Ordinanza 297/2011

Ordinanza 297/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore CASSESE

Camera di Consiglio del 05/10/2011 Decisione del 07/11/2011
Deposito del 09/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Ammissibilità di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'ordinanza dell'01/03/2010 del Tribunale di Milano - Sezione 1.a penale.
Massime:
Atti decisi: confl. pot. amm. 2/2011


ORDINANZA N. 297

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione I penale, del 1° marzo 2010 – relativa al procedimento penale n. 11776/06 R.G.T. – con cui è stata respinta la richiesta di rinvio dell’udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri per legittimo impedimento, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria il 22 aprile 2011 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese.



Ritenuto che, con ricorso depositato in data 22 aprile 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Milano, sezione I penale, in relazione all’ordinanza con la quale il predetto tribunale ha rigettato la richiesta di rinvio dell’udienza dibattimentale del 1° marzo 2010, formulata dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Silvio Berlusconi, per legittimo impedimento di quest’ultimo, in quanto impegnato, nella medesima data, nella presidenza della riunione del Consiglio dei ministri;

che il ricorrente chiede in particolare che questa Corte «dichiari che non spetta al Tribunale di Milano stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione alle udienze penali, e perciò causa di giustificazione della sua assenza, il diritto-dovere del Presidente del Consiglio dei ministri a presiedere una riunione del Consiglio dei ministri, anche nell’ipotesi in cui la predetta riunione, già fissata in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, venga differita ad altra data coincidente con un giorno di udienza»;

che il ricorrente chiede altresì che, conseguentemente, questa Corte «annulli l’ordinanza, pronunciata in data 1° marzo 2010, con riferimento al procedimento penale n. 11776/06 R.G.T., con la quale è stata rigettata la richiesta di rinvio dell’udienza dibattimentale del 1° marzo 2011», «nonché l’attività istruttoria compiuta nel corso della prefata udienza»;

che il ricorrente espone che il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di rinvio dell’udienza dibattimentale del 1° marzo 2010 motivando come segue la propria decisione: «Ritiene il Collegio che la deduzione di un impedimento per una udienza già concordata non possa prescindere quantomeno dalla allegazione della specifica inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni perché, altrimenti, la funzione giudiziaria verrebbe ad essere svilita, con la conseguenza che il contemperamento degli opposti interessi di rilievo costituzionale allo svolgimento in tempi ragionevolmente rapidi del processo e all’esercizio delle funzioni parlamentari o governative verrebbe ad essere risolto nel dare esclusiva rilevanza al secondo di tali interessi; nella specie nulla è stato dedotto circa la necessità di fissare in data 24.2.2010 una riunione del Consiglio dei ministri per la data del 1° marzo 2010 coincidente con l’udienza già concordata e pertanto non può essere ritenuto il legittimo impedimento»;

che, secondo il ricorrente, il ricorso è ammissibile, apparendo pacifica, sotto il profilo soggettivo, «la spettanza della qualificazione di potere dello Stato sia in capo al ricorrente che al resistente»;

che, sotto il profilo oggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri rivendica «l’integrità delle proprie attribuzioni costituzionali nell’esercizio della funzione istituzionale di presidenza delle riunioni del Consiglio dei ministri», le quali sarebbero state lese dall’ordinanza del Tribunale di Milano, che ne avrebbe «disconosciuto la rilevanza quale legittimo impedimento»;

che, ad avviso del ricorrente, l’ordinanza del Tribunale di Milano avrebbe violato gli artt. 92 e 95 della Costituzione, in relazione all’art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) e agli artt. 1, 5, 6 e 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 novembre 1993 (Regolamento interno del Consiglio dei Ministri), in quanto dal complesso di tali disposizioni emergerebbe che «il Consiglio dei ministri è il momento delle decisioni fondamentali per la politica del Governo», che «per il Presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, è l’atto più elevato della propria funzione costituzionale di direzione della politica di governo e dell’unità di indirizzo politico-amministrativo» e che, di conseguenza, «la convocazione del Consiglio dei ministri e l’eventuale rinvio della data della riunione dello stesso Consiglio sono atti politici del Presidente del Consiglio dei ministri»;

che, secondo il ricorrente, inoltre, l’ordinanza del Tribunale di Milano avrebbe anche violato il principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, nel rispetto del quale, come affermato da questa Corte, deve essere esercitato da parte del giudice il potere di valutare l’impedimento a comparire dei titolari di funzioni di governo (sentenza n. 23 del 2011), così come dei membri del Parlamento (sentenza n. 225 del 2001);

che, ad avviso del ricorrente, il Tribunale di Milano avrebbe manifestamente disatteso i principi affermati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, in quanto, pur avendo inizialmente programmato il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con gli impegni istituzionali già calendarizzati del Presidente del Consiglio dei ministri, avrebbe poi, a fronte di un impegno istituzionale sopravvenuto, applicato le regole generali sull’onere della prova del legittimo impedimento, «senza tenere in debito conto il diritto-dovere dell’esercizio della funzione di governo del Presidente del consiglio dei ministri»;

che, inoltre, secondo il ricorrente, il Tribunale di Milano, nel richiedere al Presidente del Consiglio dei ministri di allegare i motivi della «specifica inderogabile necessità della sovrapposizione dei due impegni», si sarebbe «arrogato un inammissibile potere di sindacato delle ragioni politiche sottese al rinvio di una riunione del Consiglio dei ministri»;

che la valutazione del giudice sull’assolutezza dell’impedimento dovrebbe, secondo il ricorrente, limitarsi alla verifica della «impossibilità dell’organo governativo […] ad essere presente all’udienza penale data la improrogabilità del fatto impeditivo di pertinenza costituzionale costituito dalla presidenza del Consiglio dei ministri», non potendo riguardare «le motivazioni e le ragioni (di politica governativa) sottese alla decisione di fissare, in una certa data, la seduta del Consiglio dei ministri», né potendosi pretendersi «che l’organo governativo fornisca la prova della necessità di svolgere la funzione governativa in un dato momento e in una certa data, attenendo tali valutazioni «alla sfera delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri»;

che ad avviso del ricorrente, inoltre, il Tribunale di Milano non avrebbe tenuto conto della peculiare natura delle funzione di governo, che, rispetto a quella parlamentare, si svolge secondo cadenze temporali più difficilmente preventivabili ed è maggiormente soggetta a variazioni, come dimostrerebbe, nel caso di specie, lo spostamento della riunione del Consiglio dei ministri, che sarebbe «dipeso dalla necessità di procedere ad una compiuta stesura dell’importante disegno di legge contenente le disposizioni anti-corruzione, che ha comportato una complessa elaborazione e la cui adozione era stata imposta dai ben noti avvenimenti legati ad una indagine giudiziaria avviata nelle ultime settimane del febbraio 2010».

Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;

che sussistono i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dal primo comma del citato art. 37, ai fini della configurabilità di un conflitto tra poteri dello Stato;

che, sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene;

che al Tribunale di Milano, sezione I penale, va riconosciuta la legittimazione a resistere nel presente conflitto, in conformità al principio secondo il quale i singoli organi giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono competenti, nei procedimenti di cui sono investiti, a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e, pertanto, sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione;

che, sotto il profilo oggettivo, il ricorso è volto a tutelare una sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite, che nella prospettazione del ricorrente sono desumibili dagli artt. 92 e 95 della Costituzione, consistono nel potere di convocare e presiedere il Consiglio dei ministri e sarebbero state lese in ragione del mancato riconoscimento giudiziale del relativo esercizio quale causa di legittimo impedimento a comparire nelle udienze penali;

che tale preliminare valutazione lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione concernente la stessa ammissibilità del ricorso.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Tribunale di Milano, con il ricorso in epigrafe;

2) dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Tribunale di Milano entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni dall’ultima notificazione, a norma dell’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI