Ordinanza 301/2011

Ordinanza 301/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore CRISCUOLO

Camera di Consiglio del 05/10/2011 Decisione del 09/11/2011
Deposito del 10/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 250 del codice civile.
Massime:
Atti decisi: ord. 407/2010


ORDINANZA N. 301

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile, promosso dalla Corte d’appello di Brescia, sezione per i minorenni, nel procedimento vertente tra R. M. e C. A. con ordinanza del 20 agosto 2010, iscritta al n. 407 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.



Ritenuto che la Corte di appello di Brescia, sezione per i minorenni, con ordinanza depositata il 20 agosto 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile;

che, come la Corte territoriale riferisce, il Tribunale per i minorenni di Brescia, con sentenza del 7 – 27 luglio 2009, ha autorizzato C. A. a riconoscere la figlia minore R. A. «anche nel dissenso della madre di questa, R. M.», sul rilievo che, a carico di C. A., non erano emersi elementi negativi tali da giustificare il rigetto della domanda, essendo egli «persona priva di connotazioni pregiudizievoli per la figlia A., con potenzialità genitoriali normali» e avendo frequentato la minore «sin dalla nascita insieme ai parenti del ramo paterno, sia pure con cadenza quindicinale»;

che – prosegue la Corte di merito – sebbene C. A. avesse in passato sofferto di problemi di tossicodipendenza, lo stesso aveva intrapreso presso varie comunità percorsi terapeutici idonei a garantirgli da anni il superamento del problema della droga e, sempre da anni, si faceva seguire con regolarità presso il “CPS” territoriale, in relazione ai suoi problemi di depressione e ansia, con raggiungimento di una situazione di compenso della sua situazione mentale;

che, ad avviso del giudice di primo grado, il positivo rapporto instauratosi tra la minore e il marito della madre di lei non poteva costituire un valido motivo per eliminare la figura del vero padre, la cui immagine, benché affievolita, ancora permaneva, tanto che la bambina chiamava “papà” entrambe le figure maschili, nonostante la recente interruzione dei rapporti con C. A. a seguito di dissapori insorti con i parenti paterni per la volontà, manifestata dal neo marito, di procedere alla adozione speciale di R. A. (il relativo procedimento era stato sospeso una volta accertata la proposizione del ricorso per riconoscimento del figlio naturale);

che – la Corte territoriale aggiunge – R. M. ha impugnato la sentenza, chiedendone la riforma e il rigetto della domanda;

che, in via istruttoria, ella ha chiesto l’ammissione di consulenza tecnica per verificare la effettiva capacità genitoriale di C. A. e una indagine psico-sociale e familiare relativamente allo stato di vita della minore, al fine di poter valutare il suo interesse al riconoscimento di paternità;

che l’appellante ha, tra l’altro, negato la sussistenza di un interesse della figlia ad essere riconosciuta da C. A., in quanto: a) quest’ultimo si era disinteressato della minore dalla sua nascita; b) lo stesso faceva ancora uso di sostanze stupefacenti, con conseguenti problemi di giustizia penale; c) le rare visite della minore erano avvenute su sollecitazione dei familiari di lui e sempre alla loro presenza; d) C. A., per la sua situazione psichiatrica, riceveva la pensione di invalidità; e) quando la madre aveva iniziato a frequentare il marito D. C., la minore aveva sei mesi e quest’ultimo era divenuto, nel tempo, il genitore di riferimento della figlia; f) il marito aveva nel 2007, immediatamente dopo le nozze, presentato istanza di adozione della minore presso il competente Tribunale di Brescia, avendo, già da tempo, ottenuto il parere favorevole degli operatori del Consultorio familiare; g) la figlia viveva inserita in uno stabile nucleo familiare ed il riconoscimento della paternità da parte di C. A., dopo ben otto anni dalla nascita, mirava solo ad impedirne la adozione da parte di D. C.;

che l’appellato ha resistito al gravame, del quale ha chiesto il rigetto, deducendo la sussistenza dei presupposti per autorizzare il riconoscimento;

che il procuratore generale ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione;

che la Corte di appello ha chiesto alle parti di valutare la necessità dell’intervento in causa di un curatore a tutela degli interessi della minore;

che, in questo quadro, la rimettente, richiamato il disposto dell’art. 250 cod. civ., espone che, per principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio instaurato, ai sensi del quarto comma della citata norma, il figlio naturale, non ancora sedicenne, non assume la qualità di parte, sicché la nomina di un curatore speciale non è necessaria;

che, tuttavia, ad avviso del giudice a quo, se non può essere messo in dubbio che il diritto al riconoscimento del figlio naturale già riconosciuto costituisca per l’altro genitore un diritto soggettivo garantito dall’art. 30 Cost., è del pari innegabile che anche al minore degli anni sedici sia necessario riconoscere piena tutela da attuarsi in concreto soltanto se l’interessato sia autonomamente rappresentato e difeso in giudizio;

che si tratta di una posizione giuridica garantita dai principi costituzionali di protezione dell’infanzia, nonché da quelli del giusto processo e del diritto di difesa (artt. 24, 30, terzo comma, 31 e 111 Cost.), e, altresì, affermata nella Convenzione sui diritti del fanciullo, stipulata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176) e nella Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (ratificata e resa esecutiva con legge 2 marzo 2003, n. 77);

che la Corte di appello richiama anche altre ipotesi normative nelle quali il legislatore riconosce, a garanzia del minore, specifiche forme di difesa in giudizio o prevede la nomina di particolari figure a sua tutela (artt. 264, 321, 334, 336 cod. civ.), e rileva che, nel caso di specie, pur in presenza del contrasto tra la madre del bambino e il presunto padre, non si è provveduto alla nomina di un curatore speciale a tutela del minore né ad assicurare al medesimo un’autonoma difesa processuale, in quanto non ritenuto “parte” nel processo;

che, pertanto, ritenuta la rilevanza della questione sulla base delle considerazioni svolte, la rimettente dubita della legittimità costituzionale del menzionato art. 250 cod. civ., in riferimento ai parametri sopra indicati, nella parte in cui non prevede, per il figlio di età inferiore a sedici anni, «adeguate forme di “tutela” dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti»;

che nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la manifesta inammissibilità e, nel merito, la manifesta infondatezza della questione sollevata.

Considerato che la Corte di appello di Brescia, sezione per i minorenni, dubita, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile nella parte in cui non prevede, per il figlio di età inferiore a sedici anni, «adeguate forme di “tutela” dei suoi preminenti personalissimi diritti, nella specie di autonoma rappresentazione e difesa in giudizio, diritti costituzionalmente garantiti»;

che la questione è manifestamente infondata;

che, infatti, identica questione è stata già dichiarata non fondata «nei sensi di cui in motivazione» da questa Corte con sentenza n. 83 del 2011;

che, nella pronunzia citata, sono state richiamate le disposizioni di carattere internazionale (artt. 1, 3, 4, 12 della Convezione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e artt. 1, 4, 9, della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, stipulata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 20 marzo 2003, n. 77) e di diritto interno (artt. 155-sexies, 244, quarto comma, 247, secondo comma, 264, secondo comma, 273, primo comma, 279, terzo comma, 284, primo comma, n. 4, 320 e 321, 360 cod. civ.) a tutela dei diritti del minore;

che questa Corte, nel menzionare, in particolare, l’art. 336 cod. civ., che disciplina la procedura per l’adozione dei provvedimenti in tema di potestà dei genitori e, nel quarto comma, prevede che i genitori stessi e i minori siano assistiti da un difensore, ha richiamato quanto già affermato nelle sentenze n. 179 del 2009 e n. 1 del 2002 , in base alle quali, dal coordinamento tra l’art. 12 della Convenzione di New York, e l’art. 336, quarto comma, cod. civ., si desume, nelle procedure disciplinate da tale norma, il carattere di parti non soltanto di entrambi i genitori, ma anche del minore, con la necessità del contraddittorio nei suoi confronti, previa nomina, se del caso, di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 del codice di procedura civile;

che, in particolare, nella sentenza n. 83 del 2011, questa Corte, dall’interpretazione sistematica e coordinata delle norme richiamate, ha tratto la conclusione che, «anche per la fattispecie prevista dall’art. 250, quarto comma, cod. civ., il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, possa procedere alla nomina di un curatore speciale, avvalendosi della disposizione dettata dal citato art. 78 cod. proc. civ., che, come risulta dall’elencazione effettuata dianzi (peraltro, meramente esemplificativa), non ha carattere eccezionale, ma costituisce piuttosto un istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare ogni qualvolta sia necessario nominare un rappresentante all’incapace»;

che il rimettente non adduce elementi nuovi per superare il convincimento qui richiamato, sicché va ribadita l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 250 cod. civ. alla luce delle sentenze citate e va dichiarata la manifesta infondatezza della questione sollevata con l’ordinanza di cui in epigrafe (ex plurimis: ordinanze n. 261 del 2010, n. 356 del 2003, n. 170 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 250 del codice civile, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 della Costituzione, dalla Corte di appello di Brescia, sezione per i minorenni, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI