SENTENZA N. 143 ANNO 2010 Elezioni - Regione Siciliana - Incompatibilità tra la carica di deputato del consiglio regionale e quella di assessore

SENTENZA N. 143 ANNO 2010
Elezioni - Regione Siciliana - Incompatibilità tra la carica di deputato del consiglio regionale e quella sopravvenuta di assessore in un comune di grandi dimensioni - Mancata previsione.

Sentenza 143/2010
Giudizio

Presidente AMIRANTE - Redattore DE SIERVO

Udienza Pubblica del 23/03/2010 Decisione del 14/04/2010
Deposito del 23/04/2010 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Legge della Regione Siciliana 20/03/1951, n. 29, come modificata dalla legge della Regione Siciliana 05/12/2007, n. 22.
Massime:

Titoli:
Atti decisi: ord. 185/2009


SENTENZA N. 143

ANNO 2010




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951 n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), come modificata dalla legge della Regione siciliana 5 dicembre 2007 n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali) promosso dal Tribunale di Palermo, nel procedimento vertente tra A.R. e G.A. ed altri, con ordinanza del 23 gennaio 2009 iscritta al n. 185 del registro ordinanze 2009 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione di A. R., di G. A. e della Regione siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 23 marzo 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Antonio Catalioto per A. R., Mario Caldarera e Grazia Gringeri per G.A., Michele Arcadipane e Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana.



Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 23 gennaio 2009, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), «così come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del deputato regionale che sia anche assessore di un Comune» di grandi dimensioni. Ciò in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 122 della Costituzione e all’art. 5 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana).

Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta decadenza di un deputato della Regione siciliana per sopravvenuta incompatibilità, «causata dall’essere stato nominato vice sindaco del Comune di Messina», il ricorrente ha eccepito questione di legittimità costituzionale della legge citata, dal momento che l’omessa previsione di detta causa di incompatibilità determinerebbe «una disparità di trattamento con la normativa nazionale che prevede(va) tale incompatibilità, senza che vi siano le ragioni giustificative individuate dalla giurisprudenza» costituzionale.

L’omissione censurata, quindi, contrasterebbe con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché con i principi fondamentali stabiliti dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), e, in particolare, dall’art. 2, comma 1, lettera c), di detta legge.

Secondo il rimettente la questione sarebbe rilevante, dal momento che il suo accoglimento determinerebbe una diversa valutazione del ricorso introduttivo del giudizio. Né, stante il divieto di interpretazione estensiva delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità, il risultato sarebbe «raggiungibile con un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme».

La censura non sarebbe manifestamente infondata sia in relazione ai parametri evocati dal ricorrente nel giudizio a quo (artt. 3, 51, 97 e 122 Cost.), sia anche in relazione all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 165 del 2004, sia se si ritenga che «tale corpo normativo disciplini direttamente i criteri della legislazione elettorale nelle Regioni speciali, sia se tale corpo normativo si debba ritenere espressione dei principi fondamentali dell’ordinamento ai quali anche le Regioni a statuto speciale devono attenersi».

Il Tribunale afferma, inoltre, la violazione dell’art. 5 dello statuto regionale, in quanto la mancata previsione dell’incompatibilità in conseguenza delle innovazioni introdotte dalla legge 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), potrebbe dar luogo ad «un conflitto di interessi fra l’impegno del deputato a tutelare il bene inseparabile dell’Italia e della Regione e quello di rappresentare gli interessi del Comune».

2. – La Regione siciliana è intervenuta nel giudizio, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile sia perché sarebbe carente la descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, sia perché il rimettente avrebbe omesso di tentare un’interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate.

Inammissibili sarebbero, inoltre, le censure formulate in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost., in quanto motivate per relationem con rinvio agli atti di parte.

Osserva ancora la Regione che la potestà legislativa primaria di cui ha la titolarità in materia, giustificherebbe la diversa disciplina da essa dettata rispetto alle altre Regioni in materia di ineleggibilità e incompatibilità.

Inammissibile, e comunque infondata sarebbe la censura sollevata in relazione all’art. 122 Cost., in assenza di precise argomentazioni circa l’applicabilità di tale ultima disposizione costituzionale, alla Regione siciliana.

Inoltre, l’art. 2 della legge n. 165 del 2004 non potrebbe essere parametro interposto, sia in quanto questa legge non sarebbe applicabile alla Regione siciliana, sia a fronte delle previsioni di incompatibilità disciplinate dallo statuto siciliano, normativa di rango costituzionale. Infatti le cause di incompatibilità sarebbero quelle tassativamente elencate nell’art. 3 dello statuto, da leggersi in connessione con l’art. 9, il quale rinvia ad una legge regionale la previsione di incompatibilità con l’ufficio di deputato regionale.

Inconferente sarebbe, poi, il parametro di cui all’art. 5 dello statuto.

Nel merito, la difesa regionale afferma l’infondatezza delle questioni, dal momento che la Regione è titolare in materia di potestà legislativa primaria.

3. – E’ intervenuto G. A., resistente nel giudizio a quo, il quale ha eccepito, innanzitutto, l’inammissibilità della questione per «assoluta indeterminatezza dei termini normativi» della medesima, avendo il Tribunale censurato l’intera legge n. 29 del 1951, senza indicare le norme della medesima sospettate di incostituzionalità.

Ulteriore profilo di inammissibilità sarebbe costituito dalla violazione del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, in quanto il Tribunale, nel motivare la non manifesta infondatezza della questione, si sarebbe limitato a rinviare ai parametri evocati dal ricorrente.

Inammissibile sarebbe, poi, la censura riferita all’art. 5 dello statuto, dal momento che esso riguarda la formula di giuramento dei deputati regionali.

Analoga conclusione è prospettata in relazione all’art. 2 della legge n. 165 del 2004, che riguarderebbe unicamente le Regioni a statuto ordinario, mentre per la Regione siciliana la regolamentazione della materia sarebbe contenuta nella legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano) e nella legge regionale di attuazione n. 22 del 2007.

La questione prospettata sarebbe inammissibile anche in considerazione del carattere discrezionale della materia delle cause di incompatibilità, di modo che la pronuncia additiva richiesta dal rimettente non sarebbe costituzionalmente obbligata.

Nell’esercizio della propria discrezionalità, il legislatore siciliano ha ritenuto di disciplinare la materia prevedendo l’ineleggibilità alla carica di deputato regionale dei sindaci e degli assessori di determinati Comuni, non invece l’incompatibilità. Ciò determinerebbe, ad avviso della parte privata, l’irrilevanza della questione prospettata.

Infine, la parte privata osserva come tra i principi generali dell’ordinamento che il legislatore regionale deve rispettare non vi sarebbe quello della necessaria incompatibilità del deputato regionale con la carica di sindaco o assessore comunale, mentre il vigente art. 65 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) si riferirebbe all’ordinamento degli enti locali e quindi «può interessare la posizione di sindaco od assessore, ma non la carica di deputato regionale».

4. – È intervenuto anche A. R., ricorrente nel procedimento principale, per il quale la questione sollevata dal Tribunale di Palermo sarebbe fondata.

L’interveniente fa presente che, anteriormente alle modifiche introdotte dalla legge regionale n. 22 del 2007, l’ufficio di deputato regionale era incompatibile con la carica di sindaco o di assessore di Comuni con popolazione superiore a 40 mila abitanti in forza del combinato disposto dall’art. 8, comma 1, n. 4, e dall’art. 62, comma 3, della legge regionale n. 29 del 1951. Solo la riforma del 2007 avrebbe rimosso tale causa di incompatibilità.

Benché nella materia in questione la Regione sia titolare di potestà legislativa primaria, ai sensi dell’art. 9 dello statuto, come modificato con legge costituzionale n. 2 del 2002, tuttavia essa deve svolgersi nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e in armonia con la Costituzione.

La legge n. 165 del 2004, di attuazione dell’art. 122 Cost., ha – tra l’altro – individuato fra i principi fondamentali quello secondo cui la disciplina delle incompatibilità deve essere applicata alle cause di ineleggibilità sopravvenute «in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva».

La legislazione siciliana, avendo abrogato la preesistente causa di incompatibilità, determinerebbe un privilegio nei confronti dei deputati regionali, in difetto di quelle particolari situazioni ambientali cui la costante giurisprudenza costituzionale ha subordinato la possibilità di introdurre discipline differenziate rispetto a quella nazionale: anzi, la più recente legislazione siciliana avrebbe eliminato questa causa di incompatibilità nel momento in cui ha mantenuto quale causa di ineleggibilità la carica di sindaco o assessore di Comune della Regione con popolazione superiore a 20 mila abitanti (così addirittura abbassando il precedente limite, che era fissato a 40 mila abitanti).

5. – In prossimità dell’udienza pubblica A.R. ha depositato una memoria nella quale replica analiticamente alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controparte.

In primo luogo, sarebbe inesistente la prospettata indeterminatezza della questione, dal momento che l’ordinanza indicherebbe in modo chiaro sia il petitum, cioè l’incompatibilità del deputato regionale che sia anche assessore di un ente locale, sia la causa petendi, cioè la situazione di conflitto tra le due cariche.

Inoltre, si precisa che è censurata la legge regionale n. 29 del 1951 così come successivamente modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, «talché l’indagine è ben circoscritta al solo art. 1 di cui si compone la legge di riforma».

Anche l’eccezione di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione sarebbe infondata, dal momento che l’atto introduttivo del giudizio presenterebbe tutti i requisiti richiesti dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Analoga conclusione varrebbe per l’eccepito difetto di motivazione sulla rilevanza, dal momento che il Tribunale avrebbe puntualmente argomentato la sussistenza di tale requisito. Sarebbe, inoltre, evidente l’interesse del ricorrente all’accoglimento della questione.

Quanto al mancato tentativo di fornire un’interpretazione conforme a Costituzione della legge censurata, il Tribunale avrebbe motivato sul punto, rilevando che ciò non sarebbe possibile, stante il divieto di interpretare in modo estensivo le cause di ineleggibilità e incompatibilità.

Infondata sarebbe, altresì, l’eccezione di inammissibilità per essere l’ordinanza motivata per relationem. Il rimettente, infatti, nel richiamare i parametri evocati dal ricorrente nel giudizio principale, non rinvia ad altri atti, ma alla stessa ordinanza di rimessione ove i detti parametri sono stati riportati.

In ordine alla eccepita inammissibilità della pronuncia additiva sollecitata dal giudice a quo, si osserva come l’intervento della Corte si limiterebbe a ripristinare la disciplina previgente.

Nel merito, si rileva che, pur essendo il legislatore siciliano titolare di potestà normativa primaria nella materia, nella specie mancherebbero quelle situazioni particolari, esclusive del territorio della Regione che sole giustificherebbero norme derogatorie del divieto di cumulo tra le cariche in questione.

6. – In prossimità dell’udienza pubblica G.A. ha depositato una memoria nella quale, oltre a ribadire le difese svolte nell’atto di intervento, sostiene l’inammissibilità del tentativo del ricorrente nel giudizio a quo di integrare i termini normativi della questione prospettata dal Tribunale, individuando disposizioni diverse da quelle censurate dal rimettente.

La parte privata afferma, inoltre, che la questione, per come formulata dal giudice a quo, sarebbe volta a censurare un’omissione legislativa e perciò sarebbe inammissibile.

Ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dal petitum formulato dal Tribunale, il quale consisterebbe nella richiesta alla Corte di una pronuncia manipolativa con effetti aggiuntivi, pur in presenza di una riserva di legge. Una scelta del genere nel settore elettorale sarebbe riservata alla discrezionalità del legislatore, al quale spetterebbe di individuare il regime normativo più appropriato e proporzionato, che potrebbe consistere non solo nel configurare una causa di incompatibilità, ma anche nel prevedere l’obbligo di astenersi o di dichiarare l’esistenza di un conflitto di interessi.

La difesa della parte privata contesta poi che il Tribunale ritenga direttamente applicabili alla Regione siciliana l’art. 122 Cost. e la legge n. 165 del 2004, i quali, invece, si riferirebbero soltanto alle Regioni a statuto ordinario.

Infine, nella memoria si ribadisce l’inconferenza dell’art. 5 dello statuto, evocato quale parametro dal rimettente.



Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Palermo dubita della legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), «così come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del deputato regionale che sia anche assessore di un Comune» di grandi dimensioni. Ciò in riferimento agli artt. 3, 51, 97, 122 della Costituzione e all’art. 5 del r. d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana).

La suddetta legge 5 dicembre 2007, n. 22, (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali) ha, infatti, eliminato la precedente previsione della incompatibilità della carica di deputato regionale con l’ufficio di sindaco o di assessore nei Comuni più popolosi della Regione.

Ciò sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost. in relazione al principio di eguaglianza, nella importante materia della accessibilità alle cariche elettive, dal momento che determinerebbe una disparità di trattamento rispetto alle altre Regioni, tenute ad una sostanziale uniformità secondo la costante giurisprudenza di questa Corte. Contrasterebbe, inoltre, con l’art. 122 Cost. e i principi espressi dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione) e, in particolare, dall’art. 2, comma 1, lettera c) di detta legge «sia che si ritenga che tale corpo normativo disciplini direttamente i criteri» della legislazione elettorale anche delle Regioni a statuto speciale, sia che si ritengano tali norme espressione di principi generali dell’ordinamento cui anche tali Regioni devono attenersi.

Al tempo stesso, la possibilità di svolgere contemporaneamente le funzioni di consigliere regionale e di amministratore locale in un Comune avente una significativa popolazione contrasterebbe con il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto non impedirebbe il verificarsi del conflitto di interessi ravvisabile nel contemporaneo esercizio di funzioni legislative e politiche nell’Assemblea regionale e di gestione in un ente locale, che sotto molti profili risente delle scelte operate dalla Regione.

Sarebbe infine violato anche l’art. 5 dello statuto regionale, poiché la mancata previsione dell’incompatibilità tra la carica di deputato dell’Assemblea regionale e quella di assessore di un popoloso Comune darebbe luogo ad «un conflitto di interessi fra l’impegno del deputato a tutelare il bene inseparabile dell’Italia e della Regione e quello di rappresentare gli interessi del Comune».

2. – La questione è ammissibile, essendo infondate le molteplici eccezioni di inammissibilità sollevate dalle difese della Regione siciliana e del resistente nel giudizio principale.

2.1 – Innanzitutto, si eccepisce che le censure formulate dal rimettente avrebbero ad oggetto l’intera legge regionale n. 29 del 1951, senza che siano specificamente individuate le norme sospettate di incostituzionalità. Ciò comporterebbe l’assoluta indeterminatezza dei termini normativi della questione e dunque l’inammissibilità della medesima.

È ben vero che, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’impugnazione di un’intera legge o corpo normativo, senza che siano precisate le disposizioni censurate, «risulta inficiata da genericità ed eterogeneità tali da determinare l’inammissibilità della questione così sollevata» (sentenze n. 235 del 2009, n. 372 del 2008). Ciò in quanto la genericità delle censure non consente l’individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità. Tuttavia, sono considerate ammissibili le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte nelle censure, ovvero allorché sia possibile individuare con chiarezza le norme censurate.

Nel caso oggetto del presente giudizio è palese che il giudice a quo non si è riferito genericamente alla legge regionale n. 29 del 1951, ma ha censurato questa legge «come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del deputato regionale che sia anche assessore di un Comune». D’altra parte, la legge regionale n. 22 del 2007 è specificamente volta ad innovare le previgenti norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali.

Conseguentemente, benché non siano state nominativamente indicate dal rimettente, le disposizioni censurate sono certamente identificabili in quelle che disciplinano le cause di incompatibilità all’ufficio di deputato regionale.

2.2. – La difesa della Regione ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità della questione per «carenza di descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo».

In realtà, il Tribunale di Palermo nell’ordinanza di rimessione ha dato conto, per quanto in modo sintetico, della fattispecie al suo esame, riferendo che il giudizio è promosso da un candidato non eletto e che ha ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta decadenza di un deputato regionale dalla sua carica per sopravvenuta incompatibilità conseguente alla nomina del medesimo a vice-sindaco del Comune di Messina. Riferisce, inoltre, il giudice a quo che il ricorrente ha eccepito l’illegittimità costituzionale della legge reg. n. 29 del 1951, come modificata dalla legge reg. n. 22 del 2007, in relazione agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Gli elementi di fatto riportati dal giudice a quo, per quanto scarni, appaiono sufficienti a consentire alla Corte una valutazione della rilevanza della questione, di tal che anche tale eccezione deve essere rigettata.

2.3. – Destituita di fondamento appare, altresì, l’eccezione di inammissibilità, formulata sia dalla difesa regionale, sia dalla parte resistente nel giudizio principale, in ragione della motivazione solo indiretta dell’ordinanza, poiché svolta per relationem agli scritti difensivi delle parti. Anzitutto, il rimettente, prima di affermare la non manifesta infondatezza della questione «in relazione ai parametri invocati dal ricorrente, da intendersi qui integralmente trascritti e a cui espressamente si rinvia per brevità», ha sintetizzato le relative motivazioni, di modo che le argomentazioni a sostegno delle censure risultano chiaramente dalla stessa ordinanza di rimessione, senza rinvio ad atti ad essa esterni.

Inoltre, ai parametri individuati dal ricorrente il Tribunale ne aggiunge altri, motivandoli specificamente e formulando distinte censure.

2.4. – Del pari infondata è l’eccezione, formulata dalla Regione, di inammissibilità delle questioni per omesso tentativo di interpretazione conforme a Costituzione.

In realtà, il giudice a quo si fa espressamente carico di tale onere, ma esclude in modo non implausibile che sia possibile addivenire ad «un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, visto il divieto di interpretare in modo estensivo le cause di ineleggibilità e incompatibilità».

2.5. – La Regione siciliana ha eccepito l’inammissibilità della questione prospettata anche in riferimento all’art. 122 Cost., in quanto il giudice rimettente avrebbe evocato come parametro una norma del titolo V della Costituzione senza motivare in ordine alla sua applicabilità alla Regione siciliana.

Anche tale eccezione deve essere rigettata, dal momento che il Tribunale, pur se in modo sintetico, fornisce una motivazione sufficiente sul punto, là dove lamenta la violazione dell’art. 2 della legge n. 165 del 2004 quale norma interposta all’art. 122 Cost., sia se « si ritenga che tale corpo normativo (art. 122 Cost. ed art. 2, comma 1, lettera c, della legge n. 165 del 2004) disciplini direttamente i criteri di legislazione sulla materia elettorale anche delle Regioni a statuto speciale, sia se tale corpo normativo si debba ritenere espressione dei principi fondamentali dell’ordinamento ai quali anche le Regioni a statuto speciale devono attenersi nel disciplinare una materia comunque assegnata alla loro autonomia».

3. – In via preliminare alla considerazione del merito della questione posta, appare opportuno richiamare le recenti modificazioni operate dal legislatore siciliano in tema di incompatibilità dei consiglieri regionali.

Anteriormente alle modifiche introdotte nel 2007, la legge regionale n. 29 del 1951 (che era già stata oggetto, nel corso del tempo, di numerosi interventi di modifica) prevedeva all’art. 8, comma 1, alinea 4, che fossero ineleggibili alla carica di deputato regionale «i Sindaci e gli Assessori dei Comuni con popolazione superiore a 40 mila abitanti o che siano capoluoghi di Provincia regionale o sedi delle attuali Amministrazioni straordinarie delle Province, nonché i Presidenti e gli Assessori di dette amministrazioni». Al tempo stesso, il comma 3 dell’art. 62 della medesima legge prevedeva che «l’ufficio di deputato regionale è incompatibile con gli uffici e con gli impieghi» indicati – tra l’altro – nel comma 1 dell’art. 8.

La legge regionale n. 22 del 2007, all’originario scopo di uniformare la disciplina regionale di ineleggibilità e incompatibilità dei deputati regionali a quella dettata per i componenti del Parlamento (come emerge dai lavori preparatori di questa legge), ha modificato le cause di ineleggibilità previste dall’art. 8 della legge reg. n. 29 del 1951 e ha introdotto un capo Capo III concernente specificamente la disciplina delle incompatibilità, mentre ha fatto venir meno il precedente parallelismo tra ipotesi di ineleggibilità e di incompatibilità, avendo abrogato, tramite l’art. 1, comma 6, lettera a), l’art. 62 della legge regionale n. 29 del 1951 (il parallelismo, invece, continua ad essere previsto dal comma 2 del nuovo art. 10-quinquies per alcune specifiche cause di ineleggibilità sopravvenuta).

A seguito di tali modifiche, per quanto interessa gli amministratori locali, sono ineleggibili a deputato regionale: «a) i presidenti e gli assessori delle province regionali; b) i sindaci e gli assessori dei comuni, compresi nel territorio della Regione, con popolazione superiore a 20 mila abitanti, secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento generale della popolazione».

Al tempo stesso, essendo stato abrogato l’art. 62, la successiva assunzione di questi incarichi amministrativi locali da parte di un deputato regionale non comporta più incompatibilità.

Successivamente all’ordinanza di rimessione, la legge regionale n. 29 del 1951 è stata ulteriormente modificata dalla legge regionale 10 luglio 2009, n. 8 (Norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità dei deputati regionali), con cui si è inciso sulla disciplina del decorso del termine per esercitare il diritto di opzione nell’ipotesi in cui l’incompatibilità sia stata accertata in sede giudiziale, e si è stabilito che le nuove disposizioni si applicano anche ai giudizi in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina (art. 10-sexies della legge n. 29 del 1951).

4. – Nel merito, la questione è fondata.

4.1 – La potestà legislativa della Regione siciliana in materia elettorale differisce da quella delle Regioni ordinarie, dal momento che essa, ai sensi dell’art. 3, primo comma, e dell’art. 9, terzo comma, dello statuto speciale (sostituiti ad opera dell’art. 1 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 recante «Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano»), è titolare in materia di potestà legislativa di tipo primario, la quale deve peraltro svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché delle altre disposizioni dello statuto. Per quanto attiene specificamente al tema posto dal presente giudizio, l’art. 3, settimo comma, dello statuto determina direttamente alcune incompatibilità e l’art. 9 rinvia alla legge regionale al fine di introdurre altre «eventuali incompatibilità con l’ufficio di Deputato regionale o con la titolarità di altre cariche o uffici».

Questa Corte, attraverso una costante giurisprudenza, non di rado relativa a leggi della stessa Regione siciliana, ha affermato che l’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni in ambiti, pur ad esse affidati in via primaria, che concernano la ineleggibilità e la incompatibilità alle cariche elettive incontra necessariamente il limite del rispetto del principio di eguaglianza specificamente sancito in materia dall’art. 51 Cost. In quest’ambito, di recente, la sentenza n. 288 del 2007 ha affermato che «questa Corte in specifico riferimento alla potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana in tema di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri degli enti locali (di cui agli artt. 14, lettera o, e 15, terzo comma, dello statuto) ha in molte occasioni affermato che “la disciplina regionale d’accesso alle cariche elettive deve essere strettamente conforme ai principi della legislazione statale, a causa della esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale discendente dall’identità di interessi che Comuni e Province rappresentano riguardo alle rispettive comunità locali, quale che sia la Regione di appartenenza».

E, benché la Corte abbia ritenuto che la potestà legislativa della Regione siciliana in tema di elezioni dell’Assemblea regionale sia più ampia rispetto a quella relativa alle elezioni degli enti locali (sentenze n. 162 e n. 20 del 1985; n. 108 del 1969), anch’essa, tuttavia, incontra sicuramente un limite nell’esigenza di garantire che sia rispettato il diritto di elettorato passivo in condizioni di sostanziale uguaglianza su tutto il territorio nazionale.

Infatti, proprio il principio di cui all’art. 51 Cost. svolge «il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)» (sentenze n. 25 del 2008, n. 288 del 2007 e n. 539 del 1990).

La giurisprudenza costituzionale ha, peraltro, più volte precisato che il riconoscimento di tali limiti non vuol dire disconoscere la potestà legislativa primaria di cui è titolare la Regione, ma significa tutelare il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi «di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la Regione o il luogo di appartenenza» (cfr. ex plurimis sentenza n. 235 del 1988).

Pertanto, nell’esercizio di una competenza legislativa come quella prevista dallo statuto siciliano, si possono anche diversificare le cause di ineleggibilità e incompatibilità, ma occorre che ciò avvenga sulla base di «condizioni peculiari locali», che quindi «debbono essere congruamente e ragionevolmente apprezzati[e] dal legislatore siciliano» (sentenza n. 276 del 1997).

Né questa conclusione muta se la legislazione regionale – come nel caso in esame – tende ad ampliare (e non a ridurre) per una categoria di soggetti il diritto di elettorato passivo rispetto alle regole vigenti in generale, dal momento che anche una disciplina di questo tipo comprime indirettamente gli analoghi diritti di altri soggetti interessati.

In tal senso si sono pronunciate la sentenza n. 84 del 1994, relativa ad un’ipotesi di soppressione di una fattispecie di ineleggibilità alla carica di deputato regionale, prevista invece sia per i membri del Parlamento, sia per i consiglieri regionali nelle Regioni a statuto ordinario, e la sentenza n. 463 del 1992, relativa alla mancata previsione di un’ipotesi di ineleggibilità alla carica di consigliere comunale.

In entrambi questi casi (aventi ad oggetto leggi della Regione siciliana) la Corte ha ritenuto che discipline differenziate sono legittime sul piano costituzionale, solo se trovano ragionevole fondamento in situazioni peculiari idonee a giustificare il trattamento privilegiato riconosciuto dalle disposizioni censurate.

4.2. – Non vi è dubbio che la legge regionale n. 22 del 2007, abrogando l’art. 62 della legge regionale n. 29 del 1951 ed in particolare la previsione della incompatibilità sopravvenuta per avere il deputato regionale assunto durante il suo mandato l’incarico di sindaco o di assessore comunale, ha posto in essere (senza che fosse palesata alcuna specifica ragione) una disciplina che si allontana da una linea di tendenza ben radicata nell’ordinamento giuridico.

Nella previgente legislazione statale relativa alla incompatibilità dei consiglieri delle Regioni ad autonomia ordinaria era previsto che «l’ufficio di consigliere regionale fosse incompatibile con quello …. di presidente e di assessore di Giunta provinciale e di sindaco e di assessore di comuni compresi nella Regione» e che queste incompatibilità fossero rilevabili anche se successive all’elezione al Consiglio regionale (artt. 6 e 7, terzo comma, della legge 17 febbraio 1968, n.108, recante «Norme per le elezioni dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale»). Anche la successiva legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), dispone che «le cariche di presidente e di assessore di Giunta provinciale, di sindaco e di assessore dei comuni compresi nel territorio della Regione, sono incompatibili con la carica di consigliere regionale» e che l’effetto di decadenza si produce in presenza di cause di incompatibilità «sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa» (artt. 4, primo comma, e 6, secondo comma, della legge n. 154 del 1981, la quale è stata abrogata dall’art. 274 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», facendosi espressamente «salve le disposizioni previste per i consiglieri regionali»).

Dunque, per tale legge il cumulo degli uffici rileva come causa di incompatibilità anche nel caso in cui esso sia sopravvenuto all’elezione, imponendo di esercitare l’opzione in favore di una delle due cariche ricoperte.

Anche il vigente d.lgs. n. 267 del 2000, nel disciplinare le cause ostative al cumulo delle cariche elettive, prevede non solo la incompatibilità con l’ufficio di consigliere regionale dei presidenti ed assessori provinciali e dei sindaci ed assessori di un Comune compreso nel territorio regionale, ma anche che «le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione, sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle predette cariche» (artt. 65, comma 1, e 68, comma 2).

È altrettanto vero, tuttavia, che una simile scelta normativa va apprezzata con riferimento al processo, attivatosi nelle Regioni ordinarie, di allentamento della rigida disciplina unitaria del regime di ineleggibilità ed incompatibilità dei consiglieri regionali, originato dalla revisione dell’art. 122 Cost. e concretamente avviato dall’indirizzo legislativo che ne è seguito.

Infatti, la legge n. 165 del 2004, con cui si è posta in essere la disciplina statale di cornice, relativa, tra l’altro, alle cause di ineleggibilità ed incompatibilità che qui interessano, lascia ampio spazio, salvo talune ipotesi più analitiche, ad una articolazione, da parte del legislatore regionale, delle concrete fattispecie rilevanti: esse, man mano che le Regioni ordinarie legifereranno, sono destinate a trovare applicazione in luogo di quanto previsto dalla legge n. 154 del 1981, che continua nel frattempo a spiegare efficacia, in virtù del principio di continuità dell’ordinamento giuridico (ordinanze n. 223 del 2003 e n. 383 del 2002).

È evidente che la Regione siciliana non può incontrare, nell’esercizio della propria potestà legislativa primaria, limiti eguali a quelli che, ai sensi dell’art. 122 Cost., si impongono alle Regioni a statuto ordinario, ciò di cui si ha conferma nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte II della Costituzione). Nel contempo, sulla base della giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, la suddetta Regione non potrà però sottrarsi, se non laddove ricorrano «condizioni peculiari locali», all’applicazione dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost.

Tra tali principi, assume rilievo il vincolo di configurare, a certe condizioni, le ineleggibilità sopravvenute come cause di incompatibilità. L’art. 2, comma 1, lettera c) della legge n. 165 del 2004 stabilisce, infatti, che debba applicarsi la disciplina delle incompatibilità alle cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni, «qualora ricorrano» casi di conflitto fra le funzioni dei consiglieri regionali «e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibili, anche in relazione a peculiari condizioni delle Regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva» (artt. 2, comma 1, lettera c, e 3, comma 1, lettera a, di detta legge).

Ciò che emerge dalla legislazione nazionale relativa alle Regioni ordinarie è, dunque, la previsione del parallelismo tra le cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenute, con riguardo all’esigenza, indicata dalla legge, di preservare la libertà nell’esercizio della carica di consigliere, o comunque i principi espressi dall’art. 97 Cost. con riguardo all’operato della pubblica amministrazione.

Non si tratta, pertanto, di applicare un principio fondamentale – tipico di una materia legislativa ripartita – ad una Regione dotata di potestà legislativa primaria, ma di dedurre, anche dalla ripetizione nella legge n. 165 del 2004 del principio secondo cui il consigliere regionale non può assumere durante il proprio mandato alcuni uffici che gli avrebbero precluso la eleggibilità, l’esistenza di una situazione contrastante con gli artt. 3 e 51 Cost.

Né a queste conclusioni si oppongono nei lavori preparatori della legge n. 22 del 2007, ragioni speciali o esclusive della realtà siciliana che possano giustificare l’adozione di una disciplina diversa rispetto a quella posta a livello nazionale.

4.3. – Pertanto, la Regione siciliana è tenuta a prevedere come causa di incompatibilità la sopravvenienza di una ipotesi già costituente ragione di ineleggibilità, ove sussista la condizione prevista dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004.

Ciò posto, va rilevato che, in base all’art. 8 della legge regionale n. 29 del 1951, non sono eleggibili a deputato regionale i sindaci e gli assessori dei Comuni, compresi nel territorio della Regione, con popolazione superiore a 20 mila abitanti, secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento generale della popolazione.

Resta allora da verificare se, nel caso in esame, il cumulo tra l’ufficio regionale e quello locale sia suscettibile di compromettere il libero espletamento della carica o comunque i principi tutelati dall’art. 97 Cost., giacché, in tal caso, illegittimamente il legislatore siciliano avrebbe omesso di assicurare il parallelismo tra cause di ineleggibilità e cause di incompatibilità verificatesi dopo l’elezione a deputato regionale.

Questa Corte ha già avuto modo di ritenere, sia pure in linea di principio, contrario all’art. 97 Cost. il predetto cumulo delle cariche.

Infatti nella sentenza n. 201 del 2003 – sia pure con riferimento all’ipotesi speculare prevista dall’art. 65 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il quale configura l’incompatibilità dei sindaci e degli assessori alla carica di consigliere regionale – si è affermato che tale disposizione esprime il principio secondo cui esistono «ragioni che ostano all’unione nella stessa persona delle cariche di sindaco o assessore comunale e di consigliere regionale e nella necessità conseguente che la legge predisponga cause di incompatibilità idonee a evitare le ripercussioni che da tale unione possano derivare sulla distinzione degli ambiti politico-amministrativi delle istituzioni locali e, in ultima istanza, sull’efficienza e sull’imparzialità delle funzioni, secondo quella che è la ratio delle incompatibilità, riconducibile ai principi indicati in generale nell’art. 97, primo comma, della Costituzione (sentenze n. 97 del 1991 e n. 5 del 1978). In sintesi: il co-esercizio delle cariche in questione è, a quei fini, in linea di massima, da escludere».

Dunque, questa Corte ha individuato l’esistenza di un divieto di cumulo di cariche ove ciò si ripercuota negativamente sull’efficienza e imparzialità delle funzioni ed ha affermato che tale principio trova fondamento costituzionale nell’art. 97 Cost. (su tale fondamento delle cause di incompatibilità, si vedano, altresì, le sentenze n. 44 del 1997 e n. 235 del 1988).

Nella citata pronuncia (sentenza n. 201 del 2003), peraltro, la Corte ha anche chiarito che dopo la riforma dell’art. 122 Cost. le Regioni possono operare scelte diverse nello svolgimento del principio in questione, nel senso di introdurre anche temperamenti alla radicale esclusione del cumulo tra le due cariche. E tuttavia tale potere discrezionale trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione (nella fattispecie esaminata in questa sentenza la Corte ha dichiarato l’illegittimità di una disposizione della legge di una Regione che si risolveva, in concreto, in un sostanziale svuotamento del principio in quanto circoscriveva l’operatività della causa ostativa ad ipotesi del tutto marginali). È altresì desumibile da questa sentenza che una non irragionevole causa di affievolimento del divieto in questione può essere costituita dalle ridotte dimensioni territoriali del Comune, ove il consigliere regionale venga a ricoprire la carica di sindaco o assessore. Con specifico riferimento alla realtà siciliana, siffatta considerazione ha trovato spazio nella previsione del già rammentato art. 8 della legge reg. n. 29 del 1951, che limita l’ineleggibilità all’ufficio di deputato regionale ai soli amministratori dei Comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti.

Nel medesimo modo, potrà stimarsi non difforme dall’art. 97 Cost. la corrispondente previsione che si impone, in virtù del principio del parallelismo sopra richiamato, con riguardo alla speculare causa di incompatibilità.

Dunque, il combinato disposto degli art. 3, 51 e 97 Cost. impone alla Regione siciliana di introdurre a motivo di incompatibilità all’ufficio di deputato regionale la sopravvenuta ricorrenza della causa di ineleggibilità della carica di sindaco e di assessore, con riferimento ai soli Comuni con popolazione superiore alla soglia di ventimila abitanti.

4.4. – Come agevolmente deducibile da quanto appena osservato, la dichiarazione di incostituzionalità della omessa previsione della causa di incompatibilità in esame non può ritenersi preclusa dall’essere la materia riservata alla discrezionalità del legislatore, come eccepito dalla parte privata resistente nel giudizio a quo, giacché il limite dimensionale cui si rapporta l’operatività della causa di incompatibilità discende direttamente ed univocamente dall’assetto normativo vigente nella Regione siciliana.

Nel caso in esame, la Corte deve infatti dare attuazione ai principi sopra individuati del divieto del cumulo delle cariche e del parallelismo fra le cause di ineleggibilità e quelle di incompatibilità sopravvenute. Il legislatore siciliano, con la legge reg. n. 22 del 2007 se da un lato ha disatteso tali principi, ha dall’altro lato contestualmente rideterminato la categoria della ineleggibilità a consigliere regionale dei sindaci e degli assessori dei Comuni, compresi nel territorio della Regione, circoscrivendola a quelli con popolazione superiore a ventimila abitanti.

Questa Corte dà semplicemente attuazione al principio sopra individuato, che impone di configurare l’incompatibilità nelle medesime ipotesi ed entro gli stessi limiti in cui la legge regionale prevede una causa di ineleggibilità.

Di conseguenza deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge regionale n. 29 del 1951, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco o assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti.

5. – Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), così come modificata dalla legge regionale 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco e assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2010.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA