Ordinanza 317/2011

Ordinanza 317/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore CASSESE

Camera di Consiglio del 19/10/2011 Decisione del 21/11/2011
Deposito del 23/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 28/10/2009.
Massime:
Atti decisi: confl. pot. mer. 2/2010


ORDINANZA N. 317

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 28 ottobre 2009 (Documento XVI, n. 1), con la quale si dichiara che i comportamenti ascritti al senatore A.M. (deputato e ministro all’epoca dei fatti) sono da ritenersi di carattere ministeriale e posti in essere per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo, promosso dal Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina, con ricorso notificato il 30 giugno 2010, depositato il 3 settembre 2010 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2010, fase di merito.

Visti l’atto di costituzione di Camera dei deputati, nonché l’atto di intervento del Senato della Repubblica;

udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese.



Ritenuto che il Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina, in composizione monocratica, con ordinanza del 18 dicembre 2009, depositata il 7 gennaio 2010, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione della Camera dei deputati del 28 ottobre 2009 (Documento XVI, n. 1), con la quale l’organo parlamentare ha ritenuto che i comportamenti ascritti al senatore A.M. (deputato e ministro all’epoca dei fatti), oggetto di procedimento penale pendente presso il Tribunale ricorrente, sono riferibili all’articolo 96 della Costituzione, negando conseguentemente l’autorizzazione a procedere all’autorità giudiziaria;

che, premette il ricorrente, con sentenza n. 241 del 2009, questa Corte ha statuito il dovere per l’autorità giudiziaria procedente di informare il Presidente della Camera dei deputati, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione), del provvedimento emesso in data 31 marzo-4 aprile 2005 dal Tribunale dei ministri di Firenze, con cui tale collegio, dopo aver escluso la natura ministeriale dei reati ascritti all’imputato, si limitava a disporre la trasmissione degli stessi all’autorità giudiziaria competente;

che, riferisce il ricorrente, la Camera dei deputati, avendo avuto notizia della pendenza del procedimento penale presso il Tribunale di Livorno, nella seduta del 28 ottobre 2009, ha approvato, con la maggioranza prevista dall’art. 9, comma 3, della legge cost. n. 1 del 1989, la proposta della Giunta per le autorizzazioni di deliberare che i comportamenti ascritti al senatore A.M., da ritenere di carattere ministeriale, sono stati posti in essere per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo, ai sensi del citato art. 9, comma 3, negando conseguentemente l’autorizzazione a procedere all’autorità giudiziaria;

che, ad avviso del ricorrente, il potere di negare l’autorizzazione a procedere, insindacabile ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge cost. n. 1 del 1989, è previsto, in base all’art. 96 Cost. e alla citata legge cost., soltanto in ipotesi di reato avente natura ministeriale, cioè commesso nell’esercizio delle funzioni ministeriali, mentre, nel caso in questione, il Tribunale dei ministri di Firenze, con provvedimento del 4 aprile 2005, le cui valutazioni sono state condivise dal Tribunale di Livorno nell’ordinanza del 4 novembre 2006, ha escluso che il reato contestato avesse natura ministeriale, ritenendo al contrario che si trattasse di reato comune;

che, in siffatta situazione, sostiene il ricorrente, la Camera dei deputati, a fronte della valutazione giudiziale da parte del Tribunale dei ministri e del Tribunale di Livorno in ordine alla natura non ministeriale del reato ascritto all’imputato, non avrebbe avuto il potere di negare la autorizzazione a procedere;

che, inoltre, osserva il Tribunale di Livorno, dalla citata sentenza n. 241 del 2009 sarebbe desumibile «chiaramente che alla Camera non spetta alcuna valutazione vincolante rispetto all’autorità giudiziaria in ordine alla natura ministeriale del reato contestato, ma soltanto che ad essa sia data la possibilità, qualora ritenga diversa la propria valutazione rispetto a quella operata dal giudice, di sollevare conflitto di attribuzione» dinanzi a questa Corte;

che, precisa il ricorrente, a fronte del diniego della autorizzazione a procedere da parte della Camera dei deputati, «pur potendosi opinare [...] che tale diniego non sia vincolante per la autorità giudiziaria procedente in considerazione della natura comune del reato contestato al Ministro A.M. e che pertanto, astrattamente, il Tribunale avrebbe potuto anche procedere senza tenerne conto, il principio della leale collaborazione tra gli organi dello Stato rende opportuno che sia lo stesso Tribunale a sollevare conflitto di attribuzioni tra l’autorità giudiziaria e la Camera dei deputati»;

che, pertanto, il Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina, chiede a questa Corte di statuire «se, ai fini dell’esercizio della prerogativa di cui all’articolo 96 Cost., spetti alla Camera di appartenenza o alla autorità giudiziaria la valutazione in ordine alla natura ministeriale o meno del reato contestato»;

che il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 211 del 7-11 giugno 2010, con la quale è stata disposta, a cura del ricorrente, la notifica alla Camera dei deputati, nonché al Senato della Repubblica, dell’atto introduttivo del giudizio e dell’ordinanza stessa entro il termine di sessanta giorni dalla relativa comunicazione e il successivo loro deposito nella cancelleria di questa Corte, con la prova dell’avvenuta notifica, entro il termine di trenta giorni dall’ultima notificazione, secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

che il ricorso, unitamente alla suddetta ordinanza, è stato notificato dal ricorrente il 24 giugno 2010 alla Camera dei deputati e il 30 giugno 2010 al Senato della Repubblica, ed è stato depositato presso questa Corte, con plico spedito il 2 settembre 2010, il successivo 3 settembre 2010;

che, in data 2 agosto 2010, si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica, chiedendo che la Corte dichiari il conflitto improcedibile, inammissibile, irricevibile e improponibile e, in subordine, non fondato;

che, ad avviso del Senato della Repubblica, il conflitto sarebbe inammissibile, atteso che il Tribunale di Livorno non argomenterebbe in alcun modo circa la spettanza all’autorità giudiziaria del potere di qualificare un determinato comportamento come reato ministeriale, limitandosi a richiamare la sentenza n. 241 del 2009; che vi sarebbe incertezza assoluta su quale sia il vulnus lamentato dal ricorrente; che il Tribunale di Livorno non chiederebbe l’annullamento dell’atto impugnato e non manifesterebbe minimamente la volontà di proporre un conflitto di attribuzione dalla cui decisione possa risultare la restaurazione di sue ipoteticamente violate prerogative costituzionali; che, infine, il ricorso «tace del tutto sul contesto fattuale» nel quale il conflitto si inserisce;

che, nel merito, il Senato della Repubblica chiede il rigetto del ricorso, in quanto la Camera competente sarebbe «senz’altro titolare del potere di qualificare come ministeriale un determinato reato, adottando una deliberazione vincolante e insindacabile dall’Autorità giudiziaria, che (negli stretti limiti desumibili dall’art. 9 della legge cost. n. 1 del 1989) può contrapporsi ad essa solo promuovendo conflitto di attribuzione»;

che, in data 3 agosto 2010, si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, rilevando la inammissibilità del conflitto e chiedendo, in subordine e nel merito, il rigetto del ricorso;

che, secondo la Camera dei deputati, l’inammissibilità del conflitto deriverebbe, in primo luogo, dalla carenza del petitum, posto che «nell’atto di elevazione del conflitto risulta omessa sia la espressa richiesta di dichiarazione di non spettanza alla Camera della attribuzione esercitata nella specie, sia una formale domanda di annullamento dell’atto impugnato e asseritamente lesivo»; in secondo luogo, dalla mancata indicazione delle specifiche disposizioni costituzionali che si pretenderebbero violate dalla delibera camerale; in terzo luogo, dalla circostanza che il ricorso sarebbe in buona sostanza preordinato a proporre nuovamente alla Corte un thema decidendum già deciso con la sentenza n. 241 del 2009; in quarto luogo, dal fatto che il ricorso sarebbe diretto a dolersi del diniego della autorizzazione a procedere, atto insindacabile ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge cost. n. 1 del 1989;

che, nel merito, la Camera dei deputati sostiene la non fondatezza del ricorso, in quanto l’organo parlamentare avrebbe legittimamente attivato autonomamente la procedura autorizzatoria prevista dall’art. 9 della legge cost. n. 1 del 1989;

che, in data 27 settembre 2011, il Senato della Repubblica ha presentato una memoria, rilevando la manifesta improcedibilità del conflitto in quanto il ricorso risulterebbe depositato presso questa Corte oltre il termine di trenta giorni dall’ultima notificazione, come previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative dei giudizi davanti alla Corte costituzionale;

che, nella medesima data, anche la Camera dei deputati ha presentato una memoria in cui si chiede che la Corte dichiari il conflitto improcedibile, in quanto il ricorso sarebbe stato depositato oltre il termine previsto.

Considerato che il Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina, in composizione monocratica, con ordinanza del 18 dicembre 2009, depositata il 7 gennaio 2010, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione alla deliberazione della Camera dei deputati del 28 ottobre 2009 (Documento XVI, n. 1), con la quale l’organo parlamentare ha ritenuto che i comportamenti ascritti al senatore A.M. (deputato e ministro all’epoca dei fatti), oggetto di procedimento penale pendente presso il Tribunale ricorrente, sono riferibili all’art. 96 della Costituzione, negando conseguentemente l’autorizzazione a procedere all’autorità giudiziaria;

che il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati, nelle rispettive memorie, hanno eccepito l’improcedibilità del conflitto per l’inosservanza, da parte del giudice ricorrente, del termine perentorio di trenta giorni dall’ultima notificazione fissato, dall’ordinanza n. 211 del 2010 che ha ammesso il conflitto, per il deposito – presso la cancelleria di questa Corte – del ricorso e dell’ordinanza, con la prova della loro notificazione;

che l’eccezione è fondata;

che l’art. 24 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prevede che il ricorso dichiarato ammissibile, con la prova delle notificazioni eseguite a norma dell’art. 37, comma quarto, della legge 11 marzo 1953, n. 87 «è depositato nella cancelleria della Corte entro il termine perentorio di trenta giorni dall’ultima notificazione»;

che, poiché tale deposito degli atti deve avvenire – ai sensi dello stesso art. 24, comma 3, delle norme integrative – «con la prova delle notificazioni», il dies a quo della decorrenza del termine va ragionevolmente individuato nel momento in cui il ricorrente, se diligentemente attivatosi, ha avuto la disponibilità della prova delle notificazioni;

che, nella specie, il Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina, ha tempestivamente notificato il ricorso, unitamente all’ordinanza n. 211 del 7 giugno 2010 che ha dichiarato l’ammissibilità del presente conflitto, alla Camera dei deputati il 24 giugno 2010 e al Senato della Repubblica il 30 giugno 2010 (entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, quindi, fissato nell’ordinanza stessa), ricevendo in restituzione le relate di notificazione dall’Ufficio notifiche esecuzioni e protesti (UNEP) della Corte di appello di Roma con atto pervenuto in data 16 agosto 2010 − come da timbro apposto su di esso − alla cancelleria del suddetto Tribunale;

che il Tribunale ricorrente, con plico postale spedito il 2 settembre 2010 e pervenuto alla cancelleria di questa Corte il 3 settembre successivo, ha depositato gli atti notificati, con la prova delle loro notificazioni;

che, mentre il ricorso e l’ordinanza risultano tempestivamente notificati il 24 giugno e il 30 giugno 2010, il loro deposito presso la cancelleria di questa Corte, con la prova delle notificazioni, è stato effettuato il 3 settembre 2010, oltre la scadenza del termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

che, in proposito, non esclude la tardività del deposito la circostanza che le relate delle notificazioni alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica siano pervenute al Tribunale ricorrente solo il 16 agosto 2010, quando il citato termine per il deposito degli atti notificati era già decorso;

che, infatti, nel caso di specie, la notificazione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica è stata effettuata dall’ufficiale giudiziario non già a mezzo posta, ma a mani proprie, con la conseguenza che è posto a carico del notificante un particolare onere di diligenza (ordinanze n. 41 del 2010 e n. 188 del 2009);

che, con riguardo a tale ultima modalità di notificazione, questa Corte ha già affermato che l’ufficiale giudiziario – pur se tenuto ad eseguire la notificazione senza indugio e comunque entro il termine prefissato dall’autorità per gli atti da essa richiesti (art. 108, comma secondo, del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229) – non ha «l’obbligo di restituire gli atti al richiedente nel domicilio o nella sede di questo» (sentenza n. 247 del 2004) e che «il notificante [...] deve diligentemente attivarsi, facendo in modo – per quanto egli può controllare – che il procedimento di notificazione si concluda, con il ritorno degli atti nella sua disponibilità, nel tempo utile per il rituale proseguimento del processo» (sentenza n. 247 del 2004, già citata; ordinanza n. 278 del 2004);

che, in ragione del mancato rispetto del termine perentorio per il deposito degli atti notificati presso la cancelleria di questa Corte, non può procedersi allo svolgimento della fase di merito del giudizio sul conflitto di attribuzione (ex plurimis, ordinanze n. 41 del 2010 e nn. 188 e 52 del 2009).



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Cecina.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI