Ordinanza 102/2011

Ordinanza 102/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente DE SIERVO - Redattore TESAURO

Camera di Consiglio del 09/03/2011 Decisione del 21/03/2011
Deposito del 24/03/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 1, c. 1°, del regio decreto 16/03/1942, n. 267, nel testo sostituito dall?art. 1, c. 1°, del decreto legislativo 09/01/2006, n. 5 e dall?art. 1, c. 1°, del decreto legislativo 12/09/2007, n. 169.
Massime:
Atti decisi: ord. 326/2010


ORDINANZA N. 102

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo sostituito dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, nel procedimento a carico di Giarrusso Francesco n.q. di titolare dell’impresa individuale Giarrusso Gomme, con ordinanza del 1° dicembre 2009 iscritta al n. 326 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.



Ritenuto che il Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 1° dicembre 2009, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24 e 41 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo sostituito dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), «nella parte in cui non esclude dall’assoggettabilità a fallimento l’imprenditore individuale la cui impresa sia stata oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex artt. 2-ter e ss.» della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere);

che, secondo l’ordinanza di rimessione, nel giudizio principale il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, con ricorso depositato in data 19 marzo 2009, ha chiesto che sia dichiarato il fallimento di F.G., titolare dell’impresa individuale G. Gomme, il quale ha dedotto che detto Tribunale, con decreto del 17/20 giugno 2005, aveva disposto il sequestro ex art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 dell’impresa e del complesso dei beni aziendali, nominando un amministratore giudiziario, ed ha, quindi, eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e, comunque, ha chiesto il rigetto della domanda per decorso del termine di cui all’art. 10 del r.d. n. 267 del 1942 (nel testo sostituito dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2006), in quanto «già in data 31 ottobre 2006 l’impresa aveva di fatto cessato la propria attività», contestando, altresì, l’esistenza dello stato d’insolvenza;

che, disposta la convocazione anche dell’amministratore giudiziario, questi ha dedotto «di avere di fatto cessato l’attività a far data dal 14 novembre 2006 (essendo stato autorizzato dal Giudice delegato alla misura di prevenzione a rilasciare l’immobile sede dell’attività ed a licenziare l’unico dipendente dell’impresa)», precisando «che, con decreto del 24 ottobre 2007, la sezione misure di prevenzione aveva disposto la confisca (non ancora divenuta definitiva) della ditta individuale […] e del relativo patrimonio aziendale», ed ha concluso per il rigetto del ricorso, eccependo il difetto di legittimazione attiva del pubblico ministero, «l’intervenuta cessazione ultrannuale dell’attività d’impresa» e l’insussistenza del debito invocato quale sintomo dello stato d’insolvenza;

che, ad avviso del rimettente, il giudizio deve ritenersi correttamente instaurato, sebbene il ricorso sia stato proposto dal pubblico ministero a seguito di «segnalazione» effettuata dal Tribunale ordinario di Palermo con il decreto di archiviazione di un precedente ricorso di fallimento depositato da un creditore in danno di F.G.;

che, inoltre, secondo il giudice a quo, l’impresa in esame, «sebbene di fatto inattiva dal novembre 2006 (data del rilascio dell’immobile sede dell’attività e di licenziamento dell’unico lavoratore dipendente, in forza di specifiche autorizzazioni del Giudice delegato alla misura di prevenzione), non risulta essersi cancellata dal registro delle imprese» e, quindi, non sarebbe decorso il termine annuale di cui all’art. 10 del r.d. n. 267 del 1942, il quale, nel testo modificato dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 169 del 2007, applicabile nel giudizio principale, non consente all’imprenditore di provare di avere cessato l’attività in una data diversa da quella della cancellazione dal registro delle imprese;

che, tuttavia, ad avviso del rimettente, il citato art. 1, primo comma, «nella parte in cui non esclude dall’assoggettabilità a fallimento l’imprenditore individuale la cui impresa sia stata oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter e ss. legge n. 575 del 1965», violerebbe l’art. 3 Cost., realizzando una ingiustificata lesione del principio di eguaglianza sostanziale, «in quanto si farebbero subire le medesime conseguenze giuridiche (fallimento) a soggetti che si trovano in situazioni affatto differenti: nell’un caso, l’imprenditore nel pieno e libero esercizio della propria attività economica; nell’altro, l’imprenditore solo formale (in quanto mero titolare dell’impresa), estromesso per factum principis dall’amministrazione dell’attività economica, affidata ad altro soggetto»;

che la norma censurata recherebbe, altresì vulnus: all’art. 24 Cost., poiché l’imprenditore «subirebbe una menomazione del proprio diritto di difesa nel procedimento prefallimentare, in quanto non disporrebbe di tutti gli elementi conoscitivi relativi all’impresa e della documentazione contabile necessaria per poter contraddire al ricorso, e, in particolare, per poter eventualmente contestare la sussistenza dello stato di insolvenza, [e] il superamento dei limiti dimensionali»; all’art. 41 Cost., in quanto, benché l’imprenditore non sia più tale «per le ragioni sopra illustrate, subirebbe la più ampia limitazione della propria libertà di iniziativa economica a cagione dell’insolvenza di un’impresa che non risulta più dal medesimo governata né gestita, in quanto coattivamente amministrata da altro soggetto»;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, poiché il rimettente non avrebbe adeguatamente motivato la sussistenza dei presupposti per l’apertura della procedura concorsuale (tenuto conto della mancanza di creditori e dell’avvenuta cessazione dell’attività d’impresa), omettendo altresì di sperimentare la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame e di considerare che F.G., alla data del sequestro e della nomina dell’amministratore giudiziario, già versava in stato d’insolvenza, con conseguente irrilevanza della questione di legittimità costituzionale;

che, nel merito, le censure riferite all’art. 3 Cost. sarebbero infondate, perché non sarebbero comparabili le situazioni dell’imprenditore commerciale, a seconda che sia stato o meno assoggettato ad una misura di prevenzione patrimoniale, ed in quanto l’ammissibilità del fallimento nella seconda di dette ipotesi sarebbe frutto di un ragionevole bilanciamento di interessi e dell’esigenza di evitare un vuoto normativo;

che, ad avviso dell’interveniente, la norma censurata neppure violerebbe l’art. 24 Cost., poiché, dopo la riforma del 2006, «la dichiarazione di fallimento non è più assimilabile ad una sanzione civile»; in ogni caso, per escludere il denunciato vulnus di tale parametro costituzionale, sarebbe sufficiente «una lettura costituzionalmente orientata dell’impianto normativo, tale da consentire, ove il caso, l’intervento della parte nella procedura prefallimentare»;

che, infine, conclude l’Avvocatura generale dello Stato, l’identificazione da parte della giurisprudenza di congrue modalità di composizione delle interferenze determinate dalla coesistenza della misura di prevenzione patrimoniale e del fallimento e la prevalenza dell’interesse pubblico rispetto all’interesse individuale dimostrerebbero l’infondatezza della censura riferita all’art. 41 Cost.

Considerato che il Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 1° dicembre 2009, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24 e 41 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo sostituito dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80);

che, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 1, comma 1, violerebbe gli artt. 3, 24 e 41 Cost., «nella parte in cui non esclude dall’assoggettabilità a fallimento l’imprenditore individuale la cui impresa sia stata oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex artt. 2-ter e ss» della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) e, in particolare, il «sospetto di incostituzionalità» di detta norma sarebbe «evidente in tutte quelle ipotesi – come quella oggetto di esame – in cui la gestione dell’attività in capo all’amministratore di nomina giudiziale si protragga per un apprezzabile lasso di tempo»;

che il rimettente indica, altresì, che: il ricorso di fallimento è stato proposto il 19 marzo 2009; F.G. ha eccepito di avere cessato l’attività d’impresa il 31 ottobre del 2006; l’amministratore giudiziario ha dedotto «di avere di fatto cessato l’attività a far data dal 14 novembre 2006 (essendo stato autorizzato dal Giudice delegato alla misura di prevenzione a rilasciare l’immobile sede dell’attività ed a licenziare l’unico dipendente dell’impresa)»;

che, ad avviso del giudice a quo, la cessazione dell’attività, in difetto della cancellazione dal registro delle imprese, non potrebbe, tuttavia, impedire la dichiarazione di fallimento anche perché, in virtù di un’interpretazione non implausibile dell’art. 10 del r.d. n. 267 del 1942 (nel testo modificato dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 169 del 2007), l’imprenditore non avrebbe facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività;

che risulta, quindi, palese come l’eventuale assoggettamento di F.G. alla procedura concorsuale, nella specie, costituirebbe essenzialmente frutto di un inconveniente di fatto, perché conseguente solo alla mancata cancellazione dal registro delle imprese, non avendo, peraltro, il rimettente neanche dubitato dell’ammissibilità di siffatta cancellazione successivamente all’instaurazione della procedura di prevenzione, con conseguente manifesta inammissibilità della questione (per tutte, ordinanza n. 109 del 2010);

che, sotto un ulteriore e concorrente profilo, va rilevato che l’ordinanza di rimessione dà atto che, secondo F.G., i beni costituenti l’azienda sono stati oggetto di sequestro ex lege n. 575 del 1965, mentre, ad avviso dell’amministratore giudiziario, sarebbe sopravvenuto il provvedimento di confisca;

che, in presenza di dette divergenti indicazioni, il giudice a quo non specifica, con la dovuta precisione, quale sia lo stato della procedura di prevenzione, omissione questa che comporta un difetto di descrizione della fattispecie, la quale costituisce un’ulteriore ragione di inammissibilità della questione (tra le più recenti, ordinanze n. 65 e n. 63 del 2011), poiché, da un canto, impedisce di accertare se la richiesta addizione concerna il caso della sottoposizione dei beni dell’imprenditore al sequestro, ovvero anche il caso in cui ne sia stata disposta la confisca; dall’altro, influisce sulla motivazione della rilevanza in ordine all’ipotesi effettivamente sussistente nel caso in esame;

che, pertanto, indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla modalità di formulazione del petitum ed all’indeterminatezza del contenuto dell’intervento richiesto dal rimettente, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo sostituito dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 41 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2011.

Il Cancelliere

F.to: MELATTI