Sentenza 261/2011

Sentenza 261/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente QUARANTA - Redattore SILVESTRI

Udienza Pubblica del 20/09/2011 Decisione del 03/10/2011
Deposito del 07/10/2011 Pubblicazione in G. U. 12/10/2011
Norme impugnate: Art. 3 della legge della Regione Piemonte 2/12/1992, n. 51, come modificato dall'art. 6, c. 2°, della legge della Regione Piemonte 26/03/2009, n. 10.
Massime:
Atti decisi: ord. 27/2011


SENTENZA N. 261

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali), come modificato dall’art. 6, comma 2, della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 10, recante «Modifiche alla legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 (Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo) e alla legge regionale 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con ordinanza del 19 novembre 2010, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

udito l’avvocato Giulietta Magliona per la Regione Piemonte.



Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con ordinanza depositata in data 19 novembre 2010, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali), come modificato dall’art. 6, comma 1 (rectius: comma 2), della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 10, recante «Modifiche alla legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 (Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo) e alla legge regionale 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali)», nella parte in cui stabilisce – in violazione del disposto dell’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), secondo cui le Regioni non possono istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti – il solo divieto di istituire Comuni la cui popolazione consista in meno di cinquemila unità.

1.1. – La vicenda posta ad oggetto del giudizio a quo, secondo quanto riferisce il Tribunale rimettente, concerne l’iniziativa per l’istituzione di un nuovo Comune, denominato Mappano, con territorio risultante dal distacco di porzioni attualmente riferite ai Comuni di Settimo Torinese, Caselle Torinese, Borgaro Torinese e Leinì.

La Regione Piemonte, con deliberazione del Consiglio n. 271-34222 del 29 luglio 2009, aveva indetto al proposito un referendum consultivo, ed il relativo provvedimento era stato impugnato dal Comune di Leinì. Il Tribunale procedente aveva accolto la domanda di sospensiva proposta dal ricorrente, con provvedimento però riformato dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare. Per tale ragione, con proprio decreto n. 17 del 16 febbraio 2010, il Presidente della Giunta regionale del Piemonte aveva nuovamente indetto un referendum consultivo.

Anche il nuovo provvedimento è stato impugnato dal Comune di Leinì, cui si è affiancato, con analogo ricorso, quello di Settimo Torinese.

A sostegno dell’impugnazione si è dedotta l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. n. 51 del 1992, il cui secondo comma, fissando la soglia minima di consistenza demografica per i Comuni di nuova istituzione a cinquemila unità, salvo il caso della fusione tra Comuni già esistenti, consente la creazione di nuovi Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti. La norma contrasterebbe con il disposto dell’art. 15 del d.lgs. n. 267 del 2000, ove è stabilito che le Regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei Comuni – sentite, nelle forme previste dalla legge regionale, le popolazioni interessate – ma non istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti (o Comuni per effetto della cui costituzione altri enti rimangano con popolazione inferiore alla soglia indicata), salvo il caso della fusione tra Comuni esistenti.

Nella prospettazione dei ricorrenti, la disposizione appena citata esprimerebbe una norma non derogabile dalle Regioni, in quanto principio generale posto dallo Stato in una materia di potestà legislativa concorrente. I ricorrenti avrebbero sostenuto anche, secondo la sintesi esposta dal giudice a quo, che la norma interposta attiene alla «materia dell’ordinamento degli enti locali», asseritamente rimessa alla competenza legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.

1.2. – Nel giudizio principale, sempre secondo l’esposizione del rimettente, la Regione Piemonte ha sostenuto la pertinenza della materia «circoscrizioni comunali» alla competenza residuale delle Regioni, poiché l’originario e specifico riferimento ad essa contenuto nell’art. 117 Cost., quale materia di competenza concorrente, non è stato ripreso dopo la modifica della norma costituzionale. A favore della esclusiva competenza regionale militerebbero anche l’invariato tenore del secondo comma dell’art. 133 Cost., secondo il quale la Regione può istituire nel proprio territorio nuovi Comuni, e modificare la circoscrizione e la denominazione di quelli esistenti, e la previsione del primo comma della stessa norma, che riserva espressamente allo Stato la sola istituzione di nuove Province.

1.3. – Il Tribunale piemontese condivide i dubbi dei ricorrenti circa la legittimità costituzionale della legge regionale che disciplina il procedimento per la creazione di nuovi Comuni.

In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che tutti i provvedimenti regionali impugnati si fondano sulla legge reg. n. 51 del 1992. In particolare, solo la disposizione censurata consentirebbe (in contrasto con l’art. 15 del d.lgs. n. 267 del 2000) di istituire il comune di Mappano, che conterebbe una popolazione inferiore alle diecimila persone. Dall’accoglimento della questione di legittimità costituzionale deriverebbe dunque l’invalidità dei provvedimenti impugnati dai ricorrenti, con conseguente loro annullamento.

1.4. – Nel merito della questione, il giudice rimettente assume che l’esame coordinato di tutte le disposizioni dell’art. 117 Cost. dimostrerebbe l’afferenza della materia avente ad oggetto l’ordinamento territoriale dei Comuni alla lettera p) del secondo comma. Il legislatore costituzionale avrebbe infatti voluto assegnare alla competenza esclusiva dello Stato «ogni segmento della vita delle autonomie locali, principiando dal momento genetico, identificato nella “legislazione elettorale” (…), di poi transitando attraverso il momento diacronico dell’attività e delle competenze degli “organi di governo”, fino a giungere all’approdo terminale del tracciato percorso fenomenico, individuandolo nelle “funzioni fondamentali” dell’ente locale».

Non potrebbe allora sfuggire alla medesima competenza il «momento genetico basilare», cioè la istituzione e la delimitazione territoriale dell’ente. Ed infatti – ribadisce il rimettente – il nuovo testo del terzo comma dell’art. 117 Cost. non comprende più il precedente riferimento alla competenza legislativa regionale in materia di circoscrizioni comunali.

L’intervenuto mutamento del quadro costituzionale varrebbe anche a limitare l’odierna rilevanza di una pronuncia fortemente valorizzata dai ricorrenti, cioè la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1993. Nell’occasione, il disposto del primo comma dell’art. 11 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), era stato certamente riferito «al quadro dei nuovi principi organizzativi delle autonomie locali», ma – secondo il rimettente – al solo scopo di dedurne l’abrogazione implicita della legge 15 febbraio 1953, n. 71 (Ricostituzione di Comuni soppressi in regime fascista), che consentiva appunto la ricostituzione di enti anche nel caso di popolazione inferiore alle tremila persone. La Corte, del resto, aveva deliberato in base al testo allora vigente dell’art. 117 Cost., ed al disposto dell’art. 128 Cost., successivamente abrogato, a norma del quale le Province e i Comuni costituivano «enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni». In quel contesto – osserva il Tribunale – la soccombenza delle leggi regionali rispetto a principi generali fissati nella legge statale appariva del tutto naturale. Oggi, invece, il dettato della sentenza n. 1 del 1993 può rilevare nella sola parte in cui configura la soglia dei diecimila abitanti come «principio fondamentale inderogabile per l’istituzione di nuovi Comuni».

Altri precedenti della giurisprudenza costituzionale, piuttosto, varrebbero a sostenere l’assunto della competenza esclusiva dello Stato nella materia in esame. Più volte, in particolare, la Corte costituzionale avrebbe attribuito alla competenza residuale delle Regioni la disciplina delle comunità montane, «pur in presenza della loro qualificazione come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000» (la citazione è riferita alla sentenza n. 237 del 2009; sono citate, inoltre, la sentenza n. 397 del 2006, e le sentenze n. 456 e n. 244 del 2004, rectius: del 2005). Il rimettente assume che la Corte avrebbe implicitamente ammesso, per tal via, come per gli altri enti locali debba ritenersi la competenza esclusiva dello Stato.

Non sarebbe mancata neppure una presa di posizione più esplicita, che il Tribunale individua nella sentenza n. 48 del 2003. In quel contesto sarebbe stata postulata una sostanziale stabilità, pur dopo la modifica dell’art. 117 Cost., della disciplina costituzionale circa il riparto delle competenze in materia di ordinamento delle autonomie locali, con attribuzione alle sole Regioni a statuto speciale «di una competenza primaria in materia di ordinamento degli enti locali del proprio territorio». La decisione varrebbe tra l’altro, secondo il rimettente, a confermare la perdurante coesione, nel riparto costituzionale delle competenze legislative, della materia «ordinamento delle autonomie locali».

1.5. – Il Tribunale non nega la distonia tra il secondo comma dell’art. 133 Cost. e la ricostruzione fin qui riassunta, che sarebbe «interna allo stesso dettato costituzionale».

Le regole di attribuzione della competenza ad istituire nuovi Comuni, in effetti, costituirebbero un «sottoinsieme» nel corpo unitario delineato dalla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost. Si tratterebbe però, secondo il rimettente, d’un caso di competenza legislativa concorrente, con la conseguenza che le leggi regionali in materia dovrebbero comunque uniformarsi ai principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, ai sensi del terzo comma, ultima parte, del citato art. 117 Cost.

Il divieto di istituire Comuni con meno di diecimila abitanti – ripete il rimettente – sarebbe già stato definito dalla Corte costituzionale, quale «principio fondamentale», in rapporto all’art. 11 della legge n. 142 del 1990, il cui testo è stato trasfuso, senza variazioni, nell’art. 15 del d.lgs. n. 267 del 2000. Alla base del principio, l’esigenza di contenere la proliferazione degli enti territoriali e delle pertinenti strutture amministrative, al fine di ridurre la spesa pubblica e di assicurare il buon andamento dell’amministrazione.

In definitiva, secondo il Tribunale, la norma regionale censurata, ammettendo la costituzione di Comuni con meno di diecimila abitanti, viola il terzo comma dell’art. 117 Cost. Vi sarebbe anche una violazione concomitante dell’art. 3 Cost., data la difformità della disciplina introdotta da quella valevole per la generalità delle altre Regioni della Repubblica.

2. – La Regione Piemonte, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, si è costituita nel giudizio con atto depositato il 18 febbraio 2011.

Dopo aver ricostruito dettagliatamente la procedura referendaria cui si riferisce il giudizio a quo, ed aver riassunto le censure prospettate dal rimettente, la Regione nega che l’istituzione di nuovi Comuni sia materia assegnata alla competenza esclusiva o concorrente dello Stato.

Nel procedere all’esegesi di quanto disposto alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., il Tribunale avrebbe forzato la portata della norma, assimilando la procedura elettorale e quella istitutiva in un preteso segmento unitario pertinente alla nascita dell’ente territoriale. In realtà – si osserva – non possono esservi elezioni senza che l’ente già esista in tutte le sue componenti, dal territorio alla popolazione, e d’altra parte la materia «legislazione elettorale» non può certo comprendere l’istituzione degli enti che dovranno essere governati attraverso organi elettivi.

Lo stesso rimettente – prosegue la Regione – ha dovuto prendere atto d’una pretesa «contraddizione interna» al dettato costituzionale, senza per altro ben chiarire come l’esplicita previsione della competenza regionale (di cui al secondo comma dell’art. 133 Cost.) possa conciliarsi con l’asserita e complessiva competenza statale per la materia «ordinamento delle autonomie locali». Il rilievo varrebbe ad evidenziare che l’espunzione delle «circoscrizioni comunali» dal testo vigente dell’art. 117 Cost. non mirava ad una completa inclusione della materia in quella di «ordinamento degli enti locali», quanto piuttosto ad una disciplina articolata: competenza statale quanto alla legislazione elettorale ed alle funzioni fondamentali degli enti territoriali sub-regionali; competenza regionale non solo quanto all’ordinamento territoriale dei Comuni, ma anche per l’organizzazione amministrativa dei medesimi.

Del resto – prosegue la Regione Piemonte – il legislatore costituzionale avrebbe potuto facilmente includere in modo espresso la materia «ordinamento degli enti locali», se questa fosse stata la sua intenzione, tra le competenze esclusive dello Stato. Invece, in modo espresso, ha riservato alla legislazione nazionale solo le materie indicate alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 ed al primo comma dell’art. 133 (che sancisce, in significativa difformità dal disposto del comma successivo, la competenza statale per l’istituzione di nuove Province). Lo spazio restante dovrebbe intendersi regolato, quindi, in termini di competenza regionale residuale.

2.1. – La ricostruzione del Tribunale amministrativo piemontese non sarebbe adeguatamente sostenuta – secondo la difesa regionale – dalla giurisprudenza costituzionale evocata nel testo dell’ordinanza di rimessione: una giurisprudenza che sarebbe stata avviata da una affermazione apodittica, poi più volte reiterata senza ulteriori approfondimenti (sono citate le sentenze n. 159 del 2008, n. 377 e n. 48 del 2003).

Non si potrebbero trascurare, d’altra parte, le pronunce della stessa Corte costituzionale in materia di comunità montane, la cui disciplina è stata attribuita alla competenza regionale in applicazione del quarto comma dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del 2006, nn. 456 e 244 del 2005). Il rimettente ha sostenuto che la Corte avrebbe identificato la competenza in questione «nonostante» la natura di enti locali delle comunità montane, con ciò significando che detta natura comporta di regola una competenza statale. Ma si tratterebbe di un fraintendimento. La Corte avrebbe inteso rilevare che, per quanto enti locali, le comunità non sono comprese nella previsione della lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che delimita specificamente sia gli enti interessati che i profili ordinamentali rimessi alla legislazione nazionale. Con la conseguenza che, non ricorrendo neppure una ipotesi di competenza concorrente, la disciplina delle comunità ricadrebbe appunto nell’ambito residuale regolato dal quarto comma della citata norma costituzionale.

Il riconoscimento di competenze regionali esclusive in materia di enti locali varrebbe a smentire, secondo la Regione Piemonte, la pretesa di una competenza statale generalizzata in punto di ordinamento degli enti medesimi. La stessa logica applicata per le comunità montane, anzi, dovrebbe indurre ad identificare una competenza residuale con la sola eccezione delle materie specificamente sottratte dalla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., cioè la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali degli enti sub-regionali. Il che in effetti sarebbe avvenuto, secondo la Regione, con la sentenza n. 326 del 2008, ove la Corte, pur senza direttamente smentire la pertinenza alla competenza esclusiva dello Stato della materia dell’ordinamento locale, avrebbe comunque riconosciuto l’esistenza di una sub-materia («organizzazione degli uffici degli enti territoriali») attribuibile secondo un criterio di competenza residuale delle Regioni.

Si tratterebbe quindi, a giudizio della difesa regionale, di una sub-materia a sua volta non riconducibile alla più volte citata lettera p). Un’ulteriore situazione dello stesso genere sarebbe stata individuata dalla Corte costituzionale, a proposito della «organizzazione degli enti locali», con la sentenza n. 324 del 2010.

2.2. – In definitiva, secondo la Regione Piemonte, la giurisprudenza costituzionale esprimerebbe due indirizzi. Secondo il primo, la potestà legislativa in materia di ordinamento degli enti locali, anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sarebbe rimasta immutata in capo allo Stato (sono citate le sentenze n. 159 del 2008, nn. 377 e 48 del 2003). Ve ne sarebbe però un secondo, sviluppatosi con riguardo alle comunità montane, in base al quale la materia sarebbe ormai rimessa alla competenza regionale residuale (sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del 2006, nn. 456 e 244 del 2005). Gli argomenti esposti a sostegno di tale ultimo orientamento sarebbero spendibili anche per gli altri enti locali, con il solo limite di quanto espressamente stabilito alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost.

2.3. – A parere della Regione Piemonte, in definitiva, la soppressione dell’art. 128 Cost. avrebbe comportato la prevalenza nella materia in esame del criterio residuale di attribuzione della competenza, con l’eccezione di tre ristrette «sub-materie». In particolare, i mutamenti territoriali delle circoscrizioni comunali sarebbero rimessi alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni, con la sola eccezione dei casi di spostamento del singolo Comune dal territorio di una Regione a quello di un’altra, che restano riservati (in base all’art. 132 Cost.) alla legislazione statale.

L’attribuzione alla potestà regionale confermerebbe del resto una scelta già espressa dal precedente testo dell’art. 117 Cost., e ribadita dalla perdurante statuizione del secondo comma dell’art. 133 Cost., dalla quale si desumerebbe che, nella materia de qua, l’unico principio generale è dato dalla necessità di consultazione delle popolazioni interessate. Per tali motivi avrebbe perso ogni effetto cogente, quale principio generale dettato in una materia di competenza concorrente, la norma dettata dall’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 267 del 2000.

Quanto meno, la norma in questione risulterebbe «cedevole» rispetto al concreto esercizio della sopravvenuta potestà regionale esclusiva, secondo il disposto dell’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e nella mera prospettiva del principio «di continuità» più volte espresso dalla Corte costituzionale (sono citate le sentenze n. 401 del 2007, n. 162 del 2005 e n. 13 del 2004).

La Regione Piemonte, appunto, avrebbe utilizzato le competenze esclusive sopravvenute per disciplinare lo stesso oggetto, dettando con la norma censurata una disciplina sostitutiva di quella statale preesistente. La qual cosa, secondo l’interveniente, sarebbe avvenuta (sempre nel senso di un abbassamento a cinquemila unità della popolazione minima per i Comuni di nuova istituzione) anche ad opera di altre Regioni (sono citate l’Abruzzo e la Sicilia).

La circostanza varrebbe a documentare, tra l’altro, l’infondatezza della dedotta violazione dell’art. 3 Cost.



Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con ordinanza depositata in data 19 novembre 2010, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali), come modificato dall’art. 6, comma 1 (rectius: comma 2), della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 10, recante «Modifiche alla legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 (Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo) e alla legge regionale 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali)», nella parte in cui stabilisce – in violazione del disposto dell’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), secondo cui le Regioni non possono istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti – il solo divieto di istituire Comuni la cui popolazione consista in meno di cinquemila unità.

Secondo il Tribunale rimettente, una corretta esegesi del novellato art. 117 Cost. condurrebbe ad includere l’istituzione di nuovi Comuni nell’ambito della previsione recata dalla lettera p) del secondo comma, riferendo dunque la materia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Per altro verso, nella prospettazione del giudice a quo, il raccordo tra la disposizione citata ed il secondo comma dell’art. 133 Cost. (che prevede l’istituzione di nuovi Comuni mediante leggi regionali) implicherebbe, per la materia de qua, una competenza concorrente di Stato e Regioni. Sarebbe dunque riservata allo Stato l’enunciazione di principi fondamentali, tra i quali dovrebbe annoverarsi la fissazione di limiti minimi di consistenza demografica per i Comuni di nuova istituzione.

Questa Corte, con la sentenza n. 1 del 1993, avrebbe già riconosciuto il valore di principio generale alla norma oggi trasposta nell’art. 15 del d.lgs. n. 267 del 2000, ove è stabilito tra l’altro che le Regioni non possono istituire nuovi Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti. Dunque la disposizione regionale censurata, consentendo la creazione di Comuni con un numero di abitanti inferiore, violerebbe il disposto del terzo comma dell’art. 117 Cost.

Sarebbe violato anche l’art. 3 Cost., data la disparità della disciplina introdotta per il territorio piemontese rispetto alla normativa vigente per le porzioni restanti del territorio nazionale.

2. – La questione sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è inammissibile.

Occorre premettere, al proposito, una ricostruzione del quadro normativo costituzionale e della sua evoluzione. L’art. 117 Cost., nel testo antecedente alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), includeva la materia «circoscrizioni comunali» tra quelle di competenza concorrente delle Regioni, le quali dovevano rispettare, nell’esercizio della loro competenza legislativa, i «principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato» (primo comma del medesimo art. 117, nel testo originario).

In seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, la materia «circoscrizioni comunali» non è stata inclusa nel nuovo testo dell’art. 117, che invece, nel secondo comma, lettera p), attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Nessun riferimento alle circoscrizioni comunali, in particolare, è contenuto nel terzo comma del medesimo art. 117, che elenca le materie rientranti nella competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni.

A differenza dell’art. 117 Cost., è rimasto invariato, dopo la riforma del 2001, il testo dell’art. 133 Cost., nel cui secondo comma è stabilito: «La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni».

3. – Per motivare la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. n. 51 del 1992 – come modificato dalla legge reg. n. 10 del 2009 – il rimettente afferma inizialmente che, con l’art. 117, secondo comma, lettera p), il legislatore costituzionale «ha inteso abbracciare e includere nel raggio della competenza legislativa esclusiva dello Stato ogni segmento della vita degli enti locali, principiando dal momento genetico, identificato nella “legislazione elettorale” […]». Su tale presupposto interpretativo, il giudice a quo afferma che «ogni momento della vita di un ente locale è devoluto dal legislatore costituzionale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato», con la conseguenza che «appare in re ipsa che siffatta devoluzione includa anche il momento genetico basilare della istituzione stessa di un ente locale, nelle sue componenti geografiche e personali, ivi compresa la fissazione del numero minimo di abitanti». In definitiva sarebbe possibile affermare, secondo il rimettente, la «onnicomprensività dell’ascrizione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in tutta la materia dell’ordinamento degli enti locali», derivante, a suo dire, dalla soppressione della materia «circoscrizioni comunali», «espunta dal testo del comma 3 dell’art. 117 che enumera le materie di legislazione concorrente».

Ad ulteriore chiarimento del suo pensiero, il giudice a quo ha affermato che «eliminando dal novero delle materie di legislazione concorrente quella delle circoscrizioni comunali ed abbracciando ogni settore della vita degli enti locali nel fuoco dell’art. 117, lettera p), il legislatore costituzionale ha palesato l’intento di riservare alla legislazione esclusiva dello Stato tutto il microsistema dell’ordinamento degli enti locali, in ossequio al superiore pregnante principio dell’unitarietà dell’ordinamento giuridico».

Di fronte al disposto del secondo comma dell’art. 133 Cost. – che, come segnalato prima, stabilisce la competenza regionale sull’istituzione di nuovi Comuni, e sulle modificazioni delle loro circoscrizioni e denominazioni – il rimettente rileva «un’intima contraddizione, interna allo stesso dettato costituzionale». Dopo aver ricordato che il quarto comma dell’art. 117 Cost., a seguito della riforma intervenuta nel 2001, ha attribuito alla competenza legislativa residuale delle Regioni tutte le materie non espressamente riservate alla potestà legislativa dello Stato, il Tribunale amministrativo conclude nel senso che «il micro settore dell’istituzione di nuovi comuni, rientrante nel perimetro della materia “ordinamento delle autonomie locali”, sia da ascrivere non certo alla potestà legislativa primaria o residuale […], bensì, più correttamente, al quadro della competenza legislativa concorrente». In sostanza, il legislatore costituzionale avrebbe «ritagliato a favore della potestà normativa regionale una sfera di competenza regionale ripartita o concorrente, concernente l’istituzione di nuovi comuni e la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni».

4. – Deve osservare questa Corte che la contraddizione che il rimettente attribuisce alle norme costituzionali è insita invece nell’iter della motivazione che sorregge l’atto introduttivo del giudizio.

È agevole rilevare che una competenza esclusiva statale in materia di ordinamento degli enti locali – dal rimettente definita «onnicomprensiva» ed esplicitamente riferita anche alle circoscrizioni comunali – non si concilia con una ritenuta competenza concorrente delle Regioni, che non solo non emerge dal testo del secondo comma dell’art. 133 Cost., ma non è neppure menzionata nel terzo comma dell’art. 117 Cost. La trasformazione operata dal rimettente nel corso del suo ragionamento circa la natura della competenza legislativa dello Stato – da esclusiva, come affermato in apertura, a concorrente – non trova giustificazione in alcuna disposizione costituzionale. Essa si pone anzi in netto contrasto, logico e giuridico, con l’interpretazione data dal medesimo giudice a quo della lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che ingloberebbe, a suo dire, tutti gli aspetti della vita degli enti locali, a partire dalla loro istituzione, sino alla determinazione delle loro funzioni fondamentali.

Il combinato disposto di due norme costituzionali, la prima delle quali – art. 117, secondo comma, lettera p) – configurerebbe, secondo il rimettente, una competenza esclusiva statale onnicomprensiva in materia di enti locali, mentre l’altra (art. 133, secondo comma) conferisce espressamente alle Regioni la potestà legislativa in materia di circoscrizioni comunali, non può dare origine ad una nuova materia di competenza legislativa concorrente, non prevista né dal terzo comma dell’art. 117 Cost. – assunto dal rimettente a parametro della presente questione di legittimità costituzionale – né dal secondo comma dell’art. 133.

Del resto, se la costruzione ermeneutica del rimettente fosse plausibile, non si comprenderebbe perché lo stesso metta in rilievo una contraddizione nel dettato costituzionale, che, nella sua prospettiva, sarebbe invece del tutto coerente. Delle due l’una: o lo Stato possiede una competenza legislativa esclusiva «onnicomprensiva» in materia di ordinamento degli enti locali, ed allora la previsione dell’art. 133 Cost. costituirebbe una deroga, un “ritaglio” di una parte di tale competenza in favore della potestà legislativa residuale delle Regioni, poiché non esiste alcun appiglio, né testuale né sistematico, per affermare l’esistenza di una potestà concorrente; oppure la potestà legislativa esclusiva dello Stato non è «onnicomprensiva», ma è limitata ai campi di disciplina espressamente menzionati nella lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., ed allora dovrebbe configurarsi una competenza legislativa residuale delle Regioni, in base al criterio fondamentale di riparto stabilito nel nuovo art. 117 Cost., che contiene una elencazione di materie di competenza esclusiva statale e di competenza concorrente, con la conseguenza di far rifluire nella potestà residuale delle Regioni quelle non esplicitamente previste.

Si pone, in conclusione, come illogica e contraddittoria l’individuazione di una potestà legislativa esclusiva dello Stato, derivante dall’art. 117, secondo comma, lettera p), che risulterebbe “affievolita” in concorrente, per la contemporanea vigenza dell’art. 133, secondo comma, che attribuisce, senza porre limiti, la competenza legislativa, in materia di circoscrizioni comunali, alle Regioni.

Per le ragioni esposte, la questione relativa all’art. 117, terzo comma, Cost., risulta motivata in termini contraddittori, e va dunque dichiarata inammissibile, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, di recente, ordinanze n. 31 del 2010 e n. 127 del 2009).

5. – Parimenti inammissibile è la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.

Il rimettente non spiega come una diversità di disciplina – che deriva in modo naturale dalla ripartizione costituzionale della potestà legislativa tra Stato e Regioni – possa violare l’art. 3 Cost. Tale violazione, nella fattispecie, potrebbe ipotizzarsi in astratto (salva dunque la verifica nel merito) solo se la ricostruzione operata in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost. non fosse contraddittoria, come sopra si è invece dimostrato. La contraddittorietà delle argomentazioni riferite alle norme costituzionali sul riparto delle competenze legislative si riflette, pertanto, sulla censura che evoca l’art. 3 Cost. e ne determina, di conseguenza, l’inammissibilità.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di Comuni, circoscrizioni provinciali), come modificato dall’art. 6, comma 2, della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 10, recante «Modifiche alla legge regionale 16 gennaio 1973, n. 4 (Iniziativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo) e alla legge regionale 2 dicembre 1992, n. 51 (Disposizioni in materia di circoscrizioni comunali, unione e fusione di comuni, circoscrizioni provinciali)», sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 ottobre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI