Sentenza 20/2012

Sentenza 20/2012
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore LATTANZI

Udienza Pubblica del 13/12/2011 Decisione del 25/01/2012
Deposito del 09/02/2012 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Artt. 1, 2, 3, c. 2° e 3°, e 5, c. 1°, della legge della Regione Abruzzo 10/08/2010, n. 39.
Massime:
Atti decisi: ric. 110/2010


SENTENZA N. 20

ANNO 2012



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione venatoria 2010/2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11-14 ottobre 2010, depositato in cancelleria il 19 ottobre 2010 ed iscritto al n. 110 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.



Ritenuto in fatto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato l’11 ottobre 2010 (reg. ric. n. 110 del 2010), ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione venatoria 2010/2011), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Le norme impugnate, intervenendo a regolamentare il calendario venatorio e taluni profili dell’attività di caccia nelle zone a protezione speciale, lederebbero la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, confliggendo altresì con il diritto dell’Unione europea.

1.1.− La prima censura riguarda la disciplina del calendario venatorio contenuta negli artt. 1 e 2 della legge impugnata, che secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con l’art. 18, commi 2 e 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), espressivo della competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

L’art. 18, comma 2, stabilisce, infatti, che le Regioni possono modificare il calendario venatorio, con riferimento all’elenco delle specie cacciabili e al periodo in cui è consentita la caccia, indicati dal precedente comma 1, per mezzo di un procedimento che contempla l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (nelle cui competenze oggi è subentrato l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA).

L’art. 18, comma 4, stabilisce, poi, che, sulla base del suindicato parere, le Regioni pubblicano, entro il 15 giugno di ogni anno, «il calendario regionale ed il regolamento relativi all’intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito dai commi 1, 2 e 3».

Il ricorrente ritiene che dalle indicate disposizioni statali si evinca che il procedimento deve concludersi con l’adozione di un provvedimento amministrativo e non, come è avvenuto nel caso di specie, con una legge.

Questa conclusione sarebbe avvalorata dalle seguenti considerazioni.

L’endiadi utilizzata dal legislatore all’art. 18, comma 4, secondo cui le Regioni hanno l’obbligo di pubblicare «il calendario regionale ed il regolamento relativi all’intera annata venatoria», dovrebbe intendersi come riferita a un unico atto di natura regolamentare, contenente le specifiche norme applicabili nel territorio regionale durante il periodo venatorio preso in considerazione.

Il carattere temporaneo (annuale) del provvedimento indicato dall’art. 18 si concilierebbe con l’adozione solo di un atto amministrativo e non anche di una legge.

Il previsto obbligo di acquisizione del parere dell’ISPRA avrebbe senso solo se la Regione, dopo averlo valutato, se ne potesse discostare con una congrua motivazione e, dunque, adottando un provvedimento amministrativo. Diversamente il parere si tradurrebbe in un inutile, e non previsto, controllo preventivo di legittimità della legge regionale. Il parere, nel caso di specie, è stato negativo.

Infine il ricorrente osserva che «il ricorso allo strumento legislativo serve anche a precludere ai cittadini e alle loro organizzazioni rappresentative la possibilità di tutelare i propri interessi legittimi dinanzi al competente giudice amministrativo».

1.2.− La seconda censura riguarda l’art. 2, commi 10 e 12, e l’art. 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, nella parte in cui prevedono l’acquisizione del parere dell’Osservatorio faunistico regionale (OFR), ovvero – ove questo non sia ancora costituito – dell’ISPRA, al fine di ridurre la caccia a determinate specie per periodi determinati, di anticipare sino alla prima domenica di settembre l’apertura della caccia ad alcune specie nella forma dell’appostamento fisso e temporaneo e di disciplinare per alcuni periodi l’esercizio della caccia alla fauna migratoria.

Tali diposizioni si porrebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni contenute nell’art. 18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992, i quali prevedono che la modifica dei termini entro i quali è possibile cacciare determinate specie e la fauna selvatica migratoria può avvenire, in ragione delle diverse realtà territoriali, previa acquisizione obbligatoria del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi ISPRA).

Diversamente, le norme regionali impugnate sottopongono le indicate modifiche all’acquisizione di un parere da parte dell’OFR, che è un ente della Regione.

1.3.− Una terza censura investe l’art. 3, commi 2 e 3, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010.

Il ricorrente ritiene che tali norme siano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni poste nel decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione, ZSC, e a Zone di protezione speciale, ZPS), che contiene i criteri minimi uniformi che le Regioni hanno l’obbligo di rispettare nel disciplinare l’attività venatoria nelle Zone speciali di conservazione (ZSC) e nelle Zone di protezione speciale (ZPS).

In particolare, l’art. 3, comma 2, consente l’attività venatoria nella Zona di protezione speciale Monti Simbruini e nella Zona di protezione speciale denominata «ZPS ex Parco», nel mese di gennaio di ciascun anno, per ciascuna delle specie indicate nell’art. 2, commi 3, 4, 5, 6 e 7, e per due giornate alla settimana, fatta eccezione della caccia agli ungulati, e, secondo il ricorrente, l’esercizio dell’attività venatoria sarebbe consentito anche nelle modalità di «appostamento ed in forma vagante con l’ausilio del cane», in violazione della normativa statale.

Questa modalità infatti è prevista dall’art. 1, comma 2, della legge impugnata, ma non anche dall’art. 5, comma 1, lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007, che consente l’attività venatoria nelle indicate zone protette nel mese di gennaio, se esercitata nelle forme dell’«appostamento fisso e temporaneo e in forma vagante», senza però prevedere l’ausilio del cane.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il comma 3 del medesimo art. 3, nella parte in cui non menziona, tra i divieti disposti all’interno delle ZPS, quello della «preapertura» dell’attività venatoria; divieto espressamente previsto dall’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m. 17 ottobre 2007.

La possibilità di effettuare la suddetta preapertura troverebbe conferma, a parere del ricorrente, nel fatto che sempre l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 39 del 2010 consente l’attività venatoria nei Siti di interesse comunitario (SIC) e nelle ZPS «nei periodi indicati nell’art. 2, per ciascuna specie ivi indicata», e che, a sua volta, l’art. 2, comma 12, prevede la procedura per anticipare l’apertura della caccia alla prima domenica di settembre.

2.− Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, chiedendo che la Corte dichiari il ricorso inammissibile o infondato.

2.1.− Quanto alla censura relativa alla presunta violazione dell’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992, e del principio in esso fissato secondo il quale, a parere del ricorrente, i calendari venatori devono essere adottati con un atto amministrativo e non con legge, la difesa regionale osserva che dalle indicate norme statali non si ricava alcuna indicazione circa la fonte che le Regioni devono utilizzare per individuare il periodo e le specie cacciabili, avendo, peraltro, numerose Regioni già provveduto in tal senso con specifiche leggi-provvedimento.

La Regione Abruzzo a sostegno di quanto sopra rileva che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997 (Modificazione dell’elenco delle specie cacciabili di cui all’art. 18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157) ha stabilito che la modificazione dell’elenco delle specie cacciabili, previsto dall’art. 18, comma 3, della legge n. 157 del 1992, può avvenire ad opera delle Regioni per mezzo dei rispettivi atti legislativi e amministrativi.

Privo di pregio sarebbe anche l’argomento secondo il quale la necessità di adottare in simili casi atti amministrativi troverebbe giustificazione nella natura temporanea dei calendari in questione, avendo la giurisprudenza costituzionale affermato che non è preclusa al legislatore regionale la possibilità di attrarre alla propria competenza oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa, non sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto.

La censura proposta dal ricorrente sarebbe, peraltro, generica in quanto relativa esclusivamente alla fonte dell’atto impugnato, senza che nel ricorso risultino indicati quali specifici aspetti della disciplina regionale in esame sarebbero in contrasto con l’art. 18 della legge n. 157 del 1992.

La Regione Abruzzo ritiene, comunque, di aver rispettato il procedimento fissato dalla indicata norma statale, in quanto, per come riconosciuto dallo stesso ricorrente, avrebbe acquisito il parere dell’allora Istituto nazionale per la fauna selvatica, di natura obbligatoria, ma non vincolante, come è stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

2.2.− Secondo la Regione Abruzzo sarebbe priva di fondamento anche la censura relativa al contrasto degli artt. 2, commi 10 e 12, e dell’art. 5, comma 1, della legge regionale impugnata con le prescrizioni contenute nell’art. 18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992.

Invero, le norme regionali impugnate esulerebbero dal campo di applicazione dell’art. 18 indicato perché, diversamente da quanto previsto dalla norma statale, non ammettono alcun ampliamento del periodo in cui è consentita l’attività venatoria.

Per effetto dell’art. 2, commi 10 e 12, e dell’art. 5, comma 1, infatti, al fine di ridurre la caccia a determinate specie per periodi determinati, sarebbero stati alzati i livelli di tutela della fauna selvatica previsti dal legislatore nazionale, sulla base di un parere dell’OFR o, ove non costituito, dell’ISPRA, parere che, a differenza di quanto stabilito dalla normativa statale, sarebbe vincolante.

La Regione Abruzzo ritiene, comunque, che anche queste censure sarebbero prive di attualità e di concretezza di interesse, dato che la legge impugnata ha esaurito i propri effetti.

2.3.− Quanto al contrasto tra l’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 39 del 2010, e l’art. 5, lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007 – afferente al divieto di esercizio dell’attività venatoria nel mese di gennaio per tutte le ZPS – la Regione Abruzzo rileva che la disposizione è stata abrogata dal decreto ministeriale 22 gennaio 2009 (Modifica del decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS).

Quanto alla questione concernente l’art. 3, comma 3, relativa alla mancata previsione del divieto di preapertura dell’attività venatoria e, dunque, al conseguente contrasto con l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m. sopra indicato, la Regione osserva che questa disposizione demanda l’apposizione dei divieti in essa contenuti (tra i quali rientra quello della preapertura) «all’atto di cui all’art. 3, comma 1, del presente decreto», con la conseguenza che sarebbe tale specifico atto regionale a dover contenere i divieti previsti dall’art. 5.

Conclude la Regione affermando che la mancata previsione nella norma censurata del divieto in esame non vale a escluderne il rispetto.

3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria con la quale sostanzialmente ripropone le ragioni poste a fondamento del proprio ricorso.

Quanto alla censura riferita all’illegittima utilizzazione di un atto legislativo per approvare il calendario venatorio, la difesa dello Stato osserva che quest’ultimo ha natura strettamente amministrativa, di talché esso deve essere adottato con un provvedimento di uguale natura, desumendosi ciò anche dal procedimento previsto a tal fine dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 e, in particolare, dal necessario parere che deve essere richiesto all’ISPRA.

Quanto alla prevista sostituzione del suindicato parere con quello attribuito ad un ente regionale, l’Avvocatura rileva che esso è previsto non solo per le ipotesi di riduzione del periodo venatorio, ma anche per le diverse ipotesi di cui all’art. 2, comma 12, e all’art. 5, comma 1, della legge regionale impugnata (anticipazione dell’apertura della caccia ed esercizio della caccia alla fauna migratoria), assumendo sul punto rilievo l’ulteriore circostanza che la corrispondente norma statale (art.18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992) prevede il parere dell’ISPRA per qualsiasi provvedimento di modifica del calendario venatorio.

Anche la censura relativa al contrasto tra l’art. 5, comma 1, lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007, e l’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 39 del 2010 sarebbe, a parere della difesa dello Stato, fondata in quanto l’indicato art. 5, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione resistente, sarebbe ancora in vigore, poiché la norma abrogativa sarebbe stata annullata dal Tar del Lazio con la sentenza 25 maggio 2009, n. 5239, passata in giudicato.

Infine, la censura afferente all’art. 3, comma 3, della legge regionale n. 39 del 2010, sarebbe fondata per i motivi già indicati nel ricorso.

3.1.− Anche la Regione Abruzzo ha depositato memoria con la quale ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni contenute nel proprio atto di costituzione.

4.− In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Abruzzo e lo Stato hanno presentato altre memorie.

La Regione ha insistito perché il ricorso sia dichiarato «inammissibile, improcedibile e comunque infondato», osservando che non sarebbe più assistito da interesse, posto che l’efficacia temporale delle norme impugnate è esaurita con la chiusura della stagione di caccia.

Nel merito la Regione ha ribadito la legittimità dell’impiego di leggi- provvedimento regionali e ha aggiunto che nel caso di specie la legge impugnata ha garantito l’osservanza di «tutti i passaggi procedurali» richiesti dalla normativa statale, e in particolare di quello relativo all’acquisizione del parere dell’ISPRA. Né, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), l’adozione di un atto amministrativo generale, in luogo della legge, avrebbe imposto un obbligo di motivazione.

In ogni caso si dovrebbe escludere la compromissione delle esigenze di tutela ambientale, posto che, rispetto agli standard nazionali, le norme impugnate soddisferebbero maggiormente tali esigenze.

A sua volta lo Stato ha depositato una seconda memoria, con cui ha nuovamente sostenuto la fondatezza delle questioni proposte.



Considerato in diritto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione venatoria 2010/2011), in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.

La legge impugnata contiene plurime disposizioni concernenti l’esercizio della caccia sul territorio regionale, relative, ma non esclusivamente, alla stagione venatoria 2010-2011: tra queste, lo Stato ha censurato integralmente gli artt. 1 e 2, con cui è stato approvato il calendario venatorio annuale; l’art. 3, commi 2 e 3, con cui si sono adottate norme aventi ad oggetto l’attività venatoria nelle zone di protezione speciale, prescrivendone il calendario (comma 2), e specificando in linea generale le attività che vi sono vietate (comma 3); l’art. 5, comma 1, relativo all’esercizio della caccia alla fauna migratoria.

Il ricorrente ritiene in primo luogo che tali disposizioni ledano la propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di cui sarebbe espressione, in particolar modo, l’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio); in secondo luogo, che esse contrastino con la normativa dell’Unione europea e siano perciò in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

2.− La Regione Abruzzo ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, poiché le norme impugnate hanno avuto applicazione nel corso della stagione venatoria 2010-2011, che si è oramai conclusa.

L’eccezione non ha fondamento: questa Corte ha costantemente affermato che la cessazione della materia del contendere nei ricorsi in via principale può conseguire alla mancata produzione di effetti delle disposizioni impugnate, e non certo al caso opposto, in cui esse hanno invece trovato applicazione, consolidando in tal modo la lesione denunciata. In particolare, tale principio ha già avuto modo di essere formulato in una vicenda del tutto analoga alla presente (sentenza n. 405 del 2008).

3.− Le questioni poste con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. sono inammissibili, posto che il ricorrente non le ha corredate di motivazione, né ha indicato la normativa dell’Unione che sarebbe stata violata dal legislatore regionale.

4.– Quanto all’altro parametro invocato dal ricorrente deve considerarsi, con riferimento agli artt. 1 e 2 della legge impugnata, che tali disposizioni censurate approvano in via legislativa il calendario venatorio per la stagione 2010-2011, indicando sia le date e gli orari entro cui la caccia è consentita (art. 1), sia le specie cacciabili, con riferimento, per ciascuna di esse, al peculiare arco temporale aperto all’attività venatoria (art. 2).

Il ricorrente contesta non già il contenuto di tali norme, ma la fonte con cui esse sono state introdotte nell’ordinamento: a parere dell’Avvocatura, non sarebbe permesso al legislatore regionale sostituirsi all’amministrazione della Regione nel compimento di un’attività di regolamentazione che l’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del 1992 riserverebbe alla sfera amministrativa.

In particolare, l’art. 18, comma 4, della legge appena citata stabilisce che «le regioni, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l’indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria».

Secondo il ricorrente, verrebbe in tal modo esplicitato, nell’ambito di una sfera di competenza dello Stato, che il calendario venatorio debba essere contenuto in un atto avente natura amministrativa, anziché legislativa.

5.− La questione è fondata.

5.1.− Questa Corte ha avuto occasione più volte di giudicare norme di legge regionali, analoghe a quelle oggi impugnate, con cui è stato approvato il calendario venatorio.

Si tratta di tipiche leggi-provvedimento, in quanto le disposizioni che esse contengono sono prive di astrattezza e generalità, e sono destinate ad esaurire i propri effetti contingenti con lo spirare della stagione di caccia. Esse, piuttosto che a comporre interessi in conflitto secondo apprezzamenti propri della discrezionalità legislativa, tendono a tradurre in regole dell’agire concreto, e per il caso di specie, un complesso di valutazioni, basate su elementi di carattere squisitamente tecnico-scientifico: ciò, al fine di introdurre, in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali (art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992), un elemento circoscritto di flessibilità all’interno dell’altrimenti rigido quadro normativo nazionale.

L’intervento regionale viene infatti consentito espressamente dalla legge dello Stato proprio allo scopo di modulare l’impatto delle previsioni generali recate dalla normativa statale, in tema di calendario venatorio e specie cacciabili, sulle specifiche condizioni dell’habitat locale, alla cui verifica ben si presta un’amministrazione radicata sul territorio. In questa prospettiva, l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, se da un lato predetermina gli esemplari abbattibili, specie per specie e nei periodi indicati, dall’altro lato permette alla Regione l’introduzione di limitate deroghe ispirate a una simile finalità, e chiaramente motivate con riguardo a profili di natura scientifica: ne è conferma la previsione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), richiesto dall’art. 18, comma 2, e dall’art. 18, comma 4, con specifico riferimento all’approvazione del calendario venatorio.

In questo contesto si è diffuso a livello regionale il fenomeno di attrarre alla forma della legge il provvedimento richiesto dalla normativa dello Stato, ma è solo con l’odierno ricorso che per la prima volta la legittimità costituzionale di una simile scelta viene presa in esame da questa Corte.

In linea generale, la Corte ha ritenuto, anche con riguardo alla sfera di competenza delle Regioni, che «nessuna disposizione costituzionale (…) comporta una riserva agli organi amministrativi o “esecutivi” degli atti a contenuto particolare e concreto» (ex plurimis, sentenza n. 143 del 1989; in precedenza, sentenza n. 20 del 1956), benché abbia precisato che le leggi-provvedimento debbono soggiacere «ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio» (ex plurimis, sentenza n. 202 del 1997).

Nel vigore della revisione della Parte II del Titolo V della Costituzione, si è aggiunto che legittimamente la legge dello Stato, nell’esercizio di una competenza che le è riservata in via esclusiva, può vietare che la funzione amministrativa regionale venga esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010, n. 271 e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008).

In tale area riservata di competenza, per quanto la funzione amministrativa debba essere allocata al livello di governo reputato idoneo ai sensi dell’art. 118 Cost., il compito sia di individuare questo livello, sia di disciplinare forma e contenuto della funzione, non può che spettare al legislatore statale (sentenza n. 43 del 2004).

Nel caso di specie, è pacifico che la selezione, sia delle specie cacciabili, sia dei periodi aperti all’attività venatoria, implichi l’incisione di profili propri della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 191 del 2011, n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002): il legislatore nazionale ha perciò titolo per imporre alle Regioni di provvedere nella forma dell’atto amministrativo, anziché in quella della legge.

Va ora aggiunto che, osservando gli ordinari criteri ermeneutici, spetta all’interprete, e a questa Corte in primo luogo, stabilire se una siffatta restrizione, giustificata alla luce della natura degli interessi in gioco, possa essere desunta dall’impianto logico della normativa statale, anche in difetto di una disposizione che la preveda univocamente.

5.2.− Ciò premesso, la questione si risolve decidendo se l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui prevede che sia approvato dalla Regione «il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria», intenda con ciò prescriverne la forma di atto amministrativo, come suggerisce l’espressione letterale cui il legislatore statale ha voluto ricorrere.

La risposta a un simile quesito deve essere affermativa.

In via generale, si è già osservato che il passaggio dal provvedere in via amministrativa alla forma di legge è più consono alle ipotesi in cui la funzione amministrativa impatta su assetti della vita associata, per i quali viene avvertita una particolare esigenza di protezione di interessi primari «a fini di maggior tutela e garanzia dei diritti» (sentenza n. 143 del 1989); viceversa, nei casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, conformi l’attività amministrativa all’osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie verso una fonte primaria regionale fa emergere un sospetto di illegittimità.

La scelta che si provveda con atto amministrativo non solo è l’unica coerente in tale ordine di idee con il peculiare contenuto che nel caso di specie l’atto andrà ad assumere, e si inserisce dunque armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992, ma si riconnette altresì ad un regime di flessibilità certamente più marcato che nell’ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia cristallizzato nella forma della legge.

Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto è infatti il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in base alle quali il calendario venatorio è stato approvato: è sufficiente, a tale proposito, porre mente all’art. 19, comma 1, della legge n. 157 del 1992, che prevede il ricorso da parte della Regione a divieti imposti da «sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o per altre calamità». È chiaro che quando, come nel caso in questione, vi è ragionevole motivo di supporre che l’attività amministrativa non si esaurisca in un unico atto, ma possa e debba tornare a svilupparsi con necessaria celerità per esigenze sopravvenute, le forme e i tempi del procedimento legislativo possono costituire un aggravio, persino tale in casi estremi da vanificare gli obiettivi di pronta regolazione dei casi di urgenza (con riferimento alla legge impugnata, ad esempio, basti rilevare che l’art. 1, comma 10, consente all’amministrazione regionale soltanto di “ridurre” la caccia nei casi considerati, e non di vietarla, come invece è prescritto, in via alternativa alla riduzione, dal citato art. 19 della legge statale).

L’intervento in questione forma poi oggetto di un obbligo da parte della Repubblica nei confronti dell’Unione, la cui direttiva 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici), si prefigge di tutelare la fauna, assoggettando, tra l’altro, il regime derogatorio rispetto alle previsioni generali a stringenti requisiti (art. 9), e questa Corte, a tal proposito, ha già avuto modo di affermare che le deroghe non possono venire introdotte dalla Regione con legge-provvedimento, poiché verrebbe vanificato il potere di annullamento assegnato dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del 2008).

Bisogna ora precisare che non è solo lo speciale regime derogatorio, ma l’intero corpo provvedimentale su cui esso opera, quanto al calendario venatorio, che non tollera di venire irrigidito nella forma della legge, tenuto anche conto che tra regole ordinarie e deroghe eccezionali deve in linea di massima sussistere un’identità formale, che permetta alle seconde di agire sulle prime, fermo il potere di annullamento preservato in capo allo Stato.

Vi sono infatti casi, indicati dall’art. 9, comma 1, lettera a), della direttiva n. 2009/147/CE, attuato dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992, in cui l’allargamento dei limiti entro cui ordinariamente è consentita la caccia, se per un verso è tollerato dal diritto dell’Unione, per altro verso si impone, allo scopo di preservare significativi interessi ambientali di segno contrario, ovvero di altra natura, come, tra quelli selezionati dalla direttiva, la salute, la sicurezza pubblica, la sicurezza aerea.

In tali casi, la deroga necessita di venire introdotta con efficacia immediata, sicché angusto, e potenzialmente insufficiente, è lo spazio temporale aperto al legislatore regionale per rimuovere eventuali ostacoli in tal senso provenienti dalla legge-provvedimento.

Infine, è ben noto che il passaggio dall’atto amministrativo alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale, tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale.

Non che questa Corte sia sprovvista dei mezzi per sospendere l’esecuzione di una legge ritualmente impugnata in via principale (art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87); tuttavia, ciò si verifica a condizione che il Governo abbia promosso la relativa questione di legittimità costituzionale. Si è già sottolineato (sentenza n. 271 del 2008) che il legislatore statale può preferire lo strumento del ricorso giurisdizionale innanzi al giudice comune, e ciò in ragione sia della disponibilità del ricorso in capo alle parti private legittimate, sia dei tempi con cui il giudice può assicurare una pronta risposta di giustizia, sia della latitudine dei poteri cautelari di cui esso dispone, sia dell’ampiezza del contraddittorio che si può realizzare con i soggetti aventi titolo per intervenire, estranei invece, in linea di principio, al giudizio costituzionale sul riparto delle competenze legislative.

Inoltre, ove parte del giudizio sia l’amministrazione, il giudice comune ben può inserire le proprie misure cautelari nel flusso dell’attività di quest’ultima, prescrivendo che essa sia prontamente riesercitata secondo i criteri che di volta in volta vengono somministrati, affinché, in luogo del vuoto di normazione, che conseguirebbe alla mera sospensione della legge-provvedimento, si realizzi celermente una determinazione del calendario della caccia, compatibile con i tempi imposti dall’incalzare delle stagioni, e avente natura definitiva.

Non a caso l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 esige che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni anno: in tal modo, si suppone che, esperiti eventuali ricorsi giurisdizionali comuni, esso sia adeguatamente e legittimamente disponibile per l’inizio della caccia, ovvero per settembre inoltrato.

Una simile tempistica è pienamente compatibile con l’attività regionale, solo se la Regione adotta atti che non solamente siano immediatamente aggredibili innanzi al giudice comune, ma che possano direttamente da quest’ultimo essere conformati in via cautelare alle esigenze del caso concreto, entro un termine estremamente contenuto.

Né si traggono argomenti contrari, come vorrebbe la difesa regionale, dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 1997 (Modificazione dell’elenco delle specie cacciabili di cui all’art. 18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157), nella parte in cui esso prevede che le Regioni vi si adeguino con i «rispettivi atti legislativi e amministrativi»: a parte il fatto che si tratta di norma secondaria, inidonea ad alterare le scelte del legislatore, resta da dire che il rinvio così disposto ha il solo scopo di richiamare la fonte regionale che risulta competente sulla base del quadro legislativo vigente.

5.3.− Alla luce di tutti questi argomenti, appare evidente che il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del “regolamento” sull’attività venatoria e imponendo l’acquisizione obbligatoria del parere dell’ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con divieto di impiegare, invece, la legge-provvedimento.

Pertanto, gli artt. 1 e 2 della legge impugnata debbono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, con assorbimento dell’autonoma censura di illegittimità costituzionale sviluppata in riferimento all’art. 2, commi 10 e 12, per avere tali disposizioni previsto l’acquisizione del parere di un ente regionale, anziché dell’ISPRA.

6.− L’art. 5, comma 1, della legge impugnata è censurato a propria volta per avere introdotto, in tema di caccia alla fauna migratoria, il parere di un ente regionale, ovvero dell’Osservatorio faunistico regionale, in luogo di quello dell’ISPRA richiesto dalla normativa nazionale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

È tuttavia incontroverso che l’Osservatorio, la cui istituzione è prevista dall’art. 5 della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente), non sia ancora entrato in attività, con l’effetto che la norma impugnata non ha potuto trovare applicazione, né potrà averne in futuro, giacché essa ha un’efficacia limitata alla stagione venatoria ormai conclusa.

Pertanto, non residua alcun interesse all’esame della censura, rispetto alla quale va dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex plurimis, ordinanza n. 126 del 2010).

7.− L’art. 3, comma 2, della legge impugnata limita a due giornate alla settimana la caccia nelle zone di protezione speciale indicate dal precedente comma 1, e il ricorrente ritiene che tale disposizione debba leggersi unitamente all’art. 1, comma 2, della medesima legge, secondo cui l’attività venatoria si esercita anche «con l’ausilio del cane». Viceversa, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), nel regolare il corrispondente divieto che le Regioni sono tenute ad introdurre nelle zone di protezione speciale, non menziona espressamente la facoltà di usare il segugio, e con ciò, secondo il ricorrente, la esclude.

Come ha rilevato la Regione, la norma statale sopra richiamata, che il ricorrente ritiene ispirata a finalità di tutela dell’ambiente, di competenza dello Stato, è stata soppressa dall’art. 1 del decreto ministeriale 22 gennaio 2009 (Modifica del decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), ma questa disposizione, meramente abrogatrice, è stata a propria volta annullata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza definitiva n. 5239 del 2009, con cui si è ritenuto illegittimo il vuoto di tutela che ne sarebbe derivato.

Non vi è dubbio, pertanto, che allo stato l’art. 5, comma 1, lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007 sia in vigore.

Ciò premesso, il perno del ragionamento del ricorrente si fonda sulle capacità integratrici, rispetto alla norma impugnata, dell’art. 1, comma 2, il quale ultimo, tuttavia, è stato dichiarato incostituzionale per le ragioni sopra esposte.

A seguito di tale pronuncia, il testo dell’art. 3, comma 2, impugnato non è più suscettibile di essere integrato con la previsione concernente l’impiego del cane da caccia nelle zone di protezione speciale, e viene interamente a coincidere con la disposizione evocata dal ricorrente: è così venuto meno l’interesse dello Stato a coltivare la censura.

Deve conseguentemente dichiararsi cessata la materia del contendere, limitatamente a questa questione.

8.− L’art. 3, comma 3, della legge impugnata indica le attività venatorie vietate all’interno delle zone di protezione speciale. Tra di esse non è menzionato il divieto di effettuare la «preapertura dell’attività venatoria, con l’eccezione della caccia di selezione agli ungulati», che l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m. 17 ottobre 2007 impone alle Regioni di recepire con l’atto che adotta le misure di conservazione per le ZPS, di cui all’art. 3, comma 1, del medesimo decreto ministeriale. Incorrendo in tale omissione, la Regione avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

La questione non è fondata.

In attesa che le Regioni provvedano ad assumere l’atto previsto con riferimento alle zone di protezione speciale, è da ritenere che i divieti stabiliti dal d.m. 17 ottobre 2007 siano immediatamente efficaci, e vadano a integrare le previsioni regionali che ne siano parzialmente prive. Il silenzio del legislatore regionale non equivale, pertanto, ad escludere il divieto, che opera in forza di quanto stabilito dalla normativa dello Stato.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione venatoria 2010/2011);

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara cessata la materia del contendere sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara cessata la materia del contendere sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI