SENTENZA N. 1 ANNO 2020

SENTENZA N. 1

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Aldo CAROSI; Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dal giudice delegato del Tribunale ordinario di Udine nella procedura fallimentare vertente tra Roberto Totis e altri e fallimento della Elettro Impianti srl, con ordinanza del 20 giugno 2018, iscritta al n. 185 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 novembre 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 20 giugno 2018 il giudice delegato del Tribunale ordinario di Udine alla procedura fallimentare ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), «nella parte in cui estende anche al credito per rivalsa IVA il privilegio generale ivi attribuito al credito per le retribuzioni dei professionisti».

Il rimettente riferisce di dover decidere, in qualità di giudice delegato al fallimento, sulle domande di ammissione dei crediti al passivo proposte, rispettivamente, dall’ingegnere Roberto Totis, dal consulente del lavoro Paolo Tam e dalla commercialista Michela Marano.

In premessa, il rimettente circoscrive l’ambito della questione, puntualizzando che la censura non investe il privilegio riconosciuto ai crediti riguardanti la retribuzione dei professionisti e il contributo integrativo previdenziale.

Secondo il giudice a quo – posto che le cause legittime di prelazione costituiscono deroghe all’eguale diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore (art. 2741 cod. civ.) e che la sindacabilità sotto il profilo della violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza delle norme che prevedono tali deroghe è stata affermata dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 451 e n. 1 del 1998) – l’estensione al credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) della causa di prelazione, già prevista per il credito da retribuzione «dei professionisti» prima della modifica introdotta dall’art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017, non pare rispettare tali principi perché, limitando il beneficio dell’estensione del privilegio al solo credito per rivalsa dei «professionisti», riserva un trattamento differenziato rispetto a situazioni analoghe previste dallo stesso art. 2751-bis cod. civ. E infatti, è letteralmente escluso «ogni altro prestatore d’opera» (numero 2) e, soprattutto, non è prevista «un’analoga estensione alla rivalsa IVA del privilegio attribuito al credito retributivo degli agenti (n. 3), del coltivatore diretto (n. 4), dell’artigiano e della cooperativa (n. 5) e delle cooperative agricole (n. 5-bis)».

In tal modo, il legislatore ha introdotto una disuguaglianza di diritto tra professionisti e altre categorie di lavoratori il cui privilegio non si estende alla rivalsa IVA.

In punto di rilevanza, il rimettente, richiamando quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, osserva che, sebbene i crediti dei ricorrenti siano sorti prima dell’entrata in vigore del testo novellato dell’art. 2751-bis cod. civ., «secondo i principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla gradazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere» (sono citate le sentenze n. 176 del 2017 e n. 170 del 2013).

Ricorda poi che il giudice delegato al fallimento, in sede di formazione dello stato passivo, è chiamato ad assumere sull’ammissione del credito e sul suo rango una decisione suscettibile di acquisire efficacia di giudicato cosiddetto endofallimentare, non più sindacabile in sede di procedimento di ripartizione dell’attivo liquidato.

2.– Con atto depositato il 22 gennaio 2019, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata in parte inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza e comunque infondata.

Il rimettente, infatti, avrebbe errato nel ritenere che il credito di rivalsa IVA sia sorretto da una causa diversa rispetto agli altri crediti contemplati dall’art. 2751-bis cod. civ. In realtà, l’omesso riconoscimento del privilegio in parola si ripercuote sulla quantificazione del compenso del professionista il quale, in caso di mancata ricezione del relativo importo, è comunque tenuto a emettere fattura per il residuo incassato e versare in relazione ad esso la relativa imposta.

Il legislatore ha inteso correggere un’incongruenza, dato che, in precedenza, per effetto dei limiti propri della disciplina prevista dagli artt. 2758 e 2776 cod. civ., quando la prestazione del professionista non concerneva servizi riferibili a specifici beni, il credito per rivalsa IVA, non potendo operare il privilegio speciale, manteneva la qualità di credito chirografario con conseguente possibile pregiudizio per il professionista.


Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 20 giugno 2018 il giudice delegato del Tribunale ordinario di Udine alla procedura fallimentare ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), «nella parte in cui estende anche al credito per rivalsa IVA il privilegio generale ivi attribuito al credito per le retribuzioni dei professionisti».

Il giudice rimettente deduce la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto la disposizione censurata, estendendo la causa di prelazione del credito costituita dal privilegio mobiliare, accorda una tutela differenziata al credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto (IVA) dei soli «professionisti», trattando diversamente situazioni analoghe pur contemplate dall’art. 2751-bis cod. civ., quali quelle riferibili al credito retributivo di «ogni altro prestatore d’opera» (numero 2), degli agenti (numero 3), del coltivatore diretto (numero 4), dell’artigiano e della cooperativa (numero 5) e delle cooperative agricole (numero 5-bis). In tal modo, la disposizione censurata determinerebbe irragionevolmente un’ingiustificata disparità tra «professionisti» e altre categorie di lavoratori il cui privilegio non si estende alla rivalsa IVA.

2.– Va innanzi tutto rigettata l’eccezione, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza.

Il rimettente – quale giudice delegato al fallimento, la cui legittimazione a sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale è già stata riconosciuta da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 71 del 1994) – si trova a provvedere in ordine alla collocazione del credito per rivalsa IVA di alcuni professionisti, sorti tutti prima della modifica dell’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., ad opera dell’art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017, che ha introdotto le parole «, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto» nel testo previgente. Il testo originario prevedeva soltanto ‒ e prevede tuttora ‒ che hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera dovute per gli ultimi due anni di prestazione.

La sollevata questione di costituzionalità investe l’estensione del privilegio mobiliare al credito di rivalsa per l’IVA dei professionisti. Il giudice rimettente ritiene di dover fare applicazione della disposizione censurata, così come novellata, ancorché i crediti dei professionisti, insinuati al passivo fallimentare, siano tutti precedenti la richiamata modifica normativa del 2017.

È vero che la giurisprudenza di legittimità ritiene che in generale le norme sui privilegi appartengono alla disciplina sostanziale di diritto civile in quanto attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa, il principio generale di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 20 marzo 2015, n. 5685).

Varie sono state le norme in deroga alla regola della non retroattività.

Una significativa deroga fu prevista già dall’art. 66, quinto comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e delle norme in materia di sicurezza sociale), che – innovando profondamente la disciplina del codice civile quanto al privilegio dei crediti per retribuzioni e indennità dovute ai prestatori di lavoro subordinato – dispose che la nuova normativa era applicabile anche ai crediti sorti e fatti valere anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa. Parimenti, in occasione della riforma dei privilegi, l’art. 15 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), aveva previsto che le nuove disposizioni si applicavano anche ai crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa.

Non di meno, l’opposto convincimento del giudice rimettente – secondo cui l’estensione del privilegio mobiliare in esame si applicherebbe (retroattivamente, quindi) anche ai crediti sorti prima della introduzione della norma censurata pur in mancanza di una norma di deroga – può dirsi plausibile, essendo fondato sul richiamo della giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 176 del 2017) che ha affermato che «il privilegio introdotto ex novo dal legislatore è destinato a ricevere immediata applicazione da parte del giudice procedente, anche con riguardo a crediti che – ancorché sorti anteriormente alla legge istitutiva di quel privilegio – vengano, comunque, fatti valere, in concorso con altri, in un momento successivo» (nello stesso senso, sentenze n. 170 del 2013 e n. 325 del 1983).

La plausibilità di questo presupposto interpretativo rende la questione rilevante e quindi ammissibile.

3.– Nel merito la questione non è fondata.

4.– Giova premettere che, nel contesto della generale riforma dei privilegi, operata dalla legge n. 426 del 1975, è stato introdotto l’art. 2751-bis cod. civ., che ha riconosciuto il privilegio generale sui mobili alle retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e a vari crediti che – secondo l’apprezzamento del legislatore – meritavano lo stesso beneficio in ragione della particolare natura del rapporto a cui si riferivano (provvigioni, crediti dei coltivatori diretti, delle società o enti cooperativi e delle imprese artigiane). In particolare, al numero 2) la disposizione prescriveva che avevano privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro «prestatore d’opera intellettuale» dovute per gli ultimi due anni di prestazione.

Il successivo art. 2758 cod. civ., nel testo novellato dalla stessa legge n. 427 del 1975, prevedeva, al secondo comma, che «[e]guale privilegio avevano i crediti di rivalsa verso il cessionario ed il committente previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferiva il servizio».

Una disposizione del tutto analoga era contenuta nell’art. 2772, terzo comma, cod. civ., novellato anch’esso dalla stessa legge n. 427 del 1975, secondo cui «[e]guale privilegio hanno i crediti di rivalsa, verso il cessionario ed il committente, previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, sugli immobili che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio».

Quindi, quanto al regime di prelazione, il credito retributivo del professionista e del lavoratore autonomo era tenuto ben distinto dal credito di natura tributaria per rivalsa dell’IVA calcolata e versata sull’ammontare del compenso fatturato. Il primo era garantito mediante privilegio generale sui mobili (art. 2751-bis, numero 2, cod. civ.); l’altro invece era anch’esso garantito dal privilegio di cui agli artt. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ., ma di fatto rimaneva, il più delle volte, mero credito chirografario perché di solito la prestazione del professionista o del lavoratore autonomo non riguardava un bene, mobile o immobile, oggetto di cessione o al quale si riferisse il servizio o l’attività prestati.

In caso di procedure fallimentari, neppure lo speciale regime della fatturazione dell’IVA metteva il professionista (o lavoratore autonomo) al riparo dalla possibile falcidia – o finanche insoddisfazione – dei crediti chirografari dopo il pagamento dei crediti garantiti. L’art. 6, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), prevede sì che «[l]e prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo» e quindi, in ipotesi, all’atto del pagamento, in sede fallimentare, delle «retribuzioni» dei professionisti (e lavoratori autonomi) quali crediti privilegiati. Ma la giurisprudenza di legittimità è ferma nell’escludere che si tratti di debiti di massa, quali sarebbero ove si riconoscesse che i crediti di rivalsa dell’IVA sorgono solo «in occasione o in funzione delle procedure concorsuali» di cui alla legge fallimentare (art. 111, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa»). Quindi, per i crediti di rivalsa dell’IVA non opera lo speciale regime della prededuzione dei crediti (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 14 marzo 2018, n. 6245).

L’esigenza di protezione delle “retribuzioni” di professionisti (e lavoratori autonomi) è stata avvertita dal legislatore soprattutto in epoca recente, quando il fenomeno del lavoro autonomo, parallelo rispetto all’area del lavoro subordinato (e che da ultimo ha trovato una sistemazione nella legge 22 maggio 2017, n. 81, recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato»), ha acquisito maggiore consistenza e diffusione con varie tipologie contrattuali, riconducibili o contigue alla fattispecie del lavoro parasubordinato.

Per soddisfare questa esigenza di protezione, il legislatore ha dapprima introdotto uno speciale regime di detraibilità dell’importo corrispondente al credito per rivalsa dell’IVA, ove non soddisfatto dal cessionario del servizio al momento del pagamento del corrispettivo; evenienza questa che ben poteva verificarsi in sede fallimentare essendo il corrispettivo assistito da privilegio generale sui mobili, mentre il credito per rivalsa dell’IVA aveva un regime meno favorevole, che molto spesso lasciava quest’ultimo al rango di mero credito chirografario.

L’art. 1, commi 126 e 127, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», infatti, ha inizialmente modificato l’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, quanto alle variazioni in aumento o in diminuzione dell’imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, inserendo tre nuovi commi (quarto, quinto e sesto), i quali hanno introdotto e disciplinato la possibilità per il prestatore del servizio di portare in detrazione l’imposta corrispondente in caso di procedure concorsuali rimaste infruttuose. Sennonché queste norme – applicabili nei casi in cui il cessionario o committente fosse stato assoggettato a una procedura concorsuale successivamente al 31 dicembre 2016 – in realtà non sono mai state operanti perché, con l’art. 1, comma 567, lettera d), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), il legislatore ha stabilito che «i commi 4, 6 e 11 [dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972] sono abrogati e il secondo periodo del comma 5 è soppresso». È stata così ripristinata la regola secondo cui l’emissione di nota di credito IVA – e, dunque, la possibilità di portare in detrazione l’IVA corrispondente alle variazioni in diminuzione, in caso di mancato pagamento connesso a procedure concorsuali – può avvenire solo una volta che dette procedure si sono concluse infruttuosamente; ciò significa, in sostanza, che il corrispettivo della prestazione viene intaccato nella misura in cui il credito per rivalsa dell’IVA rimane insoddisfatto almeno fino a quando non è possibile per il professionista (o lavoratore autonomo) portare tale importo in detrazione dell’IVA.

All’abrogazione di tale disciplina di tutela, mai stata in realtà applicabile, ha però fatto seguito, quasi senza soluzione di continuità, altra disciplina – quella censurata dal giudice rimettente – che risponde alla stessa ratio, seppur con diverso meccanismo giuridico: non già la detrazione, ai fini dell’IVA, dell’importo del credito di rivalsa non soddisfatto, bensì il privilegio generale sui mobili anche per quest’ultimo credito, in luogo del meno favorevole privilegio di cui agli art. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ.

Ed è così che il legislatore della legge di bilancio per l’anno finanziario 2018 (legge n. 205 del 2017) ha previsto, all’art. 1, comma 474, che «[a]ll’articolo 2751-bis, numero 2), del codice civile, dopo le parole: “le retribuzioni dei professionisti” sono inserite le seguenti: “, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto,”».

Per effetto di questo riallineamento, il credito avente ad oggetto il corrispettivo del servizio del “professionista” e il credito per rivalsa dell’IVA hanno lo stesso privilegio generale sui mobili.

5.– Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale – sotto il profilo della disparità di trattamento tra «professionisti» e «ogni altro prestatore d’opera» – non è fondata nei sensi di seguito specificati.

Tale asserita disparità di trattamento è denunciata dal rimettente con riferimento al ritenuto diverso regime previsto per i «professionisti» e per «ogni altro prestatore d’opera», categorie entrambe richiamate nel numero 2) dell’art. 2751-bis cod. civ., ma apparentemente distinte quanto all’estensione del privilegio mobiliare in esame. Infatti, l’innesto operato dal più volte richiamato art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017 si colloca testualmente tra gli uni e gli altri, sì da indurre a ritenere – secondo un’interpretazione strettamente letterale – che si riferisca solo ai «professionisti» e non anche a «ogni altro prestatore d’opera».

Ma siffatta distinzione ha perso significato dopo che questa Corte (sentenza n. 1 del 1998) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., limitatamente alla parola «intellettuale», eliminando così la diversità di disciplina che l’originaria formulazione della disposizione operava tra prestatori d’opera, secondo che quest’ultima fosse «intellettuale» (come per i «professionisti») o no (come era possibile per altri prestatori d’opera). Ha osservato questa Corte: «La disparità di trattamento che, quanto alla garanzia della retribuzione, si viene in tal modo a determinare tra prestatori d’opera intellettuale e non intellettuale, risulta, come osservato dall’unanime dottrina, palesemente irragionevole, attesa l’omogeneità delle categorie di soggetti (e di crediti) messe a confronto e riconducibili allo stesso tipo contrattuale delineato dall’art. 2222 cod. civ.».

L’estensione del privilegio al credito di rivalsa IVA, operata dall’art. 1, comma 474, della legge n. 205 del 2017, benché testualmente collocata a fianco della sola categoria dei «professionisti», non può avere l’effetto – secondo un’interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata al rispetto del principio di eguaglianza – di far rivivere, seppur al limitato effetto dell’estensione del privilegio, una tale distinzione, che sarebbe altrimenti ingiustificata e come tale illegittima.

Deve, quindi, ritenersi che i «professionisti» e «ogni altro prestatore d’opera», intellettuale o no, beneficino tutti della stessa estensione del privilegio mobiliare al credito per rivalsa IVA, prevista dalla disposizione censurata.

6.– Non fondata tout court è invece la questione di legittimità costituzionale sollevata nella parte in cui, in riferimento allo stesso parametro del principio di eguaglianza, il raffronto è fatto con gli altri tertia comparationis indicati dal rimettente, previsti dallo stesso art. 2751-bis cod. civ.

Il principio di eguaglianza viene evocato in malam partem, nel senso che il rimettente assume la specialità del regime del privilegio mobiliare del credito per rivalsa dell’IVA, previsto dall’art. 2751-bis, numero 2), cod. civ., come elemento di ingiustificato trattamento di favore, per professionisti e altri prestatori d’opera, rispetto al regime ordinario (quello degli artt. 2558, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ.) cui sono assoggettati i crediti per rivalsa dell’IVA per altre categorie previste dalla stessa disposizione censurata – agenti (numero 3), coltivatori diretti (numero 4), artigiani e cooperative (numero 5), cooperative agricole (numero 5-bis) – i cui corrispettivi e proventi sono parimenti assoggettati alla medesima imposta.

In passato la stessa disposizione attualmente censurata fu oggetto di una questione di legittimità costituzionale simile, ma in bonam partem, perché sollevata nella parte in cui essa non prevedeva (all’epoca) lo stesso privilegio mobiliare per il credito di rivalsa IVA (ciò che poi il legislatore – come si è detto – ha introdotto nel 2017); questione dichiarata manifestamente inammissibile (ordinanza n. 163 del 1999).

Si è già rilevata la particolare ragione ispiratrice dell’estensione del privilegio mobiliare recata dalla disposizione oggetto di censura: salvaguardare il compenso dei prestatori di lavoro autonomo, che ricade nella generale tutela del lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni» (art. 35, primo comma, Cost.). Questa Corte (sentenza n. 1 del 2000) ha già sottolineato come «la ratio dell’intero articolo 2751-bis cod. civ. sia quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore».

Anche se il credito di rivalsa per l’IVA non può dirsi accessorio del credito retributivo, avendo stricto iure diversa natura, nondimeno l’inadempimento (o ritardato adempimento) del primo comporta, in termini sostanziali, una decurtazione di quest’ultimo; sicché si giustifica, per i «professionisti» e per «ogni altro prestatore d’opera», l’elevazione del regime del privilegio da quello degli art. 2758, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ. – che risultava di fatto poco efficace, mancando quasi sempre un bene mobile o immobile al quale potesse riferirsi il servizio o l’attività prestata – a quello, di maggior favore, posto dalla disposizione censurata (art. 2751-bis, numero 2, cod. civ.). L’estensione del privilegio mobiliare in esame trova specifica giustificazione nell’esigenza di tutela della «prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma» (sentenza n. 1 del 2000).

Ciò di per sé toglie significatività alla comparazione fatta dal giudice rimettente con le altre situazioni contemplate dall’art. 2751-bis cod. civ., quali quelle riferibili al credito retributivo degli agenti (numero 3), del coltivatore diretto (numero 4), dell’artigiano e della cooperativa (numero 5) e delle cooperative agricole (numero 5-bis); situazioni per le quali il credito di rivalsa dell’IVA è assistito dal generale privilegio di cui agli artt. 2558, secondo comma, e 2772, terzo comma, cod. civ., secondo una scelta del legislatore, che non esclude, anche per le categorie suddette, la possibilità di una disciplina di maggior tutela del credito di rivalsa dell’IVA.

7.– In conclusione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., è in parte non fondata nei sensi sopra indicati, essendo possibile un’interpretazione adeguatrice in parte qua della disposizione censurata (supra, punto 5), e per il resto è infondata.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento tra le situazioni contemplate dallo stesso numero 2), dal giudice delegato del Tribunale ordinario di Udine al fallimento, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751-bis, numero 2), del codice civile, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto alle situazioni contemplate dai numeri 3), 4), 5) e 5-bis) dello stesso art. 2751-bis, dal giudice delegato del Tribunale ordinario di Udine al fallimento, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 gennaio 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE