ORDINANZA N. 3 ANNO 2020

Ordinanza 3/2020 (ECLI:IT:COST:2020:3)
Giudizio:  
Presidente: CAROSI - Redattore:  ANTONINI
Camera di Consiglio del 04/12/2019;    Decisione  del 04/12/2019
Deposito del 17/01/2020;   Pubblicazione in G. U. 22/01/2020  n. 4
Norme impugnate:  Art. 74, c. 1°, del decreto del Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115.
Massime: 
Atti decisi: ord. 6/2019
  

Pronuncia

ORDINANZA N. 3

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Aldo CAROSI; Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,


ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata nel procedimento penale a carico di E. L., con ordinanza del 30 aprile 2018, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2019 il Giudice relatore Luca Antonini.


Ritenuto che, con ordinanza depositata il 30 aprile 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui dispone che «[è] assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente […] persona offesa da reato […]», senza prevedere la «possibilità per il giudice chiamato a decidere sulla ammissione al beneficio di valutare la eventuale evidente assenza di fatti di rilevanza penale»;

che il giudice a quo è chiamato a decidere sulla istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato avanzata dalla persona offesa dal reato oggetto della denuncia-querela da essa stessa sporta e riferisce che il pubblico ministero, dopo avere iscritto la notitia criminis nel registro delle notizie di reato, ha presentato una richiesta di archiviazione ritenendo privi di rilievo penale i fatti descritti in tale denuncia-querela;

che, in punto di rilevanza, il rimettente evidenzia di avere accertato il requisito reddituale necessario per considerare non abbiente l’istante, il quale, di conseguenza, per effetto della denunciata omissione dovrebbe essere ammesso a fruire del menzionato beneficio, benché sia condivisibile la suddetta richiesta di archiviazione;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il GIP del Tribunale di Macerata ritiene che la norma censurata, riconoscendo il diritto al patrocinio a spese dello Stato sulla scorta della iscrizione dell’istante quale persona offesa nel registro delle notizie di reato – «atto dovuto a seguito della trasmissione alla Procura di una denuncia» –, senza prevedere che il giudice possa valutare la eventuale «manifesta assenza di fatti di rilevanza penale», recherebbe un vulnus all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza;

che, in particolare, l’impossibilità per il giudice di respingere l’istanza di ammissione al beneficio, benché egli ritenga che i fatti oggetto del procedimento siano penalmente irrilevanti, contrasterebbe con i criteri di «logica e di razionalità»: lo Stato sarebbe difatti costretto a sopportare un onere economico del tutto ingiustificato, in quanto funzionale alla difesa di soggetti che non rivestirebbero la «effettiva» qualità di persona offesa dal reato, avendo presentato denuncia-querela al solo scopo di coltivare conflittualità private;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, manifestamente infondata;

che l’eccezione d’inammissibilità è basata sulla mancata individuazione del tertium comparationis necessario a far emergere la prospettata disparità;

che, nel merito, la questione sarebbe priva di fondamento;

che, infatti, la ratio della norma censurata andrebbe ravvisata nella esigenza di rimuovere ogni possibile ostacolo al diritto della persona offesa di agire in giudizio, il quale sarebbe compromesso ove si riconoscesse al GIP la possibilità – in sede di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, prima della decisione sulla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero – di escludere l’esistenza di fatti di rilevanza penale.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata solleva, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui dispone che «[è] assicurato il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente […] persona offesa da reato […]»;

che la norma è censurata in quanto non prevede che il giudice possa valutare, in sede di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, prima della decisione sulla richiesta di archiviazione, la eventuale «evidente assenza di fatti di rilevanza penale»;

che, in tal modo, la disposizione denunciata consentirebbe il riconoscimento del beneficio all’istante non abbiente che – benché qualificato dal pubblico ministero come persona offesa al momento della iscrizione della notitia criminis nel registro delle notizie di reato di cui all’art. 335 del codice di procedura penale – non rivestirebbe effettivamente tale qualità;

che l’impossibilità di negare l’accesso al beneficio in parola a un soggetto che – in considerazione della irrilevanza penale dei fatti – non può ritenersi effettivamente persona offesa lederebbe, ad avviso del giudice a quo, il fondamentale canone della ragionevolezza, dal momento che in siffatte ipotesi l’onere economico posto a carico dello Stato sarebbe del tutto ingiustificato;

che l’eccezione di inammissibilità sollevata in limine dall’Avvocatura generale dello Stato è priva di pregio, giacché muove da un assunto errato;

che, infatti, il vulnus recato all’art. 3 Cost. dall’art. 74, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002 sarebbe apprezzabile, secondo il rimettente, esclusivamente sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca e non sotto quello della disparità, per cui non era necessaria l’indicazione di un tertium comparationis;

che, nel merito, la questione è manifestamente infondata;

che la giurisprudenza costituzionale ha in più occasioni ricondotto l’istituto del patrocinio a spese dello Stato nell’alveo della disciplina processuale (sentenza n. 81 del 2017; ordinanze n. 122 del 2016 e n. 270 del 2012), nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (ex plurimis, sentenza n. 97 del 2019);

che nella specie si deve escludere che tale soglia sia stata valicata;

che, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la qualità di persona offesa si acquista al momento della iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (Cassazione penale, sezione quarta, sentenze 12 ottobre 2018, n. 46467, e 22 settembre 2017, n. 43865);

che tale iscrizione non è – diversamente a quanto ritenuto dal giudice a quo – un «atto dovuto» che consegue dunque indefettibilmente alla «trasmissione alla Procura di una [qualsiasi] denuncia», giacché essa postula, al contrario, che il pubblico ministero abbia escluso che i fatti descritti nella notitia criminis appaiano penalmente irrilevanti;

che, pertanto, l’acquisizione della qualità di persona offesa non avviene automaticamente sulla base di una sorta di autoqualificazione da parte del denunciante o del querelante, ma solo all’esito del ponderato esercizio, da parte del pubblico ministero, dell’attività che l’ordinamento gli affida in ordine alla identificazione di una notizia di reato: di una notizia, cioè, concernente fatti astrattamente sussumibili in una determinata fattispecie criminosa e come tale iscritta nel registro delle notitiae criminis;

che, d’altro canto – una volta intervenuta l’iscrizione nel registro delle notizie di reato –, ove il procedimento penale conduca alla richiesta di archiviazione, alla persona offesa è riconosciuta la possibilità di contrastare tale richiesta attraverso il rimedio dell’opposizione di cui all’art. 410 cod. proc. pen. o, comunque, presentando memorie al GIP ai sensi dell’art. 90 cod. proc. pen. (sentenza n. 95 del 1997);

che, di conseguenza, la norma denunciata è del tutto ragionevole e coerente con l’impianto del codice di rito, essendo preordinata ad assicurare l’effettività del diritto di difesa – «particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari, entro il quale si colloca il procedimento di archiviazione» (sentenza n. 353 del 1991) – alla persona offesa non abbiente;

che tale effettività mira a garantire, nel rispetto del terzo comma dell’art. 24 Cost. e dell’art. 3 Cost., la rimozione di un ostacolo di ordine economico che altrimenti vanificherebbe di fatto la possibilità delle persone offese non abbienti di esercitare le prerogative difensive dianzi dette con l’assistenza tecnica di un difensore;

che, d’altra parte, le facoltà e i diritti riconosciuti dal codice di rito alla persona offesa si traducono in «un’attività di supporto e di controllo dell’operato del pubblico ministero» che «tende a realizzare […] una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale (sentenza n. 353 del 1991)» (sentenza n. 23 del 2015);

che, in questa prospettiva, l’opposizione della persona offesa si colloca nel medesimo alveo finalistico del controllo del giudice nell’ambito del procedimento di archiviazione, risultando quindi anch’essa funzionale alla salvaguardia del principio di obbligatorietà dell’azione penale presidiato dall’art. 112 Cost. (ordinanza n. 95 del 1998);

che le considerazioni dianzi svolte inducono a ritenere la manifesta infondatezza della questione sollevata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 74, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2019.

F.to:

Aldo CAROSI, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE