Sentenza 64/2012

Sentenza  64/2012
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE

Presidente QUARANTA - Redattore GALLO F.

Udienza Pubblica del 21/02/2012    Decisione  del 07/03/2012
Deposito del 21/03/2012   Pubblicazione in G. U. 28/03/2012
Norme impugnate: Artt. 2, c. da 1° a 4°, e 14, c. 2°, del decreto legislativo 14/03/2011, n. 23.
Massime: 36163  36164  36165  
Atti decisi: ric. 51/2011
 
SENTENZA N. 64
ANNO 2012
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
 
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi da 1 a 4, e 14, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale) promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 23 maggio 2011, depositato in cancelleria il 30 maggio 2011 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2012 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Marina Valli e Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
 
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 23 maggio 2011 e depositato il successivo 30 maggio, la Regione siciliana ha promosso questioni principali di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 14, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), nonché «delle ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione». La ricorrente denuncia che dette disposizioni violano: a) tutte, gli artt. 36 e 37 dello statuto della Regione siciliana (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e le «relative» norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria); b) il solo art. 2, anche l’art. 14, lettera o), dello statuto della Regione siciliana; c) il solo art. 14, comma 2, e le «ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione», anche gli artt. 81 e 119, quarto comma, della Costituzione e «l’autonomia finanziaria dei Comuni».
1.2.– Quanto all’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2011, la ricorrente richiama, in particolare, i commi 1, 2, 3 e 4, ritenendo che l’attribuzione ai Comuni del gettito o delle quote del gettito dei tributi in essi elencati «sottrae alla Regione cespiti di spettanza regionale». Tali commi stabiliscono che: «In attuazione della citata legge n. 42 del 2009, e successive modificazioni, ed in anticipazione rispetto a quanto previsto in base al disposto del seguente articolo 7, a decorrere dall’anno 2011 sono attribuiti ai comuni, relativamente agli immobili ubicati nel loro territorio e con le modalità di cui al presente articolo, il gettito o quote del gettito derivante dai seguenti tributi: a) imposta di registro ed imposta di bollo sugli atti indicati all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131; b) imposte ipotecaria e catastale, salvo quanto stabilito dal comma 5; c) imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario; d) imposta di registro ed imposta di bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili; e) tributi speciali catastali; f) tasse ipotecarie; g) cedolare secca sugli affitti di cui all’articolo 3, con riferimento alla quota di gettito determinata ai sensi del comma 8 del presente articolo [comma 1]. Con riferimento ai tributi di cui alle lettere a), b), e) ed f), del comma 1, l’attribuzione del gettito ivi prevista ha per oggetto una quota pari al 30 per cento dello stesso [comma 2]. Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare di cui ai commi 1 e 2, è istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio. La durata del Fondo è stabilita in tre anni e, comunque, fino alla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall’articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009. Il Fondo è alimentato con il gettito di cui ai commi 1 e 2, nonché, per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla compartecipazione di cui al comma 4 secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 7 [comma 3]. Ai comuni è attribuita una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto; con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare d’intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è fissata la percentuale della predetta compartecipazione e sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, con particolare riferimento all’attribuzione ai singoli comuni del relativo gettito, assumendo a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al prelievo. La percentuale della compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto prevista dal presente comma è fissata, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In sede di prima applicazione, e in attesa della determinazione del gettito dell’imposta sul valore aggiunto ripartito per ogni comune, l’assegnazione del gettito ai comuni avviene sulla base del gettito dell’imposta sul valore aggiunto per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune [comma 4]».
Il parimenti denunciato comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, nel disciplinare l’àmbito di applicazione del decreto legislativo, dispone che: «Al fine di assicurare la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009, e in particolare: a) nei casi in cui, in base alla legislazione vigente, alle regioni a statuto speciale spetta una compartecipazione al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ovvero al gettito degli altri tributi erariali, questa si intende riferita anche al gettito della cedolare secca di cui all’articolo 3; b) sono stabilite la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale, nonché le percentuali delle compartecipazioni di cui alla lettera a); con riferimento all’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 si tiene conto anche dei tributi da essa sostituiti».
1.3. – La difesa regionale premette che il d.lgs. n. 23 del 2011 è stato adottato in attuazione della delega conferita al Governo dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) ed evidenzia che nel preambolo del decreto sono menzionati, in particolare, gli artt. 2, comma 2, 11, 12, 13, 21 e 26 di detta legge di delegazione. A proposito di quest’ultima, la ricorrente rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 201 del 2010, resa su un ricorso della stessa Regione siciliana, aveva chiarito che l’«art. 1, comma 2, della legge n. 42 del 2009 stabilisce univocamente che gli unici princípi della delega sul federalismo fiscale applicabili alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome sono quelli contenuti negli artt. 15, 22 e 27» ed aveva conseguentemente ritenuto non applicabili alla Regione siciliana i princípi e criteri di delega contenuti nelle disposizioni della legge n. 42 che essa aveva impugnato, fra le quali vi erano gli artt. 11 e 12 (rectius: artt. 11, comma 1, lettere b ed f, e 12, comma 1, lettere b e c). «Sennonché» − prosegue la ricorrente – il d.lgs. n. 23 del 2011 ha dedicato agli enti ad autonomia speciale i commi 2 e 3 dell’art. 14. In particolare, l’impugnato comma 2 dell’art. 14, pur affermando di perseguire il «fine di assicurare la neutralità finanziaria» del d.lgs. n. 23 del 2011, stabilisce, tuttavia, che tale decreto «si applica» nei confronti delle Regioni a statuto speciale. Né la previsione, contenuta nell’alinea dello stesso comma 2, secondo la quale l’applicazione del decreto nei confronti degli enti ad autonomia speciale deve avvenire «nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della […] legge n. 42 del 2009», può essere interpretata nel senso che «il legislatore delegato abbia inteso solo ribadire la clausola della legge delega». Tale interpretazione è infatti smentita, ad avviso della ricorrente, sia dalle successive lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 14, sia dal comma 3 dello stesso articolo (relativo agli enti ad autonomia speciale «che esercitano le funzioni in materia di finanza locale»). Al riguardo, la ricorrente sottolinea, in particolare, che la lettera b) dell’impugnato comma 2 opera un «rinvio alla sede pattizia» soltanto per stabilire la «decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale», nonché per stabilire le percentuali delle compartecipazioni delle medesime Regioni al gettito della cedolare secca sugli affitti di cui all’art. 3 dello stesso d.lgs. n. 23 del 2011, in tale modo «ribadendo […] l’obbligo dell’osservanza dell’applicazione dei contenuti del provvedimento in parola». Risulterebbe dunque confermato – conclude, sul punto, la ricorrente – che, per effetto delle «suenunciate disposizioni […] impugnate […], in violazione dei principi recati dalla legge delega, viene in buona sostanza importato in ambito siciliano il nuovo sistema di finanziamento stabilito per gli enti locali situati nelle regioni a statuto ordinario».
Detta applicazione del d.lgs. n. 23 del 2011 nei confronti della Regione siciliana e, in particolare, la devoluzione ai Comuni del gettito o delle quote del gettito «derivante dai tributi elencati nell’articolo 2, ai commi 1, 2, 3 e 4» dello stesso decreto, lederebbero anzitutto l’autonomia finanziaria della Regione, garantita dagli artt. 36 e 37 del suo statuto di autonomia e dal d.P.R. n. 1074 del 1965, sottraendole «cespiti di spettanza regionale». In base a tali parametri, spettano alla Regione siciliana, «Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto […], tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate», ad eccezione soltanto delle «nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime» (art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965), e delle entrate riservate allo Stato (cioè delle entrate derivanti dalle imposte di produzione, dal monopolio dei tabacchi e dal lotto e dalle lotterie a carattere nazionale; artt. 36, secondo comma, dello statuto e 2, secondo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965). Detta disciplina dell’autonomia finanziaria regionale, in base alla quale «la Regione risulta titolare dell’intero cespite tributario», che «non dovrebbe subire decurtazioni», verrebbe violata dalle norme impugnate che impongono alla Regione siciliana la devoluzione ai Comuni del gettito o di quote del gettito di tributi ad essa spettanti (la ricorrente menziona, in particolare, «IRPEF, IVA, tributi vari relativi ad atti aventi ad oggetto immobili, cedolare secca»); entrate regionali di cui il legislatore statale delegato avrebbe disposto per finanziare gli enti locali. La ricorrente sottolinea ancora che la «forte contrazione» delle entrate regionali derivante dalle norme impugnate contraddice il fine, dichiarato dallo stesso legislatore statale, «di assicurare la neutralità finanziaria» del d.lgs. n. 23 del 2011 nei confronti delle Regioni a statuto speciale; infatti, la compartecipazione delle Regioni a statuto speciale al gettito della cedolare secca e dell’imposta municipale propria, secondo quanto previsto dall’art. 14, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 23 del 2011, «non è idonea ad assicurare la neutralità finanziaria nei confronti della Regione siciliana, né sotto il profilo quantitativo né sotto il profilo dell’autonomia finanziaria statutariamente garantita», tenuto conto che detta Regione, a differenza di altri enti ad autonomia speciale, è «titolare dell’intero cespite tributario» e che essa, «tuttavia, […] non potrebbe sottrarsi alla devoluzione ai Comuni di una quota compartecipativa». La fondatezza delle doglianze avanzate dalla Regione troverebbe, infine, conferma, nella relazione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) del 30 giugno 2010 allegata alla relazione trasmessa dal Governo alle Camere ai sensi dell’art. 2, comma 6, della legge n. 42 del 2009.
Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate, comportando una contrazione delle entrate regionali che sarebbe quantificabile, «da prime e approssimative stime, elaborate utilizzando come fonte primaria la relazione della COPAFF del 30 giugno 2010», in circa settecento milioni di euro per ciascun anno, determinerebbero inoltre, in assenza di meccanismi compensativi, uno squilibrio nelle disponibilità finanziarie regionali tale da pregiudicare la possibilità, per la Regione, di esercitare le proprie funzioni, con conseguente violazione anche degli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost. (sono citate, a proposito delle conseguenze, sul piano costituzionale, di un siffatto squilibrio, le sentenze della Corte costituzionale n. 307 del 1983, n. 123 del 1992, n. 370 del 1993, n. 138 del 1999, n. 376 del 2003, n. 260 del 2004 e n. 417 del 2005).
Quanto, in particolare, al primo di detti parametri costituzionali, la Regione ricorrente evidenzia che «le richiamate disposizioni del D.Lgs. 23/2011 sottraggono alla Regione siciliana un cospicuo gettito finanziario senza stabilire con quali risorse finanziarie esso possa essere sostituito».
Quanto al secondo di detti parametri, la ricorrente afferma di essere consapevole della sua applicabilità alle Regioni a statuto speciale, ai sensi dell’art. 10, comma 1, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 1 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), solo per le parti in cui prevede forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. La Regione siciliana «tuttavia» ne deduce la violazione per lesione sia delle proprie attribuzioni che di quelle degli enti locali siciliani (in ordine alla legittimazione delle Regioni ad impugnare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, la ricorrente cita le sentenze della Corte costituzionale n. 196 del 2004, n. 417 del 2005, n. 95 e n. 169 del 2007 e n. 298 del 2009), perché «non solo la Regione ma pure i Comuni siciliani, in applicazione del decreto, verrebbero a disporre di mezzi finanziari insufficienti per l’adempimento dei propri compiti». Con riguardo, in particolare, alla lesione delle attribuzioni dei Comuni siciliani, la ricorrente afferma che «l’ammontare del gettito della devoluzione e/o compartecipazione ai tributi erariali, nella previsione del decreto legislativo in esame […] non risulta idoneo a garantire un ammontare uguale agli attuali trasferimenti provenienti dallo Stato». Ciò anche considerando le nuove entrate previste dal d.lgs. n. 23 del 2011 costituite dall’imposta di soggiorno di cui all’art. 4, dall’imposta di scopo di cui all’art. 6, dal recupero dell’evasione fiscale e dalla cedolare secca di cui all’art. 3 (a proposito della quale ultima la ricorrente osserva, peraltro, che essa «comunque si ascrive integralmente alla spettanza regionale» e che «ammesso che, nella emananda normativa di attuazione, si scelga la compartecipazione agli enti locali», il suo gettito è assai aleatorio tenuto conto della facoltatività dell’opzione per il regime di detta cedolare). La ricorrente sottolinea infine la difficile applicabilità, per i Comuni siciliani, dei sistemi perequativi, tenuto conto che il sistema dell’autonomia finanziaria della Regione siciliana «ascrive alla integrale spettanza della medesima quei tributi che nella relativa previsione dovrebbero alimentare il fondo».
Secondo la ricorrente, infine, l’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2011, attribuendo ai Comuni il gettito o quote del gettito di tributi di spettanza della Regione siciliana, víola anche l’art. 14, lettera o), dello statuto speciale, «in quanto finisce col far carico alla Regione siciliana di ulteriori competenze che, come di recente ribadito da Codesta Corte con la sentenza n. 442 del 2008, non sono riconducibili alla previsione dell’art. 14, lett. o) dello Statuto siciliano e non possono comunque assegnarsi con legge ordinaria».
2.– Si è costituto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.− Secondo la difesa dello Stato, le questioni promosse sarebbero, anzitutto, inammissibili, perché, ai sensi dell’impugnato comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 – sia del suo alinea che delle sue due lettere a) e b), le quali si limiterebbero ad elencare «oggetti e criteri […] che costituiscono meri elementi di orientamento da tenere in particolare considerazione in vista dell’applicazione del richiamato art. 27» della legge n. 42 del 2009 − «l’ingresso delle disposizioni del decreto legislativo […] nell’ordinamento delle Regioni speciali in tanto potrà avvenire in quanto le stesse siano recepite nelle fonti di attuazione dello statuto, ovvero si addivenga ad una revisione di quest’ultimo, secondo le forme previste ed ove effettivamente necessario».
Siffatta lettura dell’art. 14, comma 2, si imporrebbe anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 201 del 2010. Con tale pronuncia la Corte, da un canto, ha affermato che, in base all’art. 1, comma 2, delle legge n. 42 del 2009, gli unici princípi di tale legge di delegazione sul federalismo fiscale applicabili alle Regioni a statuto speciale sono quelli contenuti negli artt. 15, 22 e 27, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto dalla Regione siciliana avverso disposizioni della stessa legge n. 42 del 2009 contenenti princípi e criteri di delega non applicabili alla Regione; d’altro canto, ha chiarito gli àmbiti operativi e le funzioni del «tavolo di confronto» tra il Governo e ciascuna Regione a statuto speciale e Provincia autonoma istituito, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dall’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009, precisando che detto «tavolo» «rappresenta […] il luogo in cui si realizza, attraverso una permanente interlocuzione, il confronto tra lo Stato e le autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari del federalismo fiscale delineati dalla citata legge di delegazione, secondo il principio di leale collaborazione espressamente richiamato dalla stessa disposizione censurata». Sarebbe quindi «chiaro» − secondo la parte resistente − che, «fino a quando non sarà ultimato l’iter procedurale previsto dall’art. 27 della legge n. 42/2009, [...] richiamato dall’art. 14, comma 2, del D.lgvo n. 23 del 2011, non potrà verificasi alcuna concreta ed immediata violazione delle norme statutarie e delle relative disposizioni di attuazione»; in effetti, neppure «la decorrenza e le modalità di applicazione» delle disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 14 «sono fissate dalla norma ma devono essere stabilite con le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42/2009 e, quindi, con specifiche norme di attuazione degli statuti di autonomia, la cui approvazione ha come presupposto l’intesa con la regione interessata». Risulterebbe «a questo punto […] evidente» − sempre secondo la difesa dello Stato − «che la ratio della disposizione di cui all’art. 14, comma 2, del d.lgvo n. 23 del 2011 sia garantire, con il rinvio all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, che l’attuazione della riforma sia rispettosa delle competenze e delle attribuzioni delle autonomie speciali preoccupandosi che venga effettivamente assicurata la neutralità finanziaria nei confronti degli enti di autonomia differenziata».
Tale interpretazione delle disposizioni denunciate troverebbe ulteriore conferma sia nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 23 del 2011 – in particolare, nella parte di essa relativa all’art. 2 − sia nella circostanza che i provvedimenti di attuazione del d.lgs. n. 23 del 2011, il cui iter di adozione era ancora in corso, si riferivano soltanto alle Regioni a statuto ordinario.
La difesa dello Stato afferma, conclusivamente, che «nessuna concreta lesione si è verificata, né può verificarsi, in danno alla Regione siciliana, delle altre Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome, in considerazione degli spazi di autonomia che ad esse sono assicurati».
2.2.− Le questioni promosse sarebbero, poi, inammissibili o, comunque, infondate, con riguardo alle doglianze avanzate dalla ricorrente in ordine allo squilibrio finanziario che le disposizioni impugnate determinerebbero sul bilancio regionale e in ordine alla lesione che esse recherebbero alle attribuzioni dei Comuni siciliani. Secondo la parte resistente, infatti, tali doglianze sarebbero: a) «generiche e del tutto indimostrate»; b) «non supportate da indicazione di pertinenti parametri costituzionali». Quanto, in particolare, a questo secondo aspetto, la difesa dello Stato osserva che: a) l’art. 37 dello statuto della Regione siciliana «riguarda l’imposta sui redditi delle società, norma che non ha attinenza con l’argomento in esame»; b) l’art. 81 Cost. è «manifestamente fuori tema».
2.3.– Quanto, infine, alla questione avente ad oggetto l’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2011, promossa in riferimento all’art. 14, lettera o), dello statuto regionale, la parte resistente deduce: a) l’inammissibilità della stessa per la non pertinenza del parametro evocato, atteso che «Ove fosse fondata la prospettazione della Regione siciliana di considerare la disposizione in esame come una sorta di “velata” norma di attuazione realizzata attraverso una legge ordinaria, la Regione avrebbe dovuto invocare la violazione dell’art. 43 dello Statuto»; b) comunque, la sua infondatezza, perché l’art. 2 del d.lgs. n. 23 del 2011 «non comporta alcuna attribuzione di competenza in materia di finanza locale alla Regione Sicilia».
3.– In prossimità della pubblica udienza la Regione siciliana ha depositato una memoria nella quale ha dedotto l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità delle questioni avanzata dalla difesa dello Stato ed ha confermato le argomentazioni esposte nel ricorso in ordine all’illegittimità delle disposizioni impugnate.
In particolare, quanto all’ammissibilità delle questioni, la difesa regionale ribadisce che l’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, «tenuto conto della divergenza del suo contenuto rispetto a quanto indicato nella legge delega, rende cogente anche per le regioni a statuto speciale le disposizioni del Decreto legislativo […] rinviandosi alla sede pattizia solo la fissazione di decorrenze e modalità applicative».
 
Considerato in diritto
1.– La Regione siciliana ha promosso questioni principali di legittimità costituzionale degli artt. 2 [recte: i soli commi da 1 a 4 di tale articolo] e 14, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), nonché «delle ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati [recte: correlate] che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione».
1.1.– L’art. 2 è impugnato solo nei commi da 1 a 4 (mancando ogni censura riferita agli altri commi), i quali prevedono, nel quadro del federalismo fiscale municipale introdotto dal decreto legislativo, la devoluzione ai Comuni, a decorrere dall’anno 2011, del gettito o delle quote del gettito di alcuni tributi erariali e stabiliscono, in particolare, che: 1) «In attuazione della […] legge n. 42 del 2009, e successive modificazioni, ed in anticipazione rispetto a quanto previsto in base al disposto del seguente articolo 7, a decorrere dall’anno 2011 sono attribuiti ai comuni, relativamente agli immobili ubicati nel loro territorio e con le modalità di cui al presente articolo, il gettito o quote del gettito derivante dai seguenti tributi: a) imposta di registro ed imposta di bollo sugli atti indicati all’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131; b) imposte ipotecaria e catastale, salvo quanto stabilito dal comma 5; c) imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari, escluso il reddito agrario; d) imposta di registro ed imposta di bollo sui contratti di locazione relativi ad immobili; e) tributi speciali catastali; f) tasse ipotecarie; g) cedolare secca sugli affitti di cui all’articolo 3, con riferimento alla quota di gettito determinata ai sensi del comma 8 del presente articolo» [comma 1]; 2) «Con riferimento ai tributi di cui alle lettere a), b), e) ed f), del comma 1, l’attribuzione del gettito ivi prevista ha per oggetto una quota pari al 30 per cento dello stesso» [comma 2]; 3) «Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare di cui ai commi 1 e 2, è istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio. La durata del Fondo è stabilita in tre anni e, comunque, fino alla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall’articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009. Il Fondo è alimentato con il gettito di cui ai commi 1 e 2, nonché, per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla compartecipazione di cui al comma 4 secondo le modalità stabilite ai sensi del comma 7» [comma 3]; «Ai comuni è attribuita una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto; con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare d’intesa con la Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è fissata la percentuale della predetta compartecipazione e sono stabilite le modalità di attuazione del presente comma, con particolare riferimento all’attribuzione ai singoli comuni del relativo gettito, assumendo a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al prelievo. La percentuale della compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto prevista dal presente comma è fissata, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2 per cento al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. In sede di prima applicazione, e in attesa della determinazione del gettito dell’imposta sul valore aggiunto ripartito per ogni comune, l’assegnazione del gettito ai comuni avviene sulla base del gettito dell’imposta sul valore aggiunto per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune» [comma 4].
1.2.– Il parimenti censurato comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, nel disciplinare l’àmbito di applicazione dello stesso decreto legislativo rispetto alle Regioni ad autonomia differenziata, dispone che: «Al fine di assicurare la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della […] legge n. 42 del 2009, e in particolare: a) nei casi in cui, in base alla legislazione vigente, alle regioni a statuto speciale spetta una compartecipazione al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ovvero al gettito degli altri tributi erariali, questa si intende riferita anche al gettito della cedolare secca di cui all’articolo 3; b) sono stabilite la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale, nonché le percentuali delle compartecipazioni di cui alla lettera a); con riferimento all’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 si tiene conto anche dei tributi da essa sostituiti».
1.3.– Ad avviso della Regione ricorrente, i commi da 1 a 4 dell’art. 2 ed il comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 – in combinato disposto con le non meglio precisate «ulteriori disposizioni» del medesimo decreto «che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione» – prescrivono, da un lato, che il decreto si applichi («il presente decreto si applica») alle Regioni a statuto speciale (comma 2 dell’art. 14) e, dall’altro, che siano devoluti ai Comuni siciliani («sono attribuiti ai comuni»), e non alla Regione siciliana, il gettito derivante da alcuni tributi specificamente elencati dal decreto stesso (commi da 1 a 4 dell’art. 2) e riscossi nell’àmbito del territorio della Regione. Tale normativa, per la ricorrente, víola: a) gli art. 36 e 37 dello statuto speciale (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e le correlative norme di attuazione (in specie, l’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, recante «Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria»), perché sottrae alla Regione siciliana entrate tributarie che, invece, le competono in base a detti parametri, in forza dei quali «spettano» alla Regione siciliana (salvo talune particolari eccezioni, nella specie non sussistenti) tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate; b) l’art. 81 Cost., perché sottrae alla Regione siciliana «un cospicuo gettito finanziario senza stabilire con quali risorse finanziarie esso possa essere sostituito»; c) l’art. 119, quarto comma, Cost., nonché «l’autonomia finanziaria dei Comuni», perché determina una contrazione delle entrate della Regione e dei Comuni siciliani per effetto della quale «non solo la Regione ma pure i Comuni siciliani, in applicazione del decreto, verrebbero a disporre di mezzi finanziari insufficienti per l’adempimento dei propri compiti».
1.4.– L’art. 2 (commi da 1 a 4) del d.lgs. n. 23 del 2011 viene altresí impugnato per violazione dell’art. 14, lettera o), dello statuto speciale, perché, prevedendo l’attribuzione ai Comuni siciliani di tributi o quote di tributi di spettanza della Regione, «finisce col far carico alla Regione siciliana di ulteriori competenze» che non sono riconducibili alla previsione del suddetto evocato parametro – il quale attribuisce all’Assemblea regionale la competenza legislativa esclusiva in materia di «regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative» − e «non possono comunque assegnarsi con legge ordinaria».
2.– Preliminarmente, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto le «ulteriori disposizioni del medesimo decreto […] che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione». Avendo fatto uso di tale generica formulazione, infatti, la ricorrente ha omesso di indicare puntualmente le disposizioni impugnate e, pertanto, ne ha indebitamente demandato l’individuazione a questa Corte. In tal modo non ha adempiuto quanto richiesto dal combinato disposto degli artt. 34, primo comma, e 23, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), secondo cui il ricorrente deve indicare nel ricorso – a pena di inammissibilità della questione − le «disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimità costituzionale».
3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità di tutte le questioni, perché «nessuna concreta lesione si è verificata, né può verificarsi, in danno alla Regione siciliana». Ad avviso della difesa dello Stato, la clausola di salvaguardia contenuta nell’impugnato comma 2 dell’art. 14 – in base alla quale il d.lgs. n. 23 del 2011 si applica nei confronti delle Regioni a statuto speciale «nel rispetto dei rispettivi statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della […] legge n. 42 del 2009» − rende «evidente» che «l’ingresso delle disposizioni del decreto legislativo […] nell’ordinamento delle Regioni speciali in tanto potrà avvenire in quanto le stesse siano recepite nelle fonti di attuazione dello statuto, ovvero si addivenga ad una revisione di quest’ultimo, secondo le forme previste» e garantisce, perciò, il rispetto delle attribuzioni delle autonomie speciali.
L’eccezione non può essere accolta, perché la predetta Avvocatura adduce un argomento di merito – quale è quello dell’inapplicabilità alla Regione ricorrente delle disposizioni impugnate − al fine di sostenere l’inammissibilità, in rito, delle questioni. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa dello Stato, infatti, la valutazione delle questioni in punto di ammissibilità attiene alla prospettazione della ricorrente e deve essere tenuta distinta da quella in punto di fondatezza. Nella specie, la ricorrente sostiene che le norme impugnate si applicano alla Regione siciliana e da tale applicazione deduce la violazione della propria autonomia finanziaria e di quella dei Comuni siciliani. Appare perciò evidente che l’eventuale inapplicabilità alla Regione delle norme denunciate comporterebbe l’infondatezza delle prospettate questioni e non la loro inammissibilità.
4.– Nel merito, le questioni non sono fondate nei termini di séguito precisati.
4.1.– La ricorrente deduce che l’applicazione alla Regione siciliana del d.lgs. n. 23 del 2011, prevista – a suo avviso – dal denunciato comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, si pone in contrasto con il richiamato disposto degli artt. 36 e 37 dello statuto d’autonomia e con le relative norme di attuazione, perché la compartecipazione dei Comuni al gettito di determinati tributi erariali (l’IVA ed i tributi concernenti la «fiscalità immobiliare»), stabilita dai pure censurati commi da 1 a 4 dell’art. 2 dello stesso decreto, comporta la devoluzione ai Comuni siciliani di un gettito tributario che, derivando da tributi riscossi nel territorio regionale, spetta, invece, alla Regione.
La questione non è fondata, perché, pur non potendosi negare la spettanza alla Regione siciliana del gettito degli indicati tributi riscossi nel suo territorio e, quindi, la potenziale sussistenza del denunciato contrasto, deve ritenersi che proprio questo contrasto rende operante la clausola di “salvaguardia” degli statuti speciali contenuta nel parimenti censurato comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, secondo cui il decreto «si applica nei confronti delle regioni a statuto speciale» solo «nel rispetto dei rispettivi statuti». Ne consegue l’inapplicabilità alla Regione ricorrente dei censurati commi dell’art. 2, in quanto “non rispettosi” dello statuto d’autonomia.
Tale conclusione è coerente con i princípi contenuti nella legge di delegazione 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione), la quale, essendo assunta a fondamento del d.lgs. n. 23 del 2011, ne definisce anche i limiti di applicazione. Detta legge, nel suo art. 1, comma 2, al fine di garantire la peculiare autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome, limita la propria applicazione alle Regioni a statuto ordinario, precisando che agli enti ad autonomia differenziata «si applicano […] esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27», purché «in conformità con gli statuti» (sentenza n. 201 del 2010). Una siffatta generale clausola di “salvaguardia” delle autonomie speciali è ribadita dal richiamato art. 27 della stessa legge di delegazione, il quale stabilisce che il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome al «conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno ed all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario», deve avvenire, appunto, nel «rispetto degli statuti speciali» e secondo «criteri e modalità» stabiliti da «norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi».
Cosí interpretata la suddetta clausola di salvaguardia, ne risulta, dunque, l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove la Regione ricorrente, secondo cui le norme censurate sancirebbero l’«obbligo» di applicare il d.lgs. n. 23 del 2011 nei confronti delle Regioni a statuto speciale. Da tale erroneità consegue l’insussistenza del dedotto vulnus degli evocati parametri.
4.2. – Dalla rilevata inapplicabilità alla Regione siciliana delle disposizioni denunciate discende l’infondatezza non solo della prima questione prospettata dalla ricorrente, ma anche di tutte le altre questioni promosse, le quali muovono dalla medesima erronea premessa interpretativa che alla Regione si applichino dette disposizioni anche in caso di contrasto con lo statuto speciale.
 
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi da 1 a 4 dell’art. 2 e del comma 2 dell’art. 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), promosse, in riferimento agli artt. 14, lettera o), 36 e 37 dello statuto speciale della Regione siciliana (r.d.lgs. legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) ed alle «relative» norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché agli artt. 81 e 119, quarto comma, della Costituzione e alla «autonomia finanziaria dei Comuni», dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale delle «ulteriori disposizioni del medesimo decreto ad essi correlati che possono pregiudicare l’autonomia finanziaria della Regione», promosse, in riferimento agli artt. 36 e 37 dello statuto speciale della Regione siciliana ed alle «relative» norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, nonché agli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost. e alla «autonomia finanziaria dei Comuni», dalla Regione siciliana con il medesimo ricorso.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI