SENTENZA N. 130 ANNO 2020

Sentenza 130/2020 (ECLI:IT:COST:2020:130)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: CARTABIA - Redattore:  MODUGNO
Udienza Pubblica del 05/05/2020;    Decisione  del 05/05/2020
Deposito del 26/06/2020;   Pubblicazione in G. U. 01/07/2020  n. 27
Norme impugnate:  Artt. 2, c. 28°, e 3, c. 9°, della legge della Regione Siciliana 16/12/2018, n. 24.
Massime: 
Atti decisi: ric. 26/2019
  

Pronuncia

SENTENZA N. 130

ANNO 2020


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 28, e 3, comma 9, della legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 16-21 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 20 febbraio 2019, iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito il Giudice relatore Franco Modugno nell’udienza del 5 maggio 2020 svolta, ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1) lettere a) e c), senza discussione orale;

deliberato nella camera di consiglio del 5 maggio 2020.


Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 16-21 febbraio 2019, depositato il successivo 20 febbraio, iscritto al n. 26 del reg. ric. 2019, in forza della delibera di impugnazione assunta dal Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2019, ha promosso questioni di legittimità in via principale:

a) dell’art. 2, comma 28, della legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie), per violazione degli artt. 117, commi primo, secondo, lettera m), e terzo – quest’ultimo in relazione all'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» –, e 118 della Costituzione, anche in relazione al d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502);

b) dell’art. 3, comma 9, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, per violazione degli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione agli artt. 134, 136 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in materia di tutela dei centri storici, e all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

2.– L’art. 2 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, rubricato «Rifinanziamento e riduzioni autorizzazioni di spesa», al comma 28, dispone un incremento dell’autorizzazione di spesa per le finalità dell’art. 7, comma 1, della legge della Regione Siciliana 1° agosto 1990, n. 20 (Interventi in materia di talassemia). Con il citato art. 2 si dispone, infatti, che «[l]’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 31, Allegato 1, della legge regionale n. 8/2018, per le finalità della legge regionale 1° agosto 1990, n. 20, articolo 7, comma 1, è incrementata di 1.046 migliaia di euro per l’esercizio finanziario 2018 (Missione 13, Programma 7, capitolo 413706)».

2.1.– Il ricorrente riferisce che, sin dal 2016, erano stati «mossi rilievi» critici alla Regione, in sede di Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA), circa la previsione di cui all’art. 7 della legge reg. Siciliana n. 20 del 1990, che conferisce ai malati per gravi forme di talassemia un’indennità vitalizia e un’indennità chilometrica, sul presupposto che il diritto statale vigente (ora, l’art. 52 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017) prevede, per tali categorie di soggetti, esclusivamente il diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria: l’erogazione di un vitalizio e di un rimborso chilometrico sembravano, dunque, integrare un livello ulteriore d’assistenza sanitaria. Afferma che la Regione Siciliana aveva fornito rassicurazioni allo Stato, qualificando l’indennità in questione come intervento di carattere sociale e non sanitario. Oggetto di rilievo – prosegue il ricorso – era stata pure la previsione di cui all’art. 41 della legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale), che ha stabilito, integrando il menzionato art. 7 della legge reg. Siciliana n. 20 del 1990, l’adeguamento agli indici ISTAT dell’indennità per i pazienti affetti da talassemia. Anche in quella occasione, la Regione Siciliana avrebbe garantito che i costi di tale adeguamento avrebbero gravato su fondi regionali di natura sociale.

Il ricorso si fonda sul rilievo, derivante dall’esame della legge impugnata, che le risorse per le misure in esame «gravano ancora su fondi di natura sanitaria (missione 13)».

2.2.– L’Avvocatura generale dello Stato sostiene che la Regione Siciliana, eseguendo un piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può garantire livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli essenziali, e che la norma impugnata, dunque, viola il principio del contenimento della spesa pubblica sanitaria – principio generale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – che si è tradotto anche nel divieto, per le Regioni sottoposte al piano di rientro sanitario, di effettuare spese non obbligatorie di cui all’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004. Richiama, a sostegno della censura, la sentenza di questa Corte n. 104 del 2013, nonché, con riferimento più specifico all’applicabilità del principio del contenimento della spesa pubblica anche alle Regioni ad autonomia speciale, le sentenze n. 62 del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015; richiama, altresì, la sentenza n. 175 del 2014, poiché il risanamento dei disavanzi di bilancio è obiettivo prioritario non solo in forza dei principi costituzionali, ma anche in ossequio ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

2.3.– Precisa, in seguito, che i rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali sono regolati dal «principio dell’accordo», declinato nella forma della leale collaborazione, che la norma impugnata lederebbe per via della violazione dell’intesa raggiunta in materia di livelli essenziali d’assistenza sanitaria (LEA) nella seduta del 7 settembre 2016, propedeutica all’adozione del d.P.C.m. 12 gennaio 2017. Sarebbe evidente, in tesi, la violazione sia dell’art. 117, commi primo, secondo, lettera m), e terzo, sia dell’art. 118 Cost., come si desumerebbe dalle sentenze n. 103 del 2018, n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012 di questa Corte.

3.– L’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, rubricato «Modifiche di norme», al comma 9, apporta due modifiche alla legge della Regione Siciliana 10 luglio 2015, n. 13 (Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici), e dispone: «[a]lla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 1, comma 2, dopo le parole “normativa vigente” aggiungere le parole “salvo l’obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti”; b) all’articolo 3, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: “5-bis. Nel caso in cui l’amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all’intero centro storico, è data facoltà al soggetto che intende effettuare interventi in conformità ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o più unità edilizie, con l’obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1”».

L’Avvocatura generale dello Stato premette che la legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 contiene una nuova definizione delle tipologie edilizie dei centri storici e prevede che il Comune provveda a individuare l’appartenenza delle singole unità edilizie a ciascuna categoria mediante uno studio di dettaglio dell’intero centro storico (artt. 2 e 3).

3.1.– L’integrazione, all’art. 1, comma 2, del periodo «salvo l’obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti», nella prospettiva del ricorrente, dispone il superamento delle norme per le “Zone Territoriali Omogenee A - centro storico”, ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), che venivano invece fatte salve dalla legge regionale del 2015, nel caso in cui contrastassero con i contenuti degli “studi di dettaglio” di cui all’art. 3 della legge regionale medesima.

3.2.– L’introduzione del nuovo art. 5-bis dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015, ad opera del comma 9 dell’art. 3 impugnato, consentendo la parcellizzazione in stralci dello studio di dettaglio, vanificherebbe l’obiettivo di compiere una elaborazione organica sull’intero centro storico per l’individuazione delle tipologie edilizie e per la conseguente programmazione degli interventi che è possibile effettuare. L’approvazione di questi stralci resterebbe demandata alla conferenza di servizi prevista dal comma 1 dell’art. 3, nell’ambito della quale, però, il parere della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali potrebbe risultare minoritario.

Il ricorrente sostiene che, permettendo che la proposta di attribuzione alle tipologie edilizie provenga pure dai privati, si renderebbe possibile la realizzazione di interventi anche molto impattanti, nell’ipotesi ad esempio dell’edilizia che venisse classificata “non qualificata” o “parzialmente qualificata”, senza che sia necessaria l’autorizzazione della Soprintendenza (art. 4, comma 1, lettera f, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015). Orbene, il combinato disposto degli artt. 134, 136 e 146 cod. beni culturali tutela i centri storici, in quanto beni paesaggistici e aree di notevole interesse pubblico, imponendo che ogni intervento sia preventivamente autorizzato dall’amministrazione, per evitare che si rechi pregiudizio al valore tutelato. Le modifiche introdotte dalla normativa censurata consentirebbero però di intervenire sui centri storici in modo difforme da quanto in precedenza pianificato e autorizzato dalla Soprintendenza, minando così il principio ispiratore della legislazione in materia, che è quello dell’«approccio unitario (metodologico e valutativo) sul “bene culturale unitario centro storico”». A questo proposito, occorre tenere presente che le norme del citato d.lgs. n. 42 del 2004, qualificabili come «norme di grande riforma economico-sociale», si impongono anche alle Regioni dotate di autonomia speciale. A testimonianza dell’importanza riconosciuta da questa Corte alle norme contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, il ricorrente richiama le sentenze n. 66 del 2012, n. 164 del 2009 e n. 367 del 2007.

3.3.– Rileva, infine, il contrasto dell’art. 3, comma 9, della legge regionale impugnata con l’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana il quale, pur contemplando tra le materie di potestà legislativa regionale quella dell’«urbanistica», alla lettera f), e della «tutela del paesaggio», alla lettera n), precisa che tali attribuzioni sono esercitate «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato».

4.– La Regione Siciliana ha depositato, in data 25 marzo 2019, atto di costituzione in giudizio con controdeduzioni.

Con riguardo alle censure rivolte all’art. 2, comma 28, della legge regionale impugnata, essa riconosce che la Presidenza del Consiglio dei ministri, in sede di Comitato LEA, aveva formulato «rilievi» circa le misure regionali a beneficio dei talassemici, poiché riteneva integrassero un livello ulteriore di assistenza, e che, per parte sua, la Regione aveva dato rassicurazioni sul fatto che le risorse destinate a quelle spese non avrebbero gravato su fondi sanitari, costituendo misure di carattere sociale. La parte resistente afferma pure che la Regione ha ricevuto ulteriori osservazioni, dello stesso tenore, sull’art. 41 della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018, ed è tornata ad assicurare che l’adeguamento agli indici ISTAT dell’indennità avrebbe gravato su fondi regionali di natura sociale: per questa ragione, lo Stato avrebbe deciso di non impugnare detto articolo di legge regionale.

4.1.– Poiché il Presidente del Consiglio dei ministri ha invece proceduto all’impugnazione dell’art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018 sulla base del rilievo per cui le spese relative all’indennità gravano ancora su fondi di natura sanitaria, la Regione precisa che gli uffici degli Assessorati salute ed economia hanno attestato che il finanziamento dei benefici previsti dall’art. 7 della legge reg. Siciliana n. 20 del 1990 e sue successive modifiche è «esclusivamente a carico del bilancio regionale e non a carico delle risorse correnti del fondo sanitario». Per questo, la Regione sostiene che le misure non costituirebbero erogazione di livelli di assistenza sanitaria ulteriori rispetto ai LEA, ma si sarebbe verificata «solo l’impropria inclusione dei corrispondenti capitoli di bilancio (413706 – indennità vitalizia e 413707 – indennità chilometrica) nell’ambito della Missione 13 “Tutela della salute”», anzi che nell’ambito della Missione 12 “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia”, circostanza che ha dato adito «ad erronea interpretazione da parte dello Stato». Gli uffici competenti intenderebbero rimuovere definitivamente tale imprecisione, impegnandosi a formulare un’apposita iniziativa legislativa con il «primo disegno di legge utile», per includere l’intervento nella Missione 12.

4.2.– La Regione Siciliana, in conclusione, deduce l’impossibilità di applicare la giurisprudenza costituzionale in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario al caso di specie, non ricorrendo il carattere sanitario della spesa e, dunque, la violazione del principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria. Ricorda, infine, che ultimamente questa Corte, con sentenza n. 172 del 2018, ha escluso l’illegittimità della norma di spesa relativa ai minori in adozione di cui alla legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 16 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2017. Legge di stabilità regionale. Stralcio I), in ragione della natura sociale della misura.

5.– In data 27 aprile 2020, in prossimità della decisione, in forza delle modalità previste dall’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 20 aprile 2020, avente a oggetto «Ulteriori misure per lo svolgimento dei giudizi davanti alla Corte costituzionale, anche con collegamento da remoto, durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19», la Regione Siciliana ha depositato brevi note. In esse richiama la sentenza n. 94 del 2019 di questa Corte che, in linea con la sentenza n. 172 del 2018, ha deciso in senso favorevole alla parte resistente una questione di legittimità costituzionale analoga a quella oggi promossa in riferimento all’art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, sottolineando che la Corte valuta la natura della misura per l’attinenza a una certa materia e non in base all’imputazione dell’intervento al settore della “Direzione generale della salute”. L’intervento recato dalla norma impugnata – ribadisce – non avrebbe carattere sanitario e, dunque, l’impropria inclusione nell’ambito della Missione 13 “Tutela della salute” non varrebbe a sostenere le censure.

Afferma, in conclusione, che il capitolo relativo alla spesa oggetto del contenzioso sarebbe riclassificato come “Missione 12” in sede di predisposizione del disegno di legge di bilancio per il triennio 2020-2022, che sarà approvato da parte dell’Assemblea regionale siciliana. Chiede, dunque, che il ricorso sia dichiarato inammissibile e/o infondato.

6.– In data 28 aprile 2020, ai sensi dell’art. 1, lettera c), del decreto della Presidente della Corte costituzionale del 20 aprile 2020 sopra richiamato, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato brevi note, insistendo sull’illegittimità della previsione di cui all’art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018. Sarebbe evidente – si afferma – la natura sanitaria e non sociale della misura di sostegno ai malati di talassemia di cui si controverte e da ciò deriverebbe l’impossibilità per la Regione Siciliana, sottoposta a piano di rientro dal disavanzo sanitario, di garantire tale livello ulteriore di assistenza. Sostiene l’Avvocatura generale dello Stato che la finalità del beneficio erogato sia quella di tutelare, in maniera ulteriore rispetto a quanto già previsto dallo Stato, il bene fondamentale della salute, visto che l’erogazione avviene direttamente in favore del soggetto malato, per tutta la vita e per un importo di non modico valore (411, 62 euro mensili).

Queste caratteristiche farebbero differire il caso odierno da quello deciso da questa Corte con sentenza n. 94 del 2019, in cui si riconosceva natura socio-assistenziale alla misura all’epoca scrutinata. A conferma che le misure in sostegno dei malati di talassemia hanno natura sanitaria, l’Avvocatura sottolinea che lo Stato prevede un’adeguata forma d’assistenza, ricompresa nei LEA, rappresentata dal diritto all’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria. La Regione Siciliana non potrebbe, però, garantire tale livello ulteriore d’assistenza utilizzando risorse destinate a spese sanitarie, dovendo, invece, occuparsi di rientrare dal disavanzo assicurando al contempo l’erogazione delle prestazioni essenziali.

L’Avvocatura generale dello Stato afferma, inoltre, che la recente sentenza di questa Corte n. 62 del 2020 avrebbe rilievo per l’odierno giudizio, specie laddove stabilisce che la funzione sanitaria regionale va esercitata «coerentemente con le regole di bilancio, le quali prevedono la separazione dei costi “necessari”, inerenti alla prestazione dei LEA, dalle altre spese sanitarie, assoggettate invece al principio della sostenibilità economica». Con riguardo alle difese esposte da parte resistente, con particolare riferimento all’impegno dell’amministrazione di modificare la Missione cui imputare le spese di cui si controverte, la difesa statale afferma che, malgrado il tempo trascorso, nessuna iniziativa legislativa in proposito è stata assunta, o comunque sia portata a termine, dalla Regione e che non è avvenuta, perciò, l’inclusione nella “Missione 12”.

6.1.– Insiste, in conclusione, pure sull’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, della legge regionale impugnata, per contrasto con i parametri costituzionali e interposti già individuati, rilevando l’assenza di controdeduzioni della resistente sul punto, il che confermerebbe la fondatezza delle censure formulate.


Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 28, della legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie), per violazione degli artt. 117, commi primo, secondo, lettera m), e terzo, – quest’ultimo in relazione all'art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» –, e 118 della Costituzione, anche in relazione al d.P.C.m. 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502); ha altresì promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, della medesima legge regionale per contrasto con gli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione agli artt. 134, 136 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), in materia di tutela dei centri storici, e all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

2.– Le materie cui afferiscono le disposizioni impugnate sono potenzialmente riconducibili ad ambiti che lo statuto speciale di autonomia della Sicilia attribuisce alla competenza legislativa regionale.

In via preliminare, occorre rilevare che il ricorso è ammissibile, perché fornisce una sufficiente motivazione circa «l’impossibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale» (da ultimo, sentenza n. 43 del 2020).

Questa Corte ha già affermato che dal ricorso, «valutato nel suo complesso», deve desumersi il riferimento ai parametri statutari che, nella materia oggetto della singola questione, possono fondare interventi del legislatore regionale (sentenze n. 43 e n. 16 del 2020). Ritenendosi «sufficiente, ma necessaria, un’indicazione, sia pure sintetica al riguardo» (così, già le sentenze n. 147 del 2019, n. 142 del 2015 e n. 288 del 2013), si rileva che il ricorso fa riferimento all’applicabilità del principio di contenimento della spesa pubblica sanitaria alle Regioni ad autonomia speciale; del pari, con riguardo alle questioni relative all’art. 3, comma 9, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, si osserva che le questioni si riferiscono a titoli di competenza statale esclusiva, espressamente confrontata con la competenza statutaria della Regione resistente e con i relativi limiti.

3.– Con il primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, il quale dispone che «l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 31, Allegato 1, della legge regionale n. 8 del 2018, per le finalità della legge regionale 1 agosto 1990, n. 20, articolo 7, comma 1, è incrementata di 1.046 migliaia di euro per l’esercizio finanziario 2018 (Missione 13, Programma 7, capitolo 413706)», poiché, riconducendo le spese per l’erogazione dell’indennità vitalizia e chilometrica in favore di assistiti affetti da gravi forme di talassemia a fondi di natura sanitaria, violerebbe l’art. 117, primo e terzo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera m), anche in riferimento al d.P.C.m. 12 gennaio 2017 sulla definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), e l’art. 118 Cost., per contrasto col principio di leale collaborazione in materia di garanzia dei medesimi LEA, dal momento che il finanziamento di tale indennità costituirebbe un livello ulteriore d’assistenza che la Regione, in piano di rientro dal disavanzo sanitario, non può garantire.

3.1.– La Regione Siciliana conosceva la posizione critica dello Stato sulla previsione dell’indennità vitalizia in favore di pazienti affetti da gravi talassemie. Già in occasione delle riunioni del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA) nel 2016, e successivamente nel 2018, lo Stato aveva rivolto, infatti, rilievi specifici alla Regione, in quanto quest’ultima, pur eseguendo misure di rientro dal disavanzo sanitario, riferiva le spese per l’indennità a fondi regionali per la tutela della salute. Dal canto suo, pure la Regione Siciliana ha riconosciuto, nelle sue difese, che vi era stata una «imprecisione» nell’inclusione dei corrispondenti capitoli di bilancio nella Missione 13 “Tutela della salute” e che occorreva riferire le spese alla Missione 12 “Diritti sociali, politiche sociali e famiglia”. Si impegnava perciò a rimediare in occasione del primo disegno di legge utile.

Tuttavia, con la legge della Regione Siciliana 8 maggio 2018, n. 8 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2018. Legge di stabilità regionale), la Regione ha autorizzato le spese per le indennità di talassemia sulla Missione 13 “Tutela della salute” – unitamente a quelle per l’indennità in favore di pazienti affetti dalla sindrome di Hansen – aumentando poi le risorse all’uopo stanziate con la legge reg. Siciliana n. 24 dello stesso anno.

La stessa Regione ha proceduto, dunque, con l’introduzione dell’art. 2, comma 28, della legge reg. n. 24 del 2018, non già a cambiare la “Missione” cui imputare le spese di cui si controverte, bensì a disporne un incremento (pari a 1.046 migliaia di euro) sulla medesima “Missione 13”.

3.2.– Ciò premesso, la questione è fondata, con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

La misura di sostegno in favore di pazienti affetti da talassemia, istituita con legge della Regione Siciliana 1° agosto 1990, n. 20 (Interventi in materia di talassemia), all’art. 7, rifinanziata negli anni successivi (da ultimo con l’art. 31, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 8 del 2018 e con l’art. 2, comma 28, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, oggi impugnato), costituisce una forma di assistenza sanitaria ulteriore rispetto a quella prevista per la medesima categoria di pazienti dalla normativa statale in materia di livelli essenziali d’assistenza.

L’attuale art. 52 del d.P.C.m. 12 gennaio 2017, sulla definizione dei LEA, letto insieme all’Allegato 7 al decreto, infatti, prevede per i malati di talassemia, con esclusione delle talassemie “minori”, il diritto all’esenzione dalla partecipazione alle correlate spese sanitarie: l’indennità vitalizia, percepita dagli assistiti in forma di erogazione mensile, e l’eventuale indennità chilometrica rappresentano, dunque, prestazioni di ulteriore assistenza. Aggiungono una corresponsione monetaria mensile al beneficio, derivante dal risparmio delle quote di compartecipazione alla spesa sanitaria normalmente a carico dell’utenza, che già la normativa statale riconosce alle persone affette da tali patologie.

3.3.– La Regione Siciliana, pur non essendo più soggetta a piano di rientro dal disavanzo sanitario, è, però, in ragione della mancata eliminazione di quest’ultimo, sottoposta a misure di “monitoraggio” nell’ambito di un programma di consolidamento e sviluppo. Per questo, deve considerarsi preclusa la possibilità di incrementare la spesa sanitaria per motivi non inerenti alla garanzia delle prestazioni essenziali.

La vincolatività del Programma operativo di consolidamento e sviluppo – adottato ai sensi dell’art. 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito in legge 7 agosto 2012, n. 135, in continuità con il Programma operativo 2010-2012 e 2013-2015 – è da considerarsi espressione del principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e del correlato principio di coordinamento della finanza pubblica, poiché esso è adottato per la prosecuzione del piano di rientro. Questa Corte ha più volte stabilito la vincolatività dei piani di rientro dal disavanzo sanitario (ex plurimis, sentenze n. 172 del 2018, n. 278 del 2014, n. 91 del 2012, n. 163 e n. 123 del 2011) e ciò vale, per consequenzialità logica e sistematica, anche in riferimento ai Programmi di consolidamento, funzionali al raggiungimento di obiettivi ancora non realizzati in esecuzione delle precedenti misure.

Questa Corte ha altresì «costantemente affermato che di regola i princìpi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale», poiché essi sono funzionali «a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (sentenza n. 82 del 2015, nonché, ex multis, sentenza n. 62 del 2017)» (sentenza n. 151 del 2017; con specifico riferimento alla Regione Siciliana, sentenza n. 159 del 2018).

La previsione di spese ulteriori rispetto a quelle destinate all’adeguato finanziamento delle prestazioni sanitarie essenziali da parte della Regione Siciliana viola, dunque, i principi che regolano le materie della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica.

3.4.– Nell’eseguire le misure tendenti alla riduzione del disavanzo, la Regione deve occuparsi di destinare le risorse disponibili all’integrale e soddisfacente erogazione dei livelli essenziali d’assistenza sanitaria. Questa Corte ha da tempo chiarito l’«effetto interdittivo di qualsiasi disposizione incompatibile con gli impegni assunti ai fini del risanamento economico-finanziario del disavanzo sanitario regionale in modo da garantire contemporaneamente detto processo di risanamento e i LEA, attraverso un rigoroso percorso di selezione dei servizi finanziabili» (sentenza n. 51 del 2013). Affermazioni valevoli oggi, anche alla luce di quanto recentemente rilevato da questa Corte sull’incapacità della Regione Siciliana di garantire adeguatamente alcune prestazioni ricomprese nei livelli essenziali, situazione questa il cui risanamento merita invece impegno prioritario.

Si è, infatti, affermato che la Costituzione, insieme alle norme attuative dei suoi principi, qualifica «il diritto alla salute come diritto sociale di primaria importanza e ne conforma il contenuto attraverso la determinazione dei LEA, di cui il finanziamento adeguato costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per assicurare prestazioni direttamente riconducibili al fondamentale diritto alla salute». Nel bilancio della Regione Siciliana occorre, dunque, prevedere risorse finanziarie «complessivamente pari alla corretta quantificazione dei LEA e le correlate spese [devono] essere integralmente vincolate all’erogazione dei predetti livelli essenziali» (sentenza n. 62 del 2020).

3.5.– L’accoglimento della questione per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. comporta l’assorbimento delle altre censure.

4.– Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3, comma 9, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, recante «Modifiche di norme», che introduce due modifiche alla legge della Regione Siciliana 10 luglio 2015, n. 13 (Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici), disponendo che: «alla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 1, comma 2, dopo le parole “normativa vigente” aggiungere le parole “salvo l’obbligo di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici ai contenuti della presente legge, per le parti che dovessero risultare con essi contrastanti”; b) all’articolo 3, dopo il comma 5 è aggiunto il seguente: “5-bis. Nel caso in cui l’amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1, relativo all’intero centro storico, è data facoltà al soggetto che intende effettuare interventi in conformità ai contenuti della presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio relativo ad un comparto territoriale, costituito da una o più unità edilizie, con l’obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal medesimo comma 1”». L’articolo impugnato sarebbe illegittimo per contrasto con gli artt. 9, secondo comma, 117, secondo comma, lettera s), Cost. e, pure, con le norme interposte di cui agli artt. 134, 136 e 146 cod. beni culturali, e con l’art. 14 statuto reg. Siciliana, che attribuisce a quest’ultima competenze legislative in materia di urbanistica e di tutela del paesaggio da esercitarsi, però, nel rispetto dei limiti stabiliti dallo statuto.

5.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’art. 3, comma 9, lettera a), consentendo la deroga alla disciplina statale di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), violerebbe i parametri sopra richiamati.

5.1.– La questione deve essere dichiarata inammissibile, in quanto non adeguatamente motivata e posta in termini meramente assertivi.

Il ricorso si limita ad affermare che l’integrazione operata dall’art. 3, comma 9, lettera a), della legge regionale impugnata «dispone un completo superamento delle norme per le zone territoriali omogenee A – centro storico, ai sensi decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che sono state invece fatte salve dalla legge del 2015». La valenza derogatoria della disciplina statale doveva, però, essere provata, tanto più che la lettera della disposizione si riferisce espressamente alla sola necessità che le norme di attuazione degli strumenti urbanistici si adeguino ai contenuti della legge regionale.

Questa Corte ha costantemente affermato che l’atto introduttivo del giudizio «deve contenere [...] anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva» (sentenza n. 286 del 2019; ex plurimis, sentenza n. 198 del 2019, n. 152 e n. 109 del 2018, n. 261, n. 169 e n. 107 del 2017). L’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della censura, infatti, «si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale» (sentenza n. 286 del 2019 e, ex plurimis, sentenze n. 109 del 2018, n. 32 del 2017, n. 141 del 2016 e n. 82 del 2015).

La censura non supera, dunque, il vaglio di ammissibilità, a causa del difetto di motivazione della stessa.

6.– Infine, l’art. 3, comma 9, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, nella prospettiva offerta dal ricorso, introdurrebbe la possibilità per i privati di effettuare interventi edilizi di vario genere sugli immobili presenti nei centri storici in base a studi di dettaglio parcellizzati e che prescindano dal controllo della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali. In questo modo, la legge regionale impugnata, aggiungendo il comma 5-bis all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015, determinerebbe una violazione dei principi in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, sia perché rischia di pregiudicare la salvaguardia del centro storico come “bene unitario”, sia perché esautora gli organi comunali e tecnici dei poteri che la normativa statale attribuisce loro.

6.1.– La questione non è fondata, nei termini di seguito esposti.

6.2.– Prima di chiarire la portata della disposizione impugnata, occorre precisare che, pur in assenza di una legge statale ad hoc sulla tutela dei centri storici, si desume dalle norme del codice dei beni culturali il principio secondo cui i centri storici, in quanto beni paesaggistici “unitari” e di notevole interesse pubblico, meritano una specifica tutela. L’art. 136 del detto codice, infatti, qualifica oggi espressamente i centri e i nuclei storici come aree di notevole interesse pubblico. In considerazione dell’evoluzione della concezione del centro storico, da considerarsi non solamente una “zona urbanistica”, ma appunto un bene dall’alto valore culturale e ambientale, occorre che i soggetti responsabili della sua protezione si dotino di strumenti idonei a coniugare l’esigenza di sviluppo del centro urbano con quella di conservazione e valorizzazione dei beni immobili ivi presenti. Il centro storico è tutelato, dunque, come “unità complessa”, a prescindere dalla circostanza che al suo interno vi siano beni immobili vincolati ai sensi della Parte II cod. beni culturali. È, d’altro canto, evidente che la normativa sui centri storici si trovi al crocevia fra le competenze regionali in materia urbanistica o di governo del territorio e la tutela dei beni culturali.

Bisogna, dunque, muovere dalla consapevolezza che questo «“patrimonio” intrinsecamente comune» merita le «cure della “Repubblica”» e che, dunque, nella cornice della competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., le varie articolazioni istituzionali hanno il compito di tutelare e valorizzare tale patrimonio (sentenza n. 140 del 2015). La tutela dei beni culturali e del paesaggio, d’altronde, «richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale […] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni» (sentenze n. 86 del 2019 e n. 66 del 2018).

Così, le Regioni hanno dedicato specifiche discipline ai centri storici, nell’ambito delle competenze in materia di governo del territorio o urbanistica, cercando di superare la visione parcellizzata degli interventi edilizi per privilegiare la considerazione unitaria dei nuclei storici. In accordo con l’ordinamento statale, le Regioni stesse affidano a strumenti urbanistici comunali e al lavoro di uffici tecnici territorialmente competenti l’attuazione delle norme dettate a livello regionale e statale.

6.3.– Fatte tali premesse, è ora utile tratteggiare la struttura e il contenuto della legge reg. Siciliana sulla tutela dei centri storici, per comprendere in quale trama la novella normativa si inserisca e debba essere inquadrata.

La legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 si prefigge di introdurre norme che valorizzino i centri storici siciliani attraverso il recupero del patrimonio edilizio esistente e la rigenerazione di aree urbane degradate (art. 1). A tali fini, si è prevista la possibilità di intervenire sugli immobili dei centri storici, con il dovere di rispettare differenti forme e limiti secondo la tipologia di immobile. Così, all’art. 2, sono definite le tipologie edilizie presenti nei centri storici, e, all’art. 3, viene stabilito che il Comune provveda a individuare l’appartenenza degli immobili alle diverse categorie mediante uno studio di dettaglio riguardante l’intero centro storico.

In particolare, «[l]’appartenenza delle singole unità edilizie alle tipologie di cui all’articolo 2 è individuata entro 240 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta dell’ufficio tecnico comunale competente, con uno studio con effetti costitutivi, composto da una relazione esplicativa delle scelte e da una planimetria in scala non superiore a 1:500, approvato con deliberazione del consiglio comunale, previo parere reso in conferenza di servizi, indetta dall’ufficio tecnico comunale proponente che può avvalersi anche di consulenze esterne di comprovata esperienza, a cui partecipano la soprintendenza per i beni culturali ed ambientali competente per territorio, l’ufficio del genio civile, nonché eventuali enti competenti in materia». La delibera del consiglio comunale deve approvarsi entro 180 giorni dal deposito del citato studio e, in mancanza dell’approvazione della suddetta delibera, l’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente, previa diffida a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni, dispone l’intervento sostitutivo. Viene, inoltre, stabilito che, a seguito della pubblicazione del verbale della conferenza di servizi e dello studio di dettaglio, possano formularsi osservazioni od opposizioni; in tal caso, l’ufficio tecnico comunale indice un’apposita conferenza di servizi che, sentiti gli enti competenti, esprime a maggioranza un parere sulle eventuali modifiche allo studio di dettaglio, cosicché il consiglio comunale, tenuto conto delle indicazioni formulate, deliberi l’approvazione dello studio (art. 3). Vengono poi individuati gli interventi che è possibile effettuare secondo la tipologia cui l’immobile appartiene (artt. 4 e 5).

6.4.– Come rilevato, la legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 ha promosso l’adozione di uno studio che individui le tipologie immobiliari presenti nei centri storici in modo organico. Per vero, la legge era stata criticata perché lo studio di dettaglio non sembra configurarsi come vero e proprio strumento di pianificazione, bensì come un “catalogo” di tipologie edilizie definite in base a classificazioni astratte, inadeguato per l’obiettivo di recuperare e valorizzare i centri storici. Ciononostante, dal momento che la legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 non ha formato oggetto di ricorso, questa Corte ha il dovere di pronunciarsi limitatamente alle integrazioni alla stessa che sono state sottoposte al suo giudizio.

L’introduzione, da parte della norma impugnata, del comma 5-bis dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 non determina l’attribuzione al privato della facoltà di effettuare interventi sugli immobili del centro storico sulla base di uno studio di dettaglio stralcio relativo a una o più unità edilizie, che egli trasmette al Comune per l’approvazione. Se così fosse, si dovrebbero rilevare la compromissione del ruolo che la normativa statale e regionale attribuisce ai Comuni e agli uffici tecnici, nonché il pregiudizio del valore del centro storico come bene unitario, che sarebbe ad ogni modo scalfito dalla possibilità di pianificare gli interventi immobiliari in base a studi stralcio relativi a uno o più comparti, avulsi dal loro contesto. Ciò contrasterebbe con i principi recati dal codice dei beni culturali che costituiscono norme di grande riforma economico-sociale (di recente, sentenze n. 172 del 2018 e n. 189 del 2016), attuative dell’art. 9 Cost. (sentenza n. 66 del 2012 e n. 367 del 2007) e che, in quanto tali, vincolano anche le autonomie speciali (nella materia di cui si tratta, sentenze n. 118 del 2019, n. 172 del 2018 e n. 189 del 2016).

6.5.– Il sistema normativo derivante dall’integrazione operata dall’art. 3, comma 9, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018 alla legge regionale n. 13 del 2015 «può essere interpretat[o] in modo da prevenire l’insorgere della denunciata antinomia normativa» (sentenza n. 189 del 2016).

Innanzitutto, la facoltà del privato di proporre uno studio di dettaglio stralcio, relativo a una o più unità edilizie, si attiva solo nel caso in cui «l’amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto dal comma 1», risultando inadempiente agli obblighi introdotti con la legge reg. Siciliana n. 13 del 2015. Il trascorrere del tempo nell’impossibilità di programmare interventi, compresi quelli di ristrutturazione o recupero, può determinare il decadimento del patrimonio immobiliare di rilievo storico e artistico. L’introduzione del comma 5-bis dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 finisce per stimolare le amministrazioni comunali rimaste inerti.

L’effetto dell’esercizio di detta facoltà è quello di determinare «l’obbligo del comune di attivare il procedimento previsto dal comma 1» del medesimo art. 3. La proposta proveniente dal soggetto privato, che comprensibilmente non si estende all’intero centro bensì a unità edilizie determinate, da lui conosciute e in riferimento alle quali intende programmare interventi, è utile, dunque, ad azionare il procedimento di cui al comma 1 per l’adozione dello studio di dettaglio che assegna le tipologie edilizie agli immobili dell’intero centro storico. I poteri di valutazione e controllo sulla pianificazione del centro storico che la legge reg. Siciliana n. 13 del 2015 ha attribuito a tutti gli organismi, tecnici e politici, che figurano nel procedimento scandito al comma 1 dell’art. 3, rimangono rigorosamente fermi. In questo senso, «non si può comunque addebitare alla norma denunciata […] di aver “svuotato” le funzioni comunali in tema di pianificazione urbanistica» (sentenza n. 46 del 2014). Del pari, alla Soprintendenza per i beni culturali e ambientali non sono sottratte prerogative; non risulta, perciò, indebolito il suo ruolo autonomo di controllo tecnico e di tutela dei valori paesaggistici.

Gli «interventi ammessi e modalità d’attuazione», di cui all’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2015, inoltre, non sono modificati dalla legge regionale impugnata, ragion per cui non può desumersi dal comma 5-bis dell’art. 3 la possibilità per il privato di effettuare interventi «anche molto impattanti», come temuto dal ricorrente, senza il previo intervento degli organi preposti alla pianificazione urbanistica per la tutela dei valori architettonici e paesaggistici del centro storico.

Il comma 5-bis dell’art. 3 introduce, così, una sollecitazione procedimentale in fase d’impulso all’avvio del procedimento, che non modifica l’oggetto di quest’ultimo. Essa potrà essere accolta se si verificasse che la tipologia immobiliare individuata per una o più unità edilizie è quella corretta, ragionando sul contesto in cui gli immobili s’inseriscono, e potrà, dunque, formare parte di quello studio più esteso, relativo al complesso degli immobili presenti nel centro storico, che il Comune deve adottare secondo le procedure previste, sia pure a fronte di un’iniziativa limitata a un singolo comparto edilizio.

Lo studio di dettaglio proposto dal privato deve, allora, essere valutato dai diversi uffici e organismi deputati alla pianificazione, compresa la Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, per confluire nella più ampia individuazione delle tipologie edilizie presenti nel centro storico.

Sulla scorta di queste considerazioni, non è pregiudicato il valore unitario del bene finché non si svuota di contenuto il potere di coloro che sono responsabili di salvaguardarlo. La legge regionale impugnata, correttamente interpretata, non sottrae alle amministrazioni e agli uffici tecnici competenti gli strumenti utili a tutelare il centro storico nel suo complesso, anche a fronte di proposte provenienti da soggetti privati.

6.6.– In conclusione, la questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 9, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018 non è fondata, nei sensi di cui sopra, perché è possibile dare un’interpretazione adeguatrice della disposizione impugnata.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 28, della legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020. Disposizioni varie);

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, promossa, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 134, 136 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 9, lettera b), della legge reg. Siciliana n. 24 del 2018, promossa, in riferimento agli artt. 9, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 134, 136 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e all’art. 14 dello statuto della Regione Siciliana, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE