Ordinanza 270/2011

Ordinanza 270/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore CRISCUOLO

Camera di Consiglio del 21/09/2011 Decisione del 05/10/2011
Deposito del 12/10/2011 Pubblicazione in G. U. 19/10/2011
Norme impugnate: Art. 530 del codice di procedura penale.
Massime:
Atti decisi: ord. 41/2011


ORDINANZA N. 270

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 530 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di S. F. ed altro, con ordinanza del 13 gennaio 2010 iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.



Ritenuto che il Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, con ordinanza depositata il 13 gennaio 2010, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 530 del codice di procedura penale, nella parte in cui non contempla una disposizione affine, o una clausola identica, a quella prevista dall’art. 166, secondo comma, del codice penale;

che il rimettente riferisce di essere chiamato a valutare la proposta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri, nei confronti, tra gli altri, di S. F. e T. V., per l’applicazione, ai sensi degli artt. 2 e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere) della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, nonché per l’applicazione delle misure del sequestro e della confisca dei beni e di irrogazione dei provvedimenti di cui all’art. 10 della legge citata;

che il giudice a quo richiama il costante orientamento della Corte di cassazione secondo cui, nel giudizio di prevenzione, vige la regola della piena utilizzazione di qualsiasi elemento indiziario desumibile da procedimenti penali in corso, anche definiti con sentenza irrevocabile di assoluzione, purché certo ed idoneo per il suo valore sintomatico a giustificare il convincimento del giudice in ordine alla pericolosità sociale del proposto;

che, come riferisce il Tribunale, i fatti posti a fondamento della procedura di prevenzione, sono in larga parte coincidenti con quelli valutati e decisi dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria con sentenza, emessa a seguito di giudizio abbreviato;

che il giudice a quo pone in evidenza come molte delle persone nei cui confronti è stata azionata la procedura di prevenzione siano state, al tempo stesso, imputate nel precedente giudizio abbreviato all’esito del quale i predetti T. V. e S. F. sono stati assolti;

che, in particolare, T. V., nei cui confronti è stata esercitata l’azione penale per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., è stata assolta, previa riqualificazione dell’originaria imputazione nel delitto di cui all’art. 418 cod. pen., per essere il fatto non punibile ai sensi del terzo comma del medesimo articolo, mentre S. F., imputato del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., è stato assolto per non avere commesso il fatto;

che, dunque, i detti soggetti si trovano in una posizione più favorevole di quelli che, rispondendo nello stesso giudizio di accuse fondate sugli stessi fatti utilizzati nella procedura di prevenzione, sono stati condannati con pena sospesa: assolti i primi e condannati i secondi;

che, però, osserva il Collegio rimettente, a questi ultimi, in virtù dell’art. 166, secondo comma, cod. pen., «non può essere applicata alcuna misura di prevenzione, mentre i primi possono subire, ed in effetti lo subiscono, il giudizio di prevenzione ed, eventualmente, anche la misura»;

che, dunque, ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., perché disciplina in modo differente, senza alcuna giustificazione, posizioni uguali quanto agli effetti giuridici: i condannati a pena sospesa e gli assolti;

che, inoltre, il rimettente osserva come la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena si fondi sulla presunzione dell’assenza di pericolosità sociale attuale, sicché, a maggior ragione, questa prognosi si imporrebbe per persone la cui colpevolezza sia stata esclusa;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma da cui deriva l’aporia del sistema è l’art. 530 cod. proc. pen., trattandosi della disposizione che elenca i casi in cui il giudice pronunzia sentenza di assoluzione;

che, infine, in punto di rilevanza, il rimettente ritiene che la «norma di cui si sospetta l’illegittimità, ove avesse contenuto la disposizione aggiuntiva invocata, sarebbe stata certamente rilevante ed applicata in questo giudizio avendo effetti diretti sulla posizione dei proposti T. V. e F. S.»;

che nel giudizio di legittimità costituzionale, con atto depositato il 29 marzo 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, ad avviso della difesa dello Stato, la questione deve essere dichiarata inammissibile in quanto il rimettente non ha adeguatamente motivato sulla rilevanza della stessa, non avendo chiarito se, sulla scorta delle risultanze a carico dei soggetti interessati, ritiene di applicare la misura di prevenzione;

che, comunque, l’Avvocatura reputa la questione non fondata, non rispondendo al vero che la disposizione di cui all’art. 166, secondo comma, cod. pen. non consenta l’applicazione di misure di prevenzione.

Considerato che il Tribunale di Reggio Calabria, sezione misure di prevenzione, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 530 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede una disposizione affine, o una clausola identica, a quella prevista dall’art. 166, secondo comma, del codice penale;

che il rimettente riferisce di dover decidere sulla proposta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri, formulata ai sensi degli artt. 2 e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), per l’applicazione nei confronti, tra gli altri, di S. F. e T. V., della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, nonché per l’applicazione della misura del sequestro e della confisca dei beni e di irrogazione dei provvedimenti di cui all’art. 10 della legge citata;

che il rimettente pone in evidenza come i fatti posti a fondamento della procedura di prevenzione siano in larga parte coincidenti con quelli oggetto del procedimento penale conclusosi con sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato;

che il giudice a quo, inoltre, riferisce che molte delle persone nei cui confronti è stata avviata la procedura di prevenzione sono state imputate nel menzionato giudizio, all’esito del quale i predetti T. V. e S. F. sono stati assolti;

che, dunque, i detti soggetti si trovano in una posizione più favorevole di quelli che, rispondendo nel medesimo giudizio di accuse fondate sugli stessi fatti utilizzati nella procedura di prevenzione, sono stati condannati con pena sospesa;

che, secondo il rimettente, a questi ultimi, in virtù dell’articolo 166, secondo comma, cod. pen., «non può essere applicata alcuna misura di prevenzione, mentre i primi possono subire, ed in effetti lo subiscono, il giudizio di prevenzione ed, eventualmente, anche la misura»;

che, dunque, ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto disciplina in modo differente, senza alcuna giustificazione, posizioni uguali quanto agli effetti giuridici: i condannati a pena sospesa e gli assolti;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma da cui deriva l’aporia del sistema è l’art. 530 cod. proc. pen., che indica i casi in cui il giudice pronuncia sentenza di assoluzione;

che, in punto di rilevanza, il rimettente ritiene che «la norma di cui si sospetta l’illegittimità, ove avesse contenuto la disposizione aggiuntiva invocata, sarebbe stata certamente rilevante ed applicata in questo giudizio avendo effetti diretti sulla posizione dei proposti T. V. e F. S.»;

che la questione è manifestamente infondata;

che – a prescindere dall’omessa formulazione di un petitum specifico e dall’erronea valutazione sulla rilevanza, formulata con riguardo ad una norma ipotetica («la norma di cui si sospetta l’illegittimità, ove avesse contenuto la disposizione aggiuntiva invocata, sarebbe stata certamente rilevante ed applicata in questo giudizio») – il rimettente prende le mosse da un presupposto interpretativo erroneo;

che, infatti, non è esatto l’assunto secondo cui coloro che sono stati condannati con pena sospesa non possono subire alcuna misura di prevenzione, atteso che l’art. 166, secondo comma, cod. pen. si limita a disporre che la condanna a pena sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione, non escludendo affatto che le risultanze del processo penale, conclusosi con sentenza di condanna con pena sospesa, possano essere valutate ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione, unitamente ad altri elementi desumibili aliunde;

che, inoltre, l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il ricorrente va ribadita in considerazione della profonda differenza sussistente tra il procedimento penale e quello di prevenzione;

che, al riguardo, questa Corte, nella sentenza n. 275 del 1996, ha già affermato che «devono essere sottolineate le profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione: la prima ricollegata a un determinato fatto-reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell’esercizio dell’azione penale; la seconda riferita a una complessiva notazione di pericolosità, espressa mediante condotte che non necessariamente costituiscono reato»;

che il giudice a quo, impropriamente, afferma che poiché «la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena si fonda sulla presunzione dell’assenza di pericolosità sociale attuale, a maggior ragione, questa prognosi si imporrebbe per persone la cui colpevolezza sia stata esclusa»;

che, infatti, il rimettente trascura di considerare che il giudice, con la sentenza di assoluzione, non opera alcun giudizio di pericolosità dell’imputato, ad eccezione dei casi previsti dalla legge in cui applica la misura di sicurezza (art. 530, comma 4, cod. proc. pen.).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 530 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 5 ottobre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI