Sentenza 97/2011

Sentenza 97/2011
Giudizio GIUDIZIO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO

Presidente DE SIERVO - Redattore GROSSI

Udienza Pubblica del 30/11/2010 Decisione del 21/03/2011
Deposito del 24/03/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 22/02/2000.
Massime:
Atti decisi: confl. pot. mer. 10/2009


SENTENZA N. 97

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Ugo DE SIERVO; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 22 febbraio 2000 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Costantino Belluscio nei confronti del dott. Salvatore Senese, promosso dalla Corte suprema di cassazione, prima sezione civile, con ricorso notificato il 3 marzo 2010, depositato in cancelleria il 16 marzo 2010 ed iscritto al n. 10 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di merito.

Visti l’atto di costituzione della Camera dei deputati, nonché l’atto di intervento di Salvatore Senese;

udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2010 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati Giuseppe Zupo e Giuseppina Bevivino per Salvatore Senese e Roberto Nania per la Camera dei deputati.



Ritenuto in fatto

1. – Con “ordinanza interlocutoria” del 17 marzo 2009, la Corte di cassazione ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in ordine alla delibera della Camera dei deputati del 22 febbraio 2000 con la quale l’Assemblea ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento di cui al doc. IV-quater, n. 111, concernono opinioni espresse dall’onorevole Costantino Belluscio, deputato all’epoca dei fatti, nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo comma dell’art. 68 della Costituzione.

La Corte premette che il dott. Salvatore Senese, magistrato all’epoca dei fatti componente del Consiglio superiore della magistratura, proponeva querela nei confronti dell’allora deputato Costantino Belluscio per aver pubblicato, tra l’agosto ed il novembre 1982, tre articoli sul periodico Ordine Pubblico, rispettivamente dal titolo “Prima compagni e poi giudici”, “Polizia? No, grazie” e “Ma quale giustizia...”, e successivamente sui quotidiani L’Umanità e Ragionamenti, nei quali, riportando in modo alterato le affermazioni contenute in un suo scritto pubblicato sul volume “Crisi istituzionale e rinnovamento della giustizia”, aveva lasciato trasparire una posizione del medesimo querelante di favore e sostegno a gruppi eversivi e terroristici, con grave lesione della sua immagine di magistrato. In particolare, il Belluscio aveva riportato una frase del Senese «Il (nostro) disprezzo per le istituzioni è ormai entrato in molte coscienze democratiche», inserendovi l’aggettivo nostro non esistente nel testo originale, in tal modo attribuendo al querelante un atteggiamento di disprezzo verso le istituzioni. Aveva inoltre trasformato la sua attenzione verso le lotte sociali «non eversive, non violente e nemmeno illegali» nella esaltazione di «forme di violenza che si erano espresse in scioperi selvaggi, in occupazione di case, nella spesa proletaria, nell’autoriduzione di tariffe, cioè in pratica i primi fuochi di guerriglia». Aveva ancora commentato in uno degli articoli «Che cosa significa tutto ciò, se non una copertura, ammantata da motivazioni sociologiche, del fenomeno terroristico? Le Brigate Rosse hanno forse una filosofia diversa alla base delle loro gesta?», omettendo di riportare la netta e non rituale condanna del terrorismo e della violenza politica che l’esponente aveva ribadito nel suo scritto.

Negata nel 1987 l’autorizzazione a procedere – all’epoca prevista – da parte della Camera dei deputati, il procedimento, prima sospeso, veniva ripreso una volta esaurito il mandato parlamentare del Belluscio e veniva definito con sentenza della Corte di cassazione del 3 giugno 1993, la quale dichiarava estinto per intervenuta prescrizione il reato di diffamazione. Il Senese proponeva, quindi, domanda di risarcimento del danno in sede civile e il Tribunale di Roma, con sentenza del 4 aprile 2000, respingeva la domanda stessa. Proposto appello, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 29 settembre 2003, in parziale riforma della decisione impugnata, respingeva la domanda di risarcimento, ma in virtù di una diversa motivazione, assumendo a base di essa la circostanza che la Camera dei deputati, con delibera del 22 febbraio 2000 – prodotta dal Belluscio costituendosi in appello – aveva deliberato la insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare negli scritti oggetto di causa. La Corte territoriale, in particolare, disattendeva la richiesta dell’appellante di sollevare conflitto di attribuzione, reputando condivisibili i motivi indicati nella delibera, non assumendo rilievo la circostanza che nella interrogazione parlamentare del Belluscio, menzionata nella delibera stessa, non fosse riportato il nome del Senese o di altri esponenti della corrente associativa della magistratura cui il medesimo apparteneva e sulla quale il parlamentare aveva espresso una opinione fortemente critica. Avverso la sentenza di appello il Senese ha proposto ricorso per cassazione, contestando la sussistenza del nesso funzionale tra attività parlamentare e contenuto degli articoli contestati, e denunciando, quindi, violazione degli artt. 68, primo comma, 24, 111, sesto comma, e 134 Cost., nonché violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e omessa motivazione.

La Corte di cassazione, reputa, al contrario, di dover sollevare conflitto di attribuzione in riferimento alla delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati il 22 febbraio 2000, nella quale è stata approvata la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere del 9 febbraio 2000, doc. IV-quater, n. 111, non ritenendo configurabile, nella specie, il nesso funzionale tra attività illecita extra moenia e funzioni parlamentari, che costituisce, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’unico saldo criterio desumibile dal primo comma dell’art. 68 Cost.». Tale requisito, infatti, presuppone, da un lato, che l’atto esterno deve seguire di poco tempo il compimento degli atti parlamentari, così da svolgere rispetto ad essi funzione divulgativa; dall’altro, la necessaria corrispondenza di contenuto tra le opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni e le dichiarazioni esterne, non essendo sufficiente né una comunanza di argomenti, né il mero contesto politico cui possono riferirsi le esternazioni. Quanto al nesso temporale, lo stesso non ricorrerebbe nella specie, in quanto gli articoli diffamatorii furono pubblicati tra l’agosto ed il novembre 1982, mentre gli atti parlamentari di riferimento risalgono al 30 giugno ed al 6 luglio 1982. Neppure sarebbe ravvisabile una sostanziale connessione fra articoli e attività parlamentare, in quanto nella interrogazione del Belluscio non vi sarebbe alcun riferimento alla persona del Senese, che all’epoca era componente del Consiglio superiore della magistratura. Anche il più ampio riferimento alle idee e convinzioni politiche di magistrati, contenuto nella replica al Ministro dell’interno, sono rivolte ai magistrati padovani autori delle iniziative contro i poliziotti del N.O.C.S., mentre il riferimento alla adesione ideologica alla corrente di Magistratura democratica non sarebbe automaticamente ricollegabile alla persona del Senese, anche se di quel gruppo era autorevole esponente.

Gli scritti coperti dalla insindacabilità non sarebbero, dunque, né riproduttivi, né divulgativi né ripetitivi delle opinioni espresse dal Belluscio in sede parlamentare, secondo la rassegna di atti operata dalla legge 30 giugno 2003, n. 140, inapplicabile ratione temporis, ma utilizzabile sul piano esegetico, né risulterebbero ad essi riconducibili «le manifestazioni di protesta dinnanzi al carcere di Peschiera e l’inchiesta giornalistica delle quali è pure menzione nella delibera della Giunta approvata dalla Camera dei deputati». Per altro verso – soggiunge ancora la Corte confliggente – il richiamo contenuto nella delibera allo scontro politico ed alle sue conseguenze, mutuato dall’atto con il quale nel 1987 l’Assemblea aveva rifiutato la autorizzazione a procedere, può consentire di estendere l’area della garanzia costituzionale, al punto da fungere da «generica liberatoria» per ogni atto del parlamentare, «purché connesso allo scontro meramente politico», generando, quindi, «una erronea valutazione dei presupposti richiesti per il giudizio di insindacabilità».

Da tutto ciò la denuncia della indebita interferenza del Parlamento nelle attribuzioni della autorità giudiziaria, e la conseguente richiesta di declaratoria di non spettanza del potere deliberativo esercitato con la deliberazione indicata in premessa.

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 62 del 2010, ritualmente e tempestivamente notificata e depositata a cura della ricorrente.

3. – La Camera dei deputati si è costituita depositando, assieme all’atto di costituzione, documenti vari e chiedendo, in via principale, dichiararsi inammissibile il conflitto, ed in subordine dichiararsi che spetta alla Camera dei deputati il potere di dichiarare la insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., in relazione alle opinioni espresse dall’on. Costantino Belluscio, secondo quanto deliberato dall’Assemblea della Camera medesima in data 22 febbraio 2000.

La Camera, dopo ampia narrativa della vicenda, nella quale puntualizza che l’on. Belluscio è di recente deceduto, osserva, in via preliminare che, avuto riguardo al «motivato assenso espresso dal giudice d’appello rispetto alla delibera di insindacabilità», e tenuto conto del fatto che, a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., la impugnazione in cassazione, a differenza del rimedio dell’appello, non ha effetto devolutivo, se ne deve dedurre che, in sede di ricorso – ove lo scrutinio pertiene alla legittimità delle sentenze – è inibito alla Corte di cassazione procedere a quell’apprezzamento diretto dei fatti che «integra il presupposto indispensabile ai fini del corretto esercizio del potere di sollevazione del conflitto di attribuzione con specifico riferimento alle delibere di insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.». Ciò perché la «decisione di sollevare conflitto non può che derivare dalla soluzione della quaestio facti riguardante il tenore delle dichiarazioni esterne ed i contenuti degli atti parlamentari tipici al fine di appurare la sussistenza o meno del richiesto nesso che tra di esse deve intercedere». In subordine, il conflitto – deduce la Camera – dovrebbe comunque ritenersi infondato nel merito, alla luce dei rilievi posti a base della delibera della Giunta per le autorizzazioni a procedere, a sua volta confermativa delle motivazioni che avevano indotto la Camera a negare, a suo tempo, l’autorizzazione a procedere per i medesimi fatti. Viene in particolare richiamata – in merito alla specifica attività svolta dal parlamentare – una interrogazione (n. 3-06435 del 1982) con la quale il medesimo, nello stigmatizzare l’operato dei magistrati circa le iniziative giudiziarie adottate a seguito della liberazione del Generale Dozier, aveva chiesto «di conoscere in che modo il governo si propone di contenere l’azione di noti magistrati politicizzati, la cui azione contrasta con i principi costituzionali e determina legittimi dubbi nella certezza del diritto». Si richiama, poi, l’intervento svolto in aula dell’on. Belluscio, in replica alla risposta fornita dal rappresentante del governo sulla richiamata interrogazione parlamentare: in quella circostanza, infatti, il medesimo esprimeva accenti fortemente critici nei confronti dei magistrati cosiddetti politicizzati; facendo, infatti, riferimento alla mozione di “Magistratura democratica” presentata e discussa al “congresso dei magistrati tenutosi a Mondovì”, deduceva che «i magistrati, le cui idee politiche o convinzioni filosofiche si ha il dovere, in una democrazia, di rispettare e difendere, devono lasciare, proprio in una democrazia che sia consapevole, matura e degna di questo nome, fuori dalla porta delle aule della giustizia, queste stesse idee e queste stesse convinzioni filosofiche». Le censure verso la magistratura “politicizzata” e in particolare verso la corrente di “Magistratura democratica” erano dunque evidenti. Errato sarebbe poi l’assunto della Corte ricorrente circa il lasso di tempo intercorso tra quegli atti e le dichiarazioni esterne. L’interrogazione, infatti, è stata presentata il 30 giugno 1982 ma svolta, a seguito di abbinamento, il 6 luglio 1982 e, in tale ultima data, vi è stato l’intervento di replica. Poco prima, dunque, di quando vi sono state le dichiarazioni in ipotesi diffamatorie, le quali hanno avuto inizio l’agosto di quello stesso anno. Contrariamente all’assunto della ricorrente, inoltre, non è vero che le dichiarazioni riguardassero le iniziative dei magistrati padovani connesse alla vicenda Dozier, giacché il tema centrale era la “politicizzazione” della magistratura e, in particolare, della corrente di “Magistratura democratica” della quale il Senese era esponente. Posizioni, quelle espresse da tale corrente, che erano ritenute dal parlamentare «tanto più censurabili in considerazione della particolare gravità della situazione del paese segnata dall’offensiva terroristica contro le istituzioni».

Quanto, poi, al merito delle opinioni espresse extra moenia, ciò che rileverebbe – a detta della Camera – è che l’inchiesta giornalistica nella quale tali opinioni sono confluite mirava a sostenere la «impropria assunzione ed esternazione da parte di taluni magistrati di orientamenti politico-ideologici necessariamente estranei all’esercizio della funzione giurisdizionale»: un tema, dunque, perfettamente corrispondente al «contenuto critico degli atti parlamentari» di cui si è detto. D’altra parte, quella inchiesta giornalistica era stata effettuata dietro specifico incarico del gruppo parlamentare di appartenenza, legittimando, dunque, una estensione della sfera della immunità ex art. 68 Cost. – avuto anche riguardo a quanto stabilito dall’art. 3 della legge n. 140 del 2003 – «al contenuto squisitamente politico del compito espletato dal deputato ed alla sua finalizzazione allo svolgimento dell’azione politico parlamentare del gruppo che l’incarico medesimo aveva conferito». Pretendere poi di desumere una estraneità di oggetto tra dichiarazioni extra moenia e atti tipici dalla circostanza che il Senese sarebbe stato qualificato «come persona collaterale o vicina a movimenti terroristici», come ha fatto la Corte ricorrente, equivarrebbe a far assurgere la posizione e la tesi della parte a parametro di delibazione della sussistenza del nesso funzionale, quando, in ipotesi, le medesime conclusioni si sarebbero potute trarre direttamente dagli atti parlamentari innanzi evocati.

4. – Nel giudizio per conflitto ha depositato atto di intervento la parte privata, dott. Salvatore Senese, rappresentato e difeso come in atti. Dopo aver sottolineato la sussistenza dei presupposti che, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, legittimano l’intervento, nel giudizio per conflitto tra poteri dello Stato, delle parti attrici nei giudizi comuni di responsabilità, l’interveniente ripercorre analiticamente i vari passaggi, quanto a ricostruzione della vicenda per la quale è causa, e prospettazioni in diritto, svolti dalla Corte di cassazione nel provvedimento introduttivo del conflitto. Nel ribadire, in particolare, i punti alla luce dei quali la Corte ha ritenuto insussistente il nesso funzionale tra le opinioni espresse dall’on. Belluscio e l’interrogazione parlamentare e gli altri atti su cui si è fondata la deliberazione di insindacabilità, l’interveniente formula richiesta adesiva a quella già rassegnata dalla Corte ricorrente.

5. – In prossimità della udienza, la parte privata ha depositato memoria nella quale, dopo aver richiamato i fatti e la vicenda processuale posti a base del conflitto, ha svolto considerazioni tese a contrastare i rilievi prospettati dalla Camera dei deputati nel proprio atto di intervento. Quanto alla ammissibilità del conflitto, infatti, si contesta la tesi secondo la quale la Corte di cassazione sarebbe priva della specifica legittimazione per sollevare conflitto, sul rilievo che il tema della insindacabilità aveva formato oggetto di ricorso, risultando, poi, destituito di fondamento l’assunto relativo agli accertamenti di fatto inibiti alla Corte di cassazione, in quanto per un verso i fatti sono incontestati e sotto altro profilo perché a seguire tale tesi la Cassazione non potrebbe mai sollevare conflitto. Nel merito, si ribadisce la estraneità delle affermazioni in ipotesi diffamatorie rispetto agli atti tipici evocati dalla Camera, nei quali non si fa menzione della persona del Senese, e l’impossibilità di richiamare una sorta di “copertura” degli articoli in contestazione in virtù dell’incarico conferito al deputato Belluscio dal gruppo parlamentare, posto che a tale incarico non può annettersi portata scriminante.

6. – Ha infine depositato memoria anche la Camera dei deputati, la quale, nel sottolineare il lungo tempo trascorso dalla originaria reiezione di autorizzazione a procedere, osserva come la ammissibilità del conflitto sia compromessa dalla esigenza di certezza e definitività dei rapporti, ormai da tempo cristallizzatisi. Nel merito, rileva come debba essere ritenuto ininfluente il fatto che negli atti tipici non sia menzionata la persona del dott. Senese, posto che ai fini della insindacabilità non è necessario che vi sia «la specifica indicazione nominativa del destinatario, o dei destinatari, delle opinioni critiche» espresse dal parlamentare. Nel caso di specie, rileva conclusivamente la memoria, l’ambito dei destinatari della critica, tra i quali va annoverata l’odierna parte privata, è agevolmente identificabile, così come lo è la sostanziale identità tra la critica svolta all’interno ed all’esterno del Parlamento.



Considerato in diritto

1. – La Corte di cassazione solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione adottata dalla Camera dei deputati il 22 febbraio 2000, con la quale l’Assemblea ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento di cui al doc. IV-quater, n. 111, concernono opinioni espresse dall’onorevole Costantino Belluscio, deputato all’epoca dei fatti, nell’esercizio delle sue funzioni, e, come tali, insindacabili a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. La Corte, dopo aver rammentato che il dott. Salvatore Senese, magistrato all’epoca componente del Consiglio superiore della magistratura, aveva proposto querela nei confronti dell’on. Belluscio per aver pubblicato, tra l’agosto ed il novembre 1982, tre articoli sul periodico Ordine Pubblico reputati diffamatorii, e che in relazione a tale procedimento penale era stata negata l’autorizzazione a procedere, prevista dall’art. 68 Cost., nel testo allora vigente, ha sottolineato che, ripreso il procedimento dopo che l’on. Belluscio aveva cessato di far parte del Parlamento, lo stesso era stato definito con sentenza che aveva dichiarato estinto il reato di diffamazione per intervenuta prescrizione. Proposta, dunque, domanda risarcitoria in sede civile da parte del dott. Senese, il relativo procedimento era poi pervenuto davanti alla Corte di cassazione, la quale aveva ritenuto di sollevare conflitto tra poteri dello Stato in riferimento alla richiamata delibera di insindacabilità, sul rilievo che, nella specie, non sarebbe ravvisabile il nesso funzionale tra la pubblicazione degli articoli in contestazione e le funzioni parlamentari; nesso che rappresenta – dopo le modifiche subite dall’art. 68 Cost. e secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte – l’indispensabile presupposto per ritenere assoggettate alla garanzia costituzionale della insindacabilità anche le opinioni espresse extra moenia dai membri del Parlamento.

2. – Va preliminarmente disattesa la eccezione di inammissibilità, formulata dalla Camera dei deputati sul rilievo che la Corte di cassazione, la quale sarebbe investita da un rimedio impugnatorio privo di effetto devolutivo, non sarebbe legittimata, per il ruolo che le è attribuito dall’ordinamento, a procedere ad un accertamento dei fatti che consenta di apprezzare il tenore delle dichiarazioni esterne ed il contenuto degli atti parlamentari tipici, dal cui raffronto deve scaturire la decisione se sollevare o meno conflitto.

Al lume della giurisprudenza di questa Corte, il “tema” relativo alla legittimità della deliberazione con la quale il Parlamento dichiara che le opinioni espresse extra moenia da un suo membro non sono sindacabili a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., non può ritenersi affatto una semplice quaestio facti inibita al giudice della legittimità, giacché il perimetro entro il quale deve svolgersi la relativa delibazione – funzionale alla scelta se sollevare o meno il conflitto – non coinvolge un giudizio sul “merito” della causa (concernente il quesito se le opinioni espresse dal parlamentare abbiano o meno portata lesiva della altrui onorabilità), né sui “fatti” posti a fondamento di quel “merito”. Infatti, il sindacato sul corretto uso del potere di dichiarare la insindacabilità ex art. 68 Cost. da parte del Parlamento è – come risulta evidente – un giudizio di diritto, del tutto compatibile con le attribuzioni spettanti a qualsiasi organo giurisdizionale, a qualunque “grado” esso appartenga secondo la “piramide” processuale, ivi compresa, dunque – e per certi aspetti a fortiori – la Corte di cassazione, avuto riguardo proprio alla funzione di organo di legittimità e di nomofilachia che l’ordinamento le attribuisce.

Del pari, si rivela privo di consistenza l’argomento – prospettato dalla difesa della Camera nella più recente memoria – secondo il quale la delibera di insindacabilità oggetto di impugnativa non sarebbe altro che la sostanziale reiterazione della precedente delibera con la quale era stata negata l’autorizzazione a procedere secondo il previgente testo dell’art. 68 Cost. Con la conseguenza che, avendo la prima decisione già prodotto i suoi effetti, la stessa dovrebbe ormai considerarsi irretrattabile, a salvaguardia della «“certezza e definitività dei rapporti” che opera in materia». A contrastare tale assunto basta infatti rilevare che i due istituti posti a raffronto – vale a dire la previgente autorizzazione a procedere, da un lato, e la delibera di insindacabilità dall’altro – si presentano fra loro come del tutto diversificati, sicché la mancanza della autorizzazione, e dunque l’esistenza di un vincolo di improcedibilità – destinato ad operare finché non cessi il mandato parlamentare – non può determinare alcun effetto sul versante della dichiarazione di insindacabilità, che opera, invece, sul diverso profilo “sostanziale” della preclusione alla azione.

3. – Nel merito, il ricorso della Corte di cassazione è fondato.

Secondo quanto puntualizza il ricorso, infatti, il contenuto delle frasi riferite all’attore – e per le quali quest’ultimo si duole – evoca il diretto coinvolgimento della persona del dott. Senese in opinioni critiche nei confronti delle istituzioni e nella esaltazione di “forme di violenza” riguardate in termini di copertura ideologica del terrorismo; frasi ed opinioni, peraltro, che non si pongono in termini di sostanziale corrispondenza rispetto al contenuto di atti tipici concretamente riferibili alla attività parlamentare svolta dall’on. Belluscio in periodo antecedente e prossimo a quello cui si riferiscono gli articoli oggetto della domanda risarcitoria. Infatti, mentre i riferimenti al dott. Senese risultano diretti alla persona, piuttosto che riguardare una corrente della magistratura, gli atti parlamentari evocati dalla Camera dei deputati a sostegno della deliberazione di insindacabilità – in particolare rappresentati da una replica ad una interrogazione parlamentare svolta in aula il 7 luglio 1982 – traggono origine e si inseriscono nelle polemiche insorte a seguito delle note iniziative giudiziarie che riguardarono alcuni appartenenti alle forze dell’ordine intervenuti in occasione della liberazione del Generale Dozier, con particolare riferimento ai magistrati di Padova, alla loro ideologia politica ed alla corrente di Magistratura democratica. Pertanto, la successiva “inchiesta giornalistica”, che il parlamentare aveva attivato – secondo quanto puntualizza la Camera dei deputati – su mandato del suo gruppo parlamentare, riguardando il tema generale della “magistratura politicizzata” e, in particolare, la corrente di Magistratura democratica, poteva dirsi solo genericamente correlato a quello riguardante i fatti scaturiti dal sequestro Dozier, senza integrare, dunque, il presupposto della sostanziale identità di contenuti rispetto ai “temi” trattati negli scritti riguardanti la persona del dott. Senese.

4. – Avuto riguardo, pertanto, agli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza di questa Corte, costante nell’affermare che, ai fini del riconoscimento della prerogativa della insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. è necessaria una sostanziale corrispondenza tra le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficienti né una mera comunanza di argomenti né un mero contesto politico cui le prime possano riferirsi (tra le tante, sentenza n. 420 del 2008), consegue che la deliberazione della Camera dei deputati oggetto del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è stata adottata in violazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ledendo le attribuzioni della autorità giudiziaria ricorrente, e deve, pertanto, essere annullata.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dall’onorevole Costantino Belluscio, deputato all’epoca dei fatti, per le quali pende davanti alla Corte di cassazione il procedimento di cui al ricorso in epigrafe, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, di conseguenza, la deliberazione di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 22 febbraio 2000 (doc. IV – quater, n. 111).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2011.

Il Cancelliere

F.to: MELATTI