ORDINANZA N. 129
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’atto del Procuratore generale presso la Corte di cassazione 5 luglio 2019, n. 17567/92/19D, in relazione all’intercettazione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Perugia, del 9 maggio 2019, promosso da Cosimo Maria Ferri, nella qualità di membro della Camera dei deputati, con ricorso depositato in cancelleria il 12 novembre 2019, iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2019, fase di ammissibilità.
Udito il Giudice relatore Franco Modugno nella camera di consiglio del 20 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);
deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2020.
Ritenuto che il deputato Cosimo Maria Ferri ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – per violazione degli artt. 67 e 68, terzo comma, della Costituzione – nei confronti del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, «nonché, per quanto occorra, [del] Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia», in relazione all’essere stato da quest’ultimo illegittimamente sottoposto, in via indiretta, a intercettazione di conversazioni, in assenza dell’autorizzazione della Camera dei deputati, richiesta dall’art. 68, terzo comma, Cost., nonché all’essere stato sottoposto, sulla base di tali intercettazioni, all’azione disciplinare esercitata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione;
che il ricorrente premette di essere magistrato collocato fuori ruolo, in quanto in aspettativa per mandato parlamentare dal 19 marzo 2019;
che, in fatto, la difesa dell’onorevole Ferri deduce che, sulla base di intercettazioni di conversazioni captate a mezzo di metodologia cosiddetta trojan dall’utenza mobile in uso al dott. L. P. (il giorno 8 maggio 2019), emergeva che quest’ultimo avrebbe partecipato ad una riunione in data 9 maggio 2019;
che, nonostante in sede di intercettazione della fase preparatoria di detta riunione fosse emerso che ad essa avrebbe partecipato anche il ricorrente, deputato del Parlamento italiano, la stessa è stata oggetto di intercettazione ambientale, senza che l’autorità giudiziaria si fosse munita dell’autorizzazione di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.;
che i relativi contenuti, poi, «sono stati trascritti, “contestati e illustrati agli indagati” e trasmessi al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione», il quale, a sua volta, li ha utilizzati per formulare contestazioni disciplinari nei confronti del ricorrente;
che, in punto di ammissibilità, secondo il ricorrente, il conflitto non riguarderebbe i rapporti tra autorità giudiziaria e lo specifico ramo del Parlamento presso il quale siede il soggetto nei cui confronti è stato avviato il relativo procedimento, ma si riferirebbe «alla relazione intercorrente tra autorità giudiziaria/Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e singolo parlamentare avente lo status di magistrato in aspettativa»;
che l’autorità giudiziaria avrebbe agito non a fronte del diniego dell’autorizzazione da parte della Camera dei deputati, bensì senza aver richiesto l’apposita autorizzazione, e avrebbe, in tal modo, illegittimamente provveduto alla trascrizione delle relative intercettazioni, autorizzandone, peraltro, la completa ostensione al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, il quale ha, poi, esercitato l’azione disciplinare nei confronti del ricorrente;
che, pertanto, nel caso di specie sarebbero state lese «direttamente le prerogative del singolo parlamentare», poiché non verrebbe in evidenza la lesione della prerogativa dell’insindacabilità, ex art. 68, primo comma, Cost., ma l’inviolabilità personale rispetto alla realizzazione di intercettazioni di comunicazioni e conversazioni, di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.;
che la ratio dell’immunità sancita da tale ultima disposizione sarebbe, infatti, proprio quella di proteggere le prerogative di cui il singolo parlamentare è titolare, «che verrebbero sicuramente lese dalle intercettazioni poste in essere […] senza autorizzazione della Camera competente»;
che, su tali basi, l’intercettazione si configurerebbe quale attività che «afferisce alla sfera di inviolabilità del singolo parlamentare e non dell’Assemblea nel suo complesso considerata, con la conseguenza che, per la sua tutela, deve agire direttamente il deputato o senatore illegittimamente leso nelle proprie prerogative»;
che ciò differenzierebbe il caso oggi all’attenzione di questa Corte dalle ipotesi già risolte in senso negativo in materia di insindacabilità e configurerebbe una «situazione impregiudicata», rispetto alla quale, intendendo il ricorrente tutelare la propria sfera di inviolabilità personale, sarebbe configurabile la legittimazione attiva del parlamentare a sollevare conflitto uti singuli;
che ciò sarebbe, peraltro, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, la quale, nell’escludere la legittimazione del singolo parlamentare a sollevare conflitto, ex art. 68, primo comma, Cost., avrebbe riconosciuto espressamente l’astratta possibilità che, in talune situazioni, il parlamentare possa ricorrere al conflitto nei confronti dell’autorità giudiziaria (è citata l’ordinanza n. 359 del 1999);
che tale orientamento – a parere del ricorrente – avrebbe «trovato recentissima conferma nell’ord. n. 17/2019», con la quale questa Corte avrebbe riconosciuto «espressamente la possibilità che, in talune situazioni, il singolo parlamentare possa rivolgersi ad essa in sede di conflitto tra poteri dello Stato»;
che, del pari, sussisterebbe il presupposto oggettivo, incentrandosi il conflitto essenzialmente sulla rivendicazione dell’integrità delle attribuzioni costituzionali di cui è titolare il singolo parlamentare;
che, infatti, l’azione disciplinare esercitata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sulla base di intercettazioni poste in essere senza la preventiva autorizzazione della Camera dei deputati, si porrebbe in insanabile contrasto con quanto previsto dall’art. 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il quale prevede che «[q]uando occorre eseguire nei confronti di un membro del Parlamento […] intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, […] l’autorità competente richiede direttamente l’autorizzazione della Camera alla quale il soggetto appartiene»;
che, conseguentemente, chiara sarebbe la menomazione della sfera di competenza costituzionalmente tutelata di cui è titolare il singolo parlamentare;
che, per gli elementi già dedotti in punto di fatto, nel merito l’attività di intercettazione dell’incontro cui ha preso parte l’onorevole Ferri si configurerebbe come intercettazione indiretta, illegittima perché svolta senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza;
che, secondo l’interpretazione fornita da questa Corte dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003, sarebbe necessaria, infatti, l’autorizzazione preventiva tutte le volte in cui il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione, anche se questa abbia luogo monitorando utenze di diversi soggetti (è richiamata la sentenza n. 390 del 2007);
che, alla luce di tali presupposti interpretativi, la Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 22 novembre 2016, n. 49538, dal canto suo, avrebbe affermato la illiceità e la radicale inutilizzabilità non solo della captazione, ma di ogni attività successiva all’intercettazione del parlamentare, svoltasi senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza;
che questa lettura troverebbe, altresì, conferma anche nelle linee guida elaborate dal Consiglio superiore della magistratura in materia di intercettazione, con la delibera del 29 luglio del 2016 (Ricognizione di buone prassi in materia di intercettazione di conversazioni), mediante le quali si prevede che, anche qualora si verifichino intercettazioni casuali del parlamentare, queste non andrebbero immediatamente trascritte, ma «indicate nel brogliaccio con la dicitura “conversazione casualmente captata con parlamentare”»;
che, pertanto, le intercettazioni nel caso oggi all’esame di questa Corte sarebbero da considerarsi indirette e, di conseguenza, non avrebbero dovuto essere svolte o, comunque sia, non avrebbero dovuto essere trascritte, non essendo stata acquisita la previa autorizzazione della Camera di appartenenza;
che, dati questi presupposti, l’attività di intercettazione indiretta delle conversazioni dell’onorevole Ferri, espletata in contrasto con l’art. 68, terzo comma, Cost. e con le disposizioni della legge n. 140 del 2003 che ne danno attuazione, costituirebbe una lesione delle prerogative costituzionali del ricorrente, incidendo così negativamente anche sulla libertà e sull’indipendenza della funzione parlamentare, sancite dall’art. 67 Cost.
Considerato che il deputato Cosimo Maria Ferri ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – per violazione degli artt. 67 e 68, terzo comma, della Costituzione – nei confronti del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, «nonché, per quanto occorra, [del] Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia», in relazione all’essere stato da quest’ultimo illegittimamente sottoposto, in via indiretta, a intercettazione di conversazione, in assenza dell’autorizzazione della Camera dei deputati, richiesta dall’art. 68, terzo comma, Cost., nonché all’essere stato sottoposto, sulla base di tali intercettazioni, all’azione disciplinare esercitata dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione;
che nella presente fase del giudizio questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo, prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), affinché sussista il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato;
che, dunque, in questa fase la Corte è chiamata a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
che il conflitto è stato sollevato da un singolo parlamentare, nei confronti del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, «nonché, per quanto occorra», del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Perugia, per asserita lesione delle proprie prerogative costituzionali;
che deve essere preliminarmente chiarito che questa Corte non può valutare nella specie le denunciate menomazioni delle attribuzioni del singolo parlamentare, derivanti dalla supposta violazione dell’art. 67 Cost., in quanto il ricorrente si è limitato al richiamo della citata disposizione costituzionale senza addurre alcuna argomentazione al riguardo;
che, infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della ammissibilità del ricorso per conflitto tra poteri, non è sufficiente che sia lamentata la lesione di parametri costituzionali da parte degli atti impugnati, ma occorre che «il ricorrente abbia cura di motivare la ridondanza delle asserite lesioni sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi (sentenza n. 262 del 2017)» (ordinanza n. 280 del 2017);
che, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in riferimento all’art. 67 Cost.;
che, pertanto, la valutazione sull’ammissibilità del conflitto deve essere condotta solo alla luce dell’evocata violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost.;
che la legittimazione del singolo parlamentare è stata riconosciuta da questa Corte a tutela delle attribuzioni costituzionali di cui agli artt. 67, 68, 69, 71, primo comma, e 72 Cost., «inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare» (ordinanze n. 86 del 2020 e n. 17 del 2019; nello stesso senso anche ordinanze n. 60 del 2020, n. 275 e n. 274 del 2019);
che nell’ordinanza n. 17 del 2019 questa Corte ha precisato, però, che il singolo parlamentare può ritenersi legittimato a sollevare conflitto di attribuzione solo quando siano prospettate «violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari […] rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione»;
che, nel caso di specie, non vale a fondare la legittimazione del ricorrente la denunciata violazione dell’art. 68, terzo comma, Cost.;
che questa Corte ha chiarito, infatti, che la Costituzione individua una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle che gli spettano in quanto componente dell’Assemblea, che invece è compito di ciascuna Camera tutelare (in questo senso ordinanze n. 17 del 2019 e n. 163 del 2018);
che, quando il soggetto titolare della sfera di attribuzioni costituzionali che si assumono violate è la Camera di appartenenza, sarà quest’ultima, e non il singolo parlamentare, legittimata a valutare l’opportunità di insorgere e di reagire eventualmente avverso le supposte violazioni (così, ancora, ordinanza n. 163 del 2018);
che questo è sicuramente il caso delle prerogative disciplinate dall’art. 68, terzo comma, Cost., le quali, come ha avuto modo di riconoscere in più occasioni questa Corte, sono riferibili alle Camere di appartenenza e non al singolo parlamentare;
che, infatti, la ratio della garanzia prevista all’art. 68, terzo comma, Cost., non mira a tutelare un diritto individuale, ma a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, «in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione (sentenza n. 9 del 1970)» (sentenza n. 38 del 2019);
che, inoltre, l’art. 68, terzo comma, Cost. non mira a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare in quanto tale: quest’ultima trova sicuri «riconoscimento e tutela, a livello costituzionale, nell’art. 15 Cost., secondo il quale la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni può avvenire solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge» (sentenza n. 390 del 2007);
che il bene protetto dalla disposizione costituzionale si identifica «con l’esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell’atto» (sentenze n. 390 del 2007 e n. 74 del 2013);
che destinatari delle tutele sancite dall’art. 68, terzo comma, Cost., dunque, «non sono i parlamentari uti singuli, ma le Assemblee nel loro complesso» (sentenza n. 390 del 2007);
che la disposizione costituzionale evocata dal ricorrente intende, pertanto, preservare la funzionalità, l’integrità di composizione (nel caso delle misure de libertate) e la piena autonomia decisionale delle Assemblee, rispetto ad indebite invadenze del potere giudiziario (così, ancora, sentenza n. 390 del 2007);
che, quindi, la qualità esclusivamente assembleare delle prerogative dedotte esclude che si possano configurare sfere di attribuzioni costituzionali dell’odierno ricorrente, a difesa delle quali questa Corte sarebbe chiamata ad intervenire;
che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, promosso dall’onorevole Cosimo Maria Ferri.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA