Sentenza 22/2012
Sentenza 22/2012
Giudizio
GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente QUARANTA - Redattore SILVESTRI
Udienza Pubblica del 10/01/2012 Decisione del 13/02/2012
Deposito del 16/02/2012 Pubblicazione in G. U. 22/02/2012
Norme impugnate:
Art. 2, c. 2° quater, del decreto legge 29/12/2010, n. 225, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge 26/02/2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5° quater e 5° quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24/02/1992, n. 225.
Massime:
3606836069360703607136072
Atti decisi:
ric. 38, 39, 40, 41, 42 e 43/2011
SENTENZA N. 22
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), promossi dalle Regioni Liguria, Basilicata, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana, con ricorsi notificati il 27, il 26, ed il 27 aprile 2011, depositati in cancelleria il 4, il 5 ed il 6 maggio 2011, ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 38, 39, 40, 41, 42 e 43 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Marcello Cecchetti per le Regioni Basilicata, Puglia e Toscana, Stefano Grassi per le Regioni Marche e Abruzzo e l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 27 aprile 2011 e depositato il successivo 4 maggio (reg. ric. n. 38 del 2011), la Regione Liguria ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), per violazione degli artt. 3, 23, 77, 117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119, 121 e 123 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione.
1.1.— La disposizione impugnata, inserita in sede di conversione del d.l. n. 225 del 2010, risulterebbe eccentrica, a parere della ricorrente, rispetto sia al contenuto del provvedimento legislativo sia a quello dell’articolo 2 del d.l., la cui rubrica reca «Proroghe onerose di termini». Essa riguarda, infatti, la disciplina della protezione civile, ed in particolare il regime finanziario delle spese relative agli eventi indicati nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, quelli cioè di maggiore gravità, da affrontare «con mezzi e poteri straordinari».
La ricorrente sottolinea come la qualificazione di tali eventi avvenga con un atto del Governo – la dichiarazione dello stato di emergenza – a seguito del quale si determina la competenza dello stesso Governo e dei commissari da esso nominati all’esercizio dei relativi poteri.
In questo contesto normativo si inserisce il censurato comma 5-quater, il quale dispone: «a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, il Presidente della regione interessata dagli eventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), qualora il bilancio della regione non rechi le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all’emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa, è autorizzato a deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonché ad elevare ulteriormente la misura dell’imposta regionale di cui all’articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita».
Il significato della disposizione – che parrebbe prevedere una mera facoltà del Presidente della Regione – sarebbe chiarito dal successivo comma 5-quinquies, primo periodo, riguardante il concorso tra il finanziamento regionale e quello statale, il quale prevede: «qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale, può essere disposto l’utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile».
In definitiva, osserva la Regione Liguria, l’intervento finanziario dello Stato viene alternativamente condizionato alla insufficienza delle risorse regionali, pur dopo l’attivazione degli aumenti fiscali di cui al comma 5-quater, ovvero al riconoscimento, da parte del Governo (se non del solo Ministro dell’economia), della «rilevanza nazionale» dell’emergenza: rimangono dunque a carico della Regione i costi derivanti dalla calamità che l’ha colpita, tranne quelli eccedenti il massimo sforzo fiscale che la Regione stessa è autorizzata a compiere, ovvero «quelli che il Governo discrezionalmente vorrà assumere».
Il sistema così previsto, prosegue la ricorrente, risulterebbe lesivo delle prerogative regionali e in contrasto con i parametri costituzionali evocati.
1.2.— Prima di argomentare le singole censure, la difesa regionale esamina il sistema di protezione civile come delineato nella legge n. 225 del 1992, istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile.
Tale sistema è fondato sulla previsione di cui all’art. 2, comma 1, della citata legge, che distingue tre diversi livelli di eventi a seconda che richiedano interventi attuabili da singoli enti ed amministrazioni competenti in via ordinaria (lettera a), o invece comportino l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (lettera b), o, infine, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari (lettera c).
La legge n. 225 del 1992 sin dall’origine attribuiva, all’art. 12, compiti significativi alle Regioni, successivamente ridefiniti ed estesi con gli artt. da 107 a 109 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e con il decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 9 novembre 2001, n. 401.
Tuttavia, avuto riguardo agli eventi indicati nella lettera c) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992, le funzioni fondamentali sono da sempre attribuite alla competenza statale, come risulta anche dall’art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, che elenca una serie di compiti di «rilievo nazionale» in materia di protezione civile.
In particolare, osserva la ricorrente, per gli eventi che richiedono risorse e poteri straordinari, lo Stato esercita le funzioni di riconoscimento, coordinamento, disciplina ed intervento, anche attraverso i prefetti e le proprie strutture del Servizio nazionale della protezione civile (artt. 11 e 14 della legge n. 225 del 1992), in collaborazione con le organizzazioni non statali che pure partecipano al medesimo Servizio, nonché con le Regioni e con gli enti locali (artt. 12, 13 e 15 della legge n. 225 del 1992).
Sotto il profilo del finanziamento dell’attività in oggetto, prima che fossero introdotte le disposizioni oggi impugnate non si dubitava che le spese straordinarie – comprese ovviamente quelle relative agli interventi statali – facessero capo al Fondo nazionale della protezione civile, previsto dall’art. 19 della stessa legge n. 225 del 1992.
La riforma attuata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ha poi inserito la protezione civile tra le materie di potestà legislativa concorrente, riservando allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali, con la conseguenza che i poteri legislativi ed amministrativi, già attribuiti allo Stato, possono trovare attuazione esclusivamente in forza della «chiamata in sussidiarietà», e che la gestione degli stessi deve essere improntata al principio di leale collaborazione.
La ricorrente osserva come, peraltro, la citata riforma costituzionale non abbia prodotto modifiche significative nella disciplina del Servizio nazionale della protezione civile: in particolare, l’individuazione e la gestione degli eventi più gravi – classificati alla lettera c) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992 – sarebbero tutt’ora di competenza statale, come confermato dalla Corte costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 284 e n. 82 del 2006), la quale ha escluso che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire in forza di una legge regionale. è soltanto con la deliberazione dello stato di emergenza, da parte del Consiglio dei ministri d’intesa con la Regione colpita, che vengono attivati ampi poteri di ordinanza «in deroga ad ogni disposizione vigente» e «nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico» in capo agli organi di governo o ai commissari da essi delegati (art. 5, commi 2, 3 e 4 della legge n. 225 del 1992).
1.3.— La ricorrente procede quindi all’esame dei profili di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, a partire dalla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., stante per un verso l’estraneità delle stesse disposizioni al contenuto del d.l. n. 225 del 2010, e considerata, per altro verso, la radicale assenza dei requisiti di necessità ed urgenza.
Le suddette norme sono state inserite dalla legge di conversione nell’art. 2, riguardante la materia delle «proroghe onerose di termini», là dove l’art. 1 del relativo decreto-legge è dedicato alle «proroghe non onerose», l’art. 3 alla copertura finanziaria e l’art. 4 all’entrata in vigore.
Non vi sarebbe dunque alcuna giustificazione all’introduzione di disposizioni recanti una nuova disciplina delle fonti di finanziamento delle attività di protezione civile nel corpo del decreto-legge citato, avendo la legge di conversione contenuto tipico e vincolato, consistente appunto nella conversione in legge del provvedimento normativo predisposto dal Governo.
Sarebbero inoltre assenti ragioni di urgenza specifica, come confermato dalla mancata indicazione delle stesse nel decreto, oltre che dal contenuto della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011 (Indirizzi per lo svolgimento delle attività propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei Ministri da adottare ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e per la predisposizione ed attuazione delle ordinanze di cui all’articolo 5, commi 2 e 3 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonché in attuazione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10). La predetta direttiva presenta il contenuto tipico della circolare esplicativa che illustra, per il futuro, la disciplina applicabile.
Peraltro, l’utilizzo improprio dello strumento della decretazione d’urgenza, in un ambito materiale di potestà legislativa concorrente, avrebbe privato le Regioni della possibilità di far valere le proprie ragioni.
La difesa regionale richiama in proposito la giurisprudenza costituzionale che ammette, nei giudizi in via principale promossi da ricorsi delle Regioni, l’invocazione di parametri esterni al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, qualora la violazione di essi si traduca in una lesione delle competenze costituzionali dell’ente ricorrente (sentenza n. 116 del 2006), e cita numerose pronunce in cui sono state censurate leggi statali che comprimevano le prerogative regionali attraverso la violazione di norme non comprese nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione.
È inoltre richiamata la giurisprudenza costituzionale più recente in tema di illegittimità del decreto-legge per difetto dei presupposti di necessità e urgenza (sentenze n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007).
1.4.— Le disposizioni impugnate risulterebbero in contrasto con l’art. 119, primo, quarto e quinto comma, Cost., in quanto, pur mantenendo in capo allo Stato le competenze decisionali e gestionali sopra illustrate, porrebbero il costo degli interventi a carico della Regione colpita, in tal modo recidendo il nesso tra risorse e funzioni.
Come evidenziato in premessa, a parere della ricorrente, soltanto in apparenza il comma 5-quater facoltizza il Presidente della Regione a deliberare gli aumenti fiscali, essendo in realtà tale aumento un atto dovuto, «in assenza del quale non vi sarebbe alcuna risorsa finanziaria disponibile per affrontare l’emergenza: la Regione infatti non disporrebbe delle risorse, e lo Stato non sarebbe neppure abilitato ad utilizzare il fondo nazionale per la protezione civile, se non per emergenze di “rilievo nazionale”». In tal senso si esprimerebbe il già richiamato documento di indirizzo elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, nel quale si legge che gli aumenti fiscali costituiscono «un vero e proprio onere e non piuttosto una facoltà lasciata alla libera iniziativa discrezionale della Regione».
Per effetto della nuova disciplina, quindi, all’indomani della dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Governo, il Presidente della Regione interessata è tenuto a deliberare gli aumenti fiscali, non potendo essere utilizzato (per le emergenze che non hanno «rilevanza nazionale») il Fondo nazionale per la protezione civile se non ad integrazione dell’insufficiente gettito dei nuovi tributi.
La circostanza che tale gettito sarebbe destinato anche a coprire le spese degli organi dello Stato emerge dalla lettera delle disposizioni impugnate, in cui si fa riferimento alle «spese conseguenti all’emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa», nonché dalla bozza di atto di indirizzo già citata.
La singolarità della nuova disciplina è ulteriormente accentuata dalla disposizione, inserita nell’art. 5, comma 2, della legge n. 225 del 1992 ad opera dell’art. 2, comma 2-quinquies, del d.l. n. 225 del 2010, a mente della quale «le ordinanze sono emanate di concerto, relativamente agli aspetti di carattere finanziario, con il Ministro dell’economia e delle finanze», là dove il costo degli interventi è a carico della Regione colpita.
Di qui la violazione dell’autonomia finanziaria regionale, garantita dell’art. 119 Cost.: la Regione interessata è tenuta non soltanto ad introdurre aumenti fiscali ma anche ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali per l’esercizio dei relativi compiti istituzionali. In particolare, l’art. 119, quarto comma, Cost. stabilisce un collegamento tra risorse e funzioni in ambito regionale, e dunque non consente di utilizzare le prime per il finanziamento di funzioni statali.
Sarebbe violato anche il quinto comma del medesimo parametro, che prevede l’intervento dello Stato, con risorse aggiuntive, affinché le Regioni possano «provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni», là dove la normativa impugnata impone alle Regioni colpite da eventi calamitosi di destinare proprie risorse aggiuntive in favore di organi ed attività statali.
Ulteriore lesione dell’art. 119, quinto comma, Cost. si verificherebbe con riguardo al principio di solidarietà (sancito anche dall’art. 2 Cost.), in quanto le spese derivanti dalla calamità non vengono ripartite nell’ambito della comunità nazionale, ma addossate alla sola Regione colpita e, quindi, ad una popolazione già indebolita.
1.5.— La Regione Liguria ritiene che le norme statali impugnate si pongano in contrasto anche con l’art. 118, primo comma, con l’art. 3, primo comma, Cost., e con il principio di ragionevolezza.
Sotto il primo profilo, la difesa regionale osserva come l’art. 118, primo comma, Cost. consenta allo Stato di attribuire a se stesso funzioni che richiedono l’esercizio unitario sull’intero territorio nazionale, essendo peraltro implicito in detto parametro che in tal caso lo Stato debba anche assumere i relativi oneri.
Quanto alla prospettata violazione del principio di uguaglianza, la stessa difesa evidenzia come, a fronte dell’esercizio di competenze assunte dallo Stato per esigenze di unitarietà, la discriminazione dei contribuenti su base territoriale sarebbe priva di giustificazione, risultando doppiamente iniqua nei confronti di quanti siano stati direttamente colpiti dall’evento calamitoso.
Infine, il comma 5-quater, introdotto dall’impugnato art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, sarebbe irragionevole anche in quanto istituisce misure incerte nel risultato, e comunque in grado di produrre i propri effetti solo nel medio-lungo periodo, per fare fronte a costi che debbono essere coperti mediante entrate immediatamente disponibili. Già in astratto, dunque, lo strumento individuato dal legislatore statale parrebbe incongruo a realizzare il fine dichiarato.
La ricorrente rivendica, da ultimo, la propria legittimazione a denunciare norme che impongono manovre tributarie alla Regione e incidono negativamente sulle condizioni dei propri cittadini.
1.6.— La Regione Liguria evidenzia, inoltre, come la disposizione contenuta nel comma 5-quater, nella parte in cui “autorizza” il Presidente della Regione a deliberare gli aumenti di carattere fiscale, attribuisca al predetto organo un potere che non gli spetta nel quadro del riparto di competenze tra gli organi regionali. Sia il principio di legalità di cui all’art. 23 Cost., sia il riparto di competenze regionali delineato dall’art. 121, secondo comma, Cost., impongono, ai fini della introduzione dei tributi, l’intervento del Consiglio regionale; in ogni caso poi, ove pure non vi fossero i vincoli costituzionali indicati, spetterebbe all’autonomia statutaria di ciascuna Regione l’attribuzione di tale competenza (è richiamata la sentenza n. 407 del 1989).
Pertanto, la norma statale si porrebbe in contrasto con l’art. 121, secondo comma, Cost., che assegna al Consiglio regionale l’esercizio delle potestà legislative attribuite alle Regioni, nonché con l’art. 123, primo comma, Cost. che garantisce l’autonomia statutaria.
1.7.— In via subordinata, la Regione Liguria prospetta l’illegittimità costituzionale del «comma 5-quinquies» dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, nella parte in cui non prevede la partecipazione delle Regioni alla valutazione della «rilevanza nazionale» dell’evento, in violazione del principio di leale collaborazione.
Posto, infatti, che il meccanismo delineato dai commi 5-quater e 5-quinquies consente di evitare la “maggior contribuzione fiscale” della popolazione della Regione colpita solo nel caso venga riconosciuto il rilievo nazionale dell’emergenza, esiste un evidente interesse della stessa Regione e di tutte le altre a concorrere sia all’elaborazione dei criteri per la corrispondente qualificazione degli eventi, sia all’assunzione delle decisioni al riguardo. Del resto, lo schema della chiamata in sussidiarietà, che consente allo Stato di assumere le funzioni amministrative in detta materia, imporrebbe di per sé il coinvolgimento delle Regioni nella procedura decisionale circa la rilevanza nazionale dell’evento.
Diversamente, la normativa impugnata non contiene alcun riferimento a detto coinvolgimento, risultando costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la partecipazione a tale decisione né della Conferenza Stato-Regioni, né della Regione colpita dall’evento, sulla quale incomberebbe la maggiorazione fiscale nel caso che non venga riconosciuta la rilevanza nazionale dell’evento.
2.— Con ricorso notificato il 26 aprile 2011 e depositato il successivo 5 maggio (reg. ric. n. 39 del 2011), la Regione Basilicata ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 1, 3, 118 e 119 Cost.
2.1.— Dopo aver richiamato il contenuto dei commi 5-quater e 5-quinquies, la ricorrente esamina il sistema di protezione civile delineatosi nel corso degli anni, sulla base della ormai acquisita consapevolezza che l’Italia è un paese ad elevato rischio di catastrofi naturali.
La normativa contenuta nella legge n. 225 del 1992 attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri o, su delega, al Ministro dell’interno, la responsabilità del coordinamento delle attività delle amministrazioni statali, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, degli enti pubblici nazionali, nonché di ogni altra organizzazione pubblica e privata presente sul territorio. Le attività di protezione civile, individuate all’art. 5 della legge citata, possono essere idealmente distinte in «due grandi blocchi», il primo dei quali riguarda la previsione e prevenzione dei fenomeni calamitosi (fase di pre-emergenza), mentre l’altro comprende tutte le attività che debbono essere svolte in occasione di eventi catastrofici. Quanto poi alla fase della ricostruzione, essa non è attribuita specificamente ad un soggetto istituzionale, e finora è stata disciplinata con norme ad hoc.
La difesa regionale prosegue evidenziando come al Consiglio dei ministri spetti l’approvazione degli indirizzi generali per la predisposizione dei programmi nazionali di previsione e prevenzione dei vari tipi di rischio, nonché dei programmi di soccorso e dei piani nazionali di emergenza. La redazione di questi ultimi è affidata al Dipartimento della protezione civile, che dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio, con l’ausilio, in qualità di organo consultivo, della Commissione nazionale per la previsione e prevenzione dei grandi rischi. Le Regioni e gli Enti locali sono coinvolti in questo processo di pianificazione.
La disciplina dell’intervento delle istituzioni nazionali in occasione di eventi calamitosi è contenuta nell’art. 2 della legge n. 225 del 1992.
Nel caso in cui l’evento coinvolga il solo territorio comunale e possa essere affrontato con i mezzi di cui il Comune dispone, il sindaco assume la direzione ed il coordinamento dei soccorsi; qualora invece sia interessato un territorio più ampio tale funzione è esercitata dal prefetto. Quando infine l’evento coinvolga il territorio di una o più Province, ovvero presenti intensità tale da richiedere di essere fronteggiato con mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c, della legge n. 225 del 1992), viene proclamato lo stato di emergenza ed è convocato il Comitato operativo della protezione civile per garantire la direzione unitaria e il coordinamento delle attività a livello nazionale.
Il finanziamento degli interventi di protezione civile avviene facendo ricorso principalmente al Fondo nazionale per la protezione civile, istituito con l’art. 2 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 428 (Misure urgenti per la protezione civile), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1982, n. 547.
Su questo sistema, osserva la Regione Basilicata, si innestano le disposizioni oggetto di impugnazione, con le quali viene disposta la compartecipazione delle Regioni e delle popolazioni interessate dall’evento calamitoso alla «copertura dei danni» conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza.
2.2.— La Regione Basilicata illustra le ragioni dell’impugnativa, osservando in primo luogo come, in base ai commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, il ricorso alle risorse del Fondo nazionale di protezione civile sia possibile in due distinte ipotesi: nel caso di insufficienza dei mezzi propri della Regione interessata, dopo l’utilizzo degli incrementi tributari disposti dalla Regione stessa, ovvero nei casi di eventi di «rilevanza nazionale».
Ciò posto, secondo la ricorrente non sarebbero in alcun modo precisati i criteri in base ai quali un evento calamitoso possa essere qualificato come di «rilevanza nazionale», non potendo soccorrere il riferimento all’estensione territoriale del fenomeno, già trascurato dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, che fa invece riferimento ai mezzi e poteri idonei a fronteggiare l’evento.
Si tratta, dunque, di valutazione rimessa all’apprezzamento politico circa l’importanza dell’evento; valutazione, che dovrà essere compiuta, con ogni probabilità, dal Consiglio dei ministri in sede di deliberazione dello stato di emergenza, tenendo conto della durata, dell’estensione, della qualità e della natura dell’evento (elementi cui fa riferimento esplicito l’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992).
Questa dunque parrebbe l’interpretazione più aderente alla lettera delle disposizioni impugnate, conforme alla ratio della novella legislativa; diversamente, ove si ritenesse l’intervento statale condizionato rigidamente dal completo utilizzo, da parte della Regione interessata, degli incrementi tributari, si finirebbe per negare la «rilevanza nazionale» dell’evento e l’intervento statale assumerebbe funzione suppletiva delle finanze regionali, senza tenere conto della natura e della qualità degli eventi straordinari.
Peraltro, secondo la difesa regionale, l’opzione interpretativa prescelta produce una evidente discriminazione tra le Regioni e le rispettive popolazioni, non potendo determinarsi «eventi oggettivamente di rilevanza nazionale» meritevoli della solidarietà dell’intera nazione: vi saranno eventi che riceveranno tale qualificazione ed eventi che non la riceveranno, con le conseguenze sopra indicate.
Sarebbero dunque violati gli artt. 1 e 3 Cost.
La difesa regionale ritiene che le norme in esame si pongano in contrasto anche con gli artt. 118 e 119 Cost.: per un verso, infatti, nel prevedere l’esercizio unitario della funzione di protezione civile, non sarebbero rispettati i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, e, per altro verso, sarebbe lesa l’autonomia finanziaria regionale, risultando imposto l’aumento del gettito tributario per poter avanzare la richiesta di accesso al Fondo nazionale.
3.— Con ricorso notificato il 27 aprile 2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 40 del 2011), la Regione Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 2, 3, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
3.1.— La difesa regionale evidenzia, in premessa, come l’effetto immediato delle disposizioni censurate sia quello di far gravare sul bilancio regionale il finanziamento di tutte le funzioni di protezione civile connesse alla gestione delle situazioni di emergenza che seguono ad eventi straordinari, qualunque sia l’ente competente ad esercitare tali funzioni. In particolare, sulla Regione interessata dall’evento viene posto l’onere economico sia delle funzioni di competenza regionale, sia di quelle spettanti agli altri enti coinvolti, comprese le funzioni esercitate da organi statali o facenti capo a servizi dello Stato.
Di qui la limitazione dell’autonomia costituzionale delle Regioni.
La ricorrente ricostruisce quindi il complesso sistema di protezione civile nel quale le predette disposizioni si inseriscono, come disciplinato dalla legge n. 225 del 1992, dagli artt. 107-109 del d.lgs. n. 112 del 1998, nonché dal d.l. n. 343 del 2001, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 401 del 2001.
È richiamato l’art. 2, comma 1, delle legge n. 225 del 1992, che distingue, ai fini dell’attività di protezione civile, tre tipologie di eventi, nonché l’art. 5 della medesima legge, il quale disciplina il procedimento che si instaura a partire dal verificarsi di uno degli eventi per i quali è necessario il ricorso a mezzi e poteri straordinari. In detto procedimento sono coinvolti gli organi statali, come confermato anche dall’art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, secondo cui allo Stato spetta la «predisposizione, d’intesa con le Regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione».
La difesa regionale indica le ulteriori norme che regolano il ruolo degli apparati dello Stato nella materia de qua, a partire dall’art. 11 della legge n. 225 del 1992, che individua le strutture di livello nazionale alle quali è necessario affidarsi per gli interventi operativi, per passare all’art. 5 del d.l. n. 343 del 2001, il quale indica le strutture di cui si avvale direttamente il Presidente del Consiglio dei ministri nello svolgimento dei compiti attribuiti all’Amministrazione centrale.
In particolare, al Dipartimento per la protezione civile, anch’esso posto alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio, sono attribuite le principali funzioni operative, nonché tutti i compiti precedentemente attribuiti all’Agenzia di protezione civile dall’art. 81 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), tra i quali figurano quelli riguardanti le attività connesse con gli eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992.
Ciò posto in linea generale, la ricorrente evidenzia come in questa sede risultino rilevanti proprio le competenze concernenti la gestione degli eventi straordinari, indicati nella norma da ultimo richiamata, rispetto ai quali il sistema attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri e al Governo un ruolo centrale, di competenza generale e residuale, mentre gli enti territoriali sub-statali svolgono funzioni ancillari.
3.2.— La Regione Puglia espone quindi le ragioni di censura poste alla base del ricorso, previo esame delle norme oggetto.
Secondo la ricorrente, il combinato disposto dei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, impone alla Regione colpita dall’evento calamitoso, e per essa al suo Presidente, di esercitare la potestà tributaria riconosciutale dalla legislazione vigente – fino ai limiti massimi consentiti da questa o fino all’ulteriore aumento straordinario dell’imposta sulla benzina per autotrazione – e di destinare il relativo gettito al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare l’emergenza.
Solo a seguito dell’adozione di tali misure e della certificata insufficienza a coprire i costi degli interventi, la Regione colpita può avanzare richiesta di accesso al Fondo nazionale di protezione civile, con esito peraltro rimesso alla decisione, politica e unilaterale, del Governo. In via di eccezione, le stesse norme connettono l’utilizzo del Fondo nazionale alla qualificazione dell’evento come «di rilevanza nazionale», e dunque ad una valutazione che si configura anch’essa come scelta politica del Governo.
Anche il dibattito parlamentare che ha preceduto l’approvazione della legge di conversione n. 10 del 2011 confermerebbe, secondo la difesa regionale, questa interpretazione delle norme in esame. In tal senso si esprimerebbe pure la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011.
3.3.— Le censure, diffusamente argomentate dalla stessa difesa, sono riferite anzitutto all’art. 119 Cost., ed in particolare al principio della corrispondenza tra le risorse finanziarie ordinariamente disponibili da parte degli enti territoriali e l’esercizio delle funzioni attribuite alla titolarità di ciascuno di essi, sul presupposto che le disposizioni contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies impongano alle Regioni di finanziare funzioni amministrative di esclusiva pertinenza statale.
La ricorrente richiama in particolare il quarto comma dell’art. 119 Cost., il quale stabilisce che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti [tributi ed entrate propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote di spettanza del fondo perequativo] consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Il quinto comma del medesimo art. 119, che costituisce norma di chiusura, prevede – in deroga al principio della corrispondenza tra funzioni esercitate ed entrate ordinarie – che lo Stato destini risorse aggiuntive a singoli enti territoriali per garantire la realizzazione di alcuni valori fondamentali della Repubblica, nonché per provvedere a tutti gli scopi che fuoriescano dal «normale esercizio» delle funzioni ordinariamente spettanti agli stessi enti territoriali.
L’evocato principio di corrispondenza sarebbe qui rilevante sotto un duplice profilo: per un verso, esso non ammette che le funzioni di un ente territoriale possano essere finanziate mediante ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al suo bilancio; per altro verso, lo stesso principio presuppone che le risorse (ordinarie) degli enti territoriali siano destinate al finanziamento delle funzioni da essi svolte, e non al finanziamento di funzioni svolte da altri soggetti.
3.3.1.— Secondo la ricorrente, l’art. 119, quinto comma, Cost. sarebbe violato anche in relazione ai principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., e ai principi di solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 Cost.
Lo Stato, infatti, ha il compito di destinare agli enti territoriali risorse aggiuntive rispetto a quelle indicate nei commi secondo e terzo del medesimo art. 119 Cost., e di effettuare interventi speciali in favore di alcuni di essi, con le precise finalità, indicate dal quinto comma dell’art. 119 Cost., di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di rafforzare la garanzia dell’effettivo esercizio dei diritti della persona, di intervenire ove ricorra la necessità di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli enti autonomi territoriali.
Il quinto comma dell’art. 119, Cost. delinea, quindi, una peculiare funzione “sussidiaria” dello Stato, a garanzia di alcuni valori fondanti della comunità nazionale. Tale funzione verrebbe in rilievo in occasione del verificarsi degli eventi indicati nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992; in casi siffatti, le amministrazioni locali si trovano a dover fronteggiare situazioni che pregiudicano i valori contemplati nel parametro evocato, in quanto fuoriescono dal normale esercizio delle funzioni delle autonomie territoriali.
Pertanto, le disposizioni sottoposte a scrutinio avrebbero l’effetto di determinare la «sostanziale abdicazione» da parte dello Stato ai propri compiti espressamente contemplati nell’art. 119, quinto comma, Cost.
Il contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza discenderebbe dall’avere posto l’onere degli interventi finalizzati a fronteggiare l’evento calamitoso a carico delle collettività colpite dall’evento stesso, a dispetto della responsabilità dello Stato per la rimozione degli squilibri economici e sociali, e per la garanzia dell’effettivo esercizio dei diritti della persona.
In proposito, la ricorrente richiama il dibattito parlamentare svoltosi in sede di conversione del decreto-legge impugnato, nel corso del quale è stato segnalato il possibile profilo di illegittimità costituzionale di disposizioni che configurano un trattamento deteriore per le popolazioni colpite da eventi catastrofici. Di qui discenderebbe l’irragionevolezza della scelta legislativa di imporre un aumento dei tributi proprio alle popolazioni colpite dalla calamità naturale. Per un verso, infatti, alla base della imposizione non vi sarebbe alcuna manifestazione di capacità contributiva, dovendosi al contrario ritenere probabile una riduzione di tale capacità in capo ai cittadini dei territori colpiti; per altro verso, le disposizioni in esame risulterebbero in contraddizione con quanto previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 5 della legge n. 225 del 1992, che prevede agevolazioni fiscali a favore dei soggetti colpiti da eventi calamitosi.
Sarebbe evidente, a parere della Regione Puglia, anche la violazione del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost., da declinarsi come dovere di solidarietà, secondo l’accezione utilizzata nell’art. 119, quinto comma, Cost.
3.3.2.— La ricorrente reputa violato, inoltre, l’art. 119, primo comma, Cost. e il principio, ivi consacrato, dell’autonomia di entrata e di spesa delle Regioni. Questo principio sarebbe compromesso da disposizioni statali che impongono di finanziare, a carico del bilancio regionale, l’esercizio di funzioni esercitate dallo Stato, e che prescrivono aumenti dei tributi nella misura massima consentita dalla legislazione nazionale vigente, così azzerando ogni margine di scelta delle Regioni.
Se è vero, poi, che le Regioni possono, in luogo di deliberare aumenti, ridurre o eliminare spese in precedenza stabilite, nondimeno anche tale soluzione alternativa realizzerebbe una compressione dell’autonomia regionale.
La ricorrente, richiamando la sentenza n. 320 del 2004 della Corte costituzionale, evidenzia come la “costrizione” a ridurre le politiche di spesa, per il tramite della minaccia costituita dalla possibile compressione dell’autonomia di entrata, incida sull’esercizio delle competenze attribuite alle Regioni in numerosi ambiti materiali.
La violazione dei principi di autonomia finanziaria delle Regioni e di corrispondenza tra le entrate ordinarie di queste ultime e le funzioni esercitate sarebbe apprezzabile anche da un ulteriore punto di vista. Se, infatti, le risorse di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 119 Cost., devono consentire agli enti di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, salva la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive e di effettuare interventi speciali (sono richiamate le sentenze n. 37 del 2004 e n. 370 del 2003), la Regione colpita dall’evento è costretta a ridurre lo stanziamento di bilancio volto a finanziare proprie funzioni amministrative, per evitare la compressione della propria autonomia di entrata. Risulta in tal modo vulnerato il principio di corrispondenza tra risorse ordinarie e finanziamento delle funzioni regionali.
La ricorrente precisa di essere consapevole dell’orientamento ormai consolidato della Corte costituzionale, secondo cui il sistema configurato dall’art. 119 Cost. non è in grado di dispiegare pienamente i suoi effetti fino a quando non sarà operante la legge statale ivi prevista per il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Nondimeno, la stessa Corte ha più volte chiarito come ciò non escluda che, prima della compiuta attuazione, l’art. 119 sia in grado di imporre alcuni precetti, di immediata applicabilità. In particolare, oltre al richiamato “principio di corrispondenza” tra entrate e funzioni, il parametro citato evidentemente impedisce che si proceda in senso inverso a quanto in esso prescritto, nel senso che sarebbe comunque vietato configurare un sistema finanziario che contraddica i principi indicati (sono richiamate le sentenze n. 423, n. 320, n. 241 e n. 37 del 2004), come invece disposto dalle previsioni oggetto della presente impugnazione.
3.3.3.— La difesa regionale prospetta un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dei commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, ancora per violazione dell’art. 119 Cost., avuto riguardo all’imposizione di vincoli di destinazione a risparmi di spesa e ad entrate regionali.
Al riguardo, è richiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui dal parametro costituzionale indicato si deduce il divieto di istituire fondi a destinazione vincolata in ambiti materiali attribuiti alla competenza residuale o concorrente delle Regioni.
Pur non ricorrendo, nella specie, l’istituzione di un fondo siffatto, il principio invocato avrebbe una portata più generale, tale da ricomprendere anche il vincolo posto dalle norme sottoposte a scrutinio, il quale grava, alternativamente, sulle somme derivanti dall’aumento del prelievo tributario, ove disposto dal Presidente della Regione colpita dall’evento calamitoso, ovvero sulle somme derivanti dai risparmi di spesa deliberati dalla medesima Regione per evitare di aumentare il prelievo tributario.
Il divieto di porre vincoli di destinazione sulle somme che lo Stato trasferisce alle Regioni dovrebbe valere a fortiori in riferimento alle risorse che le Regioni reperiscono autonomamente, quali sono quelle derivanti da aumenti del prelievo tributario e quelle conseguenti a riduzione delle spese.
La ricorrente segnala l’assenza di precedenti giurisprudenziali sul tema, a suo dire riconducibile al fatto che fino ad oggi la legislazione statale non ha mai esercitato una così radicale compressione dell’autonomia finanziaria regionale.
3.3.4.— Secondo la Regione Puglia, le disposizioni in esame si porrebbero in contrasto anche con gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., in relazione alla competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Quest’ultimo sarebbe, infatti, l’ambito materiale direttamente interessato dai commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, i quali dettano regole di “coordinamento” degli oneri finanziari connessi alla gestione dello stato di emergenza derivante da calamità naturali o eventi catastrofici, ponendone il relativo peso sui bilanci regionali, con conseguente limitazione della potestà di spesa delle Regioni, e rendendo solo eventuale il ricorso al Fondo nazionale di protezione civile.
Trattandosi di ambito materiale attribuito alla competenza concorrente, occorre discernere tra principi fondamentali e norme di dettaglio, utilizzando criteri che tengano conto della peculiarità della materia.
In tema di coordinamento della finanza pubblica, la Corte costituzionale ha più volte affermato che le norme statali che impongono vincoli alle spese sono espressive di principi fondamentali soltanto se tali vincoli sono finalizzati a raggiungere l’obiettivo del riequilibrio della finanza pubblica (tra le più recenti, sentenze n. 326 e n. 52 del 2010). Nel caso di specie, la ricorrente ritiene che debba essere esclusa la natura di principi fondamentali della materia per le disposizioni contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, in quanto non finalizzate al perseguimento dell’obiettivo del riequilibrio della finanza pubblica.
3.3.5.— In via subordinata rispetto alle censure finora esaminate, la Regione Puglia prospetta l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., anche in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. –del comma 5-quinquies, primo periodo, dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, nella parte in cui, pur in presenza delle due condizioni in esso contemplate (insufficienza delle ricorse reperite ai sensi del precedente comma 5-quater e qualificazione dell’emergenza come «di rilevanza nazionale»), subordina l’accesso al Fondo nazionale di protezione civile ad una valutazione “politica” del Governo.
La previsione indicata, oltre a risultare irragionevole, contrasterebbe con il dovere solidaristico che impone allo Stato di assicurare le «risorse aggiuntive» e gli «interventi necessari» a garantire quei valori imprescindibili dell’ordinamento, indicati nei parametri evocati, tutte le volte in cui tali valori non possano essere assicurati dal «normale esercizio delle funzioni» spettanti alle autonomie territoriali.
Infatti, una volta che la Regione colpita dall’emergenza abbia dimostrato di aver adottato le misure previste dal comma 5-quater, o di essere impossibilitata ad adottarle, o, comunque, di non avere risorse sufficienti per fronteggiare l’emergenza, l’accesso al Fondo nazionale dovrebbe essere “automatico”.
3.3.6.— In via ulteriormente subordinata, anche rispetto alla censura che precede, la Regione Puglia ritiene che il comma 5-quinquies, introdotto nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, contrasti con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione.
La ricorrente, dopo aver ribadito l’incidenza della norma impugnata sull’ambito materiale del coordinamento della finanza pubblica, osserva come la giurisprudenza costituzionale abbia ritenuto legittima l’avocazione, da parte dello Stato, di funzioni amministrative in materie non appartenenti alla sua legislazione esclusiva, a condizione che ricorrano esigenze di unitarietà della disciplina e che le Regioni siano coinvolte nell’esercizio della funzione, secondo il modulo procedimentale dell’«intesa».
La difesa regionale sottolinea altresì che, nella specie, pur essendo innegabile che ricorrano esigenze unitarie, non è prevista alcuna forma di coinvolgimento della Regione interessata, con palese violazione del principio di leale collaborazione.
3.3.7.— Ancora in via subordinata, la ricorrente ritiene che la disposizione contenuta nel comma 5-quinquies, primo periodo, dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992 – nella parte in cui prevede che sia il Governo a qualificare l’evento calamitoso come evento di «rilevanza nazionale», al di fuori di qualsiasi sede concertativa – si ponga in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione.
Gli argomenti a sostegno della censura sono analoghi a quelli sintetizzati nel paragrafo precedente, al quale pertanto si rinvia.
Allo stesso modo di quanto accade per l’accesso al Fondo nazionale di protezione civile, la disposizione oggetto di censura prevede la valutazione unilaterale del Governo, trascurando completamente l’esigenza di garantire la parità tra i soggetti istituzionali coinvolti e la leale collaborazione tra gli stessi.
4.— Con ricorso notificato il 27 aprile 2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 41 del 2011), la Regione Marche ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
4.1.— Gli argomenti svolti dalla ricorrente sono sostanzialmente analoghi a quelli sintetizzati nel paragrafo 3 in riferimento al ricorso della Regione Puglia. Si può pertanto fare rinvio alla richiamata sintesi.
4.1.1.— Il ricorso qui in esame si differenzia da quello richiamato, solo in quanto contiene l’esposizione dei fatti che hanno specificamente interessato il territorio della Regione Marche a seguito degli eventi calamitosi verificatisi nel periodo dal 1° al 6 marzo 2011.
In particolare, la ricorrente richiama il contenuto della risoluzione n. 40 approvata dal Consiglio regionale, nella seduta del 5 aprile 2011, con la quale è stata impegnata la Giunta regionale a promuovere ricorso avverso l’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010 davanti alla Corte costituzionale, nonché ad impugnare la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011 davanti al competente giudice amministrativo.
Nella citata risoluzione si dà atto che il territorio regionale è stato colpito da «fenomeni temporaleschi diffusi di eccezionale intensità che hanno provocato ingenti danni alle infrastrutture, agli edifici pubblici e privati, nonché una grave compromissione delle attività produttive nelle zone interessate», con danni calcolati, a seguito di una prima ricognizione, in circa 462 milioni di euro, esclusi quelli all’agricoltura.
La risoluzione precisa inoltre che, in data 10 marzo 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza, in relazione ai suddetti eventi, fino al 31 marzo 2012. A questo punto la Regione Marche ha chiesto al Governo di disporre l’utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile, considerata la rilevanza nazionale degli eventi calamitosi, ma, con nota del 31 marzo 2011, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile, previo richiamo alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011, ha ribadito la necessità che la Regione certifichi: a) se sono state individuate disponibilità all’interno del proprio bilancio per fronteggiare l’emergenza in questione; b) se sono state aumentate fino al massimo le aliquote fiscali di competenza, e, in particolare, l’aliquota dell’accisa regionale sulla benzina.
La stessa risoluzione conclude evidenziando che l’interpretazione dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, fornita dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011, «condiziona rigidamente l’intervento statale al completo utilizzo da parte delle Regioni interessate della potestà tributaria lorda riconosciuta, negando in tal modo la rilevanza nazionale dell’evento e riducendo la giustificazione dell’intervento nazionale ad una pura funzione suppletiva nell’ipotesi di insufficienza dei mezzi regionali, indipendentemente dalla natura e dalla qualità degli eventi straordinari».
5.— Con ricorso notificato il 27 aprile 2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 42 del 2011), la Regione Abruzzo ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 2, 3, 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
5.1.— Gli argomenti svolti dalla ricorrente sono in tutto identici a quelli sintetizzati nel paragrafo 3 in riferimento al ricorso della Regione Puglia, e pertanto si può fare rinvio alla predetta sintesi.
6.— Con ricorso notificato il 27 aprile 2011 e depositato il successivo 6 maggio (reg. ric. n. 43 del 2011), la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2011, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.
6.1.— Gli argomenti svolti dalla ricorrente sono in tutto identici a quelli sintetizzati nel paragrafo 3 in riferimento al ricorso della Regione Puglia, e pertanto si può fare rinvio alla predetta sintesi.
7.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in ciascuno dei giudizi chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate infondate.
La difesa statale svolge argomentazioni analoghe in tutti gli atti di costituzione, i quali, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente.
7.1.— Dopo avere riepilogato le censure proposte nei confronti della normativa introdotta dall’art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, in primo luogo, l’erroneo presupposto da cui muoverebbero le impugnative regionali, secondo cui la funzione di protezione civile concernente gli eventi previsti dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992 apparterrebbe alla competenza esclusiva dello Stato.
In realtà, la protezione civile è materia di legislazione concorrente, nella quale spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali; la relativa funzione amministrativa sarebbe anch’essa ripartita tra i due livelli, regionale e statale, con la conseguenza che è prevista l’intesa con le Regioni interessate riguardo ad ogni aspetto di determinazione e di gestione dello stato di emergenza. L’esercizio delle funzioni mantenute dallo Stato, attraverso il Servizio nazionale di protezione civile, ha poi natura sostitutiva e di sostegno dei governi territoriali, per i casi in cui questi non siano in grado di fare fronte autonomamente all’emergenza.
La difesa statale osserva inoltre che gli eventi indicati nell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, in riferimento ai quali l’art. 5 della medesima legge prevede la dichiarazione dello stato di emergenza, non necessariamente coincidono con le emergenze nazionali, la cui portata comporta la “socializzazione” dei relativi oneri finanziari. Dovrebbe dunque distinguersi tra gli eventi emergenziali di ambito locale e quelli che presentano rilevanza nazionale.
Le disposizioni censurate, poi, sarebbero in linea con i principi e criteri direttivi della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), finalizzati ad assicurare autonomia di entrata e di spesa agli enti territoriali, «in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione» (art. 1, comma 1). L’art. 2, comma 2, della citata legge di delega indica, infatti, tra i principi e criteri direttivi, quello dell’autonomia di entrata e di spesa e della maggiore responsabilizzazione amministrativa, finanziaria e contabile di tutti i livelli di governo (lettera a); l’attribuzione di risorse autonome in relazione alle rispettive competenze e secondo il criterio di territorialità (lettera e); la «riduzione della imposizione fiscale statale in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata delle regioni ed enti locali […] e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali»; l’«eliminazione dal bilancio dello Stato delle previsioni di spesa relative al finanziamento delle funzioni attribuite a regioni, province, comuni e città metropolitane» (lettera ee).
In siffatto contesto normativo, prosegue la difesa statale, le disposizioni censurate coerentemente prevedono che l’evento emergenziale di ambito locale non possa determinare l’intervento finanziario dello Stato prima che la Regione interessata abbia operato nella direzione dell’assunzione della relativa responsabilità finanziaria. L’intervento dello Stato, in ossequio al principio di sussidiarietà, segue necessariamente quello dell’ente territoriale, ove questo si trovi nella oggettiva impossibilità di continuare a fare fronte all’emergenza locale con le proprie risorse.
La “generale socializzazione” degli oneri finanziari connessi ad eventi emergenziali locali, affermatasi nell’assenza di principi relativi ai profili finanziari e di copertura, avrebbe determinato una progressiva “deresponsabilizzazione” dei diversi livelli di governo – con particolare riguardo alla valutazione della durata dell’emergenza – e la conseguente crescita esponenziale dei flussi di spesa pubblica, ben percepibile nell’attuale congiuntura finanziaria negativa.
7.2.— Su queste premesse di ordine generale, la difesa dello Stato procede all’esame delle censure formulate nei ricorsi regionali.
7.2.1.— Ad avviso della stessa difesa, non sussisterebbe la violazione dell’art. 77 Cost., prospettata dalla sola Regione Liguria (ric. n. 38 del 2011) sul rilievo che l’art. 2, comma 2-quater, approvato in sede di conversione del d.l. n. 225 del 2010, avrebbe un contenuto del tutto estraneo alla materia regolata dal decreto-legge citato, e non presenterebbe i presupposti di necessità ed urgenza.
Per un verso, infatti, le disposizioni introdotte con la norma censurata sarebbero pertinenti all’oggetto del decreto, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie», e, per altro verso, i presupposti di necessità ed urgenza sarebbero riferibili al contenuto del decreto-legge, e non a quello della legge di conversione.
7.2.2.— Sarebbe del pari insussistente il contrasto, prospettato in tutti i ricorsi, tra le disposizioni contenute nei censurati commi 5-quater e 5-quinquies e l’autonomia finanziaria riconosciuta alle Regioni dall’art. 119 Cost., con riguardo al principio della corrispondenza tra funzioni esercitate e risorse finanziarie.
Si assume dalle ricorrenti, infatti, che le predette disposizioni porrebbero a carico della Regione colpita dall’evento calamitoso il costo degli interventi necessari per fronteggiare lo stato di emergenza deliberato ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, e, in particolare, l’onere derivante dall’esercizio delle funzioni di protezione civile affidate allo Stato.
La difesa statale ribadisce quanto evidenziato in premessa, e cioè che la protezione civile è materia di legislazione concorrente ed è funzione ripartita tra Stato e Regioni, sicché, oltre alle funzioni conferite alle Regioni dall’art. 108 del d.lgs. n. 112 del 1998, è prevista l’intesa per ogni aspetto attinente alla determinazione ed alla gestione emergenziale.
Più specificamente, l’intesa è prevista per: a) la deliberazione e la revoca dello stato d’emergenza (art. 107, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 112 del 1998); b) l’emanazione delle ordinanze (art. 107, comma 1, lettera c, del medesimo d.lgs.); c) la predisposizione dei piani d’emergenza in caso di eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992 (art. 107, comma 1, lettera f, punto 2, dello stesso d.lgs.); d) la definizione degli interventi e della struttura organizzativa necessari per fronteggiare gli eventi calamitosi (art. 5, comma 4-bis, del d.l. n. 343 del 2001).
Quanto poi al significato della previsione contenuta nell’art. 5, comma 1, del d.l. n. 343 del 2001, il quale, nell’indicare le competenze del Presidente del Consiglio dei ministri (o del Ministro dell’interno, su delega del primo), fa riferimento alla determinazione delle «politiche di protezione civile», la difesa statale sottolinea come detta previsione riguardi la titolarità delle politiche di intervento delle strutture del Servizio nazionale di protezione civile, da non confondere con la titolarità delle funzioni amministrative nella materia in esame, che appartengono anche alle Regioni. Nel riparto delle predette funzioni, l’intervento statale si configurerebbe, come già detto, per la natura necessariamente sostitutiva e di sostegno del livello di governo interessato.
L’infondatezza della lamentata lesione all’autonomia finanziaria regionale, sotto il profilo della corrispondenza tra funzioni e risorse, emergerebbe ulteriormente, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, considerando che le disposizioni introdotte dalla norma impugnata prevedono, ai fini del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a fronteggiare gli eventi emergenziali locali, un percorso graduale, con la partecipazione di enti di diverso livello. Nella fase iniziale, è chiamata ad attivarsi la Regione interessata dall’evento, la quale, in ossequio al principio di responsabilità finanziaria, è obbligata a far fronte, con i propri fondi, alle funzioni ad essa attribuite; successivamente, è previsto, in forza del principio di sussidiarietà, l’intervento solidaristico dello Stato, sul presupposto che le iniziative assunte dalla Regione non garantiscano la copertura degli oneri connessi all’evento emergenziale.
Le materie coinvolte – protezione civile e coordinamento della finanza pubblica – appartengono entrambe alla competenza legislativa concorrente, nella quale spetta allo Stato l’emanazione dei principi fondamentali; tuttavia, come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 16 del 2010, la nozione di “principio fondamentale” non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, dovendosi tenere conto del contesto e del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto, e della peculiarità della materia. Nella stessa pronuncia, previo richiamo alle precedenti sentenze n. 284 e n. 237 del 2009, la Corte ha precisato che, in materia di coordinamento della finanza pubblica, i principi comprendono anche «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto le finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali».
Nel caso di specie, secondo la difesa statale, le disposizioni introdotte dalla norma in oggetto interverrebbero in un ambito delimitato della materia «protezione civile» (quello relativo agli eventi di rilevanza soltanto locale), fissando l’obiettivo del preventivo concorso della finanza regionale nel sostenere le spese di esercizio delle funzioni regionali, nonché, con riferimento alla materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, l’obiettivo di un riequilibrio della finanza pubblica, finora gravata dai costi della generalizzata socializzazione degli oneri derivanti da eventi emergenziali di portata soltanto locale.
L’Avvocatura generale dello Stato richiama le affermazioni della Corte costituzionale a proposito «dell’obbligo generale di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica» (sentenze n. 190 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007), sottolineando come, nella specie, la transitorietà del contenimento complessivo, secondo quanto indicato dalla stessa Corte (sentenze n. 297 del 2009 e n. 289 del 2008), sia insita nella situazione emergenziale.
Di qui la conclusione che l’eventuale impatto della norma censurata sull’autonomia finanziaria regionale si tradurrebbe in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale» (sono richiamate le sentenze n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).
7.2.3.— La difesa statale reputa non fondata anche la censura prospettata dalle ricorrenti in riferimento all’art. 119, quinto comma, Cost., sotto il profilo della violazione del dovere solidaristico che sarebbe imposto dal predetto parametro, richiamato, in alcuni ricorsi (Liguria, Basilicata, Puglia, Abruzzo), unitamente all’art. 2 Cost.
A parte il rilievo sulla non compiuta attuazione dell’art. 119 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato osserva come il principio sancito dal quinto comma non riguardi gli eventi emergenziali, bensì «obiettivi di carattere programmatico relativi a consolidate realtà territoriali variamente deficitarie o complesse […], sotto il profilo socio economico, infrastrutturale, di conformazione del territorio, di tutela del patrimonio storico ed artistico».
In tal senso deporrebbe la previsione contenuta nell’art. 16 della legge n. 42 del 2009, che, nell’indicare i principi e criteri direttivi per «gli interventi di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione», stabilisce, tra l’altro, che tali interventi – «finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali» – siano attuati «secondo il metodo della programmazione pluriennale».
Il parametro evocato non potrebbe pertanto fondare il preteso obbligo dello Stato di finanziare direttamente, ed in via esclusiva, gli oneri derivanti dall’esercizio della funzione di protezione civile per eventi emergenziali di rilevanza locale.
In ogni caso poi, secondo la difesa statale, il percorso graduale di reperimento delle risorse finanziarie, delineato dalle norme impugnate, sarebbe in linea con il principio di responsabilità sussidiaria dello Stato, sancito dall’art. 119 Cost., nonché con il più generale principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
7.2.4.— Per ragioni in parte analoghe, sarebbe insussistente anche la violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, prospettata da alcune ricorrenti (Liguria, Basilicata, Puglia e Abruzzo), sul rilievo che le norme censurate irragionevolmente porrebbero maggiori oneri a carico delle popolazioni già colpite dall’emergenza, discriminando i contribuenti su base territoriale.
La difesa statale ribadisce che il ricorso ad una maggiore pressione fiscale è previsto come eventuale, graduale e contenuto nei limiti massimi già fissati dalla legge, e non coinvolge i soggetti danneggiati, per i quali è sospeso o differito ogni adempimento e versamento, ai sensi dell’art. 5, comma 5-ter, della legge n. 225 del 1992. Così precisato, il contenuto della nuova disciplina non risulterebbe affatto irragionevole né discriminante. Limitatamente a quanto prospettato nel ricorso della Regione Puglia, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la questione in oggetto, nella parte in cui fa riferimento al principio della capacità contributiva dei cittadini dei territori interessati dall’evento, sarebbe inammissibile prima ancora che non fondata, per la mancata evocazione dell’art. 53 Cost.
7.2.5.— Ad avviso della difesa statale risulterebbe non fondata pure la questione prospettata in riferimento agli artt. 23, 121 e 123 Cost., dalla sola Regione Liguria. Secondo la ricorrente, le disposizioni censurate, nella parte in cui individuano nel Presidente della Regione colpita dall’evento calamitoso l’organo competente a disporre l’aumento del prelievo fiscale, si porrebbero in contrasto con il principio di legalità, violando anche l’autonomia statutaria regionale e il riparto delle competenze tra organi regionali.
In senso contrario, l’Avvocatura generale dello Stato osserva come, per un verso, il rispetto del principio di legalità sia assicurato dall’essere già previsto, con legge, il limite massimo entro il quale può disporsi l’aumento della pressione fiscale, e, per altro verso, l’intervento del Presidente della Regione rientri tra quei «mezzi e poteri straordinari» necessari – e per questo consentiti – per fronteggiare gli eventi emergenziali di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992. La titolarità del potere riconosciuto dalla citata norma è affidata al Presidente della Regione come organo rappresentativo dell’ente responsabile della politica locale, in conformità alle regole sul riparto di competenze dettate dall’art. 121 Cost.
7.2.6.— Del pari non fondata sarebbe, sempre secondo la difesa statale, la questione sollevata da tutte le ricorrenti in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, primo comma, Cost., e al principio di leale collaborazione.
A parere delle Regioni che hanno promosso gli odierni giudizi, la normativa impugnata violerebbe gli indicati parametri nella parte in cui, disciplinando la materia di legislazione concorrente della protezione civile, non prevede alcuna forma di concertazione ai fini della valutazione della rilevanza nazionale dell’evento, da cui discende la possibilità, per la Regione colpita, di accedere in via prioritaria e non sussidiaria al Fondo nazionale di protezione civile.
L’Avvocatura generale dello Stato segnala come, in realtà, l’invocato principio di leale collaborazione sia assicurato dalla previsione dell’intesa nella fase di deliberazione dello stato di emergenza, secondo quanto previsto dall’art. 107, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 112 del 1998.
L’assunto troverebbe conferma nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2011, nella quale, a proposito della deliberazione dello stato di emergenza, è previsto che «le Regioni forniscano elementi conoscitivi al Dipartimento della protezione civile […] per un’approfondita verifica dei presupposti che giustificano la dichiarazione dello stato d’emergenza». Sarebbe in tal modo garantito il momento partecipativo e collaborativo delle Regioni nella qualificazione dell’evento come di «rilevanza nazionale», ai fini dell’accesso diretto al finanziamento statale.
Peraltro, nemmeno in caso di eventi emergenziali localmente circoscritti l’accesso al Fondo nazionale di protezione civile risulterebbe rimesso ad una “valutazione politica” del Governo, dovendosi collegare la possibilità di accesso, prevista dal comma 5-quinquies, alla circostanza che la Regione interessata abbia effettivamente assunto le iniziative di sua competenza previste nel comma 5-quater.
A tale proposito, nella citata direttiva si legge che «le amministrazioni regionali, quindi, potranno richiedere al Dipartimento della protezione civile l’attivazione delle misure di cui al comma 5-quinquies, attestando di avere concretamente esperito le iniziative di propria competenza di cui al comma 5-quater […]. Il Dipartimento della protezione civile verifica la disponibilità del Fondo per la protezione civile e qualora tale Fondo fosse inadeguato, inoltrerà al Ministero dell’economia e delle finanze una motivata richiesta di attivazione del Fondo di cui all’art. 28 della legge n. 196 del 2009, fornendo allo stesso Ministero gli elementi dimostrativi sia del fabbisogno che dell’oggettiva impossibilità di farvi fronte con l’attivazione delle richiamate iniziative, ai fini della valutazione circa l’attivazione del Fondo per le spese impreviste».
8.— In prossimità dell’udienza, le Regioni Liguria, Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana hanno depositato memorie nelle quali contestano quanto affermato dalla difesa statale ed insistono nelle conclusioni già rassegnate nei rispettivi ricorsi.
Considerato in diritto
1.— Le Regioni Liguria (reg. ric. n. 38 del 2011), Basilicata (reg. ric. n. 39 del 2011), Puglia (reg. ric. n. 40 del 2011), Marche (reg. ric. n. 41 del 2011), Abruzzo (reg. ric. n. 42 del 2011) e Toscana (reg. ric. n. 43 del 2011) hanno promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), per violazione, nel complesso, degli articoli 1, 2, 3, 23, 77, 117, 118, 119, 121 e 123 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione.
I giudizi, in considerazione della loro connessione oggettiva devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.
2.— Preliminarmente, occorre rilevare che le Regioni Liguria e Basilicata hanno impugnato genericamente i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies della legge n. 225 del 1992, mentre le Regioni Puglia, Marche, Abruzzo e Toscana hanno impugnato l’intero comma 5-quater ed il solo primo periodo del comma 5-quinquies.
In ogni caso, anche le Regioni Liguria e Basilicata appuntano, nella sostanza, le proprie censure sul solo primo periodo del comma 5-quinquies, per cui deve ritenersi che esso costituisca l’oggetto dell’impugnativa regionale.
3.— La questione sollevata in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost., è ammissibile e fondata.
3.1.— Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto ammissibili le questioni di legittimità costituzionale prospettate da una Regione, nell’ambito di un giudizio in via principale, in riferimento a parametri diversi da quelli, contenuti nel Titolo V della Parte seconda della Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo Stato e le Regioni, quando sia possibile rilevare la ridondanza delle asserite violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione (ex plurimis, sentenze n. 128 del 2011, n. 326 del 2010, n. 116 del 2006, n. 280 del 2004).
Con riferimento all’art. 77 Cost., questa Corte ha ribadito in parte qua la giurisprudenza sopra ricordata, riconoscendo che le Regioni possono impugnare un decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del medesimo art. 77, «ove adducano che da tale violazione derivi una compressione delle loro competenze costituzionali» (sentenza n. 6 del 2004).
Nella fattispecie, la Regione Liguria, che ha sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., motiva la ridondanza della suddetta censura sulle proprie attribuzioni costituzionali, facendo leva sul fatto che le norme impugnate incidono su un ambito materiale di competenza legislativa concorrente («protezione civile»). Attraverso il ricorso al decreto-legge, lo Stato avrebbe vincolato le Regioni utilizzando uno strumento improprio, ammesso dalla Costituzione per esigenze del tutto diverse; inoltre, l’approvazione di una nuova disciplina “a regime”, attraverso la corsia accelerata della legge di conversione, pregiudicherebbe la possibilità per le Regioni di rappresentare le proprie esigenze nel procedimento legislativo.
Questa Corte condivide l’individuazione, operata dalla suddetta ricorrente, dell’ambito materiale di incidenza delle norme impugnate, con la conseguenza che la violazione denunciata risulta potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).
Ricorrono, quindi, le condizioni per prendere in esame la questione relativa alla pretesa violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. da parte delle norme statali impugnate.
3.2.— Preliminarmente, occorre osservare che le disposizioni oggetto di ricorso sono state introdotte nel corpo del d.l. n. 225 del 2010 per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione. Esse non facevano parte, pertanto, del testo originario del decreto-legge sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica.
Va rilevato altresì che le disposizioni di cui sopra regolano i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di protezione civile non con riferimento ad uno o più specifici eventi calamitosi, o in relazione a situazioni già esistenti e bisognose di urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992. Si tratta quindi di una normativa “a regime”, del tutto slegata da contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge denominato «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie».
Il preambolo di tale atto con forza di legge così recita: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di adottare misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, al fine di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti». Le disposizioni impugnate sono state inserite, in sede di conversione, nell’art. 2, nella cui rubrica si legge: «Proroghe onerose di termini».
Da quanto sopra esposto risulta palese l’estraneità delle norme impugnate rispetto all’oggetto e alle finalità del decreto-legge cosiddetto “milleproroghe”, in quanto si tratta di un frammento, relativo ai rapporti finanziari, della disciplina generale e sistematica, tuttora mancante, del riparto delle funzioni e degli oneri tra Stato e Regioni in materia di protezione civile.
3.3.— Questa Corte ha individuato, tra gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere», la «evidente estraneità» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (sentenza n. 171 del 2007; in conformità, sentenza n. 128 del 2008).
La giurisprudenza sopra richiamata collega il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare.
Da quanto detto si trae la conclusione che la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità. Ai sensi del secondo comma dell’art. 77 Cost., i presupposti per l’esercizio senza delega della potestà legislativa da parte del Governo riguardano il decreto-legge nella sua interezza, inteso come insieme di disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo.
L’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di cui alla norma costituzionale citata. Il presupposto del «caso» straordinario di necessità e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza, anche se articolato e differenziato al suo interno. La scomposizione atomistica della condizione di validità prescritta dalla Costituzione si pone in contrasto con il necessario legame tra il provvedimento legislativo urgente ed il «caso» che lo ha reso necessario, trasformando il decreto-legge in una congerie di norme assemblate soltanto da mera casualità temporale.
L’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) – là dove prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» – pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, e non potendo quindi assurgere a parametro di legittimità in un giudizio davanti a questa Corte, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost., il quale impone il collegamento dell’intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi dell’eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza previa delegazione da parte del Parlamento.
3.4.— I cosiddetti decreti “milleproroghe”, che, con cadenza ormai annuale, vengono convertiti in legge dalle Camere, sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Del tutto estranea a tali interventi è la disciplina “a regime” di materie o settori di materie, rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all’art. 71 Cost. Ove le discipline estranee alla ratio unitaria del decreto presentassero, secondo il giudizio politico del Governo, profili autonomi di necessità e urgenza, le stesse ben potrebbero essere contenute in atti normativi urgenti del potere esecutivo distinti e separati. Risulta invece in contrasto con l’art. 77 Cost. la commistione e la sovrapposizione, nello stesso atto normativo, di oggetti e finalità eterogenei, in ragione di presupposti, a loro volta, eterogenei.
4.— La necessaria omogeneità del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in relazione all’apprezzamento politico, operato dal Governo e controllato dal Parlamento, del singolo caso straordinario di necessità e urgenza, deve essere osservata dalla legge di conversione.
4.1.— Il principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge è pienamente recepito dall’art. 96-bis, comma 7, del regolamento della Camera dei deputati, che dispone: «Il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge».
Sulla medesima linea si colloca la lettera inviata il 7 marzo 2011 dal Presidente del Senato ai Presidenti delle Commissioni parlamentari, nonché, per conoscenza, al Ministro per i rapporti con il Parlamento, in cui si esprime l’indirizzo «di interpretare in modo particolarmente rigoroso, in sede di conversione di un decreto-legge, la norma dell’art. 97, comma 1, del regolamento, sulla improponibilità di emendamenti estranei all’oggetto della discussione», ricordando in proposito il parere espresso dalla Giunta per il regolamento l’8 novembre 1984, richiamato, a sua volta, dalla circolare sull’istruttoria legislativa nelle Commissioni del 10 gennaio 1997.
Peraltro, il suddetto principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge è stato richiamato nel messaggio del 29 marzo 2002, con il quale il Presidente della Repubblica, ai sensi dell’art. 74 Cost., ha rinviato alle Camere il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4 (Disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l’agricoltura), e ribadito nella lettera del 22 febbraio 2011, inviata dal Capo dello Stato ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio dei ministri nel corso del procedimento di conversione del decreto-legge oggetto degli odierni giudizi.
4.2.— Si deve ritenere che l’esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario non risponda soltanto ad esigenze di buona tecnica normativa, ma sia imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario.
Innanzitutto, il disegno di legge di conversione del decreto-legge appartiene alla competenza riservata del Governo, che deve presentarlo alle Camere «il giorno stesso» della emanazione dell’atto normativo urgente. Anche i tempi del procedimento sono particolarmente rapidi, giacché le Camere, anche se sciolte, sono convocate appositamente e si riuniscono entro cinque giorni. In coerenza con la necessaria accelerazione del procedimento, i regolamenti delle Camere prevedono norme specifiche, mirate a consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di sessanta giorni.
Il Parlamento è chiamato a convertire, o non, in legge un atto, unitariamente considerato, contenente disposizioni giudicate urgenti dal Governo per la natura stessa delle fattispecie regolate o per la finalità che si intende perseguire. In definitiva, l’oggetto del decreto-legge tende a coincidere con quello della legge di conversione.
Non si può tuttavia escludere che le Camere possano, nell’esercizio della propria ordinaria potestà legislativa, apportare emendamenti al testo del decreto-legge, che valgano a modificare la disciplina normativa in esso contenuta, a seguito di valutazioni parlamentari difformi nel merito della disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in vista delle medesime finalità. Il testo può anche essere emendato per esigenze meramente tecniche o formali. Ciò che esorbita invece dalla sequenza tipica profilata dall’art. 77, secondo comma, Cost., è l’alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta, possieda tale caratteristica (in caso contrario, si porrebbero i problemi esaminati nel paragrafo 3.3 e risolti dalla giurisprudenza costituzionale ivi richiamata).
In definitiva, l’innesto nell’iter di conversione dell’ordinaria funzione legislativa può certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione. Se tale legame viene interrotto, la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali condizioni preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge.
La Costituzione italiana disciplina, nelle loro grandi linee, i diversi procedimenti legislativi e pone limiti e regole, da specificarsi nei regolamenti parlamentari. Il rispetto delle norme costituzionali, che dettano tali limiti e regole, è condizione di legittimità costituzionale degli atti approvati, come questa Corte ha già affermato a partire dalla sentenza n. 9 del 1959, nella quale ha stabilito la propria «competenza di controllare se il processo formativo di una legge si è compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente regola tale procedimento».
Considerato che le norme impugnate nel presente giudizio, inserite nel corso del procedimento di conversione del d.l. n. 225 del 2010, sono del tutto estranee alla materia e alle finalità del medesimo, si deve concludere che le stesse sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
5.— Come s’è detto al paragrafo 3.1, l’ammissibilità della censura riferita alla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., dipende dalla denunciata lesione, ad opera delle norme impugnate, di competenze costituzionalmente tutelate delle Regioni ricorrenti. Lo scrutinio delle censure di merito dimostra, peraltro, che alcune delle questioni sollevate sono fondate, come di seguito specificato.
5.1.— Le questioni sollevate in riferimento all’art. 119, commi primo, quarto e quinto sono fondate.
5.2.— In relazione al primo comma dell’art. 119 Cost., si deve osservare che le norme impugnate, in quanto impongono alle Regioni di deliberare gli aumenti fiscali in esse indicati per poter accedere al Fondo nazionale della protezione civile, in presenza di un persistente accentramento statale del servizio, ledono l’autonomia di entrata delle stesse. Parimenti, le suddette norme ledono l’autonomia di spesa, poiché obbligano le Regioni ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (Servizio nazionale di protezione civile), per l’esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi, corrispondenti a loro specifiche competenze fissate nella legislazione vigente.
5.3.— Risulta violato altresì il quarto comma dell’art. 119 Cost., sotto il profilo del legame necessario tra le entrate delle Regioni e le funzioni delle stesse, poiché lo Stato, pur trattenendo per sé le funzioni in materia di protezione civile, ne accolla i costi alle Regioni stesse.
5.4.— Peraltro, l’obbligo di aumento pesa irragionevolmente sulla Regione nel cui territorio si è verificato l’evento calamitoso, con la conseguenza che le popolazioni colpite dal disastro subiscono una penalizzazione ulteriore. Né vale obiettare – come ha fatto la difesa statale – che i soggetti danneggiati non verrebbero coinvolti nell’aumento della pressione fiscale, in quanto per gli stessi è sospeso o differito ogni adempimento o versamento, ai sensi dell’art. 5, comma 5-ter, della legge n. 225 del 1992. Se infatti gli adempimenti ed i versamenti sono sospesi o differiti, le obbligazioni cui si riferiscono rimangono valide e vincolanti; tra queste rientrano gli aumenti tributari previsti dalle norme impugnate, che, scaduti i termini di sospensione o di differimento, finirebbero per gravare, pro quota, anche sulle popolazioni colpite dalla catastrofe, le quali dalle istituzioni riceverebbero in tal modo una risposta non coerente con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.
5.5.— Le norme censurate contraddicono inoltre la ratio del quinto comma dell’art. 119 Cost.: le stesse, anziché prevedere risorse aggiuntive per determinate Regioni «per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (quali sono quelli derivanti dalla necessità di fronteggiare gli effetti sulle popolazioni e sul territorio di eventi calamitosi improvvisi ed imprevedibili), al contrario, impongono alle stesse Regioni di destinare risorse aggiuntive per il funzionamento di organi e attività statali.
6.— La previsione contenuta nel comma 5-quater, secondo cui «il Presidente della regione interessata» è autorizzato a deliberare gli aumenti fiscali ivi previsti, si pone in contrasto con l’art. 23 Cost., in quanto viola la riserva di legge in materia tributaria, e con l’art. 123 Cost., poiché lede l’autonomia statutaria regionale nell’individuare con norma statale l’organo della Regione titolare di determinate funzioni (ex plurimis, sentenze n. 201 del 2008, n. 387 del 2007).
7.— Sono assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale prospettati dalle Regioni ricorrenti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell’art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 febbraio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2012.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: MELATTI