Ordinanza 161/2011

Ordinanza 161/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente MADDALENA - Redattore NAPOLITANO

Camera di Consiglio del 06/04/2011 Decisione del 20/04/2011
Deposito del 06/05/2011 Pubblicazione in G. U. 11/05/2011
Norme impugnate: Artt. 10 bis e 16, c. 1°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286; art. 62 bis del decreto legislativo 28/08/2000, n. 274.
Massime: 35640
Atti decisi: ord. 313, 314, 315, 316, 317, 392, 393, 394 e 395/2010


ORDINANZA N. 161

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo MADDALENA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi dal Giudice di pace di Imola con una ordinanza del 25 marzo 2010 e con quattro ordinanze del 22 aprile 2010, dal Giudice di pace di Alessano con quattro ordinanze del 21 settembre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. da 313 a 317 e da 392 a 395 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2011 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.



Ritenuto che il Giudice di pace di Imola, con cinque ordinanze identiche nella parte motiva, emesse, rispettivamente, la prima il 25 marzo del 2010 e le altre il successivo 22 aprile, nell’ambito di distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), per violazione degli artt. 3, 24, 27 e 97 della Costituzione;

che il rimettente in tutte le ordinanze premette di essere investito di processi penali nei confronti di stranieri imputati della contravvenzione prevista dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, per essersi trattenuti illegalmente nel territorio dello Stato, e ritiene rilevanti le questioni, «in quanto la sanzione da comminare all’imputato in ipotesi di riconoscimento di penale responsabilità dovrebbe essere determinata in applicazione delle disposizioni della cui legittimità costituzionale si dubita»;

che il rimettente, in punto di non manifesta infondatezza, ritiene che la norma incriminatrice di cui al citato art. 10-bis, introdotta dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui reprime il soggiorno illegale, in precedenza mero illecito amministrativo, contrasti con l’art. 3 Cost. sotto plurimi profili;

che la norma censurata violerebbe anzitutto il principio di ragionevolezza in quanto punisce l’anzidetta condotta indipendentemente della data di ingresso in Italia, senza prevedere un «termine di allontanamento» per lo straniero già presente nel territorio nazionale prima dell’entrata in vigore della novella: colpendo, in tale modo, una «posizione soggettiva» di per sé «inoffensiva» e conseguente a condotte pregresse, non costituenti reato all’epoca in cui sono state realizzate;

che, inoltre, la nuova norma incriminatrice lederebbe il principio di eguaglianza, accomunando nel medesimo trattamento sanzionatorio fattispecie dissimili, quali quelle dello straniero che soggiorni illegalmente dopo essersi introdotto nel territorio nazionale con la consapevolezza di compiere un atto penalmente illecito, e di colui il quale, trovandosi in Italia prima dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, non poteva invece avere analoga consapevolezza;

che sarebbero così equiparate in modo irrazionale due distinte condotte, la prima illegale e la seconda divenuta tale solo per effetto dell’«automatismo applicativo della norma», la quale non contempla termini e modalità per rimuovere la nuova situazione di illegalità tramite l’allontanamento volontario;

che, secondo il rimettente, il principio di eguaglianza sarebbe violato anche sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle condotte analoghe, ma più gravi, di inosservanza dell’ordine di allontanamento impartito dal questore, previste dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, le quali, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 94 del 2009, restano punibili solo in assenza di un «giustificato motivo», limite non contemplato dalla norma censurata,

che una ulteriore disparità di trattamento di situazioni omogenee deriverebbe, poi, dalla «disciplina derogatoria» di cui all’art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali), aggiunto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, il quale prevede una procedura di «emersione» limitata ai soli lavoratori irregolari adibiti ad attività di assistenza e sostegno delle famiglie con la sospensione dell’eventuale procedimento penale per soggiorno illegale;

che, ad avviso del Giudice di pace di Imola, la discrezionalità del legislatore nella disciplina dell’immigrazione non potrebbe spingersi fino al punto di introdurre discriminazioni fra categorie di migranti sulla base della sola attività svolta, inidonea a giustificare trattamenti differenziati alla luce della natura degli interessi tutelati dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;

che la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 24, secondo comma, Cost., per lesione del diritto di difesa, in quanto lo straniero presente irregolarmente in Italia al momento dell’entrata in vigore della norma – ossia «alle 00,00 del giorno 08.08.2009» – avrebbe ricevuto «un ordine di allontanamento», senza indicazioni su come eseguirlo legalmente e, pertanto, essendo molto spesso privo di documenti, di mezzi finanziari e della possibilità «di rivolgersi ad un vettore irregolare per far ritorno in patria», non avrebbe altra via, per conformarsi al precetto legale, che quella di fare ingresso clandestino in altri Stati, in contrasto con il principio nemo tenetur se detegere;

che la contravvenzione in esame violerebbe anche la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la pena dell’ammenda, una volta accertata la commissione del reato, deve essere automaticamente sostituita con la misura dell’espulsione;

che, dunque, il reato non sarebbe volto a procurare, tramite l’applicazione di una pena, la resipiscenza o la risocializzazione del reo, ma unicamente ad allontanare quest’ultimo dal territorio nazionale, con improprio ricorso al «magistero penale» per conseguire un risultato di tipo «eminentemente amministrativo»;

che il rimettente ritiene che gli artt. 62-bis del d.lgs. n. 274 del 2000 e 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 – rispettivamente, il primo aggiunto e il secondo modificato dalla legge n. 94 del 2009 – violino il principio di buon andamento dei pubblici uffici (art. 97, primo comma, Cost.).

che, infatti, in forza delle citate disposizioni, il giudice di pace deve sostituire la pena dell’ammenda con la misura dell’espulsione quando non sussistano le situazioni ostative all’immediato accompagnamento dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica, indicate dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 (necessità di accertamenti supplementari in ordine alla identità o alla nazionalità dello straniero, acquisizione di documenti per il viaggio, indisponibilità di vettore o di altro mezzo idoneo): situazioni la cui sussistenza o meno andrebbe, dunque, necessariamente verificata prima di emettere qualsiasi pronuncia nel processo per detto reato;

che il sistema così congegnato risulterebbe, tuttavia, «inficiato da una sorta di corto circuito», in ragione del suo intreccio con i meccanismi sanzionatori amministrativi;

che, infatti, una volta accertata l’illegale presenza del soggetto nel territorio dello Stato, si aprono contestualmente ed automaticamente due procedimenti aventi lo stesso scopo: uno amministrativo e l’altro penale, il secondo, peraltro, subordinato al primo, dovendosi concludere con la declaratoria di non luogo a procedere ove il procedimento amministrativo – maggiormente celere – abbia concluso il suo «iter naturale»;

che, secondo il rimettente, la duplicazione in sede penale della procedura di espulsione esistente in via amministrativa violerebbe il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., incidendo negativamente sulla durata dei processi con un inutile incremento di costi;

che il Giudice di pace di Alessano con quattro ordinanze, identiche nella parte motiva emesse tutte il 21 settembre 2010, nell’ambito di distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 2, 3 e 25 della Costituzione;

che il giudice a quo premette di dover giudicare cittadini stranieri imputati della contravvenzione prevista dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato;

che, a parere del rimettente, la nuova fattispecie di reato sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 3 della Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta di far discendere una sanzione di tipo penale dalla condotta di chi si introduce o si intrattiene clandestinamente nel territorio nazionale;

che, infatti, la discrezionalità del legislatore cui compete un generale potere «di regolare la materia dell’immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi ai flussi migratori incontrollati» (sentenza n. 5 del 2004), «trova limiti insuperabili nell’osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell’adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalità finalistica»;

che la finalità perseguita dal legislatore con la norma in esame sarebbe da ricercare esclusivamente nell’allontanamento dello straniero irregolare, finalità del tutto irragionevole nella vigenza di una normativa quale quella relativa all’espulsione di cui all’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998, idonea a raggiungere il medesimo scopo;

che, pertanto, essendo l’ambito di applicazione della nuova figura contravvenzionale identico a quello della preesistente normativa sull’espulsione, per esser identici i soggetti destinatari e la ratio sottesa ad entrambe le norme, l’adozione dello strumento penale sarebbe del tutto privo di qualsivoglia giustificazione;

che l’irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe anche sotto il profilo sanzionatorio considerato nel suo complesso, comprensivo, quindi, non solo della pena dell’ammenda da 5.000 a 10.000 euro ma anche del divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena e della facoltà concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione più grave, quale quella dell’espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di misura sostitutiva più grave della sanzione principale sostituita);

che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparità di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la punibilità dello straniero inottemperante all’ordine di allontanamento del questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo»;

che, a parere del rimettente, l’assenza delle due condizioni sopraindicate fa sì che sia sufficiente il venir meno, per un qualche motivo, del permesso di soggiorno perché sia immediatamente e automaticamente integrata una ipotesi di trattenimento illecito, senza alcuna possibilità, per l’interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare;

che, in tal senso, il Giudice di pace di Alessano richiama le motivazioni della sentenza di questa Corte n. 5 del 2004 che ha ritenuto non costituzionalmente illegittimo l’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998, in virtù dell’interpretazione costituzionalmente orientata della clausola «senza giustificato motivo», considerata, al pari di altre simili rinvenibili nell’ordinamento, una «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile» per i più svariati motivi riconducibili «a situazioni ostative di particolare pregnanza che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa»;

che il nuovo art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbe, secondo il rimettente, in contrasto con l’art. 3 Cost. nonché con l’art. 25, secondo comma, Cost., avuto riguardo alla configurazione di una fattispecie penale discriminatoria, perché fondata su particolari condizioni personali e sociali, anziché su fatti e comportamenti riconducibili alla volontà del soggetto attivo;

che la nuova fattispecie incriminatrice sanzionerebbe solo apparentemente una condotta (l’azione dell’ingresso e l’omissione del mancato allontanamento), in realtà in sé e per sé del tutto neutra agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto della incriminazione sarebbe la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, condizione tipica del migrante economico e priva di una qualche significatività sotto il profilo della pericolosità sociale;

che, pertanto, la criminalizzazione del migrante economico sarebbe in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. che vieta ogni discriminazione fondata su condizioni personali e sociali, sia con la fondamentale garanzia costituzionale secondo cui si può essere puniti solo per fatti materiali (art. 25, secondo comma, Cost.);

che il rimettente cita la sentenza di questa Corte n. 78 del 2007, in tema di applicabilità delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, nella parte in cui si è detto che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per sé non è univocamente sintomatica [...] di una particolare pericolosità sociale» dal che consegue «l’impossibilità di individuare nella esigenza di rispetto delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell’accesso al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure alternative è funzionale» perché, sanzionando penalmente la clandestinità dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosità sociale che è di per sé incompatibile «con il perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa»;

che la nuova fattispecie sarebbe, infine, in contrasto con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;

che il rimettente richiama la sentenza di questa Corte con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale del reato di mendicità di cui all’art. 670 cod. pen. perché non è possibile ritenere necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicità non invasiva che, risolvendosi in una semplice richiesta di aiuto, non può dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillità pubblica e dell’ordine pubblico (sentenza n. 519 del 1995);

che tale motivazione sarebbe applicabile anche ai nuovi poveri di oggi, vale a dire agli stranieri migranti, in quanto lo spirito solidaristico di cui è impregnata la Carta costituzionale dovrebbe impedire l’adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell’immigrazione e lo straniero migrante non dovrebbe essere considerato pericoloso per l’ordine e la tranquillità pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere.

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;

che il Giudice di pace di Imola estende le sue censure anche agli artt. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e all’art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), in riferimento all’art. 97 Cost.;

che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza, tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;

che i rimettenti, in tutte le ordinanze di rimessione, si limitano a riportare un generico capo d’imputazione senza esporre in modo esaustivo la vicenda concreta oggetto del giudizio;

che, in mancanza di riferimenti specifici alla fattispecie concreta che ha dato origine all’imputazione, resta inibita a questa Corte la necessaria verifica circa l’influenza della questione di legittimità sulla decisione richiesta al rimettente;

che le questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e dell’art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace di Imola e dal Giudice di pace di Alessano con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2011.

F.to:

Paolo MADDALENA, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI