ORDINANZA N. 49
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco
GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO,
Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario
MORELLI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 19 e 22,
comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni
integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al
decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del
fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14
maggio 2005, n. 80), promosso dal Tribunale ordinario di Alessandria
sull’istanza promossa da Cervetti Carlo & c. s.a.s., con ordinanza del 23
settembre 2009 iscritta al n. 190 del registro ordinanze 2011, e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno
2011.
Udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che con ordinanza depositata in data 23 settembre 2009, il
Tribunale ordinario di Alessandria ha sollevato, con riferimento all’articolo 3
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 19 e
22, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni
integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al
decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del
fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14
maggio 2005, n. 80), in quanto non prevedono la applicazione delle disposizioni
in tema di esdebitazione anche alle procedure di fallimento chiuse prima della
entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006;
che il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sulla istanza
di esdebitazione presentata da una persona fisica, socio illimitatamente
responsabile di una società in accomandita semplice dichiarata fallita,
unitamente all’istante, nel 1994 ed il cui fallimento è stato chiuso con decreto
del 30 aprile 2003;
che, ad avviso del rimettente, la questione è rilevante nel giudizio a
quo, in quanto, vigendo la attuale legislazione, il relativo ricorso
introduttivo dovrebbe essere dichiarato inammissibile, là dove, in caso di
accoglimento dell’incidente di legittimità costituzionale, il medesimo sarebbe
suscettibile di essere esaminato nel merito;
che il Tribunale di Alessandria precisa, altresì, che, ad un esame
delibativo, la pretesa del ricorrente non appare manifestamente infondata,
rilevando, in particolare, che, in linea di principio, non è ostativo
all’accoglimento della istanza il fatto che essa sia stata proposta dal socio
illimitatamente responsabile coinvolto nel fallimento della società di persone
da lui partecipata; che non emergerebbero gli elementi ostativi di cui al primo
comma dell’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa); che, infine, secondo un orientamento giurisprudenziale cui lo
stesso rimettente ritiene di aderire, l’accoglimento della istanza non deve
essere subordinato al fatto che tutti i creditori concorsuali siano stati,
ancorché in parte, soddisfatti, essendo sufficiente che ciò sia avvenuto anche
soltanto per alcuni di essi, circostanza questa verificatasi nel caso di specie;
che, tanto rilevato, il rimettente ritiene che le disposizioni
censurate, che prevedono una limitata retroattività della nuova disciplina,
anche se emanate nel chiaro intento di eliminare l’inapplicabilità della
normativa in materia di esdebitazione alle procedure aperte prima del 16 luglio
2006, realizzano, però, una più manifesta disparità di trattamento, posto che ad
esse consegue che quanti sono stati dichiarati falliti prima della predetta data
sono ammessi alla esdebitazione solo se alla medesima data la relativa procedura
fallimentare era ancora pendente;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che
le finalità della introduzione dell’istituto della esdebitazione del fallito
sono duplici: da una parte premiare il debitore collaborativo, dall’altra
incentivare la celere ripresa della attività produttiva;
che, prosegue il rimettente, rispetto a dette finalità sarebbe
incongrua la esclusione o la ammissione al beneficio in funzione della avvenuta
chiusura o meno della procedura alla data della entrata in vigore del d.lgs. n.
5 del 2006;
che, in particolare, quanto alla prima finalità, si avrebbe persino
l’effetto paradossale di pregiudicare il debitore che, con la sua condotta
collaborativa, abbia consentito una più celere definizione della procedura
fallimentare, tale da consentirne la chiusura prima del 16 luglio 2006, e,
quanto alla seconda, sarebbe controproducente non consentire di godere della
agevolazione a chi sia da più tempo rientrato in bonis;
che, aggiunge il rimettente, le disposizioni sarebbero, comunque, prive
di ragionevolezza in quanto, rispetto a due soggetti dichiarati falliti nello
stesso tempo, riservano, senza alcuna giustificazione, un trattamento deteriore
a quello la cui procedura, svoltasi con maggiore celerità, si è chiusa prima del
16 luglio 2006, laddove l’interesse pubblico è, invece, quello di definire
rapidamente le procedure concorsuali;
che non risulta essere intervenuto nel giudizio di legittimità
costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato che il Tribunale ordinario di Alessandria dubita, in
riferimento all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale
degli articoli 19 e 22, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n.
169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n.
267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di
disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14
maggio 2005, n. 80);
che, ad avviso del rimettente le due disposizioni sopraindicate
violerebbero l’art. 3 Cost., in quanto, fermi restando i requisiti e le altre
condizioni indicate dall’art. 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione
coatta amministrativa), escludono dalla possibilità di godere del beneficio
della esdebitazione i soggetti dichiarati falliti per i quali sia intervenuto
provvedimento di chiusura del fallimento prima del 16 luglio 2006, data di
entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica
della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della
legge 14 maggio 2005, n. 80);
che tale esclusione comporterebbe una ingiustificata disparità di
trattamento rispetto alla disciplina applicabile a chi può accedere al beneficio
in questione, in virtù del solo fatto che la procedura fallimentare, a lui
pertinente, fosse ancora aperta alla predetta data ed ancorché – essendo questi
stato dichiarato fallito prima della entrata in vigore del citato d.lgs. n. 5
del 2006 – si continuino ad applicare nei suoi confronti le disposizioni
originariamente contenute nel regio decreto n. 267 del 1942;
che sarebbe, altresì, irragionevole fare dipendere la possibilità di
accedere o meno alla esdebitazione da fattori casuali e non riferibili alla
condotta del fallito, anzi pregiudicando la posizione di chi abbia consentito
una più celere definizione della procedura;
che la questione, quanto alla violazione dell’art. 3 Cost. – ipotizzata
dal rimettente sotto il duplice versante sia della irragionevolezza intrinseca
della limitazione temporale della possibilità di beneficiare della disciplina in
tema di esdebitazione sia della disparità di trattamento fra soggetti che, in
funzione della sola circostanza della attualità o meno ad una certa data della
pendenza della procedura fallimentare loro pertinente, sono, o non sono, ammessi
al predetto beneficio – è manifestamente infondata;
che analoga questione, già sollevata in passato dal medesimo
rimettente, è stata definita con ordinanza di manifesta infondatezza (ordinanza
n. 61 del 2010);
che gli argomenti a suo tempo spesi da questa Corte appaiono tuttora
pienamente validi;
che in particolare, con specifico riferimento alla dedotta disparità di
trattamento, il rimettente omette di considerare che il criterio di discrimine
nella applicazione di diverse discipline normative basato su dati cronologici
non può dirsi, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca,
fonte di ingiustificata disparità di trattamento, poiché, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, lo stesso naturale fluire del tempo è valido
elemento diversificatore delle situazioni giuridiche (fra le ultime si vedano le
sentenze n. 273 del 2011 e n. 197 del 2010 nonché le ordinanze n. 31 del 2011 e
n. 61 del 2010);
che, per quanto attiene alla irragionevolezza della fissazione di un
limite temporale alla possibilità di accedere al beneficio della esdebitazione –
posto che l’unica alternativa possibile, onde non incorrere nella apposizione di
termini ritenuti ingiustificati, sarebbe stata quella di estendere la
applicabilità del beneficio a qualunque soggetto che, essendo stato dichiarato
fallito, vi avesse interesse dopo la chiusura del fallimento – essa non è
riscontrabile nella censurata scelta legislativa;
che, anzi, tale scelta appare coerente con la esigenza di compiere, al
fine della concessione della esdebitazione, una serie di riscontri istruttori,
volti alla verifica della effettiva meritevolezza del beneficio da parte del
fallito, che ben difficilmente sarebbero possibili o, comunque, fonte di
risultati attendibili, ove fossero svolti in relazione a procedure concorsuali
la cui chiusura rimonti a periodi troppo risalenti nel tempo, rientrando,
quindi, nella discrezionalità del legislatore la fissazione del detto limite
temporale.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e
9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli articoli 19 e 22, comma 4, del decreto legislativo 12
settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto
16 marzo 1942, n. 267, nonché al decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in
materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e
6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Alessandria, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 20 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI
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