Ordinanza 250/2011

Ordinanza 250/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore CRISCUOLO

Camera di Consiglio del 22/06/2011 Decisione del 20/07/2011
Deposito del 27/07/2011 Pubblicazione in G. U. 03/08/2011
Norme impugnate: Art. 275 del codice di procedura penale.
Massime:
Atti decisi: ord. 50/2011


ORDINANZA N. 250

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 275 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di D. M. P. con ordinanza del 20 luglio 2010, iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2011, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.



Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con ordinanza depositata il 20 luglio 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275 del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 2, 3, 29, primo comma, 30, primo e secondo comma, 31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede «il divieto di disporre e mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata sia la madre di prole, con lei convivente, totalmente invalida, che versa in condizioni di salute particolarmente gravi e che, per tale ragione, necessita di continue cure ed assistenza o il padre, qualora la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire alla prole le cure e l’assistenza di cui ha ininterrottamente bisogno»;

che il rimettente riferisce di dover decidere in ordine ad una istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, avanzata dalla difesa nell’interesse di D. M. P., imputato del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso e di estorsione aggravata, ai sensi dell’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203;

che il predetto imputato, nel mese di luglio 2008, è stato sottoposto alla misura della custodia in carcere per i reati sopra indicati e, nel novembre 2009, a seguito di giudizio abbreviato, è stato dichiarato colpevole dei reati a lui ascritti ed è stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena di anni otto di reclusione;

che, in data 14 dicembre 2009, il difensore ha formulato richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, deducendo e documentando, mediante la produzione di copiosa certificazione medica rilasciata da strutture mediche ospedaliere pubbliche, che la figlia del proprio assistito, di anni sette, è affetta sin dalla nascita da una gravissima malattia genetica e da connesse patologie invalidanti che, incidendo in modo rilevante su importanti funzioni vitali, la rendono bisognosa di continue cure ed assistenza, da praticarsi anche nell’ambito di centri specialistici situati fuori Regione;

che tale assistenza, ad avviso del difensore, non può essere assicurata soltanto dalla madre, perché ella non solo è costretta ad allontanarsi da casa per parecchie ore al giorno, per svolgere l’attività lavorativa necessaria ai fini del sostentamento del nucleo familiare, ma anche perché, essendo madre di altro figlio minore, deve attendere alle proprie funzioni genitoriali anche nei confronti di quest’ultimo, al quale deve comunque assicurare il soddisfacimento delle normali esigenze di vita;

che, inoltre, come il giudice a quo rileva, la difesa ha posto in evidenza che detto minore è costretto ad affrontare periodicamente situazioni di estremo disagio, dovendo lasciare la propria abitazione, anche per lunghi periodi, ogni qualvolta per la sorella si rendano necessari ricoveri presso strutture ospedaliere situate in città lontane da quella in cui il nucleo familiare abitualmente vive;

che il difensore, poi, osserva che tale situazione, non potendo essere gestita soltanto dalla moglie dell’imputato, di fatto priva la piccola C. della possibilità di ricevere le cure di cui ha bisogno, in modo continuativo, cure che, peraltro, essendo particolarmente invasive e dolorose, richiedono la collaborazione di almeno uno dei genitori, i soli in grado di fornire quell’assistenza, non solo materiale, ma anche e soprattutto morale ed affettiva, che può lenire il dolore e la profonda sofferenza che la sottoposizione a tali terapie necessariamente comporta;

che, tanto premesso, il rimettente aggiunge che in data 9 dicembre 2009 ha respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare ponendo in evidenza che a carico dell’imputato, da poco condannato alla pena di otto anni, l’unico regime cautelare applicabile, alla luce dei reati di cui è stato ritenuto responsabile, in considerazione delle ultime novelle legislative, è quello della custodia in carcere, non ricorrendo nel caso di specie l’ipotesi di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., per avere la figlia dell’imputato più di tre anni;

che, in data 4 maggio 2010, il difensore ha presentato una nuova istanza di concessione all’imputato della misura degli arresti domiciliari, deducendo a fondamento di essa che, pochi giorni prima, la bambina era stata sottoposta ad un delicatissimo intervento chirurgico a causa dell’insorgenza di una grave e imprevedibile complicanza determinata dalle patologie da cui è affetta;

che, anche in tale occasione, la difesa ha segnalato la particolare gravità dello stato di salute della minore, l’imprevedibile decorso dello stesso, nonché la radicale e assoluta impossibilità per la moglie dell’imputato di conciliare adeguatamente la gestione di tale dolorosa situazione con la necessità di svolgere una normale attività lavorativa e, al contempo, di provvedere alle ordinarie esigenze di vita di un altro minore in tenera età;

che la difesa, inoltre, ha sottolineato lo stato di profonda sofferenza morale e psicologica della bambina che, per ragioni a lei certamente non comprensibili, si vede privata, in un momento di grande disperazione, dell’amore e del sostegno del padre;

che il rimettente, poi, dà atto che dagli accertamenti disposti in merito alle affermazioni circa lo stato di salute della minore, è risultato che la piccola, in data 22 aprile 2010, è stata ricoverata in regime di urgenza presso l’ospedale per essere sottoposta ad un delicato intervento resosi necessario a causa dell’insorgenza di una imprevedibile e grave complicanza;

che, infatti, dalla certificazione trasmessa dall’ospedale pediatrico, presso il quale la bambina era stata ricoverata, è emerso che la minore è affetta sin dalla nascita dalla sindrome di A. C.; che è portatrice di schiena bifida, di una derivazione ventricolare cerebrale e di esiti in paraparesi, conseguenti alla patologia neurologica di base; che necessita di cure continue, essendo peraltro portatrice di vescica neurogena: patologia la quale comporta una “uro riabilitazione” quotidiana della vescica, per mezzo di cateterismo intermittente, che deve essere eseguito dalla famiglia 4 – 5 volte al giorno; che abbisogna di controlli clinici periodici per possibili infezioni urinarie e altre conseguenze neurologiche; che necessita di una chirurgia endoscopica, la quale deve essere effettuata in centri altamente specializzati periodicamente e comunque almeno una volta all’anno;

che nella stessa certificazione, infine, si pone in evidenza che «la patologia vescicale da cui la bambina è affetta è invalidante, con limitazioni della vita quotidiana rispetto all’età, così come lo sono gli altri esiti neurologici»;

che, in questo quadro, il rimettente ritiene adeguatamente dimostrato che la minore è affetta da patologie gravi, radicalmente invalidanti, tali da compromettere, in modo sostanziale, importanti funzioni vitali e pertanto necessita continuamente di cure ed assistenza del tutto eccezionali;

che la concreta somministrazione di tali terapie richiede la presenza costante, nell’abitazione familiare o negli ospedali ove viene periodicamente ricoverata, di almeno uno dei genitori, stante la necessità di monitorare il suo stato di salute, di coadiuvarla nello svolgimento di elementari e vitali funzioni, di supportarla in tale doloroso percorso con amore e dedizione;

che, al riguardo, il rimettente osserva come la piccola C., non solo sia soggetta a periodici ricoveri in strutture ospedaliere ubicate fuori Regione (presso le quali non può che essere accompagnata da uno dei genitori), ma sia anche quotidianamente, e più volte al giorno, sottoposta a pratiche terapeutiche particolarmente invasive, tra cui lo svuotamento della vescica, la cui effettuazione deve essere assicurata dalla famiglia e, quindi, dai genitori, che sono, unitamente ad un altro bambino in tenera età, gli unici componenti del nucleo familiare;

che tali attività, ad avviso del rimettente, non possono essere delegate a terzi o svolte in altro modo, attraverso (ad esempio) il ricorso agli strumenti assistenziali previsti dalla legge a supporto della famiglie di soggetti invalidi, atteso che, in primo luogo, tali strumenti, in genere limitati a sostegni economici, non sono idonei ad assicurare un reale e concreto aiuto; ma soprattutto perché siffatte esigenze di cura sono inscindibilmente legate alle figure genitoriali ed a quelle capacità di affetto, amore, pazienza e dedizione che solo gli stessi sono in grado di rappresentare e trasmettere, soprattutto in momenti di particolare sofferenza e dolore;

che, ciò posto, il giudice a quo rileva come sia documentato che la moglie dell’imputato si trovi nell’assoluta impossibilità di prestare alla bambina una continua ed ininterrotta assistenza, in quanto deve attendere alla propria attività lavorativa e deve tentare di assicurare normali condizioni di vita all’altro figlio minore, le cui esigenze ordinarie, di studio e mantenimento, non possono essere totalmente sacrificate;

che al medesimo giudice, inoltre, non sfugge che, nel definire il concetto di “assoluta impossibilità” in relazione alla diversa ipotesi contemplata dalla disposizione censurata, la giurisprudenza di legittimità da tempo sostiene che l’esigenza di svolgere ordinarie attività lavorative non rappresenta un assoluto impedimento al corretto espletamento dei compiti genitoriali, in quanto il fine della previsione normativa non è quello di assicurare al minore di età inferiore ai tre anni la presenza continua della madre, ma quello di far sì che lo stesso possa ricevere, in un momento particolarmente importante della sua formazione fisica e psichica, quelle cure e quell’affettuosa assistenza che solo un genitore può assicurare e la cui somministrazione è del tutto compatibile con lo svolgimento dell’ordinaria attività lavorativa;

che, ad avviso del rimettente, se è indubbia la ragionevolezza di tale argomento, è altresì vero che nel caso di specie esso non può trovare applicazione proprio per gli eccezionali compiti di cura ed assistenza continue che, alla luce delle certificazioni mediche in atti, devono essere assolti dalla madre della piccola C.;

che a ciò si deve aggiungere che, in generale, le esigenze di cura di figli gravemente ammalati e affetti da patologie invalidanti non possono identificarsi né essere paragonate con quelle, di gran lunga meno impegnative, che competono ai genitori di figli di età inferiore ai tre anni, versanti in normali condizioni di salute;

che mentre, infatti, in tale ultimo caso le funzioni assistenziali, avendo il fine di assicurare un normale sviluppo fisico e psichico dei minori in un’età significativa e qualificante della loro formazione, sono adeguatamente soddisfatte anche attraverso una presenza non costante del genitore nell’abitazione familiare, nella ipotesi in esame, invece, le attività di cura richiedono una pressoché totale dedizione al figlio ammalato, che appunto vede nei genitori l’unico punto di riferimento, le sole persone dalle quali ricevere amore, conforto, aiuto e sostegno;

che ciò, ad avviso del rimettente, vale in particolare per i bambini che, non avendo ancora raggiunto un elevato livello di maturità psichica, a causa della loro età infantile, non sono ancora in grado di affrontare, senza il supporto fondamentale dei genitori, un doloroso percorso di cure;

che, alla luce delle esposte argomentazioni, il rimettente ritiene che la norma in esame, nella parte in cui non prevede «il divieto di disporre e mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputato sia la madre di prole, con lei convivente, totalmente invalida, che versa in condizioni di salute particolarmente gravi e che, per tale ragione, necessita di continue cure ed assistenza o il padre, qualora la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire alla prole le cure e l’assistenza di cui ha ininterrottamente bisogno», sia in contrasto, in primo luogo, con l’art. 2 Cost.;

che, al riguardo, il giudice a quo afferma che la disposizione censurata, nella parte in cui non disciplina siffatta situazione, contrasta con il predetto parametro costituzionale, a norma del quale «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità»;

che, a suo avviso, è innegabile che ad ogni uomo debba riconoscersi il diritto di curare ed assistere il proprio figlio gravemente ammalato, periodicamente sottoposto a terapie invasive e dolorose;

che tale diritto costituirebbe la proiezione naturale di ogni essere umano, cui non si potrebbe impedire di essere accanto al proprio figlio, per curarlo ed assisterlo, nel momento in cui questi è costretto ad affrontare prematuramente esperienze di grande sofferenza fisica e morale, e ciò varrebbe, soprattutto, quando l’altro genitore sia deceduto o assolutamente impossibilitato a fornire tale assistenza;

che, in particolare, il rimettente pone in evidenza come l’assetto legislativo che non consente ad un padre detenuto di sostituirsi, nell’espletamento di tale compito fondamentale, alla figura materna sia radicalmente contrario al precetto costituzionale sopra richiamato che garantisce i diritti inviolabili della persona umana;

che il giudice a quo ritiene, inoltre, che la disposizione censurata, si ponga in contrasto anche con l’art. 29 Cost. il quale, nel sancire che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», non può che prevedere e tutelare anche il naturale diritto-dovere dei genitori di provvedere personalmente alle esigenze di cura ed assistenza di figli gravemente ammalati;

che la norma suddetta sarebbe, altresì, in contrasto con l’art. 30, primo e secondo comma, Cost., che pone a carico dei genitori il diritto-dovere di mantenere i figli;

che, infatti, ad avviso del giudicante, tale espressione non potrebbe non comprendere anche le ipotesi in cui i genitori siano chiamati ad attendere, in prima persona, ad un infungibile compito di cura, tanto più efficace in quanto svolto con quella naturale carica di amore ed affetto che promana naturalmente dal vincolo della filiazione;

che, peraltro, ai sensi del secondo comma dell’art. 30 Cost., soltanto nei casi di incapacità di entrambi i genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti;

che, ancora, l’art. 275 cod. proc. pen., nella parte in cui non contempla la situazione in esame, neppure con riferimento ai figli di età infantile, non in possesso di quella maturità psichica che è necessaria per affrontare un doloroso percorso di cure, sarebbe in contrasto con le previsioni del secondo comma dell’art. 31 Cost., ai sensi del quale «la Repubblica protegge l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»;

che il contrasto della norma con tale parametro costituzionale consisterebbe nel fatto che la disposizione censurata, non prevedendo quanto indicato dal rimettente, lungi dal tutelare gli interessi del bambino impedirebbe a quest’ultimo di vivere la malattia con l’aiuto materiale ed affettivo dell’unico genitore in grado di prestarglielo, genitore che, come più volte detto, rappresenterebbe in particolari momenti una figura insostituibile, l’unica in grado di infondere la forza, l’equilibrio e la serenità che sono necessari per affrontare determinate terapie;

che, inoltre, il rimettente pone in evidenza come il legislatore, con la disposizione di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., abbia ritenuto doveroso assicurare una tutela rafforzata ai minori di età inferiore a tre anni (oggi a sei anni, a seguito della modifica dell’art. 275, comma 4, citato, introdotta con la legge 21 aprile 2011, n. 62, recante: «Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori»), i quali proprio perché non ancora dotati di adeguate facoltà intellettive e cognitive, necessitano di una più incisiva assistenza, che, dunque, nel caso di assoluta impossibilità del genitore non in vinculis, deve essere prestata dall’altro, anche se sottoposto a regime carcerario, sempre che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;

che, sotto tale profilo, il giudice a quo ritiene che la disposizione in esame sia in contrasto con l’art. 3 Cost., ed in particolare con «quel principio di ragionevolezza, che è insito nel principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.», dal momento che da un lato consente, in caso di insussistenza di eccezionali esigenze cautelari e se sussiste assoluto impedimento della madre, che il padre detenuto possa ottenere la graduazione della misura per assistere i figli di età inferiore ai tre anni, dall’altro, nella sussistenza dei medesimi presupposti, impedisce al genitore in vinculis di curare in regime di arresti domiciliari il proprio figlio gravemente ammalato, il quale necessita di una assistenza ancora più importante e fondamentale rispetto a quella che va assicurata a bambini che, pur essendo di età inferiore a tre anni, versano in normali condizioni di salute;

che l’attuale disciplina, inoltre, sarebbe lesiva del principio di uguaglianza sostanziale, in quanto porterebbe a trattare, irragionevolmente, in modo diverso, anche identiche situazioni, a seconda che le stesse riguardino o meno bambini di età inferiore a tre anni, atteso che solo nel primo caso si potrebbe in concreto applicare la previsione di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen.; in entrambi i casi le esigenze di cura ed assistenza sarebbero identiche, perché, essendo determinate non da un naturale stato di immaturità fisica, ma da un grave stato di salute, sarebbero indipendenti dall’età. Anzi, tali esigenze sarebbero ancora più evidenti nel caso di prole di età superiore ai tre anni, trattandosi in tale caso di bambini che, avendo già conseguito un sufficiente sviluppo delle proprie facoltà intellettive e volitive, sarebbero in grado di rendersi conto della dolorosa situazione in cui sono costretti a vivere e pur tuttavia non avrebbero ancora le risorse necessarie per fronteggiarla adeguatamente;

che, in punto di rilevanza, il rimettente rimarca come, secondo l’attuale disciplina legislativa, la possibilità di concedere gli arresti domiciliari all’imputato (sottoposto a regime detentivo per i delitti di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) per assolvere a compiti di cura ed assistenza dei figli, sia prevista solo se questi hanno età inferiore ai tre anni, norma non suscettibile di essere estesa, per il tramite di interpretazione analogica costituzionalmente orientata, a ipotesi diverse da quelle disciplinate;

che, al riguardo, il rimettente osserva che detta non estensibilità è stata più volte affermata dalla Suprema Corte, e richiama la sentenza del 14 febbraio 1996, n. 795, che ha ritenuto la legittimità del provvedimento con il quale era stata respinta la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, avanzata sul presupposto della necessità da parte dell’indagato di assistere il figlio portatore di handicap e perciò bisognevole di cure continue;

che, pertanto, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., non potrebbe che portare al rigetto della richiesta difensiva, in quanto la piccola C. ha sette anni e, quindi, il padre, secondo l’attuale formulazione della norma, non potrebbe ottenere la concessione del sollecitato regime degli arresti domiciliari, pur non apprezzandosi la sussistenza, nel caso di specie, di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e pur necessitando la bambina di eccezionali ed ininterrotte cure che la madre è assolutamente impossibilitata a fornire e che derivano da patologie gravi, invalidanti e dal decorso imprevedibile e potenzialmente infausto;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato in data 12 aprile 2011 ed ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata;

che, ad avviso della difesa dello Stato, in primo luogo andrebbe esclusa la possibilità di ravvisare una violazione del principio di ragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost., in quanto la ratio del divieto di disporre la custodia cautelare in carcere (salva la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza), quando imputata sia una donna incinta o madre con prole di età inferiore a tre anni (oggi a sei anni), con lei convivente, sarebbe quella di assicurare la presenza di almeno un genitore, «essendo essa sola idonea a garantire, preservare e salvaguardare l’integrità psico-fisica del bambino infratreenne in un momento particolarmente qualificante e significativo della sua vita»;

che, invece, qualora «sia imputata la madre di un figlio gravemente ammalato, convivente con la stessa, l’auspicata previsione della possibilità per la madre in vinculis di ottenere la misura degli arresti domiciliari non costituisce l’unico mezzo per soddisfare la diversa esigenza che siano assicurate la necessaria assistenza e cura al minore, maggiore di tre anni ma affetto da patologie invalidanti, che ben potrebbero essere apprestate da altri familiari, o da strutture assistenziali, non potendosi a priori ritenere il loro intervento infungibile rispetto alla presenza del genitore detenuto»;

che neppure sarebbe sostenibile che l’affidamento, a soggetti diversi dalla madre, dell’assistenza e cura di un minore affetto da patologia gravemente invalidante sia di per sé lesivo del diritto alla salute del disabile, rivelandosi per ciò stesso incompatibile con l’art. 3 Cost.;

che non risulterebbero violati i parametri di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost., ove si consideri che l’interesse da tutelare, non sacrificabile con il provvedimento restrittivo più rigoroso, non fa capo all’imputato, ma ai minori che si trovino in una particolare condizione.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 275 del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 2, 3, 29, primo comma, 30, primo e secondo comma, 31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede «il divieto di disporre e mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputata sia la madre di prole, con lei convivente, totalmente invalida, che versa in condizioni di salute particolarmente gravi e che, per tale ragione, necessita di continue cure ed assistenza o il padre, qualora la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire alla prole le cure e l’assistenza di cui ha ininterrottamente bisogno»;

che, in particolare, la norma censurata sarebbe in contrasto: a) con l’art. 2 Cost., perché non riconoscerebbe e garantirebbe il diritto di ogni uomo di curare ed assistere il proprio figlio gravemente ammalato, periodicamente sottoposto a terapie invasive e dolorose, diritto costituente «la proiezione naturale di ogni essere umano», soprattutto quando la madre sia deceduta o nell’assoluta impossibilità di fornire l’assistenza; b) con l’art. 3 Cost. e, in particolare, col principio di ragionevolezza, perché la norma, da un lato, consente (in caso d’insussistenza di eccezionali esigenze cautelari e in presenza di assoluto impedimento della madre) che il padre detenuto possa ottenere la graduazione della misura per assistere i figli di età inferiore ai tre anni, dall’altro, pur sussistendo i medesimi presupposti, impedisce al genitore in vinculis di curare in regime di arresti domiciliari il proprio figlio gravemente ammalato, richiedente un’assistenza ancora più importante di quella da assicurare a bambini i quali, pur essendo di età inferiore a tre anni, versano in normali condizioni di salute; c) ancora con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, in quanto la norma disciplina in modo diverso situazioni identiche, a seconda che riguardino o meno bambini di età inferiore a tre anni, perché soltanto nel primo caso si applica la previsione di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., ancorché in entrambi i casi le esigenze di cura e assistenza siano identiche, siccome determinate non da un naturale stato d’immaturità fisica bensì da un grave stato di salute, e perciò del tutto indipendenti dall’età; d) con l’art. 29, primo comma, Cost., perché la norma non tutela il naturale diritto-dovere dei genitori di provvedere personalmente alle esigenze di cura e assistenza di figli gravemente ammalati; e) con l’art. 30, primo e secondo comma, Cost., perché la norma non garantisce il diritto-dovere dei genitori di mantenere i figli (espressione, questa, che non può non comprendere anche le ipotesi in cui i genitori siano chiamati a svolgere un infungibile compito di cura); f) con l’art. 31, secondo comma, Cost., in quanto la norma impedisce al bambino di vivere la malattia con l’aiuto materiale ed affettivo dell’unico genitore in grado di prestarglielo, costituente «una figura insostituibile, l’unica in grado di infondere la forza, l’equilibrio e la serenità necessari»;

che la questione così sollevata è manifestamente inammissibile;

che, infatti, il rimettente ha omesso di descrivere in modo sufficiente la fattispecie al suo esame, in quanto, pur ponendo al centro della propria argomentazione circa l’asserita impossibilità della moglie del detenuto di prestare adeguata assistenza alla figlia minore ammalata, a causa dell’attività lavorativa svolta dalla donna, nulla riferisce circa la natura di tale attività, le caratteristiche della stessa, l’impegno temporale che essa richiede, così precludendo a questa Corte ogni valutazione sulla rilevanza della questione sollevata (ex plurimis: ordinanze nn. 154 e 146 del 2010, n. 211 del 2009);

che, inoltre, sotto altro profilo, il petitum formulato è oscuro, o comunque segnato dalla prospettazione di soluzioni alternative, perché, mentre nel dispositivo si fa riferimento alla prole convivente, senza alcuna indicazione di limiti di età, nella motivazione, da un lato, si pone l’accento sulla giovanissima età della piccola ammalata (sette anni) e si richiama l’esigenza di tutelare gli interessi del bambino, orientando così la questione con riguardo ai minori di età, dall’altro lato si sostiene che le esigenze di cura e di assistenza sarebbero «completamente indipendenti dall’età», in tal modo auspicando (a quanto è dato comprendere) una declaratoria di illegittimità costituzionale che, in presenza di figli portatori di handicap gravemente invalidanti, andrebbe adottata prescindendo dall’età dei medesimi.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 primo comma, 30, primo e secondo comma, 31, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI