Ordinanza 287/2011

Ordinanza 287/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore LATTANZI

Camera di Consiglio del 21/09/2011 Decisione del 18/10/2011
Deposito del 04/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 314, c. 2°, del codice penale.
Massime:
Atti decisi: ord. 35/2011


ORDINANZA N. 287

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 314, secondo comma, del codice penale, promosso dal Tribunale di Nola nel procedimento penale a carico di B. C. con ordinanza del 4 novembre 2010, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.



Ritenuto che, con ordinanza emessa il 4 novembre 2010 (r.o. n. 35 del 2011), il Tribunale di Nola ha sollevato, in riferimento all’art. 27, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 314, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non estende la disciplina del peculato d’uso alle ipotesi in cui la mancata restituzione della cosa, oggetto di appropriazione, sia dovuta solo a caso fortuito o forza maggiore, sottoponendola così al più grave regime del peculato;

che il giudice a quo procede nei confronti di persona imputata del reato di cui all’art. 314 cod. pen., perché – nominata custode di un veicolo di proprietà altrui sottoposto a sequestro amministrativo – era stata sorpresa a circolarvi;

che i carabinieri avevano proceduto a un nuovo sequestro dell’auto, dandone notizia all’Autorità giudiziaria;

che, ad avviso del rimettente, nell’ipotesi di utilizzazione, attraverso la messa in circolazione non autorizzata, del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo la condotta contestata all’imputato non sarebbe sussumibile nella fattispecie delittuosa dell’art. 334 cod. pen., ma dovrebbe essere invece «correttamente ravvisato il reato di peculato (…)», perché l’imputato, facendo uso dell’autovettura a lui «affidata solo per ragioni di ufficio», «operava una abusiva interversione del titolo pubblicistico del possesso e si comportava uti dominus contravvenendo alle ragioni che giustificavano la sua disponibilità della res»;

che, essendo nel caso di specie configurabile un peculato, non sarebbe pertanto rilevante la questione, oggetto di un contrasto giurisprudenziale, sull’esistenza o meno di un rapporto di specialità tra l’art. 334 cod. pen. (reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro) e l’art. 213 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che sanziona come illecito amministrativo la condotta di colui che circola abusivamente con l’autovettura sottoposta a sequestro amministrativo;

che il reato contestato (peculato ex art. 314, primo comma, cod. pen.) doveva però essere derubricato in peculato d’uso ex art. 314, secondo comma, cod. pen., perché «nei casi in cui un custode venga sorpreso sulla pubblica via alla guida di un’auto sequestrata ex art. 213 C.d.S. e rimessa alla sua vigilanza, [dovrebbe] assumersi sussistente non tanto una appropriazione definitiva della res volta a violare definitivamente il vincolo di indisponibilità che il pubblico ufficiale doveva (far) rispettare, quanto il mero uso momentaneo della cosa da parte di un agente che, solo per la durata della fruizione, ha operato una (provvisoria) distrazione della stessa dalle finalità conservative che gli erano state affidate»;

che infatti, mancando la prova dell’intendimento del pubblico ufficiale di acquisire definitivamente la cosa sottoposta alla sua custodia, «per il generale principio del favor rei immanente nel nostro ordinamento, deve ritenersi che l’agente (…) abbia posto in essere solo un utilizzo momentaneo della stessa destinato a terminare, con restituzione immediata, non appena concluse le ragioni cronologicamente ridotte dell’indebita distrazione»;

che tuttavia, nel caso di specie, «la restituzione del mezzo al suo originario vincolo di indisponibilità non aveva luogo», a causa di «una situazione sopravvenuta (nuovo sequestro amministrativo) che, configurandosi in termini di forza maggiore (factum principis), impediva radicalmente all’agente di far luogo ad una libera restituzione, in tal modo imponendo l’applicazione del delitto di cui all’art. 314, primo comma, cod. pen. nonostante che l’elemento psicologico del reato deponesse in senso diverso»;

che, pertanto, si sarebbe dovuta irrogare la sanzione prevista per il reato di peculato, difettando gli elementi specializzanti della meno grave ipotesi di peculato d’uso (uso momentaneo della cosa seguito dalla sua immediata restituzione);

che, con la sentenza n. 1085 del 1988, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 626, primo comma, numero 1), cod. pen., nella parte in cui non estende la disciplina da esso prevista alla mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a caso fortuito o forza maggiore, per violazione dell’art. 27, primo comma, Cost., in quanto la norma costituzionale richiede non solo che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente e siano quindi investiti dal dolo o dalla colpa, ma anche che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso rimproverabili;

che, ad avviso del giudice a quo, il peculato d’uso è una figura di reato dalla struttura analoga a quella del furto d’uso, in cui «l’immediata restituzione della cosa oggetto di delitto integra una fattispecie criminosa meno grave (rispetto alla fattispecie base, peculato ordinario o furto semplice) meritevole di una risposta sanzionatoria più tenue»;

che, conclude il rimettente, l’art. 314, secondo comma, cod. pen. appare incostituzionale, per violazione dell’art. 27, primo comma, Cost., esattamente come l’art. 626, primo comma, numero 1), cod. pen., nella parte in cui non estende la disciplina del peculato d’uso alle ipotesi in cui la mancata restituzione della cosa oggetto di appropriazione sia dovuta solo a caso fortuito o a forza maggiore, sottoponendola così al più grave regime dell’art. 314, primo comma, cod. pen.;

che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità, con atto depositato il 22 marzo 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza;

che, secondo la difesa dello Stato, l’irrilevanza della questione discenderebbe dal rilievo che la censura di costituzionalità investirebbe una norma incriminatrice diversa da quella applicabile nel giudizio a quo;

che, infatti, la fattispecie sottoposta all’esame del giudice rimettente dovrebbe essere riqualificata, alla luce della sopravvenuta pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione del 28 ottobre 2010 - 21 gennaio 2011, n. 1963, quale illecito amministrativo ai sensi dell’art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992;

che, con una successiva memoria depositata il 30 agosto 2011, l’Avvocatura generale dello Stato ha dedotto un’ulteriore ragione di inammissibilità della questione, perché il giudice a quo avrebbe omesso di accertare il carattere occasionale ed episodico dell’uso della res e l’intenzione dell’imputato di restituirla subito dopo.

Considerato che il Tribunale di Nola dubita, in riferimento all’art. 27, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 314, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non estende la disciplina del peculato d’uso alle ipotesi in cui la mancata restituzione della cosa, oggetto di appropriazione, sia dovuta solo a caso fortuito o forza maggiore, sottoponendola così al più grave regime del peculato;

che va preliminarmente accolta l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza formulata dall’Avvocatura dello Stato;

che la giurisprudenza di legittimità si è posta il problema di stabilire se, nel caso di fatto commesso dal custode in favore del proprietario dell’autovettura sottoposta a sequestro amministrativo o dal custode che ne sia anche proprietario, la condotta di colui che circola abusivamente con la stessa sia riconducibile alla sola norma sanzionatoria amministrativa dell’art. 213 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), ovvero integri anche la fattispecie delittuosa prevista dall’art. 334 cod. pen.;

che una parte della giurisprudenza ha escluso la configurabilità del delitto di cui all’art. 334 cod. pen., ritenendo sussistente un rapporto di specialità tra la fattispecie incriminatrice e quella sanzionata amministrativamente, con la conseguenza che la condotta di colui che circola abusivamente con l’autovettura sottoposta a sequestro dovrebbe rientrare esclusivamente nel campo di applicazione della disposizione speciale, costituita appunto dall’art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992;

che secondo un altro orientamento invece l’introduzione, da parte del codice della strada, di una fattispecie ad hoc non ha influito sull’ambito di operatività della norma incriminatrice dell’art. 334 cod. pen., la quale continuerebbe a trovare applicazione, eventualmente in concorso con l’illecito amministrativo, non sussistendo tra le due disposizioni un rapporto di specialità;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, le sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza del 28 ottobre 2010 - 21 gennaio 2011, n. 1963) hanno composto il contrasto giurisprudenziale, escludendo che, nella condotta di colui che circola abusivamente con l’autovettura sottoposta a sequestro amministrativo, sia configurabile, oltre alla violazione amministrativa prevista dal quarto comma dell’art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992, anche il reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro;

che, in particolare, dopo aver ricordato che il concorso tra fattispecie penali e violazioni amministrative è disciplinato dal principio di specialità, ai sensi dell’art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), la Suprema Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, sia configurabile solamente l’illecito amministrativo previsto dal codice della strada, che costituisce fattispecie speciale rispetto alla fattispecie delittuosa prevista dal codice penale;

che, infatti, l’art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992 delinea un illecito qualificato da elementi specializzanti rispetto al reato di cui all’art. 334 cod. pen.: la circolazione abusiva e la natura amministrativa del sequestro;

che, secondo i giudici di legittimità, anche la circostanza che l’illecito amministrativo possa essere commesso da “chiunque”, e non solamente dal proprietario o dal custode del veicolo, rappresenta un ulteriore elemento specializzante per aggiunta, rispetto alla fattispecie delittuosa;

che il giudice a quo – rilevato che il pubblico ministero ha contestato all’imputato, in qualità di custode non proprietario del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, il reato di peculato – ha escluso che la condotta ad esso addebitata sia sussumibile nella fattispecie delittuosa prevista dall’art. 334 cod. pen., avendo questi agito a fini personali e non già per favorire il proprietario della cosa, e ha ritenuto inconferente la giurisprudenza che ravvisa un rapporto di specialità tra illecito amministrativo ex art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992 e illecito penale ex art. 334 cod. pen., perché nel caso di specie non è configurabile il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro, ma quello di peculato;

che tuttavia il giudice a quo avrebbe dovuto verificare se anche rispetto al peculato l’illecito amministrativo previsto dall’art. 213 del d.lgs. n. 285 del 1992 possa essere considerato speciale, con la conseguenza che solamente questa disposizione dovrebbe trovare applicazione nel caso concreto;

che la mancata verifica preliminare – da parte del giudice a quo, nell’esercizio del potere ermeneutico riconosciutogli dalla legge – della praticabilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base del dubbio di costituzionalità prospettato, e tale da renderlo irrilevante nella specie, comporta – in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte – l’inammissibilità della questione sollevata (ex plurimis, sentenza n. 192 del 2007; ordinanze n. 110 del 2010, n. 338 e n. 171 del 2009, n. 32 del 2007 e n. 34 del 2006);

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 314, secondo comma, del codice penale, in riferimento all’art. 27, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Nola, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI