Ordinanza 295/2011

Ordinanza 295/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore SILVESTRI

Camera di Consiglio del 05/10/2011 Decisione del 07/11/2011
Deposito del 09/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Art. 14, c. 5° quater, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come modificato dall'art. 1, c. 22°, lett. m), della legge 15/07/2009, n. 94.
Massime:
Atti decisi: ordd. 75 e 96/2011


ORDINANZA N. 295

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi, rispettivamente, dal Tribunale di Busto Arsizio, con ordinanza del 21 gennaio 2011, e dal Tribunale di Modica con ordinanza del 1° marzo 2011, iscritte ai nn. 75 e 96 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.



Ritenuto che il Tribunale di Busto Arsizio, in composizione monocratica, con ordinanza del 21 gennaio 2011, ha sollevato, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);

che la norma indicata è oggetto di censura nella parte in cui – in contrasto con la direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante «Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare») – configura come delitto la mera inottemperanza dello straniero che, già destinatario di un provvedimento di espulsione e di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi 5-ter e 5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato, e comunque nella parte in cui prevede, per tale delitto, la pena della reclusione fino a cinque anni;

che il rimettente procede nei confronti di un cittadino straniero imputato, tra l’altro, del reato di cui al comma 5-quater dell’art. 14 del Testo unico in materia di immigrazione;

che, secondo lo stesso rimettente, la fattispecie incriminatrice, pur nel contenuto precettivo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 2010 (e dunque nell’irrilevanza delle condotte inottemperanti tenute in presenza di un «giustificato motivo»), si pone in «insanabile contrasto» con i principi informatori della direttiva n. 2008/115/CE;

che tale direttiva, in particolare, esprimerebbe una preferenza per forme volontarie di rimpatrio, favorite dalla concessione di termini non inferiori ai sette giorni, e derogate solo in casi particolari, nei quali la restrizione della libertà è consentita a soli fini di esecuzione del provvedimento espulsivo, e per un tempo comunque non superiore a sei mesi, prorogabile fino ad un massimo di diciotto mesi;

che invece, secondo il rimettente, gli artt. 13 e 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbero ispirati all’opposto principio della esecuzione coattiva dell’espulsione, con previsione solo eccezionale della partenza in forma volontaria, la quale deve comunque intervenire entro il termine fisso di cinque giorni, e con previsione, per il caso di inottemperanza, della condanna dello straniero ad una lunga pena detentiva (quattro anni di reclusione o addirittura cinque, nel caso di reiterazione degli ordini di allontanamento);

che il trattamento sanzionatorio istituito dalle norme interne confliggerebbe sia con il fine essenziale della procedura regolata dalla direttiva n. 2008/115/CE, cioè l’effettiva estromissione dello straniero dal territorio dello Stato, sia con la fissazione di limiti assai inferiori di durata massima del trattenimento consentito, dalla stessa direttiva, per l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione;

che non varrebbe obiettare – sempre a parere del Tribunale – un difetto di pertinenza della citata direttiva alla normativa penale in materia di inottemperanza ai provvedimenti amministrativi di allontanamento, poiché entrambe le discipline mirano ad assicurare l’effettività delle espulsioni, e quella comunitaria comprende limiti ben più stringenti di quella nazionale riguardo alla durata della restrizione di libertà ammissibile per il fine indicato;

che il rimettente prosegue affermando che, nonostante l’intervenuta scadenza (al 24 dicembre 2010) del termine per l’attuazione della direttiva, non potrebbe farsi luogo alla «disapplicazione» della norma interna confliggente (cioè il comma 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998), posto che la direttiva medesima, pur contenendo una puntuale regolazione delle procedure amministrative di rimpatrio, «non esclude né individua con precisione e tassatività specifiche condotte a rilevanza penale»;

che d’altra parte non potrebbe farsi luogo a disapplicazione del provvedimento amministrativo rimasto, nel caso concreto, senza esecuzione, trattandosi di decreto legittimamente adottato prima del 24 dicembre 2010, in applicazione delle norme al momento vigenti;

che dovrebbe quindi trovare applicazione, nel giudizio a quo, una norma incriminatrice la quale, per la sua «attuale configurazione», o quanto meno per «la misura della sanzione penale prevista», confliggerebbe con l’art. 117 Cost., che impone allo Stato di adeguarsi, nella produzione normativa, all’ordinamento comunitario;

che sussisterebbero le ulteriori condizioni di rilevanza della questione sollevata, posta la ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi necessari per una affermazione di responsabilità dell’imputato (precedente condanna per inottemperanza ad ordine di allontanamento, legittimità del nuovo ed analogo provvedimento, mancanza di circostanze utili a costituire un «giustificato motivo» per la nuova condotta di inadempimento);

che il Tribunale di Modica, in composizione monocratica, con ordinanza del 1° marzo 2011, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 11, 27 e 117 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge n. 94 del 2009, nella parte in cui – in contrasto con la direttiva n. 2008/115/CE – configura come reato la mera inottemperanza dello straniero all’ordine impartitogli dal questore di allontanarsi dal territorio dello Stato, o nella parte in cui prevede, per tale reato, una sanzione detentiva di durata difforme dai «limiti minimi e massimi previsti dalla direttiva» citata;

che il rimettente procede nei confronti di un cittadino straniero imputato del reato «di cui all’art. 14, commi 5-ter e 5-quater» del Testo unico in materia di immigrazione;

che secondo lo stesso rimettente la fattispecie incriminatrice – segnatamente quella delineata al comma 5-quater della norma citata – si pone in contrasto con la direttiva n. 2008/115/CE;

che tale direttiva infatti prevede: a) all’art. 7, che la decisione di rimpatrio dello straniero sia seguita dall’invito a lasciare il territorio dello Stato entro un termine non inferiore a sette giorni, consentendo eventualmente l’adozione di cautele a carattere non detentivo; b) all’art. 8, che il rimpatrio sia eseguito coattivamente solo allo scadere del termine (salvo il caso della sopravvenienza del rischio di fuga); c) all’art. 15, che le eventuali condotte non collaborative dello straniero vengano fronteggiate mediante il trattenimento per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento espulsivo, e comunque per non oltre sei mesi, prorogabili fino a diciotto nel caso ricorrano ulteriori condizioni; d) all’art. 16, che gli stranieri trattenuti, pur quando si renda inevitabile il loro ricovero presso istituti penitenziari, siano separati dalle persone accusate o condannate per condotte di natura criminale;

che invece – osserva il giudice a quo – la normativa italiana prescrive di norma il trattenimento dello straniero in tutti i casi nei quali non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione (art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998), consentendo che la misura (ove convalidata) prosegua per trenta giorni e, mediante proroga, fino a centottanta (commi 5 e 5-bis dello stesso art. 14);

che, per altro verso, l’inottemperanza senza giustificato motivo all’ordine di allontanamento viene sanzionata mediante la reclusione fino a quattro anni (comma 5-ter del citato art. 14), con rinnovata espulsione dello straniero inadempiente ed eventuale adozione di un nuovo decreto di allontanamento, la cui violazione può comportare l’ulteriore condanna alla reclusione per un massimo di cinque anni (comma 5-quater);

che, secondo il rimettente, le misure restrittive della libertà, nella logica della direttiva n. 2008/115/CE, si giustificano unicamente in funzione strumentale alla esecuzione del provvedimento espulsivo, e per una durata massima di diciotto mesi;

che dunque l’applicazione di misure con diverso finalismo (compreso quello rieducativo tipico dell’esecuzione penale), di fronte al mero inadempimento dell’obbligo di lasciare il territorio dello Stato, contrasterebbe con lo strumento comunitario, in radice e, comunque, riguardo a restrizioni di durata superiore ai diciotto mesi;

che l’incompatibilità della disciplina nazionale con la direttiva in questione risulterebbe ancor più evidente – a parere del Tribunale – considerando come la prima consenta di cumulare una lunga «detenzione amministrativa» ed una sanzione penale conseguente all’inottemperanza del successivo ordine di allontanamento, eseguita la quale vi sarebbe una nuova espulsione, con possibilità di reiterazione della stessa sequenza per un numero indefinito di volte;

che siffatte caratteristiche dimostrerebbero l’assenza di finalità rieducative della sanzione detentiva prevista dalla norma oggetto di censura, e comunque la carenza, nel conseguente provvedimento restrittivo, della necessaria strumentalità alla effettiva estromissione dello straniero dal territorio dello Stato;

che secondo il rimettente, in particolare, la norma censurata avrebbe il medesimo oggetto della previsione di cui al primo comma, lettera b), dell’art. 15 della direttiva n. 2008/115/CE («il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento»), e tuttavia collegherebbe al fatto una sanzione del tutto sproporzionata rispetto a quella consentita dalla norma sovranazionale, oltreché alle pene, assai più miti, che lo stesso ordinamento interno prevede per altre fattispecie di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità;

che il Tribunale ricorda come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2007, avesse giudicato inammissibile un proprio intervento correttivo sui livelli sanzionatori per le condotte di inottemperanza all’ordine di allontanamento, e ciò per la mancanza di «precisi punti di riferimento che possano condurre a sostituzioni costituzionalmente obbligate»;

che i «punti di riferimento» allora mancanti, secondo il giudice a quo, sarebbero oggi disponibili grazie all’art. 15 della “direttiva rimpatri”, e consisterebbero nella previsione di un limite massimo di sei mesi, prorogabile fino a diciotto, per la restrizione di libertà connessa all’inottemperanza;

che dunque la norma censurata potrebbe essere ricondotta entro limiti compatibili con il principio di proporzionalità, desumibile dagli artt. 3 e 27 Cost., attraverso il riferimento ai parametri fissati nella normativa comunitaria;

che il comma 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 violerebbe, inoltre, l’art. 11 Cost., nella parte in cui consente la limitazione di sovranità necessaria ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, e l’art. 117 Cost., nella parte in cui prescrive l’adeguamento della legislazione nazionale ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;

che entrambe le questioni sollevate, nella prospettazione del rimettente, sono rilevanti nel giudizio a quo;

che infatti, ove si ritenesse che la normativa comunitaria osti ad una sanzione penale per i fatti di inottemperanza, che si affianchi alla detenzione amministrativa strumentale all’espulsione, la norma censurata andrebbe rimossa dall’ordinamento, con la conseguenza che il fatto ascritto all’imputato non costituirebbe più reato;

che invece, se la norma interna fosse ritenuta illegittima nella parte in cui la sanzione edittale eccede «i limiti minimi e massimi previsti dalla direttiva», l’imputato potrebbe essere condannato ad una pena inferiore a quella che dovrebbe essergli inflitta in base alla disposizione censurata.

Considerato che il Tribunale di Busto Arsizio in composizione monocratica, con ordinanza del 21 gennaio 2011, ha sollevato, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);

che la norma indicata è oggetto di censura nella parte in cui – in contrasto con la direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/115/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante «Norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare») – configura come delitto la mera inottemperanza dello straniero che, già destinatario di un provvedimento di espulsione e di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi 5-ter e 5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato, e comunque nella parte in cui prevede, per tale delitto, la pena della reclusione fino a cinque anni;

che il Tribunale di Modica, in composizione monocratica, con ordinanza del 1° marzo 2011, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 11, 27 e 117 Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall’art. 1, comma 22, lettera m), della legge n. 94 del 2009, nella parte in cui – in contrasto con la direttiva n. 2008/115/CE – configura come reato la mera inottemperanza dello straniero all’ordine impartitogli dal questore di allontanarsi dal territorio dello Stato, o nella parte in cui prevede, per tale reato, una sanzione detentiva di durata difforme dai «limiti minimi e massimi previsti dalla direttiva» citata;

che, stante l’analogia tra le questioni sollevate, i giudizi possono essere definiti congiuntamente;

che entrambi i rimettenti fondano in sostanza le proprie censure sull’assunto che la direttiva n. 2008/115/CE osti radicalmente alla previsione di sanzioni penali per le condotte di inottemperanza all’ordine di allontanamento, o comunque precluda l’adozione di sanzioni detentive o, quanto meno, di sanzioni con valori edittali superiori al termine massimo stabilito per la detenzione «amministrativa»;

che, in epoca successiva alle ordinanze di rimessione, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha pronunciato la sentenza 28 aprile 2011, nella causa C-61/11 PPU, avente ad oggetto la domanda di rinvio pregiudiziale per l’interpretazione delle norme contenute nella direttiva più volte citata, il cui termine di attuazione era scaduto in data 24 dicembre 2010 senza che il legislatore italiano avesse provveduto ad adeguare, in senso conforme, l’ordinamento interno;

che la Corte di giustizia, nella citata sentenza, ha affermato che gli artt. 15 e 16 della direttiva ostano all’applicazione negli Stati membri di disposizioni che prevedano «l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo»;

che inoltre, secondo la stessa Corte, è compito del giudice nazionale «disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo», tenendo altresì in debito conto il principio «dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri»;

che l’ampia portata del giudizio espresso dalla Corte dell’Unione europea ha indotto la generalità degli interpreti, e la stessa Corte di cassazione, a rilevare come anche la specifica figura di inottemperanza delineata al comma 5-quater dell’art. 14 citato confligga con la direttiva in materia di rimpatri (Corte di cassazione, sezione I penale, sentenza n. 22105 del 28 aprile 2011);

che, ancora più di recente, la norma incriminatrice contenuta nell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 è stata sostituita dall’art. 3, comma 1, lettera d), numero 6, del decreto-legge 23 giugno 2011, n. 89 (Disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 agosto 2011, n. 129;

che, nel testo vigente, l’art. 14, comma 5-quater, sanziona con la pena della multa la condotta di inottemperanza all’ordine di allontanamento emesso in applicazione del terzo periodo del novellato comma 5-ter, e cioè dopo l’accertamento della mancata osservanza, da parte dello straniero, di una precedente intimazione a lasciare il territorio dello Stato;

che dunque, relativamente alla norma censurata, si sono succedute nel tempo due vicende modificative, costituite rispettivamente dalla incompatibilità sopravvenuta con la disciplina comunitaria e dalla successiva riforma, con la sostituzione di pene pecuniarie alla sanzione detentiva originariamente comminata;

che il richiamato ius superveniens, alla luce dei principi che governano la successione di leggi penali nel tempo, pone la questione della perdurante applicabilità della norma incriminatrice contenuta nel testo previgente dell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, e comunque delle sanzioni detentive in esso previste, così investendo ogni aspetto delle censure proposte dai rimettenti;

che occorre dunque rimettere ai giudici a quibus la valutazione circa l’attuale rilevanza delle questioni sollevate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio e al Tribunale di Modica.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI