Sentenza 271/2011

Sentenza 271/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore CRISCUOLO

Udienza Pubblica del 20/09/2011 Decisione del 17/10/2011
Deposito del 21/10/2011 Pubblicazione in G. U. 26/10/2011
Norme impugnate: Art. 44, c. 2°, della legge della Regione Calabria 13/06/2008, n. 15.
Massime:
Atti decisi: ord. 408/2010


SENTENZA N. 271

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), promosso dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento vertente tra B. G. e la Regione Calabria con ordinanza del 14 maggio 2010, iscritta al n. 408 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di costituzione di B. G.;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

udito l’avvocato Rosario Chiriano per B. G.



Ritenuto in fatto

1. — Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di lavoro e previdenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8).

1.1. — Il rimettente premette che nel giudizio principale, con ricorso depositato in data 19 maggio 2009, la ricorrente, già dipendente della Regione Calabria presso l’Assessorato ai Lavori Pubblici, ha dedotto che aveva presentato domanda per la risoluzione consensuale del rapporto, ai sensi della legge di detta Regione 2 marzo 2005, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8/2002); che tale normativa era finalizzata a realizzare il contenimento della spesa pubblica e ad accelerare il processo di riorganizzazione della amministrazione, consentendo ai dipendenti, titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato protratto per almeno due anni, di usufruire, quale incentivo alla risoluzione consensuale, di «un’indennità supplementare pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data della predetta risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l’età anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni» (art. 7 della citata legge regionale); che, in data 26 ottobre 2005, era stato sottoscritto il contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro tra le parti, nel quale, tra gli emolumenti da corrispondere alla ricorrente, era stata ricompresa l’indennità supplementare di cui al citato art. 7, da calcolare secondo la predetta disposizione legislativa e le modalità applicative di cui all’art. 11 della delibera della Giunta regionale 30 maggio 2005, n. 532, in base al quale l’indennità in questione «si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali (...)»; che la Regione Calabria aveva omesso di computare il rateo di tredicesima mensilità quale componente della retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione e quindi come base di calcolo dell’indennità supplementare in questione; che, successivamente, l’art. 44, comma 2, della legge regionale n. 15 del 2008 ha disposto che «l’art. 7, comma 6, della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8, deve essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione dell’indennità supplementare prevista dalla medesima legge, è quella individuata, per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria del servizio, all’art. 52, lettera c) del CCNL 1999 e successive modifiche, con esclusione nella determinazione della citata indennità del rateo di tredicesima mensilità (…)»; che, in applicazione di tale ultima disposizione, la Regione ha negato alla ricorrente le spettanze richieste; che, ad avviso della stessa ricorrente, alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di norme di interpretazione autentica, la disposizione di cui al citato art. 44 della legge regionale n. 15 del 2008 è da ritenere costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 111 Cost., nonché dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU); che, in particolare, la disposizione si pone in contrasto con i principi di ragionevolezza, certezza del diritto, affidamento, nonché equo processo e parità delle parti di cui alla detta Convenzione; che la ricorrente ha chiesto, nel merito, la condanna dell’Amministrazione al pagamento della differenza tra quanto riscosso a titolo di indennità supplementare e quanto spettante in virtù dell’inclusione del rateo di tredicesima mensilità nella base di calcolo della stessa.

Con memoria depositata in data 30 marzo 2010, si è costituita nel giudizio a quo la Regione rilevando la infondatezza della pretesa della ricorrente alla luce della nuova normativa regionale, non suscettibile di essere sospettata di illegittimità costituzionale, ben potendo il legislatore attribuire efficacia retroattiva ad una disposizione di legge, per non essere l’irretroattività oggetto di copertura costituzionale, se non in materia penale.

1.2. ― Il rimettente ritiene la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, della legge della Regione Calabria n. 15 del 2008 non manifestamente infondata in riferimento all’art. 3 Cost., con particolare riguardo ai principi di ragionevolezza e certezza delle situazioni giuridiche, nonché di tutela del legittimo affidamento.

In merito, il giudice a quo precisa che la ricorrente ha formulato proposta di risoluzione consensuale del rapporto lavorativo alla luce del richiamato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 e dei relativi criteri applicativi di cui alla delibera della Giunta regionale 30 maggio 2005, n. 532.

La citata delibera dispone che «l’indennità prevista dalla l.r. in questione rappresenta un incentivo all’esodo ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennità di fine rapporto normalmente spettante al pubblico dipendente (…) e si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosità delle mansioni richieste (es. indennità di struttura)»; che, in particolare, il punto 5) del contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro rinvia in modo espresso alle modalità applicative di cui alla detta delibera della Giunta regionale; che, con la disposizione censurata, la Regione Calabria è intervenuta rideterminando le modalità di calcolo dell’indennità supplementare, escludendo dalla base di calcolo della stessa la tredicesima mensilità.

Pertanto, ad avviso del rimettente, nel quadro normativo e regolamentare previgente, la disposizione di cui al citato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005 sarebbe stata chiara nel senso del calcolo della indennità in questione in riferimento alla retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione, per tale intendendosi quella formata da tutti quegli emolumenti aventi carattere di continuità e generalità, incluso, quindi, anche il rateo della tredicesima mensilità.

In particolare, il giudice a quo ricorda che la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative, quando sussista una situazione di incertezza nella applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali e quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (ex plurimis: sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994; ordinanza n. 480 del 1992).

Inoltre, la Corte costituzionale ha affermato che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo e sia perciò retroattiva, ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se la retroattività della legge, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo che in materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (da ultimo, sentenza n. 234 del 2007).

In particolare, la Corte ha individuato una serie di limiti alla efficacia retroattiva di una data disposizione di legge, tra i quali i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico nonché di rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ex plurimis: le citate sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994).

Nel caso di specie, il rimettente dubita che la lettura del citato art. 7, fornita dal successivo art. 44 censurato, possa ritenersi ricompresa in una delle possibili letture della disposizione originaria. Sul punto, osserva che l’art. 7 contiene un rinvio alla definizione contrattuale di «retribuzione lorda», per tale dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 10 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il biennio 2004-2005 (che sostituisce integralmente l’art. 52 del precedente contratto dell’anno 2000), la «retribuzione globale di fatto mensile o annuale che è costituita dall’importo della retribuzione individuale per 12 mensilità cui si aggiunge il rateo della 13° mensilità», escludendo «le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di indennizzo nonché quelle pagate per trattamento di missione fuori sede e per trasferimento».

Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la portata precettiva della nuova disposizione non sarebbe compatibile, come possibile opzione interpretativa, con la disciplina previgente che deponeva, al contrario, nel senso della inclusione delle voci retributive costanti e continuative – e, dunque, anche del rateo di tredicesima mensilità – nel concetto di retribuzione lorda riscossa al momento della risoluzione del rapporto. Anche in base ai criteri applicativi del citato art. 7, dettati dalla stessa Giunta regionale con deliberazione n. 532 del 2005, la indennità supplementare «si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosità delle mansioni richieste (es. indennità di struttura)».

Il rimettente ritiene, dunque, la norma censurata lesiva dei canoni costituzionali di ragionevolezza, perché essa non si limiterebbe ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (sentenze n. 24 del 2009, n. 74 del 2008, n. 374 del 2002, n. 29 del 2002 e n. 525 del 2000).

Inoltre, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata, comportando, in modo retroattivo, una sostanziale decurtazione dell’ammontare dell’indennità supplementare, tradirebbe l’affidamento che i dipendenti regionali, aderendo alla proposta di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, hanno riposto nella certezza della inclusione del rateo di tredicesima mensilità nella base di calcolo dell’indennità in oggetto.

Il rimettente ricorda come la Corte costituzionale abbia più volte valorizzato il principio dell’affidamento del cittadino sulla certezza e sicurezza dell’ordinamento giuridico, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, che non può essere leso da norme con effetti retroattivi, incidenti irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti.

Nel caso di specie, il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata interferisca sulla regolamentazione giuridica del rapporto tra le parti, andando a modificare situazioni già consolidate ed acquisite al patrimonio giuridico dei dipendenti pubblici, indotti a stipulare i contratti di risoluzione del rapporto confidando nella convenienza riferita a quello specifico quadro normativo. Sul punto, il rimettente richiama le pronunce della Corte costituzionale, secondo cui la norma successiva non può tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze n. 156 del 2007, n. 416 del 1999), pur se dettata dalla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per fare fronte a evenienze eccezionali (sentenza n. 419 del 2000).

La disposizione censurata interverrebbe, dunque, su situazioni in cui si è consolidato l’affidamento del privato riguardo alla regolamentazione del rapporto, con sbilanciamento a favore della parte pubblica. Peraltro, il legislatore regionale avrebbe omesso di salvaguardare attraverso idonei strumenti normativi la posizione dei lavoratori che, in applicazione della disposizione preesistente, avrebbero dovuto ottenere la liquidazione di un incentivo all’esodo secondo criteri più favorevoli rispetto a quelli previsti dalla legge di interpretazione.

Da quanto sopra, risulterebbe evidente, ad avviso del rimettente, il contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 Cost., costituendo un’ipotesi di esercizio irrazionale del potere del legislatore di emanare norme interpretative.

In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, qualora venisse dichiarata incostituzionale la disposizione regionale sulla base della quale si è determinata l’indennità supplementare in favore della ricorrente, dovrebbe essere accolta la domanda giudiziale promossa da quest’ultima di condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze tra quanto percepito a titolo di indennità supplementare e quanto spettante in virtù dell’inclusione del rateo di tredicesima mensilità nella base di calcolo della stessa.

1.3. ― Il rimettente ritiene, invece, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 111 Cost. e all’art. 6 della CEDU.

2. — Con memoria depositata il 31 gennaio 2011 si è costituita in giudizio la signora B. G. chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, della legge regionale n. 15 del 2008, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 111 Cost. e 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

2.1. — La parte privata premette di avere presentato proposta per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con l’amministrazione regionale ai sensi del richiamato art. 7 della legge regionale n. 8 del 2005; che, con raccomandata del 16 gennaio 2006, la Giunta regionale ha notificato alla suddetta il contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro per accettazione; che, avendo riscontrato delle inesattezze nel calcolo della indennità supplementare rispetto a quanto disposto dal citato art. 7, la stessa ha indirizzato alla Regione, a far data dal 21 settembre 2009, alcune note di richiesta di correzione delle dette discordanze; che il calcolo da adottare, per come richiamato anche nella delibera della Giunta regionale n. 532 del 2005 avente ad oggetto «criteri applicativi dell’art. 7 della L. R. n. 8 del 2005», era quello che considera il rapporto proporzionale ai dodici mesi dell’anno comprendendo anche la tredicesima mensilità; che, con raccomandata del 4 settembre 2008, la Regione Calabria, pur ammettendo gli errori di calcolo in relazione alla necessità di erogare alla dipendente B. G. le somme spettanti a titolo di differenze retributive in adeguamento al disposto del CCNL di comparto 2004/2005, non ha riconosciuto il diritto alla tredicesima mensilità sull’indennizzo all’esodo; che è seguito il diniego della Regione sulla base dell’intervento reso dal medesimo legislatore regionale con il citato art. 44 della legge regionale n. 15 del 2008.

La ricorrente sottolinea che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetto incentivo all’esodo) non hanno natura né liberale, né eccezionale, ma costituiscono reddito da lavoro dipendente (come tali assoggettate anche ai fini fiscali), essendo predeterminate a remunerare, quale controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto (Corte di cassazione, sezione lavoro del 27 giugno 2007, n. 14821).

2.2. ― Ad avviso della parte privata, l’art. 44 della legge della Regione Calabria n. 15 del 2008, nell’escludere la tredicesima mensilità dalla base di calcolo della indennità supplementare, avrebbe, in violazione dei canoni costituzionali di ragionevolezza, arbitrariamente attribuito alla “legge esodo” un significato non riconoscibile in una delle possibili letture del testo originario, interferendo sulla regolamentazione giuridica del rapporto tra le parti e andando a modificare situazioni già acquisite al patrimonio giuridico dei dipendenti.

Pertanto, la parte privata ritiene lesiva dei principi di affidamento e di certezza del diritto una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (in tal senso, Consiglio di Stato, sezione IV, 26 luglio 2008, n. 3689; sezione VI, 27 dicembre 2007, n. 6664; sezione IV, 12 settembre 2006, n. 5314).

In particolare, con il citato art. 44, il legislatore regionale sarebbe intervenuto arbitrariamente dopo tre anni dall’emanazione della “legge esodo”, mirando esclusivamente a privare la ricorrente di quanto quest’ultima aveva confidato di ricevere, in applicazione della detta legge, al momento dell’adesione alla proposta di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, in violazione dei diritti già acquisiti fin dalla firma del contratto.

L’art. 44 avrebbe inciso su situazioni in ordine alla cui regolamentazione giuridica si era consolidato l’affidamento del privato, dettando una disciplina contrastante con quella previgente e sbilanciandone l’equilibrio a favore di una parte (quella pubblica) e a svantaggio dell’altra (quella privata). La parte privata richiama, altresì, alcune pronunce della Corte costituzionale in merito alla definizione di norma di interpretazione autentica (sentenza n. 25 del 2000), ai limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi (sentenza n. 397 del 1994) ed, in particolare, al principio di affidamento dei consociati nella certezza del diritto, suscettibile di essere leso da norme retroattive e tali da rendere privo di effettività il diritto dei cittadini di adire i giudici per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive (sentenza n. 209 del 2010).

Pertanto, la disposizione regionale censurata, oltre a violare il canone generale della ragionevolezza delle norme ai sensi dell’art. 3 Cost., lederebbe anche il diritto degli ex dipendenti regionali beneficiari della “legge esodo” di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24, primo comma, Cost.).



Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Catanzaro, sezione controversie di lavoro e previdenza, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dell’articolo 44, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8).

2. — Il rimettente premette di essere chiamato a pronunciare in un giudizio promosso da una ex dipendente della Regione Calabria nei confronti dell’ente territoriale, al quale l’attrice aveva presentato domanda per la risoluzione convenzionale del rapporto d’impiego, ai sensi della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8/2002).

La legge (art. 7, comma 6) prevedeva, quale incentivo alla risoluzione consensuale, il versamento di una indennità, la cui misura «sarà determinata sulla base della retribuzione mensile lorda spettante alla data di cessazione del rapporto di lavoro e sarà corrisposta alle scadenze di cui ai commi 3 e 4». Il comma successivo, poi, aggiungeva che la Giunta regionale era autorizzata ad emanare, nel rispetto del termine di cui al comma 2, apposite direttive per l’applicazione della citata norma. Tali direttive furono adottate con delibera della detta Giunta regionale 30 maggio 2005, n. 532, e stabilirono, tra l’altro, «che l’indennità prevista dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all’esodo ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennità di fine servizio normalmente spettante al pubblico dipendente al momento della risoluzione del lavoro e si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro od indennizzo per la particolare gravosità delle mansioni richieste (es. indennità di struttura)».

Successivamente, la Regione Calabria, con l’art. 44, comma 2, della legge n. 15 del 2008 statuì che l’articolo 7, comma 6, della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8, dovesse «essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione della indennità supplementare prevista nella medesima legge» sia «quella individuata, per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria dal servizio, all’art. 52, lettera c, del CCNL 1999 e successive modifiche con esclusione nella determinazione della citata indennità del rateo di tredicesima mensilità e retribuzione di risultato».

3. — Secondo il giudice a quo detta norma violerebbe l’art. 3 Cost., perché lesiva: a) dei canoni costituzionali di ragionevolezza, in quanto non si limiterebbe ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario. Infatti, essa non sarebbe compatibile con la disciplina previgente, la quale deponeva nel senso di includere le voci retributive costanti e continuative – e, dunque, anche il rateo di tredicesima mensilità – nel concetto di retribuzione lorda riscossa al momento della risoluzione del rapporto, ciò anche in base ai criteri applicativi del citato art. 7 dettati dalla stessa Giunta regionale con la delibera n. 532 del 2005; b) dell’affidamento del privato sull’avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali, poiché i dipendenti regionali, nell’aderire alla proposta di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, avrebbero confidato, alla luce dello specifico quadro normativo previgente, nella certezza dell’inclusione del rateo di tredicesima mensilità nella base di calcolo dell’indennità supplementare (cosiddetto incentivo all’esodo).

4. — In via preliminare, si deve osservare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, onde non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità, dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze. Pertanto, sono inammissibili le deduzioni della parte privata, dirette ad estendere il thema decidendum attraverso l’evocazione di ulteriori parametri costituzionali (ex plurimis: sentenze nn. 236 e 56 del 2009, n. 86 del 2008, n. 244 del 2005).

5. — La questione è fondata.

Questa Corte ha più volte chiarito che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010, n. 24 del 2009, n. 170 del 2008 e n. 234 del 2007).

La Corte ha anche affermato che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere interpretativo, e sia perciò retroattiva, ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Invero, in entrambi i casi si tratta di accertare se la retroattività della norma, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo il disposto dell’art. 25, secondo comma, Cost., trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis: sentenze n. 93 del 2011, n. 234 del 2007 e n. 374 del 2002).

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, limiti attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali, tra cui il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto d’introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010 e n. 397 del 1994).

6. — In questo quadro, si deve osservare che l’art. 7, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 8 del 2005, nel dettare la disciplina della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (dalla citata norma prevista per i dirigenti ed estesa a tutti i dipendenti dall’art. 7, comma 6), stabilì, in caso di perfezionamento dell’accordo risolutivo, il versamento di una indennità supplementare pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data della predetta risoluzione «per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l’età anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni». L’art. 7, comma 6, a sua volta, dispose che «La misura della indennità sarà determinata sulla base della retribuzione mensile lorda spettante alla data di cessazione del rapporto di lavoro e sarà corrisposta alle scadenze di cui ai commi 3 e 4».

Il riferimento alla retribuzione mensile lorda orientava senza dubbio nel senso di ritenere che il legislatore avesse inteso fare riferimento alla retribuzione comprensiva delle componenti fisse dello stipendio a carattere continuativo, tra le quali si colloca la tredicesima mensilità. La natura retributiva di questa è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione lavoro del 19 settembre 2010, n. 22760 e sezione lavoro del 2 settembre 2010, n. 18999; sezione tributaria del 16 aprile 2007, n. 9000; Consiglio di Stato, sezione sesta del 22 giugno 1987, n. 437; sezione sesta, del 28 luglio 1982, n. 386; Corte dei conti, sezione terza del 3 giugno 1977, n. 38233 e sezioni riunite del 12 luglio 1977, n.79).

Del resto, il detto orientamento risultava condiviso anche dalla stessa Regione Calabria, dal momento che la Giunta regionale, con delibera 30 maggio 2005, n. 532, recante «Criteri applicativi della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 articolo 7» (emanata in base all’autorizzazione concessa dalla legge ora citata con l’art. 7, comma 7), aveva stabilito nel preambolo «che l’indennità prevista dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all’esodo ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennità di fine servizio normalmente spettante al pubblico dipendente al momento della risoluzione del rapporto di lavoro e si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro od indennizzo per la particolare gravosità delle mansioni richieste (es. indennità di struttura)».

La delibera proseguiva precisando che «per tale motivazione, per retribuzione lorda spettante alla data della risoluzione del rapporto di lavoro, ai fini dell’applicazione dell’art. 7 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8, si deve intendere la retribuzione spettante al dipendente in forza delle disposizioni legislative, regolamentari e dei contratti collettivi nazionali, ancorché maturata e non ancora corrisposta o derivante da rinnovi contrattuali con efficacia retroattiva con riferimento alla data di cessazione, ovvero nel caso operi la facoltà della amministrazione di scaglionare l’esodo, alla data di effettiva interruzione del servizio in relazione alle esigenze di servizio».

Pertanto, sia il dato normativo sia i criteri elaborati dalla Regione concorrevano nel far ritenere che nella nozione di retribuzione lorda rientrasse anche la tredicesima mensilità, in quanto dotata di tutti i requisiti dianzi indicati e considerati dalla medesima Regione.

Né varrebbe addurre che, nel citato provvedimento regionale, al punto 11 erano elencate le voci della retribuzione, spettanti alla data di cessazione e concorrenti alla determinazione delle indennità supplementari, voci tra le quali non figura la tredicesima mensilità. Si deve osservare che al primo punto dell’elenco era previsto lo stipendio tabellare e che la stretta inerenza della tredicesima mensilità allo stipendio o salario, rendendola componente necessaria di questi, ben poteva indurre a ritenerla compresa nella nozione di stipendio tabellare, specialmente in presenza di una espressione come “retribuzione lorda” con i caratteri desumibili sia dalla norma, sia dai criteri elaborati dalla medesima Regione, la quale aveva disposto che, con quella espressione, si dovesse intendere «la retribuzione spettante al dipendente in forza delle disposizioni legislative, regolamentari e dei contratti collettivi nazionali».

7. — In questa cornice è stata emanata la norma qui oggetto di censura. Essa ha stabilito che l’art. 7, comma 6, della legge regionale n. 8 del 2005 deve essere inteso nel senso che nel concetto di retribuzione lorda, ai fini della determinazione della indennità supplementare, va escluso il rateo di tredicesima mensilità.

Tale norma non è conforme a Costituzione.

Infatti, non è contestabile che i dipendenti regionali, nel proporre l’accordo di risoluzione consensuale e nel sottoscrivere il relativo contratto, abbiano riposto un legittimo affidamento nel fatto che, per la determinazione dell’indennità, si dovesse tenere conto anche della tredicesima mensilità, perché in tal senso deponevano l’espressione adottata (retribuzione lorda), i connotati attribuiti ai suoi componenti dalla stessa Regione (compenso fisso, continuativo, costante e generale), il richiamo alle disposizioni legislative, regolamentari e dei contratti collettivi nazionali. In questo quadro si è consolidata la posizione giuridica di coloro che, come la parte privata nel giudizio a quo, hanno perfezionato l’accordo di risoluzione del rapporto d’impiego ben prima che sopravvenisse la norma censurata.

Al contrario, nessun elemento suggeriva che la Regione intendesse escludere proprio la componente retributiva meglio caratterizzata dai connotati che la stessa Regione aveva indicato e che è di generale applicazione, salve espresse eccezioni.

Ne deriva che la norma di cui si tratta non ha imposto una scelta rientrante tra le possibili varianti di senso del testo originario, né è intervenuta per risolvere contrasti che non risultano neppure allegati, ma ha realizzato, con efficacia retroattiva, una sostanziale modifica della normativa precedente, incidendo, in violazione dell’art. 3 Cost., in modo irragionevole sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto, (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010 e n. 236 del 2009).

Va dichiarata, dunque, l’illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, della legge regionale della Calabria 13 giugno 2008, n. 15.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 2, della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008 n. 15 (Provvedimento generale di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2008, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI