ORDINANZA N. 42
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numero 1), della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), promosso dal Tribunale ordinario di Verbania nel procedimento penale a carico di S. L., con ordinanza del 14 novembre 2018, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione di S. L.;
udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2020 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;
udito l’avvocato Ilario Albertella per S. L.;
deliberato nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2020.
Ritenuto che, con ordinanza del 14 novembre 2018, il Giudice del Tribunale ordinario di Verbania ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numero 1), della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), «nella parte in cui prevede obbligatoriamente l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida in ipotesi di estinzione del reato di cui all’art. 590-bis c.p. a seguito di esito positivo della sospensione del procedimento con messa alla prova»;
che il rimettente riferisce di procedere nei confronti di una persona imputata del delitto di lesioni personali stradali gravi o gravissime, in relazione a una condotta non aggravata di cui al primo comma dell’art. 590-bis del codice penale;
che il difensore dell’imputato ha tempestivamente formulato la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, producendo attestazione della presentazione della richiesta all’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) competente per l’elaborazione del programma, rispetto al quale il pubblico ministero ha formulato parere favorevole;
che, ad avviso del giudice a quo, anche «in ipotesi di sospensione del procedimento con messa alla prova con esito positivo, a cui consegua l’estinzione del reato, ai sensi dell’art. 168-ter II° comma c.p., il giudice è comunque tenuto all’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge»;
che, pertanto, sussisterebbe «la rilevanza, nel presente processo, della questione che si prospetta»;
che, infatti, l’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 41 del 2016 ha, tra l’altro, modificato l’art. 222 cod. strada, introducendo, al quarto periodo del comma 2, la previsione dell’applicazione obbligatoria in caso di condanna, anche condizionalmente sospesa, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida;
che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui «in base al combinato disposto con la norma di cui all’art. 168-ter, comma 2 c.p.» rende obbligatoria l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida anche nell’ipotesi di estinzione del reato di cui all’art. 590-bis cod. pen., per esito positivo della messa alla prova ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.;
che la scelta del legislatore si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, di proporzionalità e di uguaglianza in quanto, eliminando la previsione della possibilità di applicare la più tenue sanzione della sospensione della patente di guida, sottopone alla medesima sanzione accessoria, senza possibilità di graduazione, situazioni ontologicamente diverse, quali le lesioni gravi, le lesioni gravissime e l’omicidio colposo, derivanti dalla violazione di norme del codice della strada;
che, in particolare, la lesione dei richiamati principii deriverebbe dalla diversità delle condotte, attestata dalla notevole differenziazione delle sanzioni penali, graduate in funzione del diverso disvalore sociale degli illeciti in rapporto all’evidente, differente, intensità dell’offesa ai beni giuridici della vita e dell’incolumità individuale;
che, con atto del 27 maggio 2019, si è costituito in giudizio l’imputato S. L., chiedendo che la questione sia dichiarata ammissibile e fondata;
che, in particolare, osserva che, anche in caso di sentenza dichiarativa di estinzione del reato, per esito positivo della messa alla prova, il giudice sarebbe chiamato a dare applicazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, ai sensi della disposizione censurata;
che, richiamando la sentenza di questa Corte n. 88 del 2019, afferma come l’indifferenziato automatismo risulti vieppiù irragionevole nel caso di specie.
Considerato che la sollevata questione di legittimità costituzionale – avente ad oggetto l’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numero 1), della legge 23 marzo 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274), per plurimi motivi, è manifestamente inammissibile;
che, in particolare, il rito speciale in esame, previsto e disciplinato dagli artt. 168-bis e seguenti del codice penale e dagli artt. 464-bis e seguenti del codice di procedura penale, introdotti, rispettivamente, dall’art. 3, comma 1, e dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), si snoda secondo un articolato procedimento;
che, infatti, ai fini che qui rilevano, l’imputato, ai sensi dell’art. 464-bis cod. proc. pen., può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova mediante la presentazione dell’istanza al giudice, corredata da un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) oppure, dalla richiesta di elaborazione di un programma di trattamento;
che, secondo quanto previsto dall’art. 464-quater cod. proc. pen., alla formulazione della richiesta segue l’effettiva elaborazione del programma di trattamento e, poi, la decisione del giudice in ordine all’idoneità del medesimo;
che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta con ordinanza soltanto dopo che il giudice abbia ritenuto idoneo il trattamento, in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., e abbia ritenuto che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati, sempreché non debba pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.;
che il procedimento non può essere sospeso per un periodo superiore a due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, e per un periodo superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria;
che, infine, decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen., dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo;
che, nel caso di specie, il rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla base della mera richiesta, formulata dall’imputato, di essere ammesso al rito speciale della sospensione del procedimento con messa alla prova;
che, quindi, nel giudizio a quo, il rimettente non deve decidere sulla estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen., non avendo il rimettente neppure emesso l’ordinanza di sospensione del procedimento;
che, dunque, la sentenza di estinzione del reato, per il possibile esito positivo della messa alla prova, cui conseguirebbe, ad avviso del giudice a quo, l’applicazione obbligatoria della sanzione accessoria amministrativa della revoca della patente di guida, si presenta come meramente eventuale;
che, pertanto, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la questione è irrilevante e, dunque, inammissibile perché sollevata in via meramente ipotetica e astratta (ex multis, sentenza n. 217 del 2019; ordinanze n. 259 del 2016 e n. 96 del 2014);
che, inoltre, il giudice a quo muove dal presupposto secondo cui l’art. 168-ter, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone che l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova «non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge», implichi che il giudice sia comunque tenuto all’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge;
che sulla base di tale interpretazione della norma censurata, il rimettente ha sollevato la questione di legittimità, nella convinzione di essere obbligato ad applicare, anche in caso di eventuale sentenza di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, anziché la più tenue sanzione della sospensione della stessa;
che, il rimettente – a prescindere dalla recente sentenza n. 88 del 2019 con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata nel presente giudizio, nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen., il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada, allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis cod. pen. – ha omesso di considerare il quadro normativo e giurisprudenziale in ordine alle conseguenze della dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova sull’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie;
che, infatti, il giudice a quo non si è confrontato con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, ai sensi dell’art. 168-ter cod. pen., prescindendo dell’accertamento della responsabilità penale, comporta che il giudice non debba applicare la sanzione amministrativa accessoria della revoca o della sospensione della patente di guida, di competenza, invece, del prefetto, ai sensi dell’art. 224, comma 3, cod. strada (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 25 maggio-14 giugno 2017, n. 29796; sezione quarta penale, sentenze 24 novembre-14 dicembre 2016, n. 52868, e 17 settembre-5 ottobre 2015, n. 40069);
che, analogo principio è stato, altresì, affermato con riferimento alla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 10 maggio-14 giugno 2018, n. 27405);
che, peraltro, anche in riferimento alla pronunzia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., la Corte di cassazione, ha statuito che «quando manca una pronunzia di condanna o di proscioglimento, le sanzioni amministrative riprendono la loro autonomia ed entrano nella sfera di competenza dell’amministrazione pubblica» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 febbraio-6 aprile 2016, n. 13681);
che, infine, il rimettente ha, altresì, omesso di considerare il quadro normativo delineato dalle disposizioni di cui gli artt. 221, 224 e 224-ter cod. strada, dalle quali si ricava il riespandersi dell’autonomia della sanzione amministrativa accessoria in caso di estinzione del reato;
che, anche questa Corte, quanto alla natura dell’istituto della messa alla prova, ha affermato che si tratta di «una considerazione della responsabilità dell’imputato», in via incidentale e allo stato degli atti perché l’accertamento definitivo è rimesso all’eventuale prosieguo del giudizio, nel caso di esito negativo della prova (sentenza n. 68 del 2019); e ha, inoltre, precisato che «se è vero che nel procedimento con messa alla prova manca una condanna, è anche vero che correlativamente manca un’attribuzione di colpevolezza: nei confronti dell’imputato e su sua richiesta (non perché è considerato colpevole), in difetto di un formale accertamento di responsabilità, viene disposto un trattamento alternativo alla pena che sarebbe stata applicata nel caso di un’eventuale condanna» (sentenza n. 91 del 2018);
che, dunque, il rimettente ha erroneamente presupposto che l’art. 168-ter, comma 2, cod. pen, si riferisse al giudice e non, piuttosto, all’autorità amministrativa competente a irrogare la sanzione amministrativa accessoria, nei casi previsti dalla legge;
che, quindi, l’omessa ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento ha minato irrimediabilmente l’iter logico argomentativo posto a fondamento della questione di legittimità costituzionale in quanto, se il rimettente avesse considerato le norme del codice della strada e il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, in caso di esito positivo della messa alla prova, non avrebbe ritenuto di dover applicare la sanzione amministrativa accessoria, ma avrebbe dovuto investire il prefetto, quale autorità competente a irrogare le sanzioni della sospensione e della revoca della patente di guida, ai sensi degli artt. 218 e 219 cod. strada;
che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’omessa considerazione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento determina l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale (ex plurimis, ordinanze n. 59 del 2019, n. 136 del 2018, n. 88 del 2017 e n. 92 del 2015).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 222, comma 2, quarto periodo, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 1, comma 6, lettera b), numero 1), della legge 23 marzo 2016, n. 41, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice del Tribunale ordinario di Verbania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 febbraio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA