SENTENZA N. 106
ANNO 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 13-20 maggio 2019, depositato in cancelleria il 21 maggio 2019, iscritto al n. 60 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito il Giudice relatore Silvana Sciarra, secondo le prescrizioni del decreto della Presidente della Corte del 24 marzo 2020, punto 1), lettera c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 7 aprile 2020;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 aprile 2020.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 13-20 maggio 2019, depositato il 21 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata), fra cui gli artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.
1.1.– Sono anzitutto impugnati gli artt. 9 e 10 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, nella parte in cui modificano la previgente disciplina (di cui, rispettivamente, al paragrafo 1.2.1.4. dell’Appendice A al Piano di indirizzo energetico ambientale regionale – PIEAR, approvato con legge della Regione Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1, recante «Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale. D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 – L.R. n. 9/2007», e all’art. 38 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38, recante «Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata») e pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori dalle abitazioni e dalle strade.
Secondo il ricorrente tali norme violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), e al paragrafo 1.2. dell’Allegato al decreto ministeriale 10 settembre 2010 (Linee guida nazionali per l’autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile), che rinvia al successivo paragrafo 17 dell’Allegato 3 delle Linee guida per le modalità di individuazione delle aree non idonee.
Il ricorrente afferma che la disciplina statale dell’autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili non tollera eccezioni, proprio perché contiene i principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia». Le norme regionali impugnate, nello stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in concreto, in sede procedimentale, distanze minime non previste dalla legislazione statale, non garantirebbero il rispetto di tali principi fondamentali. In linea con questi ultimi, infatti, – sottolinea la difesa statale – le Regioni possono solo individuare le aree non idonee sulla base di un’apposita istruttoria, da realizzarsi in seno al procedimento amministrativo, in cui – come già più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale – può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela.
Considerato che fra i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale vi è quello, di derivazione comunitaria, della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile, non spetterebbe, pertanto, alla Regione stabilire limiti generali alla realizzazione di tali impianti, specie nella forma delle distanze minime. Queste ultime – ricorda il ricorrente – sono previste dalle Linee guida nazionali di cui al d.m. 10 settembre 2010, all’Allegato 4, solo come possibili misure di mitigazione dell’impatto ambientale e non come condizioni perentorie o prescrizioni generali. Pertanto, la soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata – che impone in via generale distanze minime per la localizzazione degli impianti, senza istruttoria e senza alcuna valutazione in concreto dei siti – violerebbe i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale e non permetterebbe un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
1.2.– È anche impugnato l’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove introduce il comma 1-bis all’art. 3 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili) e dispone una possibile proroga del termine per la presentazione della documentazione prevista dal PIEAR, ai fini dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, su istanza dell’interessato e solo quando il ritardo sia dovuto a motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo, per un periodo massimo di 60 giorni.
Secondo il ricorrente, la norma in esame sarebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 27-bis, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Esso stabilisce che, con riferimento al provvedimento autorizzatorio unico regionale, per i progetti assoggettati a valutazione di impatto ambientale (VIA), l’autorità competente può concedere, su richiesta motivata del proponente, per una sola volta, la sospensione dei termini per la presentazione della documentazione integrativa per un periodo non superiore a 180 giorni.
Vi sarebbe, pertanto, un contrasto con l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale, in violazione dell’art. 3 Cost., e con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Nello stabilire un ulteriore termine di proroga del procedimento di autorizzazione, la norma regionale ne dilaterebbe la relativa durata, immotivatamente aggravandolo in modo arbitrario, in conflitto con i canoni di efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.
Sarebbe, inoltre, violata la sfera di competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in cui rientra la disciplina della VIA. In riferimento a quest’ultima – precisa la difesa statale – spetta allo Stato fissare, anche in attuazione degli obblighi europei, livelli di tutela dell’ambiente uniforme sull’intero territorio nazionale, che si impongono alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in materie di loro competenza.
Il ricorrente sottolinea che l’intervento regionale previsto dalla legislazione statale deve avvenire nel rispetto delle procedure e dei criteri fissati dalla legislazione stessa, motivando la scelta compiuta in modo da garantire la controllabilità della discrezionalità esercitata nelle sedi giurisdizionali.
1.3.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 13, comma 1, della medesima legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove, sostituendo il comma 2 dell’art. 11 della legge regionale n. 8 del 2012, pone ulteriori condizioni per l’esclusione degli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle potenze installabili di cui alla Parte terza, paragrafo 1.2.3, Tabelle 1-4, del PIEAR. La difesa statale segnala che le ulteriori condizioni, attraverso una serie di rinvii ad altre disposizioni, sono quelle indicate all’art. 32 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 (che ha modificato l’art. 6 della legge regionale n. 8 del 2012), già impugnato davanti alla Corte costituzionale con un precedente ricorso (iscritto al n. 7 del reg. ricorsi del 2019). Pertanto, il ricorrente ribadisce le censure di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 41, 117, primo e terzo comma, Cost., già rivolte al citato art. 32, là dove, anzitutto, prescrive una distanza minima tra impianti di energia da fonti rinnovabili, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale nella materia di competenza concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e in particolare con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e con i paragrafi 1.2 e 17.1 delle Linee guida nazionali approvate con il d.m. 10 settembre 2010, recanti specifici indirizzi in merito all’individuazione delle aree non idonee.
Lo stesso art. 32 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018 – e di conseguenza l’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, ora impugnato, che al primo fa rinvio – sarebbe illegittimo anche nella parte in cui prevede, quale ulteriore condizione, la «disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico», sul quale, peraltro, non potrà essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte rinnovabile, in contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 che, per l’autorizzazione unica, cioè per un regime abilitativo più complesso, prevede al comma 4-bis, la mera «disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto».
Da ciò si desumerebbe la violazione del principio fondamentale della massima diffusione degli impianti, con un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell’operatore anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell’area, per contrasto con l’art. 12, comma 10, delle Linee guida nazionali, nonché la violazione degli artt. 41 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), che sancisce la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi compresa l’attività di produzione dell’energia elettrica.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, per violazione dell’art. 117, primo e terzo comma, Cost., l’art. 13, comma 3, della medesima legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove, aggiungendo il comma 7 all’art. 11 della legge regionale n. 8 del 2012, stabilisce, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, un tetto alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Tale previsione esulerebbe dalla competenza regionale e contrasterebbe con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, secondo cui l’eventuale superamento di limitazioni programmatiche contenute nel Piano energetico regionale o delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti di energia rinnovabile (FER) non preclude comunque l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica (paragrafo 14.5 delle Linee guida).
Il ricorrente precisa che, in applicazione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), è stato emanato il d.m. 15 marzo 2012 (Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e definizione della modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie autonome – c.d. Burden Sharing), che ha ripartito fra le Regioni l’obiettivo nazionale del 17 per cento di consumo finale lordo da fonti di energia rinnovabile (FER) al 2020, stabilito dalla direttiva europea 2009/28/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, in considerazione del loro potenziale tecnico-economico e delle disponibilità di risorse energetiche locali.
Tuttavia – prosegue il ricorrente – la fissazione dei tetti di produzione di energia elettrica non deve rappresentare un ostacolo alla realizzazione dei relativi impianti o determinare la compressione della libertà di iniziativa economica nel settore.
I limiti massimi di produzione per le singole fonti, che le Regioni possono fissare, non consentirebbero di impedire l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica o di altri titoli abilitativi, la cui procedura è scandita da termini perentori.
Pertanto, la previsione della Regione Basilicata sarebbe lesiva della competenza statale, perché in contrasto con i principi fondamentali della materia stabiliti dal legislatore statale all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che pone il termine perentorio di 90 giorni proprio per la conclusione del medesimo procedimento.
Sarebbe, altresì, violato l’art. 117, primo comma, Cost., che impone la conformità della legislazione regionale all’ordinamento europeo e agli obblighi internazionali, tra cui si segnalano quelli conseguenti alla ratifica ed esecuzione del cosiddetto Protocollo di Kyoto (legge 1° giugno 2002, n. 120, recante «Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997»), da cui si evince, come anche dalle direttive comunitarie in materia (direttiva 2001/77/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità e direttiva 2009/28/CE, attuate, rispettivamente, con il d.lgs. n. 387 del 2003 e con il d.lgs. n. 28 del 2011), il favor accordato alle fonti rinnovabili.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 27 della legge reg. n. 4 del 2019, là dove dispone che «al fine di garantire la continuità dei servizi sociali e socio sanitari essenziali, nelle more del perfezionamento dell’iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018 le Aziende Sanitarie Locali ed i Comuni sono autorizzati a proseguire i contratti in corso con i gestori delle Strutture socio-sanitarie e dei Servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari, già in possesso di autorizzazione, anche provvisoria sulla base della normativa previgente».
Tale previsione, là dove non subordina la prosecuzione dei contratti all’accreditamento istituzionale di cui all’art. 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), eccederebbe dalla competenza regionale in materia di tutela della salute, in violazione dell’art.117, terzo comma, Cost. Infatti, il predetto accreditamento è – ricorda il ricorrente – condizione necessaria per stipulare gli accordi contrattuali previsti dall’art. 8-quinquies del medesimo decreto e, dunque, anche per consentirne la proroga.
2.– La Regione Basilicata, pur costituitasi nel giudizio instaurato con il ricorso indicato in epigrafe, non ha svolto alcuna difesa in relazione alle censure rivolte ai citati artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge regionale n. 4 del 2019.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata), fra cui quelle relative agli artt. 9, 10, 12, 13, commi 1 e 3, e 27, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, commi primo, secondo, lettera s), e terzo della Costituzione.
È riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe.
1.1.– In linea preliminare, occorre rilevare che gli artt. 9, 10, 12 e 13, commi 1 e 3, della citata legge regionale sono stati espressamente abrogati dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Basilicata 6 novembre 2019, n. 22 (Modifiche alla L.R. 13 marzo 2019, n. 4. Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata).
Tuttavia, non si può escludere che tali disposizioni, che sono state in vigore per più di sei mesi, abbiano avuto medio tempore applicazione. La Regione non si è difesa e non ha fornito alcuna indicazione a tal proposito. Pertanto, sebbene l’abrogazione sia di per sé satisfattiva delle pretese avanzate con il ricorso, manca uno dei presupposti imprescindibili per la dichiarazione della cessazione della materia del contendere (sentenza n. 180 del 2019).
1.2.– Le disposizioni impugnate hanno differenti oggetti e sono censurate in riferimento a diversi parametri costituzionali. Si procede pertanto all’esame separato delle singole questioni proposte.
2.– Gli artt. 9 e 10 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 sono stati impugnati in quanto, modificando la disciplina regionale previgente, pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori dalle abitazioni e dalle strade. Tali disposizioni, nello stabilire in via generale e senza istruttoria e valutazione in concreto, distanze minime non previste dalla legislazione statale, violerebbero i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale in materia di «produzione, distribuzione e trasporto dell’energia» e non permetterebbero un’adeguata tutela dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti.
2.1.– Preliminarmente, si deve rilevare che entrambe le disposizioni impugnate si sono limitate a stabilire la riduzione di distanze già previste e configurate come requisito di sicurezza inderogabile per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di impianti eolici dalla normativa regionale in vigore, non fatta oggetto di denuncia.
Il paragrafo 1.2.1.4. dell’Appendice A al Piano di indirizzo energetico ambientale regionale (PIEAR), approvato con legge della Regione Basilicata 19 gennaio 2010, n. 1 (Norme in materia di energia e Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale. D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – L.R. n. 9/2007), già imponeva la distanza minima dalle abitazioni pari a 2,5 volte l’altezza massima della pala dell’impianto eolico (ridotta a 2,0 volte dall’impugnato art. 9) e quella dalle strade comunali di 200 metri (ridotta dall’impugnato art. 10 a 150 metri), quest’ultima, peraltro, nel testo successivamente modificato dall’art. 38 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 (Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata).
Tale circostanza, tuttavia, non preclude l’esame nel merito della questione, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui nei giudizi in via principale non si applica l’istituto dell’acquiescenza, poiché la norma impugnata, anche se riproduttiva, in tutto o in parte, di una norma anteriore non impugnata, ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere (sentenza n. 56 del 2020).
2.2.– Nel merito la questione è fondata.
Questa Corte ha affermato più volte che la disciplina del regime abilitativo degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili è riconducibile alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo comma, Cost.). I relativi principi fondamentali sono anche dettati dall’art. 12, in particolare al comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e dalle «Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», adottate in attuazione di quest’ultimo, con il d.m. 10 settembre 2010 (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019). Tali Linee guida, adottate in sede di Conferenza unificata e quindi espressione della leale collaborazione fra Stato e Regione, sono vincolanti.
Anche con riferimento alla Regione Basilicata, questa Corte ha precisato che esse «costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria» (sentenza n. 86 del 2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto). Poiché indicano puntuali modalità attuative della legge statale, esse hanno natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018).
In questo quadro di riferimento le Regioni (e le Province autonome) possono soltanto individuare, caso per caso, aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti, purché nel rispetto di specifici principi e criteri stabiliti dal paragrafo 17.1 dell’Allegato 3 alle medesime Linee guida. In particolare, il giudizio sulla non idoneità dell’area deve essere espresso dalle Regioni all’esito di un’istruttoria, volta a prendere in considerazione tutti gli interessi coinvolti (la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale), la cui protezione risulti incompatibile con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti (sentenza n. 86 del 2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto). Una tale valutazione può e deve utilmente avvenire nel procedimento amministrativo, la cui struttura «rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241» (sentenza n. 69 del 2018).
Ne consegue che le Regioni non possono prescrivere «limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (sentenza n. 286 del 2019).
A tal proposito, occorre rilevare che, con particolare riguardo al «corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti eolici», l’Allegato 4 alle Linee guida contempla la possibilità che vengano introdotte «distanze» (ad esempio, da luoghi di alta frequentazione: così il paragrafo 3.2., lettera l). Esse, tuttavia, sono configurate come eventuali “misure di mitigazione” dell’effetto, anche visivo, che si riverbera sul territorio e sul paesaggio, a seguito della realizzazione dell’impianto. In ogni caso, esse possono essere adottate solo all’esito di un’adeguata istruttoria.
Sul modello di analoghe norme adottate dal legislatore lucano e dichiarate costituzionalmente illegittime (sentenza n. 286 del 2019, punto 3.1.1. del Considerato in diritto; sentenza n. 86 del 2019, punto 2.8.2. del Considerato in diritto), le norme regionali impugnate prevedono, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, il rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade comunali, senza una previa istruttoria, quindi senza un’adeguata concreta valutazione dei molteplici e rilevanti interessi coinvolti. Per questo, esse si pongono in contrasto con i richiamati principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale, e, in specie, con il principio di derivazione europea della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili.
Deve, pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha inoltre impugnato l’art. 12 della medesima legge regionale n. 4 del 2019, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Secondo il ricorrente, la norma regionale impugnata violerebbe la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente», ponendosi in contrasto con la normativa statale di cui all’art. 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto prevede la possibile proroga, per un periodo massimo di 60 giorni, del termine per la presentazione della documentazione prescritta dal PIEAR ai fini dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, su istanza dell’interessato e per motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo. Tale previsione contrasterebbe con l’esigenza di uniformità normativa sul territorio nazionale, nonché con il principio di buon andamento dell’amministrazione, immotivatamente aggravando in modo arbitrario il procedimento autorizzativo.
3.1.– Le questioni sono fondate.
Questa Corte ha più volte affermato che il procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, è ispirato «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità» ed è volto a garantire, «in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo» (sentenze n. 177 del 2018 e n. 156 del 2016), in coerenza con il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale. Esso, peraltro, è stato puntualmente disciplinato dal legislatore contemperando vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per certi versi interni alla medesima materia della tutela dell’ambiente «attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui coordinamento» – in sede di conferenza di servizi – «e la cui acquisizione sincronica, […] necessari per l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base regionale» (sentenza n. 267 del 2016).
Analogamente, per i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, l’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 delinea un procedimento unico in cui tutte «le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, sono acquisiti nell’ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990» (sentenza n. 246 del 2018), e confluiscono nel provvedimento autorizzatorio unico. Anche in tal caso la disciplina statale, che detta tempi e modi del procedimento, «individua un punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la “speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro» (sentenza n. 246 del 2018), che non può essere pregiudicato dal legislatore regionale nell’esercizio della sua competenza in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
La norma regionale impugnata, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, interviene a prevedere la possibilità di una proroga (fino a 60 giorni) del termine (di 90 giorni), già fissato dal comma 1 del medesimo art. 3-bis della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, per la produzione, a seguito della conclusione dei lavori della conferenza di servizi, della documentazione (costituita da una polizza di fideiussione bancaria e/o assicurativa irrevocabile ed escutibile a prima richiesta, accompagnata, fra l’altro, dal quadro economico finanziario asseverato da un istituto bancario, da una dichiarazione resa da un istituto bancario che attesti che il soggetto proponente l’impianto disponga di risorse finanziarie ovvero di linee di credito proporzionate all’investimento per la realizzazione dell’impianto), prescritta dall’Appendice A al PIEAR. Si tratta di documentazione che il Piano regionale (al paragrafo 1.2.1.11.) prevede debba essere presentata prima del rilascio dell’autorizzazione, in attuazione di un apposito impegno già prodotto a corredo dell’istanza di autorizzazione (paragrafo 1.2.1.10.).
Tale previsione si discosta, anzitutto, dalla disciplina statale del procedimento di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e, in particolare, dalle Linee guida attuative, che, al paragrafo 13.1, lettera j), si limitano a prescrivere la presentazione dell’impegno a corrispondere una cauzione, all’atto di avvio dei lavori, fra i documenti da produrre al momento dell’istanza di autorizzazione, senza individuare ulteriori termini per il versamento della cauzione, né ulteriore documentazione, nella fase successiva alla conclusione dell’attività della conferenza di servizi, ma precedente all’avvio dei lavori.
Anche la disciplina statale del procedimento di autorizzazione unica di cui all’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, previsto per i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (VIA), prescrive la presentazione della documentazione necessaria, peraltro individuando la possibilità di un ampio periodo di sospensione dei termini per agevolarla (180 giorni dalla pubblicazione dell’avviso al pubblico, ai sensi del comma 5), ma solo nella fase antecedente alla convocazione della conferenza di servizi e non anche in quella successiva.
La puntuale disciplina del procedimento dettata dal legislatore statale, la dettagliata definizione delle fasi e dei termini che conducono al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale concorrono a creare una cornice di riferimento che, sintetizzando i diversi interessi coinvolti, ne individua un punto di equilibrio, che corrisponde anche a uno standard di tutela dell’ambiente.
La proroga stabilita dal legislatore lucano finisce con l’aggiungere un ulteriore irragionevole anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal legislatore statale, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, lesivo, ad un tempo del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e dello standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale.
Si deve pertanto dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.
4.– È, altresì, impugnato l’art. 13, comma 1, della medesima legge reg. Basilicata n. 4 del 2019. Esso sostituisce il comma 2 dell’art. 11 della legge della Regione Basilicata 26 aprile 2012, n. 8 (Disposizioni in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili) e pone ulteriori condizioni per l’esclusione degli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW dal computo di quelli che concorrono al raggiungimento delle potenze installabili di cui alla Parte terza, paragrafo 1.2.3., Tabelle 1-4, del PIEAR, approvato con legge regionale n. 1 del 2010. In particolare, tale disposizione è censurata nella parte in cui, fra le ulteriori condizioni, stabilisce che sia assicurata una distanza minima fra impianti e che vi sia la disponibilità di un suolo la cui estensione sia pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico, su cui non può essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque fonte rinnovabile. Ciò entrerebbe in contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e con le Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, che costituiscono normativa di principio nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, comma terzo, Cost.
L’impugnata disposizione determinerebbe, inoltre, un aggravamento ingiustificato degli oneri a carico dell’operatore, anche sotto il profilo del divieto di altre iniziative nell’area, in violazione degli artt. 41 Cost. e 117, primo comma, Cost., in riferimento a quanto stabilito dall’art. 1 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) che disciplina la liberalizzazione del mercato elettrico, in attuazione della direttiva 96/92/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.
4.1.– Le questioni non sono fondate.
L’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, aggiunge il comma 2 all’art. 11 della legge n. 8 del 2012. Quest’ultimo, che disciplina le potenze installabili, mira a realizzare l’obiettivo dell’incremento della produzione elettrica da fonti rinnovabili, secondo quanto stabilito nel Piano di indirizzo energetico e ambientale regionale. In particolare nella Parte terza, paragrafo 1.2.3. di quest’ultimo si precisa che, «in considerazione delle crescenti problematiche legate all’approvvigionamento energetico», nonché delle «necessità di sviluppo sostenibile e salvaguardia ambientale», la Regione Basilicata «si propone di colmare il deficit tra produzione e fabbisogno di energia elettrica stimato al 2020, indirizzando significativamente verso le rinnovabili il mix di fonti utilizzato», con una strategia che, «al di là della ripartizione degli obiettivi comunitari a livello di singolo Stato e di singola Regione», è in linea con la politica energetica dell’Unione europea.
In vista di tale obiettivo, l’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012 ha escluso dal computo dell’incremento di produzione – in linea con il PIEAR – l’energia prodotta da impianti di piccole dimensioni e limitata potenza, destinati a usi privati o, comunque, con caratteristiche particolari (come, per esempio, gli impianti di autoproduzione e gli impianti alimentati da biogas). Fra di essi il citato art. 11, al comma 1, lettera b), della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, già annoverava gli impianti di energia da fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200 kW.
L’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, ha, invece, condizionato tale ultima esclusione al rispetto di alcuni limiti, individuati attraverso il rinvio all’art. 6 della medesima legge regionale n. 8 del 2012 (come sostituito dall’art. 32 della legge della Regione Basilicata 22 novembre 2018, n. 38 recante «Seconda variazione al bilancio di previsione pluriennale 2018/2020 e disposizioni in materia di scadenza di termini legislativi e nei vari settori di intervento della Regione Basilicata»), relativo all’utilizzo della procedura di abilitazione semplificata (PAS) per gli impianti eolici e fotovoltaici.
Quest’ultima norma prevedeva, fra l’altro, che fosse assicurato il rispetto di una distanza minima fra impianti e garantita la disponibilità di un suolo la cui estensione fosse pari o superiore a tre volte la superficie del generatore fotovoltaico, su cui, peraltro, non avrebbe potuto essere realizzato altro impianto di produzione di energia da qualunque fonte rinnovabile.
Tali previsioni – cui sono specificamente rivolte tutte le censure di illegittimità costituzionale promosse dall’odierno ricorrente con riguardo all’art. 13, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2019 – sono state, frattanto, dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza n. 286 del 2019, in riferimento ai medesimi parametri evocati nel presente giudizio e cioè per contrasto con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e contenuti nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, come attuato dal d.m. 10 settembre 2010, recante le linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Pertanto, l’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, là dove fa rinvio all’art. 6 della legge regionale n. 8 del 2012, nel testo risultante dalla sentenza n. 286 del 2019, è esente dai denunciati vizi di illegittimità costituzionale.
5.– Anche il comma 3 dell’art. 13 della legge regionale n. 4 del 2019 è impugnato, in quanto, aggiungendo il comma 7 all’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 8 del 2012, stabilisce, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, un tetto all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in base alla tipologia di fonte rinnovabile, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.
Secondo il ricorrente, la previsione di limiti massimi di produzione per le singole fonti, il cui superamento precluda l’avvio e la prosecuzione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica, si porrebbe in contrasto con la normativa statale (in specie con l’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003), che stabilisce il termine perentorio di 90 giorni per la conclusione del procedimento, e quindi con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Essa violerebbe, inoltre, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli accordi internazionali (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ratificata con la legge 1° giugno 2002, n. 120, recante «Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997») e alle direttive europee in materia (direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità; direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
5.1.– La questione è fondata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
L’impugnato art. 13, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 ha aggiunto il comma 7 al già citato art. 11 della legge regionale n. 8 del 2012. Quest’ultimo, come si è già detto (supra, punto 4.1.), nel disciplinare le potenze installabili, si inserisce nel quadro della programmazione regionale – di cui al PIEAR, Parte terza, paragrafo 1.2.3. – inerente all’obiettivo dell’incremento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in linea con la normativa europea.
È, infatti, la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, recepita con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) che ha individuato, quale obiettivo nazionale vincolante per l’Italia, il raggiungimento, entro il 2020, di una quota dei consumi finali lordi (CFL) complessivi di energia coperta da fonti rinnovabili almeno pari al 17 per cento.
In vista di tale obiettivo, già l’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) ha demandato a uno o più decreti ministeriali – da adottarsi d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – il compito della ripartizione, fra Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, della quota minima necessaria di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili.
Con il successivo art. 37, comma 6, del citato d.lgs. n. 28 del 2011, si è, poi, assegnata a un decreto del Ministro dello sviluppo economico – da adottare, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – la precisa definizione e quantificazione degli obiettivi regionali in attuazione del comma 167 dell’art. 2 della citata legge n. 244 del 2007. In applicazione di tale previsione è stato, infine, adottato il d.m. 15 marzo 2012 (Definizione e qualificazione degli obiettivi regionali in materia di fonti rinnovabili e definizione delle modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni e delle provincie autonome: c.d. Burden Sharing) che ha provveduto a definire e quantificare gli obiettivi intermedi e finali che ciascuna Regione e Provincia autonoma deve conseguire, ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia.
In vista del medesimo scopo, il paragrafo 17.2 delle Linee guida (richiamato dall’art. 3, comma 6, del d.m. 15 marzo 2012) ha stabilito che «[l]e Regioni e le Province autonome conciliano le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)» e comprensivi delle aree non idonee, individuate anche alla luce di quanto già previsto dal piano paesaggistico.
Il paragrafo 14.5 delle medesime Linee guida, infine, ha statuito che «[i]l superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel Piano Energetico regionale o delle quote minime di incremento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili ripartite (…) non preclude l’avvio e la conclusione favorevole del procedimento ai sensi del paragrafo 1» e cioè il procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Il quadro normativo richiamato rivela, in maniera palese, che la ripartizione fra le Regioni degli oneri inerenti all’incremento della quota minima di energia prodotta con fonti rinnovabili è funzionale a consentire il raggiungimento dell’obiettivo nazionale, indicato come vincolante dalla normativa europea, in linea con il principio della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili (da ultimo, sentenza n. 286 del 2019).
La norma adottata dal legislatore lucano, all’opposto, si mostra incompatibile con tale principio. Essa, infatti, «[n]elle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione», pone un tetto massimo alla produzione dell’energia da fonti rinnovabili, «ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003» e così contraddice quanto stabilito al paragrafo 14.5. delle Linee guida, attribuendo al superamento di quel tetto proprio l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni alla realizzazione degli impianti. In tal modo, essa viola anche la previsione di cui all’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, che costituisce, a sua volta, principio fondamentale nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», ispirato alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, volto a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo (sentenza n. 177 del 2018).
Né serve, per escludere tali violazioni, il richiamo a quanto previsto dall’art. 3, comma 6, del d.m. 15 marzo 2012, che autorizza le Regioni a porre «limiti massimi alla produzione di energia per singola fonte rinnovabile in misura non inferiore a 1,5 volte gli obiettivi previsti nei rispettivi strumenti di pianificazione energetica per la medesima fonte». Tale previsione costituisce, infatti, mero corollario della facoltà di identificare aree non idonee, riconosciuta alle Regioni dalle stesse Linee guida, al paragrafo 17.2, nella prospettiva della conciliazione delle «politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili». Con «atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)», le Regioni possono, infatti, individuare aree non idonee per motivi di tutela paesaggistica o ambientale. Tale individuazione, a differenza di quanto fatto dal legislatore lucano «nelle more della adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione», deve sempre essere basata su apposite istruttorie e verifiche puntuali e concrete.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019.
Resta assorbita la censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, l’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, che – «nelle more del perfezionamento dell’iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018» – autorizza le aziende sanitarie locali e i Comuni a «proseguire i contratti in corso con i gestori delle Strutture socio-sanitarie e dei Servizi socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari già in possesso di autorizzazione, anche provvisoria, sulla base della normativa previgente».
Il ricorrente ritiene che la norma regionale si ponga in contrasto con i principi fondamentali fissati dal legislatore statale in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 117, terzo comma Cost., secondo cui l’accreditamento è condizione necessaria per stipulare gli accordi contrattuali previsti dall’art. 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dunque anche per consentirne la proroga.
5.1.– La questione, così come prospettata, è inammissibile.
La norma regionale impugnata, come si è detto, autorizza le aziende sanitarie locali e i Comuni a proseguire i contratti in corso sia con i gestori delle strutture e dei servizi socio-sanitari, sia con i gestori dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi, già in possesso di autorizzazione, anche provvisoria, sulla base della normativa previgente, «al fine di garantire la continuità dei servizi sociali e socio-sanitari essenziali nelle more del perfezionamento dell’iter procedurale in materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio 2018».
Nel richiamare la delibera della Giunta, la norma regionale evoca un quadro normativo – di cui essa stessa è parte – molto articolato. La delibera cui si fa riferimento fornisce indicazioni operative circa la corretta applicazione delle nuove norme in materia di autorizzazione per le strutture e le attività socio-sanitarie, dettate, in specie, dall’art. 30, comma 3, della legge della Regione Basilicata 24 luglio 2017, n. 19 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017). Si intendeva, in tal modo, consentire l’adeguamento delle medesime strutture e attività ai requisiti che la legge regionale 5 aprile 2000, n. 28 (Norme in materia di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private) originariamente prescriveva, con esclusivo riferimento alle strutture e alle attività sanitarie. Tutto ciò si poneva in sintonia con quanto disposto dall’art. 3-septies del d.lgs. n. 502 del 1992 (inserito dall’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, recante «Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419») e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie), attuativo di tali disposizioni. Le norme appena richiamate, con l’equiparazione del regime delle strutture e dei servizi socio-sanitari a quello delle strutture e dei servizi sanitari, prevedono che anche i primi siano assoggettati al rilascio dell’autorizzazione e dell’accreditamento istituzionale (artt. 8-ter e 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992), entrambe condizioni per la stipulazione degli accordi contrattuali di cui all’art. 8-quinquies del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992.
Nella richiamata delibera della Giunta regionale n. 424 del 2018, si dà conto di molteplici, ripetuti, interventi del legislatore regionale, che hanno caratterizzato l’adeguamento della disciplina delle strutture e dei servizi socio-sanitari alla normativa statale di principio. Si tratta di interventi che, in maniera frammentaria ed episodica, hanno preceduto l’introduzione dell’art. 30 della legge regionale n. 19 del 2017, in vista del comune obiettivo di assicurare il recepimento dei nuovi «requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi delle strutture sociosanitarie» (così la deliberazione della Giunta regionale 14 novembre 2017, n. 1218), in linea con i nuovi livelli essenziali di assistenza stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). A questi requisiti anche le «strutture sociosanitarie già autorizzate e quelle comunque operanti nel SSR» sono tenute a conformarsi, chiedendo il rinnovo dell’autorizzazione (così il punto 6 della citata D.G.R. n. 424 del 2018).
La medesima delibera regionale – come, d’altronde, la stessa norma regionale impugnata che la evoca – ha, tuttavia, un ambito di applicazione che non si esaurisce nella disciplina delle strutture e attività socio-sanitarie. Essa, infatti, riguarda anche le novità introdotte dalla legge reg. Basilicata n. 19 del 2017, all’art. 31, sui servizi socio-assistenziali e socio-educativi. Quest’ultimo articolo prevede che «[n]elle more dell’adeguamento della disciplina regionale alle disposizioni della legge 8 novembre 2000, n. 328 ed ai criteri indicati nel D.M. 21 maggio 2001, n. 308 in materia di autorizzazione delle strutture che svolgono in regime semiresidenziale o residenziale attività socio-assistenziali, socio-educative, i Comuni rilasciano autorizzazione previa verifica del possesso dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi previsti dal D.M. 21 maggio 2001, n. 308 e dalle disposizioni attuative regionali». Si tratta di disposizioni regionali che mirano a consentire l’adeguamento dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi a quanto disposto dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e dal relativo regolamento attuativo (il d.m. 21 maggio 2001, n. 308, recante il «Regolamento concernente “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”»).
Tale ultima legge è stata adottata nella vigenza del precedente assetto costituzionale, in cui la materia della «beneficenza pubblica», poi ridefinita «servizi sociali» dall’art. 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59), «rientrava tra quelle nelle quali le Regioni avevano competenza legislativa concorrente» (sentenza n. 296 del 2012).
Essa ha disciplinato le modalità di erogazione dei servizi sociali e, in particolare, ha previsto, per i «servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale» (art.11), a gestione pubblica o operati da «organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati», il regime dell’autorizzazione, dell’accreditamento e della vigilanza da parte dei Comuni, secondo criteri definiti dalle Regioni, sulla base di requisiti minimi fissati dallo Stato (art. 8, comma 3, lettera f). Ha anche previsto il possibile affidamento dei servizi sociali mediante «forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità» (art. 5, comma 2).
Inizialmente tale disciplina si imponeva alle Regioni, in quanto espressiva di principi fondamentali nella materia dei «servizi sociali», che, come si è ricordato, rientrava nell’ambito della competenza concorrente. Il profondo mutamento impresso dalla riforma costituzionale introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che ha conferito alle Regioni competenza legislativa di tipo residuale nella materia dei servizi sociali (sentenza n. 296 del 2012), ha imposto l’adozione di nuovi criteri interpretativi.
5.2.– In questo vasto quadro normativo – che il ricorrente non si preoccupa di richiamare neppure in linea generale – si deve collocare l’art. 27 della legge regionale n. 4 del 2019. Esso si pone al crocevia di due distinte materie disciplinate dal legislatore statale, l’una relativa al riordino dei servizi socio-sanitari, l’altra al sistema integrato dei servizi sociali.
Secondo il ricorrente, con l’autorizzare la prosecuzione di contratti con i gestori sia delle strutture e dei servizi socio-sanitari, sia dei servizi socio-educativi e socio-assistenziali, l’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019 violerebbe il principio fondamentale della materia della tutela della salute, individuato nell’accreditamento.
A sostegno di tale assunto, tuttavia, il ricorrente non fornisce alcuna motivazione circa la pretesa violazione del principio fondamentale dell’accreditamento, di cui all’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, in materia di tutela della salute da parte di quel frammento della disposizione regionale che attiene, come si è detto, al diverso ambito dei servizi sociali (socio-educativi e socio-assistenziali), materia quest’ultima di competenza regionale residuale.
Vi è da aggiungere che, anche con riguardo alle strutture e ai servizi socio-sanitari, la censura di contrasto con il principio dell’accreditamento si rivela apodittica. Il ricorrente trascura di ricostruire completamente il quadro normativo in cui operano i gestori delle strutture e dei servizi socio-sanitari, per cui è prevista l’autorizzazione a proseguire i contratti. La difesa statale non illustra affatto il contenuto della norma impugnata, intervenuta a seguito della modifica dei requisiti prescritti per il rilascio dell’autorizzazione, operata dalla nuova normativa regionale, in linea con la normativa statale, e precisata dalla citata delibera della Giunta regionale n. 424 del 2018, che ha imposto a tutte le strutture socio-sanitarie di sottoporsi a nuova verifica, anche a quelle «già autorizzate e quelle comunque operanti nel SSR». La norma regionale, mirando a garantire la continuità dei servizi socio-sanitari essenziali, nelle more della procedura di verifica del loro adeguamento ai nuovi requisiti, potrebbe riguardare sia strutture già operanti in assenza di accreditamento, sia strutture già autorizzate e anche accreditate.
Questa Corte ha costantemente affermato che «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (sentenza n. 286 del 2019). Il ricorso avverso una norma regionale che arrechi pregiudizio alle attribuzioni statali «deve essere adeguatamente motivato e, a supporto delle censure prospettate, deve chiarire il meccanismo attraverso cui si realizza il preteso vulnus lamentato» (sentenza n. 232 del 2019). Quando il vizio è prospettato riguardo a norme interposte specificamente richiamate, si impone un giudizio ancora più rigoroso e stringente che si rifaccia a un nesso di pertinenza rispetto al parametro che è evocato, oltre che alla norma impugnata.
Qualora – come nel caso in esame – difetti un adeguato impianto argomentativo, questa Corte deve rilevare, anche d’ufficio, l’inammissibilità delle censure per genericità e insufficiente motivazione circa l’asserito contrasto con il parametro interposto.
Nel dichiarare la questione inammissibile, questa Corte non può esimersi dal ricordare che le disposizioni statali subordinano gli accordi contrattuali con i gestori privati dei servizi socio-sanitari all’autorizzazione e all’accreditamento definitivi. Anche con specifico riferimento a norme adottate dal legislatore lucano – dichiarate costituzionalmente illegittime perché non in linea con tali disposizioni (sentenza n. 238 del 2018) – questa Corte ha avuto modo di chiarire che il regime delle autorizzazioni e degli accreditamenti costituisce principio fondamentale in materia di tutela della salute. Il legislatore statale (artt. 8-ter, 8-quater e 8-quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992) ha inteso vincolare le strutture socio-sanitarie private all’osservanza di requisiti essenziali da cui far dipendere l’erogazione di prestazioni riferite alla garanzia di un diritto fondamentale.
Anche la disciplina regionale dei servizi socio-educativi e socio-assistenziali, sebbene riconducibile a materia di competenza regionale residuale, non può non incontrare il limite del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, fissati dal legislatore statale in termini uniformi sul territorio nazionale. I gestori privati non possono dunque sottrarsi alle verifiche circa i requisiti necessari che consentono l’erogazione di prestazioni qualitativamente adeguate.
La proroga dei contratti in essere, autorizzata dalla norma regionale impugnata per non interrompere la continuità dei servizi, non esonera il legislatore regionale dall’obbligo di adottare tempestivamente una disciplina organica dei servizi socio-sanitari e dei servizi sociali, coerente con il rispetto dei principi costituzionali più volte richiamati.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 9, 10, 12 e 13, comma 3, della legge della Regione Basilicata 13 marzo 2019, n. 4 (Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 1, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2019, promosse, in riferimento agli artt. 41 e 117, primo e terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 aprile 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2020.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE