. e che un diverso esito sarebbe prospettabile solo in caso di accoglimento delle questioni sollevate;
che, quanto alla non manifesta infondatezza di queste ultime, il rimettente richiama ampi stralci della sentenza 20 marzo 2019, n. 12541, ove la Corte di cassazione, sezione sesta penale, ha ritenuto non manifestamente infondato – ancorché, nella specie, irrilevante – il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, in riferimento agli artt. 117, primo comma, Cost. e 7 CEDU, così come interpretato nella sentenza della Corte EDU 21 ottobre 2013, Del Rio Prada contro Spagna, sul rilievo che «l’avere il legislatore cambiato in itinere le “carte in tavola” senza prevedere alcuna norma transitoria […] si traduce nel passaggio – a sorpresa e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata “senza assaggio di pena” ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il […] combinato disposto degli artt. 656 comma 9 lett. a) c.p.p. e 4 bis ordin. penit.»;
che l’assenza, nei reati contro la pubblica amministrazione, di connotati di accentuata pericolosità dell’autore – evidenziata dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 31853 del 2019 – avrebbe poi reso ancor meno prevedibile l’inserimento degli stessi nel catalogo di cui all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.
Considerato che, con tre ordinanze di rimessione di contenuto analogo (iscritte ai numeri 7, 8 e 9 del r.o. 2020), la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, come integrato dall’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), a sua volta modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), nella parte in cui ha inserito i delitti contro la pubblica amministrazione – e, segnatamente, quelli di cui agli artt. 318 (ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020) e 319 (ordinanze iscritte ai numeri 8 e 9 del r.o. 2020) del codice penale – nell’elenco di quelli “ostativi” ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., così determinando il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., senza prevedere l’applicabilità della modifica normativa ai soli fatti di reato commessi successivamente alla sua entrata in vigore;
che il Collegio rimettente ha altresì sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce all’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento ai delitti di cui agli artt. 318 (ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020) e 319 (ordinanze iscritte ai numeri 8 e 9 del r.o. 2020) cod. pen.;
che con ulteriore ordinanza (iscritta al n. 10 del r.o. 2020) la Corte d’appello di Roma, sezione terza penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., come integrato dall’art. 4-bis ordin. penit., a sua volta modificato dall’art. l, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui ha inserito il reato di cui all’art. 319 cod. pen. nell’elenco di cui all’art. 4-bis, comma l, ordin. penit.; e, in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale del medesimo combinato disposto, nella parte in cui non ha previsto un regime transitorio che dichiari applicabile la modifica normativa ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore;
che il Tribunale ordinario di Lagonegro, sezione penale (ordinanza iscritta al n. 16 del r.o. 2020), ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce nell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. il riferimento al delitto di cui all’art. 314, primo comma, cod. pen.;
che questioni di legittimità costituzionale analoghe a quelle oggetto dell’ordinanza iscritta al n. 16 del r.o. 2020 sono state sollevate dal Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Belluno, in funzione di giudice dell’esecuzione (ordinanza iscritta al n. 24 del r.o. 2020);
che, infine, il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Tivoli, in funzione di giudice dell’esecuzione (ordinanza iscritta al n. 32 del r.o. 2020), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1 (recte: 1, comma 6), lettera b), della legge n. 3 del 2019, «nella parte in cui, ampliando il novero dei reati c.d. “ostativi”, ai sensi dell’art. 4 bis L. 354/1975, includendovi i reati contro la pubblica amministrazione, ha mancato di prevedere un regime intertemporale»;
che le sette ordinanze di rimessione sollevano questioni di legittimità costituzionale analoghe e pertanto è opportuno riunire ai fini della decisione i relativi giudizi;
che questa Corte, con sentenza n. 32 del 2020, ha dichiarato, tra l’altro, «l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici), in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, della legge n. 354 del 1975, della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 del codice penale e del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale»;
che le ordinanze di rimessione che vengono ora all’esame di questa Corte sono state pronunciate nell’ambito di incidenti di esecuzione promossi da condannati per delitti di corruzione per l’esercizio della funzione (ordinanza iscritta al n. 7 del r.o. 2020), corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (ordinanze iscritte ai numeri 8, 9 e 10 del r.o. 2020), peculato (ordinanze iscritte ai numeri 16 e 24 del r.o. 2020) e istigazione alla corruzione (ordinanza iscritta al n. 32 del r.o. 2020), commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019;
che, «secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, a fronte del sopraggiungere di pronunce di illegittimità costituzionale (ordinanza n. 26 del 2009) spetta al giudice rimettente valutare in concreto l’incidenza delle sopravvenute modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 182 del 2019 e n. 154 del 2018)» (ordinanza n. 49 del 2020);
che tale verifica assume rilievo pregiudiziale rispetto all’esame dei vizi di legittimità costituzionale dedotti nelle ordinanze di rimessione, compresi quelli relativi all’assenza di disciplina transitoria di accompagnamento alla modifica dell’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit., realizzata con l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019 (ancora, ordinanza n. 49 del 2020);
che, pertanto, deve essere disposta la restituzione degli atti ai rimettenti per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni, alla luce del mutato contesto normativo.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti ai giudici rimettenti.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 luglio 2020.
F.to:
Mario Rosario MORELLI, Presidente
Francesco VIGANÒ, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA