Ordinanza 318/2011

Ordinanza 318/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore GALLO

Camera di Consiglio del 09/11/2011 Decisione del 21/11/2011
Deposito del 23/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Secondo periodo del n. 2 del c. 1° dell'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29/09/1973, n. 600, come modificato dal n. 1 della lett. a) del c. 402° e dal c. 572° dell'art. 1 della legge 30/12/2004, n. 311.
Massime:
Atti decisi: ord. 156 e 157/2011


ORDINANZA N. 318

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA,



ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del secondo periodo del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dal numero 1) della lettera a) del comma 402 e dal comma 572 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), promossi con due ordinanze, entrambe del 14 dicembre 2010, dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara nei giudizi vertenti tra un contribuente e la Direzione provinciale di Pescara dell’Agenzia delle entrate, iscritte al n. 156 ed al n. 157 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 novembre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo.



Ritenuto che con due ordinanze di analogo contenuto, entrambe del 14 dicembre 2010, la Commissione tributaria provinciale di Pescara – nel corso di due giudizi nei quali un professionista aveva impugnato gli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP degli anni, rispettivamente, 2003 e 2004, emessi dall’Agenzia delle entrate in conseguenza della mancata presentazione delle correlative dichiarazioni – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale del secondo periodo del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dal numero 1) della lettera a) del comma 402 «e dal comma 572» dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), entrata in vigore il 1° gennaio 2005, nella parte in cui stabilisce che «sono […] posti come ricavi o compensi a base delle […] rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei […] rapporti od operazioni» di natura finanziaria;

che, secondo il rimettente: a) la disposizione denunciata, nel testo vigente fino al 31 dicembre 2004, pone la presunzione che i «prelevamenti» (e non anche gli «importi riscossi»), se non giustificati e non contabilizzati e se effettuati da un imprenditore, sono considerati «ricavi» d’impresa, con conseguente inapplicabilità della presunzione ai prelevamenti effettuati da un esercente un’arte o professione; b) la stessa disposizione, nel testo in vigore il 1° gennaio 2005 ed applicabile ratione temporis nei giudizi principali, amplia la portata di tale presunzione stabilendo che non solo i «prelevamenti», ma anche gli «importi riscossi» (se non giustificati e non contabilizzati) costituiscono «ricavi o compensi», con la conseguenza che la presunzione opera anche nel caso in cui i prelevamenti siano effettuati dagli esercenti un’arte o professione; c) quest’ultimo testo dell’articolo 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 è applicabile anche ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data della sua entrata in vigore e, quindi, riguarda anche le attività di arti o professioni ed i correlativi «compensi» professionali che si presumono percepiti in tali periodi;

che pertanto, ad avviso del giudice a quo, la censurata normativa – per effetto del rilevato ampliamento della portata della presunzione, applicabile agli esercenti arti e professioni anche con riguardo agli anni d’imposta anteriori a quello in corso al 1° gennaio 2005 – víola: a) l’art. 3 Cost., perché: a.1.) assimila irragionevolmente, per il passato, due figure (l’imprenditore e l’esercente un’arte o professione) che seguivano, di norma, diverse regole di gestione dell’attività: l’imprenditore, infatti, aveva cura che la contabilità dei movimenti finanziari dell’impresa rimanesse separata da quella relativa agli altri affari; l’esercente un’arte o professione, invece, utilizzava in modo promiscuo i conti correnti bancari, impiegandoli per finalità sia professionali che familiari ed effettuando, perciò, una molteplicità di operazioni anche di piccolo importo, delle quali di solito non conservava traccia e memoria; a.2.) trascura il fatto che l’assunto secondo cui una spesa “occulta” è finalizzata ad un ricavo “occulto” costituisce una presunzione «generalmente sostenibile», per i suddetti anni d’imposta, se riferita non ad un esercente un’arte o professione, ma ad un imprenditore; b) l’art. 24 Cost., perché la difesa dei contribuenti che esercitano arti o professioni può essere resa troppo difficile dalla necessità di dover ricostruire a posteriori, con riferimento ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 1° gennaio 2005, «operazioni professionali per le quali non veniva richiesta – neanche da princípi aziendalistici o civilistici – una contabilità separata» e per le quali, quindi, non è ragionevole pretendere, ora per allora, l’adempimento dell’onere di precostituire una prova contraria «puntuale e documentale», al fine di consentire in futuro l’indicazione del soggetto beneficiario e superare cosí la presunzione legale di percezione di un compenso professionale;

che il rimettente conclude, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, nel senso che la normativa denunciata si pone in contrasto con gli evocati parametri costituzionali, nella parte in cui non prevede che essa «si applichi ai compensi percepiti nell’esercizio di arti e professioni solo a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 311 del 2004» (1° gennaio 2005);

che per il medesimo giudice, infine, le sollevate questioni sono rilevanti, perché, da un lato, non è possibile fornire della disposizione censurata una interpretazione adeguatrice che possa «spingersi […] fino al punto di disapplicare la presunzione di corrispondenza di ciascun movimento finanziario non formalmente giustificato a un compenso da attività professionale» e, dall’altro, l’applicazione della presunzione porterebbe ad un risultato «sproporzionato, tenuto conto che al di là della indicazione dei beneficiari e delle incertezze sulla natura dei versamenti, gli imponibili accertati appaiono incongrui rispetto alle condizioni di salute del professionista negli anni in questione e alle medie dei redditi dichiarati da professionisti»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in entrambi i giudizi di legittimità costituzionale, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, manifestamente infondate;

che l’inammissibilità è eccepita sotto il profilo che le ordinanze di rimessione motiverebbero la rilevanza delle questioni in modo meramente apparente, non chiarendo quale concreto vantaggio il contribuente potrebbe conseguire dalla auspicata pronuncia di illegittimità costituzionale, posto che per la ricostruzione del suo reddito sarebbero comunque applicabili, per effetto della mancata presentazione delle dichiarazioni degli anni 2003 e 2004, le presunzioni previste dall’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, piú sfavorevoli per il contribuente (perché non richiedono i requisiti di gravità, precisione e concordanza) rispetto a quelle previste dalla disposizione denunciata;

che, nel merito, la difesa statale osserva che: a) anche prima della legge n. 311 del 2004 – in base alle modifiche introdotte dall’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in tema di imposte sui redditi, ed all’art. 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), in tema di IVA – gli accertamenti bancari erano esperibili nei confronti degli esercenti di arti e professioni (come riconosciuto dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 260 del 2000); b) la legge n. 311 del 2004 si è limitata ad estendere ai professionisti non la possibilità di accertamento del reddito mediante movimentazioni bancarie, «ma – se mai – unicamente la norma concernente il regime probatorio dei prelevamenti», nel senso che a base delle rettifiche sono posti, in qualità di «compensi», i prelevamenti bancari non risultanti dalle scritture contabili e per i quali il contribuente non indichi il soggetto beneficiario; c) la presunzione prevista dal denunciato art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 era applicabile al reddito di lavoro autonomo anche anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 311 del 2004, come piú volte affermato dalla Suprema Corte di cassazione;

che pertanto, a parere della medesima difesa, le sollevate questioni sono manifestamente infondate perché non sussistono le dedotte violazioni degli evocati parametri;

che, in particolare, non è violato l’art. 3 Cost., perché l’inapplicabilità della presunzione ai professionisti (esercenti un’arte o professione) ed ai loro compensi avrebbe comportato una irragionevole discriminazione tra due categorie di contribuenti e perché, comunque, la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare del 19 ottobre 2006 n. 32/E, proprio in considerazione della eventuale promiscuità dei conti degli esercenti arti o professioni, ha previsto che le presunzioni a carico di questi siano applicate secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza e, quindi, con valutazioni «non particolarmente rigide e formali»;

che, sempre per l’Avvocatura generale dello Stato, non è violato neppure l’art. 24 Cost., perché l’art. 1 della legge n. 311 del 2004 ha «natura procedimentale», con la conseguente «sua possibile e legittima retroattività», in quanto si limita ad apportare la «regolamentazione istruttoria e probatoria di una particolare ipotesi di movimento bancario» ed a prevedere «in modo vincolato come vada fornita la prova liberatoria» avverso le «presunzioni bancarie» introdotte, anche a carico dei professionisti, «fin dal 1991».

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Pescara, con due distinte ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, dubita – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione – della legittimità del secondo periodo del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dal numero 1) della lettera a) del comma 402 e dal comma 572 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), entrata in vigore il 1° gennaio 2005, nella parte in cui stabilisce che «sono […] posti come ricavi o compensi a base delle […] rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei […] rapporti od operazioni» di natura finanziaria;

che il richiamo, nelle ordinanze di rimessione, del «comma 572» dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 (in forza del quale la legge entra in vigore il 1° gennaio 2005) ha il solo fine di precisare che il testo dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 denunciato dal rimettente è quello entrato in vigore il 1° gennaio 2005;

che, ad avviso del giudice a quo, detto art. 32 si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto «non prevede che» la presunzione da esso introdotta – secondo cui i prelevamenti finanziari non giustificati e non contabilizzati integrano «compensi» professionali – «si applichi ai compensi percepiti nell’esercizio di arti e professioni solo a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 311 del 2004», e cioè solo a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2005;

che il rimettente muove dalla doppia premessa interpretativa che la presunzione secondo cui gli importi riscossi o i prelevamenti finanziari non giustificati e non contabilizzati integrano «compensi» professionali è stata introdotta dalla disposizione denunciata e che detta presunzione è applicabile anche nei periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data della sua entrata in vigore;

che, per il giudice a quo, la censurata disposizione, cosí interpretata, víola: a) l’art. 3 Cost., perché, da un lato, assimila irragionevolmente, con riguardo ai periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 1° gennaio 2005, alla figura dell’imprenditore, che segue la regola di tenere separata la contabilità dei movimenti finanziari dell’impresa, la ben diversa figura dell’esercente un’arte o professione, che, invece, è solito utilizzare promiscuamente i suoi conti correnti bancari, per finalità professionali e familiari, senza conservare traccia e memoria delle piccole operazioni; dall’altro, pone una equivalenza tra spesa “occulta” e ricavo “occulto”, la quale, se costituisce – con riguardo ai suddetti periodi d’imposta – un’ipotesi «generalmente sostenibile» per un imprenditore, è però irragionevole per un esercente un’arte o professione; b) l’art. 24 Cost., perché rende eccessivamente difficile la difesa del contribuente che eserciti un’arte o professione, costringendolo a ricostruire, per gli indicati periodi d’imposta, «operazioni professionali per le quali non veniva richiesta – neanche da princípi aziendalistici o civilistici – una contabilità separata»;

che i giudizi di legittimità costituzionale hanno il medesimo oggetto e, pertanto, debbono essere congiuntamente trattati e decisi;

che le questioni sono manifestamente inammissibili per insufficiente motivazione della rilevanza;

che, sotto un primo profilo, il rimettente non indica le ragioni per le quali deve fare applicazione della disposizione denunciata;

che, infatti, dopo aver precisato che gli avvisi di accertamento impugnati dal contribuente (esercente la professione di avvocato) sono stati emessi dall’Agenzia delle entrate in conseguenza della mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni d’imposta 2003 e 2004, il giudice a quo non chiarisce perché ritenga di dover fare applicazione delle presunzioni previste dal censurato secondo periodo del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 invece di quelle che il successivo, non censurato, art. 41, prevede proprio per il caso – a lui prospettato nei giudizi principali – di omessa presentazione della dichiarazione (presunzioni, queste, che sono piú sfavorevoli per il contribuente, perché possono essere anche prive di gravità, precisione e concordanza);

che, sotto un secondo profilo, il rimettente non indica le ragioni poste a fondamento della prima delle sopra indicate premesse interpretative da cui muove, secondo cui la presunzione a carico degli esercenti arti o professioni è stata introdotta dalla disposizione denunciata;

che, al riguardo, il giudice a quo non precisa perché ritiene di dover disattendere, sul punto, il diritto vivente, secondo cui, invece, una identica presunzione era operante già prima del 1° gennaio 2005 ed era applicabile sia agli imprenditori che agli esercenti arti o professioni;

che, in particolare, tale diritto vivente ha sempre ritenuto che, nelle previgenti formulazioni dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, il legislatore, nel prevedere che le movimentazioni finanziarie non giustificate e non contabilizzate integrano «ricavi», ha inteso designare con tale termine non solo i redditi d’impresa, ma anche i «compensi» professionali e di lavoratore autonomo (ex plurimis, le sentenze della Suprema Corte di cassazione n. 19692, n. 14041, n. 10577, n. 10576, n. 10574 e n. 802 del 2011; n. 4560 del 2010; n. 23852 e n. 6618 del 2009; n. 11750 e n. 430 del 2008; n. 13819, n. 12290, n. 11221 e n. 2437 del 2007; n. 19330 del 2006);

che, pertanto, il rimettente omette di chiarire perché l’accoglimento delle sollevate questioni impedirebbe di applicare al contribuente, quale esercente la professione di avvocato, una presunzione identica a quella prevista dalla disposizione denunciata e desumibile dalla previgente formulazione dello stesso art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del secondo periodo del numero 2) del primo comma dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dal numero 1) della lettera a) del comma 402 e dal comma 572 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara con le due ordinanze indicate in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI