SENTENZA N. 4
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Aldo CAROSI; Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÓ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali), e dell’art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dalla Corte dei conti - sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, con ordinanza del 18 febbraio 2019 iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione del Comune di Napoli;
udito nell’udienza pubblica del 19 novembre 2019 il Giudice relatore Aldo Carosi;
udito l’avvocato Antonio Andreottola per il Comune di Napoli.
Ritenuto in fatto
1.− Con ordinanza del 18 febbraio 2019 la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, e dell’art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in riferimento agli artt. 3, 81, 97, primo comma, 119, sesto comma, e 136 della Costituzione.
Il giudice rimettente riferisce che il Comune di Napoli ha proposto ricorso avverso la delibera della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Campania, n. 107 del 10 settembre 2018, con la quale veniva affermata l’inadeguatezza delle misure correttive adottate dall’amministrazione comunale per la gestione del bilancio e conseguentemente preclusa l’attuazione di alcuni programmi di spesa.
La delibera impugnata costituirebbe una prosecuzione della procedura di controllo avviata con la precedente deliberazione n. 240 del 16 ottobre 2017 della Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Campania, nella quale erano state accertate diverse irregolarità e “criticità”, tra cui l’erroneità del riaccertamento straordinario dei residui, ed era stato prescritto all’amministrazione comunale di provvedere alla sua rideterminazione, a titolo di misure correttive ai sensi dell’art. 148-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), con specifico riferimento alla costituzione e corretta quantificazione del fondo oneri e passività potenziali.
La Giunta comunale, con deliberazione del 20 aprile 2018, n. 170, avrebbe adottato le misure correttive richieste, procedendo alla riedizione del riaccertamento straordinario dei residui e al conseguente ricalcolo dei disavanzi da applicare a ciascun esercizio.
L’esame di tali misure in sede di controllo avrebbe portato all’adozione della richiamata pronuncia del 10 settembre 2018, n. 107, con la quale sono state accertate diverse irregolarità e “criticità” contabili, consistenti nell’errata riedizione del riaccertamento straordinario dei residui; nel conseguente errato calcolo del «maggiore disavanzo»; nella mancata applicazione nell’esercizio 2018 della quota di maggior disavanzo non recuperato nei due esercizi precedenti; nell’inidoneità del piano straordinario di alienazioni a far fronte ai minori trasferimenti erariali che si sarebbero verificati nel 2019 in conseguenza dell’accertata elusione del saldo di finanza pubblica.
In particolare, la sezione regionale di controllo della Corte dei conti avrebbe contestato l’illegittimità dell’azzeramento del fondo anticipazioni liquidità (FAL) disposto dal Comune di Napoli, con imputazione del corrispondente importo al fondo per i crediti di dubbia esigibilità (FCDE), sostenendo che l’art. 1, comma 814, della legge n. 205 del 2017, recante l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 6, del d.l. n. 78 del 2015, non potesse essere interpretato nel senso di legittimare tout court detta “traslazione” di risorse, avendo soltanto riconosciuto la possibilità di retrodatarne la contabilizzazione degli effetti. Secondo la sezione regionale di controllo, un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, integrata dai principi dettati in materia dalla Corte costituzionale, consentirebbe di ritenere ammissibile la misura in questione esclusivamente nei limiti degli incassi in conto residui registrati nell’anno in corso. La sezione di controllo avrebbe adottato in quella sede alcune misure interdittive della spesa, tra le quali la preclusione ad utilizzare con le descritte modalità il fondo anticipazioni liquidità.
Adita la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, il ricorrente avrebbe contestato, tra le altre, la misura interdittiva della utilizzazione del FAL per finanziare il FCDE.
Dinanzi al giudice a quo la Procura generale avrebbe ritenuto infondati tutti i motivi del ricorso promosso dal Comune di Napoli a eccezione di quello riguardante la facoltà di utilizzare le risorse accantonate nel FAL a copertura del FCDE, in quanto il dato testuale delle norme impugnate non consentirebbe l’interpretazione adottata dalla sezione regionale di controllo.
Ad avviso della Procura generale, il quadro normativo vigente suffragherebbe l’esercizio di tale facoltà, sicché l’operato del Comune di Napoli sarebbe in linea con la previsione normativa, oggetto del presente giudizio.
Il giudice rimettente, con sentenza non definitiva, ha quindi respinto tutti i motivi di impugnazione promossi dal Comune di Napoli diversi da quelli relativi alla copertura del FCDE mediante le risorse accantonate nel FAL e, con separata ordinanza, ha sollevato le indicate questioni di legittimità costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio che, tuttavia, è stata accompagnata dall’accoglimento della domanda cautelare del Comune di Napoli in ordine all’applicazione delle norme impugnate, sicché la delibera della sezione regionale di controllo della Corte dei conti è stata privata di effetti in parte qua.
Alla base della decisione assunta dal giudice a quo è la convinzione che l’interpretazione delle richiamate disposizioni fornita dal Comune di Napoli e dalla Procura generale risulterebbe l’unica possibile sulla base dell’inequivocabile formulazione letterale e – tuttavia – tale ineludibile interpretazione susciterebbe dubbi in ordine alla sua conformità a Costituzione.
Secondo il rimettente, infatti, la lettura costituzionalmente orientata della sezione regionale di controllo della Corte dei conti risulterebbe implausibile, ma l’accoglimento della corretta tesi ermeneutica del Comune ricorrente comporterebbe una notevole riduzione, del tutto fittizia, del disavanzo dell’ente locale, effetto che – ad avviso del medesimo giudice – non sarebbe conforme a plurimi precetti costituzionali.
La norma della cui costituzionalità si dubita, consentendo di utilizzare FAL per finanziare il FCDE (o, meglio, trasformando il FAL in FCDE), aggirerebbe importanti principi in tema di diritto del bilancio, in quanto eliminerebbe la sterilizzazione degli effetti dell’anticipazione di liquidità, migliorerebbe surrettiziamente il risultato di amministrazione e aumenterebbe la capacità di spesa degli enti, peggiorando nella sostanza il precedente disavanzo.
La Corte dei conti, sezione delle autonomie, con la deliberazione 17 dicembre 2015, n. 33, avrebbe affermato in proposito la necessità di prevenire tali effetti costituzionalmente illegittimi, chiarendo che «[i]l fondo di sterilizzazione degli effetti delle anticipazioni di liquidità va ridotto, annualmente, in proporzione alla quota capitale rimborsata nell’esercizio».
Secondo il rimettente, la traslazione del fondo anticipazioni di liquidità nel fondo crediti di dubbia esigibilità ne consentirebbe un utilizzo per finalità diverse dalla mera provvista di cassa e, in tal modo, amplierebbe la capacità di spesa dell’ente, violando numerosi principi costituzionali tra i quali quelli dell’equilibrio, della copertura della spesa nonché la “regola aurea” dell’art. 119 Cost., laddove è fatto divieto di indebitarsi per destinazioni diverse dall’investimento.
Aggirando la “sterilizzazione” degli effetti contabili delle anticipazioni di liquidità, diversi e ulteriori rispetto a quelli esercitati sulla cassa, così come sancito dalla Corte dei conti, sezione delle autonomie, nella predetta delibera, sarebbero lesi gli artt. 81 e 97, primo comma, Cost., in quanto un’anticipazione di cassa non potrebbe costituire una valida copertura finanziaria delle spese, determinando gravi danni strutturali al bilancio dell’ente.
Il rimettente illustra poi diffusamente i meccanismi contabili attraverso cui l’applicazione delle disposizioni impugnate consentirebbe di aggirare i vincoli di legge tesi a evitare che un’erogazione destinata a incidere solo sulla cassa dell’ente possa determinare un miglioramento del risultato di amministrazione e conseguentemente un incremento della capacità di spesa, esiziale per la gestione del preesistente deficit e per gli equilibri strutturali del bilancio in prospettiva futura.
Le disposizioni si porrebbero in contrasto anche con il divieto di indebitamento per spese diverse da quelle di investimento, previsto dalla “regola aurea” sancita dall’art. 119, sesto comma, Cost.
Si verificherebbe altresì una violazione dell’art. 136 Cost., per contrasto con il giudicato costituzionale delle sentenze di questa Corte n. 181 del 2015, n. 269 del 2016 e n. 89 del 2017, in cui si afferma che le anticipazioni di liquidità «altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie» e, in quanto tali, esse «non possono finanziare la copertura di disavanzi o spese di pertinenza degli esercizi successivi all’entrata in vigore del d.l. n. 35 del 2013». Proprio per evitare tale risultato sarebbe stata prevista la sterilizzazione di dette anticipazioni tramite il fondo.
I dubbi di legittimità costituzionale riguarderebbero sia la disposizione originaria che quella di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 814, della legge n. 205 del 2017, la quale prevede che l’utilizzo della quota accantonata per il fondo anticipazioni liquidità per finanziare il fondo crediti di dubbia esigibilità si applichi sulle risultanze finali previste nell’allegato 5/2 al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). Poiché le risultanze finali in questione sarebbero quelle che determinano l’ammontare delle risorse disponibili (in caso di avanzo) o di quelle da ricostituire (in caso di disavanzo), ne discenderebbe che il FAL, contrariamente alla sua funzione, sarebbe utilizzato per determinare un aumento della capacità di spesa dell’ente sotto il profilo di un aumento dell’avanzo disponibile oppure di una diminuzione del disavanzo da coprire.
Per tali motivi, secondo il giudice a quo, la norma di interpretazione autentica renderebbe ancor più palese la violazione delle norme costituzionali e confermerebbe che la norma utilizza la quota accantonata nel FAL per incrementare la capacità di spesa degli enti locali.
Osserva, infine, il rimettente che la sezione regionale di controllo della Corte dei conti, per evitare i risultati aberranti che la disposizione comporterebbe e non potendo adire la Corte costituzionale, avrebbe manipolato la norma, aggiungendo alla stessa l’inciso «nella misura massima della riscossione in conto residui, di anno in anno intervenuta». Ma in tal modo sarebbe compiuta un’operazione propria delle sentenze additive della Corte costituzionale, che esulerebbe dai compiti dell’interprete e rientrerebbe in quelli riservati esclusivamente al giudice delle leggi.
2.– Si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, il quale ha concluso nel senso dell’inammissibilità o, comunque, della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Ad avviso dell’amministrazione comunale, l’ordinanza con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale sarebbe influenzata dalla mancata valutazione complessiva degli oneri fatti gravare sul bilancio annuale di esercizio dell’ente locale che ha avuto accesso all’anticipazione di liquidità; il giudice rimettente avrebbe implicitamente reputato l’anticipazione di liquidità erogata agli enti locali come perfettamente sovrapponibile all’anticipazione di liquidità accordata alle Regioni, mentre l’ordinamento contabile declinerebbe in modo differente le due ipotesi.
La relativa disciplina sarebbe dettata, per le Regioni, direttamente dalla legge statale – art. 1, commi 692 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» – mentre, per gli enti locali, dalla deliberazione della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 18 dicembre 2015, n. 33.
Tanto la legge che la citata deliberazione prevederebbero una disciplina analoga relativamente al trattamento dell’anticipazione di liquidità sul bilancio di esercizio dell’anno in cui l’anticipazione è erogata e sul susseguente rendiconto. Tuttavia, la deliberazione imporrebbe ai Comuni di imputare l’impegno riguardante il rimborso dell’anticipazione ai singoli bilanci degli esercizi successivi in cui vengono a scadenza le obbligazioni giuridiche passive corrispondenti alle rate di ammortamento annuali, mentre la relativa copertura finanziaria andrebbe assunta sin dal primo esercizio a valere sulle risorse correnti di competenza a tal fine appositamente individuate ex novo ovvero rese disponibili per effetto di una riduzione strutturale della spesa. Per gli enti locali, dunque, non sarebbe contemplata la possibilità, prevista per le Regioni, di utilizzare il FAL nel bilancio di esercizio. Nella parte spesa di tale bilancio, invece, dovrebbe essere iscritta la quota di rimborso dell’anticipazione di liquidità quale voce da finanziare con ulteriori risorse correnti di competenza o con riduzione della spesa.
Le conseguenze dell’impostazione dell’ordinanza di rimessione sarebbero particolarmente pregiudizievoli per gli enti locali che, come il Comune di Napoli, hanno ricevuto l’anticipazione di liquidità in epoca antecedente all’entrata in vigore della contabilità finanziaria potenziata. Ciò in quanto verrebbe imposto l’assorbimento del maggior disavanzo da riaccertamento straordinario dei residui in un tempo minore rispetto a quello programmato e si produrrebbe una contrazione della capacità di spesa in misura superiore a quella necessaria a garantire la sterilizzazione del FAL. Il Comune sarebbe chiamato ad assorbire nel bilancio di esercizio il proprio maggior disavanzo, non solo della quota annuale di extra-deficit derivante dal riaccertamento straordinario dei residui, ma anche della quota di rimborso dell’anticipazione.
Ad avviso dell’amministrazione comunale, il giudice rimettente non avrebbe tenuto conto di tutti gli aspetti inerenti alle modalità di contabilizzazione del fondo anticipazione liquidità. In particolare, avrebbe omesso di considerare che, per gli enti locali, non sarebbe prevista l’iscrizione del FAL nel bilancio annuale di esercizio, mentre sussisterebbe l’obbligo di finanziarie nel bilancio il rateo di restituzione dell’anticipazione di liquidità con risorse ulteriori rispetto a quelle già accantonate con la creazione del fondo.
Per questo motivo ritiene che la questione sia inammissibile, per la mancata valutazione di un elemento decisivo.
Nel merito, le censure sarebbero, comunque, infondate, atteso che il meccanismo previsto dalla norma in questione escluderebbe ogni effetto espansivo della spesa o riduttivo del disavanzo.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte dei conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, e dell’art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in riferimento agli artt. 3, 81, 97, primo comma, 119, sesto comma, e 136 della Costituzione.
L’art. 2, comma 6, del d.l. n. 78 del 2015 dispone che «[g]li enti destinatari delle anticipazioni di liquidità a valere sul fondo per assicurare la liquidità per pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili di cui all’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, utilizzano la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell’acquisizione delle erogazioni, ai fini dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione».
L’art. 1, comma 814, della legge n. 205 del 2017 stabilisce che «[l]’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, si interpreta nel senso che la facoltà degli enti destinatari delle anticipazioni di liquidità, di cui all’articolo 1 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, di utilizzare la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell’acquisizione delle erogazioni, ai fini dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione, può essere esercitata anche con effetti sulle risultanze finali esposte nell’allegato 5/2 annesso al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, a seguito del riaccertamento straordinario dei residui effettuato ai sensi dell’articolo 3, comma 7, dello stesso decreto legislativo n. 118 del 2011, nonché sul ripiano del disavanzo previsto dal comma 13 del medesimo articolo, limitatamente ai soli enti che hanno approvato il suddetto riaccertamento straordinario a decorrere dal 20 maggio 2015, fermo restando il rispetto dell’articolo 3, comma 8, del medesimo decreto legislativo n. 118 del 2011, il quale prevede che l’operazione di riaccertamento straordinario sia oggetto di un unico atto deliberativo».
Il rimettente, in riferimento dalla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni, muove dal presupposto che: a) il significato delle disposizioni censurate corrisponderebbe al dato testuale e non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata come quella proposta dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Campania, con delibera n. 107 del 10 settembre 2018 e che, peraltro, non è condivisa neppure dal Comune di Napoli, il quale ha proposto impugnazione davanti al giudice rimettente proprio contro la delibera fondata su detta interpretazione; b) condividendo l’interpretazione letterale delle disposizioni censurate – in ciò non discostandosi dall’opzione ermeneutica espressa dal Comune di Napoli e dalla Procura generale – il ricorso dovrebbe essere accolto, con conseguente annullamento della delibera indicata in parte qua; c) dubitando, tuttavia, della legittimità costituzionale delle disposizioni stesse, previa sospensione dell’efficacia della delibera di controllo le indicate questioni di legittimità costituzionale debbono essere rimesse a questa Corte.
Tanto premesso, ad avviso del rimettente: a) l’utilizzazione delle anticipazioni di liquidità per trasformare il fondo anticipazioni di liquidità (FAL) in fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) sarebbe in palese contrasto con alcune pronunce di questa Corte, in particolare con la sentenza n. 181 del 2015, poiché eliminerebbe la sterilizzazione del fondo di liquidità, migliorando in modo fittizio il risultato di amministrazione e provocando un indebito incremento della capacità di spesa dell’ente locale; b) si verificherebbe una violazione patente dell’equilibrio strutturale del bilancio, in contrasto con gli artt. 81 e 97 Cost., poiché, sovrastimando il risultato di amministrazione, si verrebbero a influenzare negativamente tutti gli esercizi futuri. Si realizzerebbe, infatti, un azzeramento o una fortissima riduzione delle poste non impegnabili, che servono a realizzare economie finalizzate a ripristinare gradualmente l’equilibrio compromesso dalla preesistenza di gravi disavanzi; c) dal momento che il prestito costituito dalle anticipazioni di liquidità verrebbe destinato a spese diverse da quelle consentite dalle norme straordinarie contenute nel decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2013, n. 64, risulterebbe violato – al di fuori dell’eccezionale deroga finalizzata a fronteggiare i debiti pregressi – l’art. 119 Cost., che circoscrive le potenzialità di indebitamento alla realizzazione degli investimenti; d) verrebbe altresì violato il principio di ragionevolezza, poiché le norme denunciate consentirebbero di utilizzare il fondo anticipazioni di liquidità per finanziare il fondo crediti di dubbia esigibilità, premiando «l’ente che ha violato l’obbligo di copertura delle spese, perché, avendo fatto maggiore ricorso all’anticipazione di liquidità, vede diminuire il sacrificio economico conseguente al passaggio alla contabilità armonizzata. Al contrario [al]l’ente più virtuoso, che ha rispettato l’obbligo di copertura delle spese e, avendo una buona riscossione e una buona tempistica nei pagamenti, non ha avuto la necessità di ricorrere all’anticipazione di liquidità», rimarrebbe preclusa la possibilità di incrementare la spesa corrente; e) sarebbe violato il giudicato costituzionale in relazione alle sentenze di questa Corte n. 89 del 2017, n. 269 del 2016 e n. 181 del 2015.
1.2.– Il Comune di Napoli, costituito in giudizio, sostiene che: a) le questioni sollevate sono inammissibili perché il giudice rimettente sarebbe incorso nel grave errore di applicare i principi enunciati da questa Corte per le Regioni alla diversa fattispecie inerente agli enti locali e, nel caso in esame, al Comune di Napoli; b) non risulterebbero violati gli artt. 81 e 97 Cost., in quanto la riduzione del disavanzo denunciata dal giudice a quo non sarebbe effetto dell’utilizzo dell’anticipazione di liquidità ma la «conseguenza delle modalità di costruzione» del fondo per i crediti di dubbia esigibilità, che risulterebbe attenuato. Tale effetto sarebbe implicitamente previsto dal legislatore, il quale avrebbe nel tempo mutato più volte le modalità e la base di calcolo per la determinazione dell’ammontare dell’accantonamento a tale ultimo fondo; c) non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 3 Cost., perché gli enti locali che hanno avuto accesso all’anticipazione verserebbero in una situazione di difficoltà economica, spesso generata dal contesto territoriale economicamente depresso. Il miglioramento del risultato di amministrazione consentirebbe agli enti in difficoltà di garantire lo svolgimento dei servizi pubblici, soprattutto di quelli posti a presidio di valori costituzionali. La norma sarebbe volta a tutelare i cittadini residenti nei Comuni con maggiore difficoltà economica, comprovata dall’accesso all’anticipazione di liquidità; d) il Comune di Napoli sarebbe particolarmente svantaggiato poiché avrebbe incamerato le anticipazioni di liquidità prima dell’entrata in vigore del nuovo regime contabile della competenza rafforzata. Con il passaggio dalla vecchia alla nuova contabilità finanziaria, gli enti locali sarebbero stati chiamati a una operazione di riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, la quale, in applicazione delle nuove regole della cosiddetta competenza finanziaria potenziata, avrebbe generato la quantificazione di un maggior disavanzo da ripianare; e) in assenza delle disposizioni impugnate si verificherebbe una contrazione della capacità di spesa dell’ente locale per un valore di gran lunga superiore a quello necessario alla sterilizzazione degli effetti dell’anticipazione di liquidità. L’ente locale, in virtù dei descritti meccanismi contabili, sarebbe tenuto, a differenza di quanto accade per le Regioni, a iscrivere in ogni bilancio di esercizio sia la quota di extra-deficit, sia la rata di restituzione dell’anticipazione di liquidità da finanziare. Nel medesimo esercizio di bilancio il Comune sarebbe chiamato a riassorbire la quota annuale di extra-deficit e a restituire, con risorse ulteriori rispetto all’accantonamento del fondo anticipazioni liquidità, la rata annuale del debito da restituzione dell’anticipazione di liquidità; f) l’interpretazione adottata dal Comune di Napoli sarebbe conforme alla deliberazione della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 18 dicembre 2015, n. 33, che regolerebbe la materia; g) le disposizioni censurate risulterebbero ispirate «alla logica sottesa all’art. 3, comma 2, della Costituzione, essendo volt[e] a tutelare i cittadini residenti nei Comuni con maggiore difficoltà economica – comprovata proprio dall’accesso all’anticipazione di liquidità – attraverso l’attenuazione (o il depotenziamento) del FCDE. Emblematica, al riguardo, [sarebbe] l’analisi comparata tra la situazione economica e la spesa per servizi del Comune di Napoli (terza città d’Italia per popolazione residente) e quella del Comune di Milano (seconda città d’Italia per popolazione residente), il quale, a differenza del primo, non ha richiesto l’anticipazione di liquidità di cui al D.L. n.35/2013»; h) gli enti locali «che operano in territori caratterizzati da una elevata capacità fiscale degli abitanti, riscuot[erebbero] con relativa facilità i propri crediti; di conseguenza, [avrebbero] (in termini percentuali) un FCDE più basso ed una corrispondente maggiore capacità di spesa che restituisce alla cittadinanza servizi adeguati»; i) la scelta di privilegiare l’indebitamento degli enti locali in sofferenza finanziaria sarebbe «tutt’altro che irragionevole e, in ogni caso, pienamente conforme al principio di uguaglianza, ove letto in senso sostanziale, trattandosi di misura in grado di incidere non semplicemente sulla vita degli enti locali, ma su quella dei cittadini amministrati, temperando le differenze di servizi ricevuti dall’ente di prossimità».
2.– È necessario premettere alcune considerazioni circa il petitum dell’ordinanza di rimessione e i concreti effetti che il suo accoglimento sarebbe in grado di produrre sulla gestione del bilancio e sulla futura articolazione del rendiconto del Comune di Napoli.
A tal fine occorre precisare che l’efficacia interdittiva spiegata dalla pronuncia della sezione regionale di controllo della Corte dei conti nei confronti del bilancio del Comune di Napoli, adottata con la deliberazione n. 107 del 2018 citata, è stata sospesa dalle sezioni riunite rimettenti in via cautelare. Ne deriva che la gestione del bilancio comunale, nel periodo di pendenza delle presenti questioni di costituzionalità, si è svolta secondo l’originario assetto deliberato dal Consiglio comunale. Ciò comporta, tra l’altro, che gli impegni di spesa, i pagamenti e, più in generale, le obbligazioni attive e passive sorte in tale periodo intermedio sono state assunte sulla base di norme pienamente vigenti, ancorché sottoposte al giudizio di questa Corte.
3.– Ai fini della presente decisione va sgombrato il campo da alcune contraddizioni ed equivoci generati dalla tecnicità delle disposizioni oggetto del presente giudizio e da alcune inesatte considerazioni del Comune di Napoli in punto di fatto e di diritto.
Il primo equivoco riguarda l’erronea affermazione del Comune di Napoli, secondo cui «la disciplina delle anticipazioni di liquidità degli enti locali è dettata [...] dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti» ai sensi dell’art. 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, mentre quella delle Regioni sarebbe contenuta nell’art. 1, comma 692, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
Quest’ultima disposizione non fa altro che esprimere norme di dettaglio in tema di allocazione di anticipazioni, ma non apporta elementi in grado di incidere sulla ratio dell’istituto come disciplinato dal d.l. n. 35 del 2013, a sua volta interpretato in senso costituzionalmente conforme da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 181 del 2015).
È destituito, poi, di fondamento l’assunto del Comune di Napoli, secondo cui la disciplina delle anticipazioni degli enti locali possa essere determinata dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti. Infatti, questa Corte ha a suo tempo precisato con chiarezza che l’art. 6, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, «nell’attribuire la possibilità di adottare [una] “delibera di orientamento” per il controllo degli enti locali, non affida alcun potere normativo sul controllo degli enti locali alla sezione delle autonomie della Corte dei conti. La norma attribuisce a tale sezione una funzione nomofilattica in caso di interpretazioni difformi tra sezioni regionali della Corte dei conti» (sentenza n. 39 del 2014). Si tratta di una funzione finalizzata a uniformare l’attività consultiva e le tecniche di espressione contabile quando si verificano prassi discordanti su temi di particolare rilevanza. Funzione che mai potrebbe invadere la sfera normativa, che non appartiene – come precisato nella richiamata sentenza n. 39 del 2014 – alla magistratura contabile.
È di tutta evidenza che questa funzione di uniformazione delle prassi di espressione contabile non vincola, per definizione, l’esercizio del potere giurisdizionale sulle delibere di controllo delle sezioni regionali attribuito alle sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione in sede di “giurisdizione esclusiva” (art. 11, comma 7, del decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, recante «Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124»).
Nella fattispecie in esame, comunque, la pronuncia della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 17 dicembre 2015, n. 33, non afferma quanto sostenuto dal Comune di Napoli, ma è del tutto coerente, sia pure limitatamente al profilo contabile di espressione dei conti dell’ente locale, con l’interpretazione costante delle modalità di sterilizzazione dell’anticipazione di liquidità previste dal d.l. n. 35 del 2013 sia per le Regioni, sia per gli enti locali. Si afferma, infatti, nella predetta deliberazione, che «[n]ei bilanci degli enti locali soggetti alle regole dell’armonizzazione contabile, la sterilizzazione degli effetti che le anticipazioni di liquidità erogate ai sensi del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito dalla l. 6 giugno 2013, n. 64, e successive modificazioni, integrazioni e rifinanziamenti, producono sul risultato di amministrazione va effettuata stanziando nel Titolo della spesa riguardante il rimborso dei prestiti un fondo, non impegnabile, di importo pari alle anticipazioni di liquidità incassate nell’esercizio, la cui economia confluisce nel risultato di amministrazione come quota accantonata ai sensi dell’art. 187 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267». Si tratta di una tecnica contabile, sia pure ridondante e, in quanto tale certamente semplificabile, che mira tuttavia – come testimonia la locuzione “sterilizzazione degli effetti” – nel senso ricavabile dalla sentenza di questa Corte n. 181 del 2015.
Come già specificato, la disciplina base delle anticipazioni di liquidità è contenuta nel d.l. n. 35 del 2013, il quale non fa alcuna distinzione, salve le diverse modalità di provvista finanziaria, tra finalità delle anticipazioni regionali e di quelle degli enti locali, entrambe destinate al pagamento di passività finanziarie per tipologie di debiti specificamente individuate.
4.– Alla luce delle esposte premesse, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, Cost., sono fondate.
I tre parametri, per quel che si dirà più specificamente in seguito, operano in stretta interdipendenza, cosicché l’anomala utilizzazione delle anticipazioni di liquidità consentita dalle disposizioni impugnate finisce per ledere l’equilibrio del bilancio, il principio di sana gestione finanziaria e, contemporaneamente, viola la “regola aurea” contenuta nell’art. 119, sesto comma, Cost., secondo cui l’indebitamento degli enti territoriali deve essere riservato a spese di investimento.
L’art. 2, comma 6, del d.l. n. 78 del 2015 prescrive che «[g]li enti destinatari delle anticipazioni di liquidità […] utilizzano la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell’acquisizione delle erogazioni, ai fini dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione» e l’art. 1, comma 814, della legge n. 205 del 2017 specifica che «[l]’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 […] si interpreta nel senso che la facoltà degli enti destinatari delle anticipazioni di liquidità […] di utilizzare la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell’acquisizione delle erogazioni, ai fini dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione, può essere esercitata anche con effetti sulle risultanze finali esposte nell’allegato 5/2 annesso al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, a seguito del riaccertamento straordinario dei residui effettuato ai sensi dell’articolo 3, comma 7, dello stesso decreto legislativo n. 118 del 2011, nonché sul ripiano del disavanzo previsto dal comma 13 del medesimo articolo, limitatamente ai soli enti che hanno approvato il suddetto riaccertamento straordinario a decorrere dal 20 maggio 2015, fermo restando il rispetto dell’articolo 3, comma 8, del medesimo decreto legislativo n. 118 del 2011, il quale prevede che l’operazione di riaccertamento straordinario sia oggetto di un unico atto deliberativo».
Entrambe le disposizioni censurate consentono di utilizzare le anticipazioni di liquidità per modificare il risultato di amministrazione dell’ente locale che le applica, attraverso meccanismi tecnici che convergono nell’elusione dei precetti costituzionali precedentemente richiamati.
Non è rilevante, ai fini della presente decisione, la diversa formulazione normativa impiegata dal legislatore – nella prima disposizione l’utilizzazione viene enunciata come regola attraverso l’uso dell’indicativo e nella seconda come facoltà – perché, comunque, l’utilizzazione delle anticipazioni di liquidità consentita dalle disposizioni censurate non è compatibile con i richiamati plurimi precetti costituzionali.
4.1.– L’art. 119, sesto comma, Cost. risulta violato perché le anticipazioni di liquidità costituiscono una forma straordinaria di indebitamento a lungo termine e – in quanto tali – sono utilizzabili in senso costituzionalmente conforme solo per pagare passività pregresse iscritte in bilancio. Esse sono prestiti di carattere eccezionale finalizzati a rafforzare la cassa quando l’ente territoriale non riesce a onorare le obbligazioni passive secondo la fisiologica scansione dei tempi di pagamento.
La loro eccezionalità dipende essenzialmente dal fatto: a) di essere inscindibilmente collegate a una sofferenza della cassa; b) di essere frutto di un rigoroso bilanciamento di interessi rilevanti in sede costituzionale e dell’Unione europea; c) di essere un rimedio contingente, non riproducibile serialmente nel tempo e inidoneo a risanare bilanci strutturalmente in perdita.
Quanto al profilo sub a), occorre sottolineare come le anticipazioni di liquidità siano spesso collegate a pregressi fenomeni di inappropriata gestione; in un bilancio sano, di regola, le diacronie tra la riscossione delle entrate e i pagamenti tendono a bilanciarsi secondo le singole scansioni temporali del programma di bilancio, opportunamente considerate attraverso le prudenti stime in sede di previsione, mentre tutto ciò non accade quando fenomeni come la sovrastima delle entrate e l’incapacità a riscuotere si sommano in modo progressivo nel tempo, fino a rendere l’adempimento delle obbligazioni passive sempre più tardivo e aleatorio.
Quanto al profilo sub b), l’anticipazione a favore degli enti in sofferenza di liquidità è stata generata in sede normativa da un rigoroso bilanciamento tra l’esigenza di rispettare i vincoli di indebitamento e quella di onorare i debiti, costituenti entrambe regole primarie dell’ordinamento dell’Unione europea e nazionale, tenuto conto dell’invalicabilità della “regola aurea” dell’art. 119, sesto comma, Cost., la quale costituisce comunque – anche prima del suo inserimento in Costituzione – un principio storico dell’ordinamento finanziario-contabile degli enti locali. Come questa Corte ha già affermato, le anticipazioni di liquidità «nascono dall’esigenza di porre riparo ai crescenti ritardi nell’adempimento delle obbligazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. Detto fenomeno, di per sé negativo, aggravava, tra l’altro, la situazione delle imprese, già colpite dalla difficoltà di accedere al credito bancario nel contesto della crisi. [...] Nel dialettico contesto, astretto tra vincoli di indebitamento e indefettibilità delle scadenze debitorie, il Governo ha cercato di individuare soluzioni normative e finanziarie capaci di venire incontro alle esigenze delle imprese […]. Ciò anche attraverso serrate azioni politiche di negoziato a livello europeo per ottenere un margine di flessibilità del patto di stabilità e crescita. Così il Consiglio europeo del 14 marzo 2013, facendo seguito agli orientamenti già espressi nel giugno e nel dicembre del 2012, ha riconosciuto la necessità di […] utilizzare spazi di flessibilità per azioni di sostegno alla crescita e all’occupazione, pur nel rispetto della necessaria stabilità finanziaria. In sintonia con le linee espresse dal Consiglio europeo, la Commissione europea, con la dichiarazione del 18 marzo 2013, ha sottolineato l’urgenza di una pronta risoluzione del tema dei pagamenti arretrati della pubblica amministrazione e chiarito i termini operativi della nozione di flessibilità» (sentenza n. 181 del 2015).
Quanto al profilo sub c), è utile sottolineare come l’inidoneità dell’anticipazione a rimuovere situazioni di deficit strutturale risulta non solo implicitamente dal contrasto formale con il precetto contenuto nell’art. 119, sesto comma, Cost., ma anche da dati elementari dell’esperienza, secondo cui solo un investimento efficace può compensare in positivo l’onere debitorio sotteso alla sua realizzazione. In tale contesto, infatti, risulta «di chiara evidenza che destinazioni diverse dall’investimento finiscono inevitabilmente per depauperare il patrimonio dell’ente pubblico che ricorre al credito» (sentenza n. 188 del 2014). Peraltro, tale precetto custodisce interessi costituzionali che non sono limitati alla mera cura della sana gestione finanziaria, ma si estendono agli interdipendenti profili di tutela della rappresentanza democratica e dell’equità intergenerazionale (ex plurimis, sentenza n. 18 del 2019).
4.1.1.– Il carattere temporaneo e settoriale e la ratio univoca e oggettiva della disciplina delle anticipazioni di liquidità – come precedentemente definiti – determinano l’inconsistenza dell’apodittico argomento difensivo del Comune di Napoli, secondo cui l’anticipazione di liquidità degli enti locali sarebbe funzionalmente diversa da quella delle Regioni.
Del resto, in tema di anticipazioni di liquidità, già in precedenza si era affermato che il d.l. n. 35 del 2013 «ha introdotto una disciplina di carattere speciale e temporanea, derogatoria del patto di stabilità interno e di altre disposizioni in materia di finanza pubblica, per il pagamento dei debiti scaduti delle amministrazioni pubbliche. In particolare, nel citato decreto-legge sono contenute le misure dirette a consentire il pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni di debiti scaduti, con modalità differenti per gli enti locali (art. 1), le Regioni e le Province autonome (art. 2), gli enti del Servizio sanitario nazionale per il tramite delle Regioni (art. 3) e le amministrazioni statali (art. 5). Si tratta di disposizioni espressamente “volte ad assicurare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento” (art. 6, comma 1)» (sentenza n. 181 del 2015). E in quella sede questa Corte aveva avvertito che «[s]e alcune aporie semantiche possono suscitare qualche perplessità circa la tecnica legislativa impiegata, non v’è dubbio che utilizzare detti profili di ambiguità per qualificare il finanziamento in esame come vero e proprio mutuo, anziché mera anticipazione di liquidità, porterebbe inevitabilmente a concludere che anche le norme interposte sarebbero contrarie a Costituzione, in quanto palesemente in contrasto con la prescrizione dell’art. 119, sesto comma, Cost., il cui rispetto, al contrario, era attestato in sede di lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 35 del 2013. Deve essere dunque condivisa l’opinione del rimettente, secondo cui il meccanismo normativo creato dal legislatore statale risulta influente sulla sola gestione di cassa: d’altronde, quando una disposizione si presta a più interpretazioni e solo una risulta conforme al parametro costituzionale, al testo legislativo va attribuito il significato compatibile con la Costituzione. Un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle norme statali porta dunque a concludere che le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro ratio, quale si ricava dalla genesi del decreto-legge e dai suoi lavori preparatori, è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza» (ancora sentenza n. 181 del 2015).
Inoltre, analoga pronuncia ha riguardato successivamente anche una fattispecie inerente agli enti locali (sentenza n. 18 del 2019). Non esiste, dunque, alcuna distinzione di carattere sostanziale tra la disciplina delle anticipazioni di liquidità assegnate alle Regioni e quelle agli enti locali: entrambe sono destinate a pagare passività già iscritte in bilancio (ivi compresi i debiti fuori bilancio, i quali, prima di essere eventualmente onorati, devono avere ingresso nel bilancio stesso attraverso le tipizzate fattispecie del riconoscimento: art. 194 – «Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio» – del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali») e non possono essere destinate alla copertura giuridica di alcuna spesa. Sul tema, d’altra parte, questa Corte ha affermato più volte che, nei bilanci pubblici, le espressioni numeriche devono essere corredate da una stima attendibile, assicurata dalla coerenza con i presupposti economici e giuridici della loro quantificazione, sicché nel concetto di copertura giuridica operano in modo sinergico l’individuazione dei mezzi finanziari e della ragione giuridica sottesa al loro impiego (sentenze n. 227 del 2019 e n. 274 del 2017).
4.2.– Se la ratio dell’anticipazione di liquidità «è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza, attraverso un’utilizzazione limitata al pagamento delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri, proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione della anticipazione stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e finanziariamente proporzionato alla restituzione dell’anticipazione» (sentenza n. 181 del 2015), al di fuori di tale «utilizzazione limitata» il suo impiego risulta in contrasto anche con l’equilibrio di bilancio.
Per quel che concerne questa illegittima influenza sugli equilibri strutturali del bilancio, è sufficiente considerare che il mancato accantonamento delle risorse, quantificato secondo l’ordinario criterio di computo del FCDE, consente al Comune di Napoli di impiegare un surplus di spesa, pari al mancato accantonamento, coprendolo con risorse “nominali” (ma non reali, perché il meccanismo contabile indebitamente autorizzato dalle norme censurate finisce per ridurre o azzerare il cosiddetto FCDE attraverso la sua sostituzione parziale o totale con l’anticipazione di liquidità), in tal modo incrementando di fatto – senza che ciò appaia dalle scritture ufficiali – il disavanzo di amministrazione già maturato negli esercizi precedenti.
Al fine di illustrare sinteticamente sotto il profilo tecnico gli effetti di questo meccanismo, è utile ricordare che l’accantonamento al FCDE è funzionalmente definito in modo inequivocabile dall’allegato 4/2, punto 3.3, al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), il quale stabilisce che esso «non è oggetto di impegno e genera un’economia di bilancio che confluisce nel risultato di amministrazione come quota accantonata». Si tratta di una regola che invera l’applicazione del principio di prudenza nella stima delle risorse disponibili. Come semanticamente specificato, il fondo rende inerte, cioè inutilizzabile, una quota delle risorse risultanti da parte entrata, in misura proporzionale all’andamento della riscossione che ha caratterizzato l’ente locale negli esercizi precedenti. Ove non venga applicata tale tipologia di svalutazione dei crediti, viene consentita – come nel caso di specie – l’iscrizione in bilancio di entrate stimate in modo da non tener conto dell’effettiva capacità di riscossione dei crediti.
L’istituto del fondo crediti di dubbia esigibilità costituisce, a ben vedere, una necessaria integrazione legale al «principio della previa dimostrazione analitica dei crediti e delle somme da riscuotere, iscrivibili nelle partite dei residui attivi e computabili ai fini [del risultato di] amministrazione, [connotato dalla] stretta inerenza ai concetti di certezza e attendibilità che devono caratterizzare le risultanze della gestione economica e finanziaria» (sentenza n. 138 del 2013). Infatti, la prassi frequente in molte amministrazioni di sovrastimare l’entità dei crediti, evitando o rendendo imprecisa in sede di rendiconto la “dimostrazione analitica” delle ragioni giuridiche delle somme da riscuotere e dello stato dei procedimenti finalizzati alla riscossione, ha reso necessario correggere – attraverso il fondo in questione – le stime sovradimensionate con un accantonamento calcolato mediante un coefficiente di riduzione proporzionato alla capacità di riscossione mostrata dall’ente stesso in un congruo periodo (anch’esso fissato per gli enti locali dall’allegato n. 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011) antecedente all’esercizio oggetto di rendiconto.
Permettere – come fanno la disposizione originaria e quella di interpretazione autentica censurata – la sostituzione di detto accantonamento mediante la doppia contabilizzazione dell’anticipazione di liquidità (che infatti, nell’ottica delle medesime disposizioni, non si limita a determinare il naturale incremento del saldo di cassa di fine esercizio, ma viene impiegata anche per l’indebita sostituzione del fondo svalutazione crediti di dubbia esigibilità), vanifica la possibilità di stimare le risorse disponibili secondo prudenza, così contraddicendo il presupposto funzionale del fondo stesso.
Per quel che riguarda l’alterazione del risultato di amministrazione, la contabilizzazione tra le parti attive del rendiconto delle anticipazioni di liquidità, già facenti parte del fondo di cassa di fine esercizio, migliora in modo solo apparente il risultato di amministrazione, così esonerando l’ente locale dalle necessarie operazioni di rientro dal deficit, che non saranno parametrate sul disavanzo effettivo ma su quello alterato dall’anomala contabilizzazione del fondo anticipazioni liquidità. Ciò pregiudica ulteriormente, in violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, primo periodo, Cost., l’equilibrio strutturale dell’ente locale in questione, in quanto alla situazione deficitaria precedente si aggiunge quella derivante dall’impiego indebito dell’anticipazione.
L’effetto distorsivo nel calcolo del disavanzo è particolarmente grave per la pregnante funzione certativa della sua determinazione, dalla quale l’ordinamento fa dipendere importanti effetti giuridici; in proposito è utile ricordare che l’art. 188 del d.lgs. n. 267 del 2000 prescrive che «[l]’eventuale disavanzo di amministrazione, accertato ai sensi dell’articolo 186, è immediatamente applicato all’esercizio in corso di gestione contestualmente alla delibera di approvazione del rendiconto. La mancata adozione della delibera che applica il disavanzo al bilancio in corso di gestione è equiparata a tutti gli effetti alla mancata approvazione del rendiconto di gestione. Il disavanzo di amministrazione può anche essere ripianato negli esercizi successivi considerati nel bilancio di previsione, in ogni caso non oltre la durata della consiliatura, contestualmente all’adozione di una delibera consiliare avente ad oggetto il piano di rientro dal disavanzo nel quale siano individuati i provvedimenti necessari a ripristinare il pareggio».
E quali che siano i tempi di rientro dal deficit, il richiamato art. 188 detta procedure e adempimenti immediatamente cogenti, funzionali – tra l’altro – a esaltare l’assunzione delle responsabilità dei risultati imputabili alle amministrazioni che si sono succedute durante la formazione del disavanzo: «[l]a deliberazione, contiene l’analisi delle cause che hanno determinato il disavanzo, l’individuazione di misure strutturali dirette ad evitare ogni ulteriore potenziale disavanzo, ed è allegata al bilancio di previsione e al rendiconto, costituendone parte integrante. Con periodicità almeno semestrale il sindaco o il presidente trasmette al Consiglio una relazione riguardante lo stato di attuazione del piano di rientro, con il parere del collegio dei revisori. L’eventuale ulteriore disavanzo formatosi nel corso del periodo considerato nel piano di rientro deve essere coperto non oltre la scadenza del piano di rientro in corso».
4.2.1.– Le precedenti considerazioni dimostrano l’infondatezza di due argomenti prospettati dal Comune di Napoli: a) quello secondo cui, cancellando le due norme censurate, esso «dovrà finanziare a bilancio con risorse nuove (ulteriori rispetto a quelle utilizzate per la costituzione del FAL) la quota, anch’essa trentennale, di restituzione dell’anticipazione di liquidità»; b) quello secondo cui la difficoltà dell’ente territoriale a riscuotere crediti giustificherebbe la censurata tecnica contabile.
È del tutto evidente che la capacità di escutere i debitori non dipende solo dalla situazione economica dei membri della collettività, ma anche e soprattutto dall’efficienza amministrativa dell’ente locale e dei propri uffici preposti alla riscossione.
Quanto all’argomento sub a), è altrettanto evidente – al di là dei meccanismi contabili che talvolta oscurano la sostanza dei fatti – la diversità tra la contabilizzazione, nella cassa dell’ente, dell’anticipazione di liquidità (che avviene nel momento in cui quest’ultima viene somministrata), l’appostazione in bilancio dell’onere di restituzione della quota capitale e interessi del prestito acceso e l’accantonamento di risorse nel fondo crediti di dubbia esigibilità. L’implementazione della cassa conseguente all’incameramento dell’anticipazione risponde alle eccezionali e tipizzate ipotesi di pagamento delle passività pregresse previste dal d.l. n. 35 del 2013; l’onere conseguente alla restituzione della quota annuale di capitale e interessi è intrinseca conseguenza dell’assunzione di un prestito; l’accantonamento nel FCDE ha come fine il non far ricadere negativamente sull’equilibrio strutturale del bilancio la scarsa capacità di realizzare le entrate.
Proprio queste elementari considerazioni confermano che l’utilizzazione delle anticipazioni di liquidità in sostituzione dell’accantonamento conseguente all’esistenza di crediti di dubbia esigibilità permette indebitamente all’ente locale l’effettuazione di nuove spese, evitando il necessario adempimento di carattere prudenziale e in tal modo aggravando il deficit strutturale preesistente.
Quanto all’assunto secondo cui la difficoltà dell’ente territoriale a riscuotere crediti giustificherebbe il meccanismo finanziario consentito dalle norme censurate in ragione della ridotta capacità fiscale della popolazione di riferimento, è il caso di precisare che un conto è la misura del gettito, effettivamente legata alle condizioni socio-economiche del territorio, altro è la capacità di riscuotere i tributi, consistente in una percentuale di realizzazione del gettito stesso e strettamente collegata all’efficienza del sistema di riscossione.
Fermo restando che una capacità di riscossione inferiore alla media nazionale è un problema prevalentemente organizzativo, diverso è quello legato all’insufficienza strutturale del gettito fiscale ad assicurare i servizi essenziali. In tal caso ben diversi sono i rimedi previsti dalla Costituzione per garantire interventi ispirati alla solidarietà (sul punto si rinvia più diffusamente al prosieguo).
5.– Nel pronunciare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate questa Corte non può non sottolineare la peculiarità della presente fattispecie. Se, da un lato, l’amministrazione comunale, fino alla data della presente pronuncia, ha gestito realmente partite di spesa superiori a quelle costituzionalmente consentite, in tal modo peggiorando lo stato dei propri conti, dall’altro lo ha fatto sulla base di disposizioni legislative in vigore e di atti contabili dimensionati in rapporto alle potenzialità consentite dalle medesime disposizioni. Ne è derivato che tale gestione si è dipanata in una serie di impegni e pagamenti, in relazione ai quali l’affidamento dei soggetti venuti in contatto con l’amministrazione comunale e la funzionalità di progetti avviati secondo contratti e situazioni negoziali in itinere non possono essere travolti dalla dichiarazione di illegittimità di norme che hanno consentito, durante la loro vigenza, il sovradimensionamento della spesa.
D’altronde, l’intervenuta sospensione degli effetti interdittivi della spesa, a suo tempo disposti dalla Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Campania, e temporaneamente rimossi, fino alla definizione del presente giudizio, dal giudice rimettente, ha permesso al Comune di Napoli una gestione conforme alle disposizioni allora vigenti, che consentivano la contestata utilizzazione delle anticipazioni di liquidità.
A ben vedere – proprio in ragione della peculiarità del diritto del bilancio e in particolare del principio di equilibrio dinamico che sposta nel tempo la continua tensione verso un bilanciato contrappeso tra entrate e spese – si è in presenza di una graduazione “naturale” degli effetti temporali della presente sentenza sulla gestione del bilancio comunale e sulle situazioni giuridiche a essa sottese. Con riguardo alla situazione venutasi a creare a causa della non corretta contabilizzazione delle anticipazioni di liquidità e dell’extradeficit presumibilmente generato dalla gestione posta in atto nelle more della presente decisione (non risulta allo stato degli atti la realizzazione di alcuna economia in grado di compensare l’allargamento della spesa), l’ente locale dovrà avviare il necessario risanamento nei termini di legge.
È chiaro che in un simile contesto non è affatto necessario che l’amministrazione comunale riapprovi – risalendo all’indietro – tutti i bilanci antecedenti alla presente pronuncia, essendo sufficiente che siano ridefinite correttamente tutte le espressioni finanziarie patologiche prodottesi nel tempo, applicando a ciascuna di esse i rimedi giuridici consentiti nel periodo di riferimento, in modo da ricalcolare il risultato di amministrazione secondo i canoni di legge. Così, ad esempio, per le sole operazioni di riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all’art. 3, comma 16, del d.lgs. n. 118 del 2011 – che poi è quello di cui il Comune di Napoli lamenta la notevole entità –, il disavanzo di amministrazione correttamente rideterminato al 1° gennaio 2015 attraverso il riaccertamento straordinario dei residui potrà essere ripianato mediante i precitati accantonamenti fino al limite dei trenta esercizi consentiti da detta norma mentre per i deficit ulteriormente maturati, in conformità al principio tempus regit actum, saranno applicate le norme vigenti nel corso dell’esercizio in cui tale ulteriore deficit è maturato.
Il sistema così sinteticamente delineato serve per attribuire “a ciascuno il suo” in termini di responsabilità di gestione, affiancando all’operato del breve periodo la situazione aggiornata degli effetti delle amministrazioni pregresse.
Fermo restando che non è comunque consentita alcuna utilizzazione delle anticipazioni di liquidità per modificare il risultato di amministrazione, va precisato che la presente pronuncia produce un’efficacia immediatamente vincolante per la nuova definizione del disavanzo e per l’adozione delle correzioni atte a porvi rimedio.
Tenuto conto dell’accentuata mutevolezza del “tempo finanziario” che determina continue sopravvenienze di natura fattuale e normativa, è proprio il rispetto del principio dell’equilibrio dinamico ad assicurare la bilanciata congiunzione tra il principio di legalità costituzionale dei conti e l’esigenza di un graduale risanamento del deficit, coerente con l’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante l’intero periodo di risanamento. È stato in proposito affermato che «[i]l principio dell’equilibrio di bilancio non corrisponde ad un formale pareggio contabile, essendo intrinsecamente collegato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate» (sentenza n. 18 del 2019).
In definitiva, un esame complessivo dei parametri costituzionali vigenti in subiecta materia consente di chiarire che: a) l’equilibrio dei conti è un presupposto della sana gestione finanziaria, del buon andamento e della corretta e ponderata programmazione delle politiche pubbliche (artt. 81 e 97 Cost.); b) in tale prospettiva i deficit causati da inappropriate gestioni devono essere recuperati in tempi ragionevoli e nel rispetto del principio di responsabilità, secondo cui ciascun amministratore democraticamente eletto deve rispondere del proprio operato agli amministrati. A tal fine è stato già chiarito che «la legge di approvazione del rendiconto – indipendentemente dalla compilazione e redazione dei complessi allegati al bilancio previsti dal d.lgs. n. 118 del 2011 – deve contenere, in coerenza con le risultanze di detti allegati, cinque elementi fondamentali: a) il risultato di amministrazione espresso secondo l’art. 42 del decreto in questione; b) il risultato della gestione annuale inerente al rendiconto; c) lo stato dell’indebitamento e delle eventuali passività dell’ente applicate agli esercizi futuri» (sentenza n. 49 del 2018) poiché la trasparenza dei conti risulta «elemento indefettibile per avvicinare in senso democratico i cittadini all’attività dell’Amministrazione, in quanto consente di valutare in modo obiettivo e informato lo svolgimento del mandato elettorale, e per responsabilizzare gli amministratori» (sentenza n. 49 del 2018); d) quando le risorse proprie non consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite deve essere lo Stato ad intervenire con apposito fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante e con ulteriori risorse aggiuntive ai fini di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni (art. 119, terzo, quarto e quinto comma, Cost.); e) gli enti territoriali possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con modalità equilibrate in rapporto al generale contesto macroeconomico (art. 119, sesto comma, Cost.).
6.– Il sintetico richiamo ai principi cardine della Costituzione in tema di relazioni finanziarie tra Stato e comunità territoriali consente di svolgere opportune considerazioni in ordine ad alcuni argomenti difensivi svolti dal Comune di Napoli i quali – ancorché eccentrici rispetto al thema decidendum – meritano attenzione anche da parte del legislatore statale.
Si allude in particolare all’esigenza, espressa dal predetto ente locale, di una legislazione finanziaria ispirata alla valorizzazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., nella specie sotto il profilo della tutela dei cittadini residenti nei Comuni con maggiore difficoltà economica e della riduzione/eliminazione della sperequazione tra i livelli dei servizi erogati dagli enti di base nelle comunità più povere e in quelle più ricche.
Questa esigenza solidaristica nei confronti delle comunità meno abbienti trova puntuale risposta – come già rilevato – in più articoli della Costituzione e, in particolare, nell’art. 119 Cost., il quale fissa le forme e i limiti che devono guidare il legislatore ordinario nell’inveramento dei principi ivi indicati.
Il richiamato parametro costituzionale bilancia le ragioni dell’autonomia, quelle dei vincoli finanziari dell’Unione europea e quelle della solidarietà verso le comunità economicamente meno munite.
Il primo comma precisa che l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa deve essere esercitata nel rispetto dell’equilibrio del bilancio e che gli enti territoriali devono contribuire, insieme agli altri enti della finanza allargata, all’osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. In tale prospettiva, l’equilibrio individuale dei singoli enti è un presupposto della sana gestione finanziaria e del corretto esercizio dell’autonomia, nonché del dovere di concorrere a realizzare gli obiettivi macroeconomici nazionali e dell’Unione europea.
Ne consegue che tutte le disfunzioni – a cominciare da quelle censurate in questa sede – devono essere rimosse e non possono essere computate nell’attivazione dei meccanismi di solidarietà previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell’art. 119 Cost.
È in ordine al deficit strutturale imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio, e non alle patologie organizzative, che deve essere rivolto l’intervento diretto dello Stato. Le risorse necessariamente stanziate per tali finalità – proprio in virtù dei superiori precetti costituzionali – devono essere prioritariamente destinate dallo Stato alle situazioni di accertato squilibrio strutturale dei bilanci degli enti locali.
7.– Dunque, l’art. 2, comma 6, del d.l. n. 78 del 2015 e l’art. 1, comma 814, della legge n. 205 del 2017, poiché consentono di utilizzare le anticipazioni di liquidità al di fuori dei ristretti limiti del pagamento delle passività pregresse nei termini sanciti dal d.l. n. 35 del 2013 e, in particolare, di «utilizzare la quota accantonata nel risultato di amministrazione a seguito dell’acquisizione delle erogazioni, ai fini dell’accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione», risultano in contrasto con gli artt. 81, 97 e 119, sesto comma, Cost. e, pertanto, devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi.
Rimangono assorbite le ulteriori censure proposte nei confronti delle disposizioni in esame.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 125, e dell’art. 1, comma 814, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente e Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA