Sentenza 294/2011

Sentenza 294/2011
Giudizio

Presidente QUARANTA - Redattore CASSESE

Udienza Pubblica del 04/10/2011 Decisione del 07/11/2011
Deposito del 09/11/2011 Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate: Legge della Regione Siciliana 20/03/1951, n. 29, così come modificata dalla legge della Regione Siciliana 05/12/2007, n. 22; art. 10 sexies, c. 1° bis, della legge regionale n. 29 del 1951, così come modificato dall'art. 1 della legge della Regione Siciliana 07/07/2009, n. 8.
Massime:
Atti decisi: ord. 390/2010


SENTENZA N. 294

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), così come modificata dalla legge della Regione siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), e dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951, così come modificato dall’art. 1 della legge della Regione siciliana 7 luglio 2009, n. 8 (Norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità dei deputati regionali), promosso dal Tribunale di Palermo, nel procedimento vertente tra L.P. e G.F. ed altri, con ordinanza del 16 luglio 2010, iscritta al n. 390 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti gli atti di costituzione di L.P. e di G.F. nonché gli atti di intervento di M.C.M.A., e quello, fuori termine, di R.G.N.;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2011 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Antonio Catalioto per L.P., Salvatore Raimondi e Massimo Dell’Utri per G.F.



Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 16 luglio 2010 (reg. ord. n. 390 del 2010), il Tribunale di Palermo, prima sezione civile, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione e all’art. 9 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), questione di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), come modificata dalla legge della Regione siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), «nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente o assessore della provincia regionale», e dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge della Regione siciliana n. 29 del 1951, come modificato dall’art. 1 della legge della Regione siciliana 7 luglio 2009, n. 8 (Norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui prevede che, «Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza».

L’incidente di costituzionalità è stato promosso nel corso del giudizio avente a oggetto l’accertamento dell’intervenuta decadenza di G.F. dalla carica di deputato della Regione siciliana per sopravvenuta incompatibilità, causata dalla nomina del medesimo alla carica di presidente della Provincia di Caltanissetta. Riferisce il Tribunale rimettente che, ad avviso della ricorrente nel giudizio principale, la causa di incompatibilità sopravvenuta avrebbe dovuto essere rimossa dal deputato regionale entro il termine di trenta giorni decorrenti dall’assunzione delle funzioni di presidente della Provincia, o dalla notifica del ricorso, a pena di decadenza dalla carica di deputato regionale. Tale disciplina si ricaverebbe da una lettura costituzionalmente orientata della legge regionale n. 29 del 1951, che, secondo la ricorrente, si renderebbe necessaria a seguito della sentenza n. 143 del 2010. Avendo la Corte, con tale pronuncia, dichiarato l’illegittimità della legge regionale n. 29 del 1951, come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco o assessore di un Comune con popolazione superiore a ventimila abitanti, si dovrebbe, altresì, riconoscere l’esistenza dell’analoga incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente o assessore della Provincia regionale.

1.1. – Con riferimento alla questione relativa alla legge regionale n. 29 del 1951, come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, il Tribunale rimettente ritiene che l’interpretazione costituzionalmente orientata prospettata dalla ricorrente non sia accettabile, in considerazione del divieto di interpretare in modo estensivo le cause di ineleggibilità e incompatibilità. Il principio di stretta interpretazione non consentirebbe, infatti, di equiparare la posizione del presidente o assessore della provincia a quella di sindaco o assessore comunale. Spetterebbe, pertanto, a questa Corte pronunciarsi sulla questione di costituzionalità riguardante la presunta incompatibilità tra la carica di deputato regionale e la carica di presidente o assessore di una provincia regionale.

In punto di rilevanza, il giudice a quo sostiene che, in mancanza di una espressa previsione in ordine alla causa di incompatibilità contestata, solo l’eventuale accoglimento della questione di legittimità costituzionale consentirebbe una diversa valutazione del ricorso.

In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ritiene che l’omessa previsione della incompatibilità tra la carica di deputato regionale e la carica di presidente o assessore provinciale sollevi dubbi di legittimità costituzionale sotto vari profili.

Innanzi tutto, nel quadro normativo risultante dalla sentenza n. 143 del 2010, la mancata previsione di detta causa di incompatibilità determinerebbe una manifesta violazione dell’art. 3 Cost. Mentre l’ineleggibilità sopravvenuta alla carica di sindaco o assessore di un Comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti sostanzia – a seguito della menzionata pronuncia della Corte – un’ipotesi di incompatibilità, tale conseguenza non si produrrebbe nel caso di sopravvenuta elezione a presidente o assessore di una Provincia regionale, nonostante si tratti di cause di incompatibilità che presentano la medesima ratio.

In secondo luogo, il giudice rimettente deduce che, sebbene il limite dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale ai sensi dell’art. 122 Cost. si imponga solo alle Regioni a statuto ordinario, la Regione siciliana non potrà comunque sottrarsi, se non laddove ricorrano peculiari condizioni locali, all’applicazione dei principi enunciati dalla legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), ove essi siano espressivi dell’esigenza di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost. Tra tali principi assumerebbe rilievo il parallelismo tra le cause di incompatibilità e le cause di ineleggibilità sopravvenuta, desumibile dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 165 del 2004. Tale vincolo imporrebbe di disciplinare le ipotesi di ineleggibilità sopravvenuta come incompatibilità in tutti i casi di conflitto tra le funzioni dei consiglieri regionali «e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibili, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva», come stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 165 del 2004.

In terzo luogo, il Tribunale rimettente afferma la contrarietà all’art. 97 Cost. del cumulo tra la carica di consigliere regionale e la carica di presidente o assessore di una Provincia regionale, in quanto tale cumulo avrebbe una incidenza negativa sull’esercizio efficiente e imparziale delle funzioni e comprometterebbe il libero espletamento della carica elettiva.

1.2. – Il giudice rimettente deduce, altresì, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951, come modificato dalla legge regionale n. 8 del 2009, nella parte in cui prevede che «Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza», in riferimento agli articoli 3, 51 e 97 Cost. e all’art. 9 dello statuto della Regione siciliana.

In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che anche tale questione incide sulla decisione da assumere nel giudizio principale, poiché attiene all’individuazione del termine entro cui esercitare l’opzione nel caso di sopravvenuta incompatibilità.

In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo desume il contrasto tra la norma censurata e il parametro interposto rappresentato dall’art. 3, comma 1, lettera g), della legge n. 165 del 2004. Questa disposizione prevede la «fissazione di un termine dall’accertamento della causa di incompatibilità, non superiore a trenta giorni, entro il quale, a pena di decadenza dalla carica, deve essere esercitata l’opzione o deve cessare la causa che determina l’incompatibilità, ferma restando la tutela del diritto dell’eletto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato». Nell’ordinamento statale, sia l’art. 7, comma 5, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), sia l’art. 69, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), fissano detto termine in dieci giorni decorrenti dalla notifica del ricorso. In considerazione di questi dati, la previsione contenuta nell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951, facendo decorrere il termine per l’esercizio del diritto di opzione dal passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato l’incompatibilità, stabilisce, ad avviso del Tribunale rimettente, «un termine irragionevolmente lungo, stante i necessari tempi per il passaggio in giudicato dell’accertamento, e tale da determinare una sostanziale non operatività della causa di incompatibilità, potendo tale accertamento durare quanto il mandato».

2. – In data 14 gennaio 2011, è intervenuta in giudizio L.P., ricorrente nel giudizio principale, la quale sostiene che entrambe le questioni sollevate dal Tribunale di Palermo siano fondate. Per quanto riguarda, in particolare, il termine per l’esercizio del diritto di opzione, la previsione contenuta nell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951 definirebbe un termine «del tutto incerto e indeterminato nella durata» e configurerebbe «un ingiustificato ed irrazionale privilegio nei confronti dei deputati siciliani che, unici sul territorio nazionale, possono procrastinare, addirittura fino al passaggio in giudicato della sentenza, una situazione giuridica impeditiva dell’esercizio continuativo di due attività tra loro inconciliabili». La disposizione controversa violerebbe le norme costituzionali richiamate (artt. 3, 51 e 97) anche perché, dettando una disciplina contraria ai principi desumibili dalla legge n. 165 del 2004 (in particolare, all’art. 3, comma 1, lettera g), «si allontan[erebbe] da una linea di tendenza ben radicata nell’ordinamento giuridico» senza addurre «alcuna specifica ragione».

3. – In data 18 gennaio 2011, si è costituito in giudizio G.F., controparte nel giudizio principale, il quale ha eccepito la manifesta infondatezza di entrambe le questioni sollevate. A suo avviso, la mancata previsione della causa di incompatibilità rappresenterebbe «una scelta legislativa rientrante nell’ambito della discrezionalità connessa alla specialità della Sicilia, la quale ha comportato una disciplina delle funzioni delle province regionali […] affatto diversa da quella statale».

La parte privata deduce, poi, il difetto di rilevanza della seconda questione, in quanto la disciplina che risulterebbe da un’eventuale pronuncia di accoglimento non sarebbe comunque applicabile nel giudizio principale. L’eventuale declaratoria di incostituzionalità farebbe rivivere l’art. 10-sexies della legge regionale n. 29 del 1951 nella formulazione pregressa, che prescriveva, per la rimozione dell’incompatibilità sopravvenuta, un termine di trenta giorni dall’inizio dell’esercizio delle funzioni. Tale previsione, però, non sarebbe applicabile al caso in esame, non potendosi «pretendere che [l’eletto] facesse applicazione di una disposizione che nel momento in cui ha avuto inizio l’esercizio delle funzioni di presidente della provincia aveva cessato di esistere».

Nel merito, la seconda questione sarebbe manifestamente infondata. La decorrenza del termine per l’esercizio del diritto di opzione dal passaggio in giudicato della sentenza di accertamento dell’incompatibilità sarebbe conforme al dettato dell’art. 3, comma 1, lettera g), della legge n. 165 del 2004. Correttamente interpretato, esso implicherebbe che, ove sia intrapresa la via giudiziale, l’«“accertamento della causa di incompatibilità” […] si ha con la sentenza e non certo con la notifica del ricorso».

4. – In data 18 gennaio 2011, è intervenuta in giudizio M.C.M.A., interveniente ad adiuvandum, ricorrente in un analogo giudizio – sospeso in attesa della definizione del presente giudizio di costituzionalità – avente ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta decadenza di R.G.N. dalla carica di deputato della Regione siciliana per incompatibilità con la sopravvenuta elezione a sindaco di un Comune di grandi dimensioni. La parte privata deduce la fondatezza delle questioni sollevate dal giudice rimettente e chiede a questa Corte di chiarire che, in caso di accoglimento, si dovrebbe applicare la disciplina statale sul termine contenuta nell’art. 84 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 670 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), trattandosi di una materia – l’ordinamento processuale – che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riconduce alla competenza esclusiva del legislatore statale.

5. – In data 10 febbraio 2011, si è costituito in giudizio, fuori termine, R.G.N., in qualità di interveniente ad opponendum.



Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Palermo, prima sezione civile, con ordinanza del 16 luglio 2010 (reg. ord. n. 390 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), come modificata dalla legge della Regione siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente o assessore della Provincia regionale, e dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge della Regione siciliana n. 29 del 1951, come modificato dall’art. 1 della legge della Regione siciliana 7 luglio 2009, n. 8 (Norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui prevede che, «Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza». Le due questioni si riferiscono entrambe agli artt. 3, 51 e 97 Cost. e all’art. 9 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana).

2. – In via preliminare va esaminata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controparte nel giudizio principale, secondo la quale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951 non sarebbe rilevante, in quanto non sarebbe possibile applicare al giudizio a quo la disciplina derivante da una eventuale sentenza di accoglimento.

Ad avviso della parte privata, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata avrebbe l’effetto di far rivivere l’art. 10-sexies nel testo previgente, risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 22 del 2007, che fissava, per la rimozione dell’incompatibilità sopravvenuta, un termine di trenta giorni dall’inizio dell’esercizio delle funzioni. Tale disposizione, però, non sarebbe «applicabile al caso in esame perché abrogata prima dell’elezione del deducente. E non si può pretendere che questi facesse applicazione di una disposizione che nel momento in cui ha avuto inizio l’esercizio delle funzioni di presidente della provincia aveva cessato di esistere».

L’eccezione non è fondata.

A prescindere dalla dubbia ammissibilità della reviviscenza di norme abrogate da disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime (sentenze n. 24 del 2011, n. 74 del 1996, n. 310 del 1993 e ordinanza n. 306 del 2000), ai fini del giudizio di rilevanza è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale le questioni incidentali di legittimità sono ammissibili «quando la norma impugnata è applicabile nel processo d’origine e, quindi, la decisione della Corte è idonea a determinare effetti nel processo stesso; mentre è totalmente ininfluente sull’ammissibilità della questione il “senso” degli ipotetici effetti che potrebbero derivare per le parti in causa da una pronuncia sulla costituzionalità della legge» (sentenza n. 98 del 1997). Compete, dunque, al Tribunale rimettente valutare le conseguenze applicative che potrebbero derivare da una eventuale pronuncia di accoglimento e, in particolare, stabilire quale norma debba essere applicata nel giudizio principale.

3. – Prima di esaminare il merito delle questioni sollevate, è opportuno richiamare le recenti modificazioni operate dal legislatore siciliano in tema di incompatibilità dei consiglieri regionali.

3.1. – Anteriormente alle modifiche introdotte nel 2007, la legge regionale n. 29 del 1951 prevedeva, all’art. 8, comma 1, alinea 4, che fossero ineleggibili alla carica di deputato regionale «i Sindaci e gli Assessori dei Comuni con popolazione superiore a 40 mila abitanti o che siano capoluoghi di Provincia regionale o sedi delle attuali Amministrazioni straordinarie delle Province, nonché i Presidenti e gli Assessori di dette amministrazioni». Al tempo stesso, l’art. 62, comma 3, della medesima legge stabiliva che «l’ufficio di deputato regionale è incompatibile con gli uffici e con gli impieghi» indicati, tra l’altro, nel comma 1 dell’art. 8.

La legge regionale n. 22 del 2007 ha modificato le cause di ineleggibilità previste dall’art. 8 della legge regionale n. 29 del 1951 e ha fatto venir meno il precedente parallelismo tra ipotesi di ineleggibilità e incompatibilità. Per quanto riguarda gli amministratori locali, sono ineleggibili a deputato regionale «a) i presidenti e gli assessori delle province regionali; b) i sindaci e gli assessori dei comuni, compresi nel territorio della Regione, con popolazione superiore a 20 mila abitanti, secondo i dati ufficiali dell’ultimo censimento generale della popolazione». Tuttavia, l’abrogazione del menzionato art. 62 ha fatto venir meno le corrispondenti ipotesi di incompatibilità.

Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 23 gennaio 2009 (reg. ord. n. 185 del 2009), ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 29 del 1951, «così come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità del deputato regionale che sia anche assessore di un comune» di grandi dimensioni. Con sentenza n. 143 del 2010, questa Corte ha dichiarato fondata la questione, ripristinando il parallelismo tra ipotesi di ineleggibilità e incompatibilità in riferimento al cumulo tra la carica di deputato regionale e la carica di amministratore comunale.

3.2. – In pendenza del giudizio di costituzionalità deciso con la sentenza n. 143 del 2010, il legislatore siciliano, con legge regionale n. 8 del 2009, ha nuovamente modificato la legge regionale n. 29 del 1951, intervenendo sulla disciplina del termine per esercitare il diritto di opzione nell’ipotesi di incompatibilità accertata in sede giudiziale.

Prima della modifica, l’art. 10-sexies della legge regionale n. 29 del 1951 stabiliva che «I deputati regionali per i quali esista o si determini, nel corso del mandato, qualcuna delle incompatibilità previste nella Costituzione, nello statuto e negli articoli del presente Capo debbono, nel termine di trenta giorni dall’insediamento o, nel caso di incompatibilità sopravvenuta, dall’inizio dell’esercizio delle funzioni, optare fra le cariche che ricoprono ed il mandato ricevuto, determinando la cessazione dell’incompatibilità stessa. Scaduto tale termine senza che l’opzione sia stata esercitata, s’intendono decaduti dalla carica di deputato».

A seguito dell’adozione della legge regionale n. 8 del 2009, l’art 10-sexies della legge regionale n. 29 del 1951 prevede che «1. I ricorsi o i reclami relativi a cause di ineleggibilità o di incompatibilità, ove presentati all’Assemblea, sono decisi secondo le norme del suo Regolamento interno. 1-bis. Nel caso in cui venga accertata l’incompatibilità, dalla definitiva deliberazione adottata dall’Assemblea, decorre il termine di dieci giorni entro il quale l’eletto deve esercitare il diritto di opzione a pena di decadenza. Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza. 1-ter. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 1-bis si applicano anche ai giudizi in materia di incompatibilità in corso al momento di entrata in vigore della presente legge e non ancora definiti con sentenza passata in giudicato».

4. – Nel merito, la questione relativa alla legge regionale n. 29 del 1951, come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, «nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente o assessore della provincia regionale», è fondata.

4.1. – Questa Corte ha affermato che il legislatore regionale siciliano non può «sottrarsi, se non laddove ricorrano “condizioni peculiari locali”, all’applicazione dei principi enunciati dalla legge n. 165 del 2004 che siano espressivi dell’esigenza indefettibile di uniformità imposta dagli artt. 3 e 51 Cost. Tra tali principi, assume rilievo il vincolo di configurare, a certe condizioni, le ineleggibilità sopravvenute come cause di incompatibilità» (sentenza n. 143 del 2010), come stabilito dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 2 luglio 2004, n. 165 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione). Sulla base di questo vincolo, che obbliga tutte le Regioni a rispettare il parallelismo tra le ipotesi di illegittimità e quelle di incompatibilità, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana n. 29 del 1951, «nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco o assessore di un Comune, compreso nel territorio della Regione, con popolazione superiore a ventimila abitanti».

Le medesime conclusioni si applicano alla questione oggetto del presente giudizio. L’abrogazione dell’art. 62 della legge regionale n. 29 del 1951 ha fatto venir meno il parallelismo tra l’ineleggibilità del deputato regionale alla carica di presidente o assessore di una Provincia regionale e la corrispondente causa di incompatibilità.

Le incompatibilità tra cariche elettive sono dirette a salvaguardare i principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Il cumulo tra la carica elettiva regionale e quella locale incide negativamente sia sulla imparzialità, in quanto può determinare una interferenza tra le funzioni legislative e politiche dell’Assemblea regionale e le funzioni amministrative dell’ente locale compreso nel territorio regionale, sia sul buon andamento, per il pregiudizio che il contemporaneo esercizio di tali funzioni arreca al funzionamento degli organi dei quali l’eletto è parte.

Se tali ragioni valgono a fondare la incompatibilità tra la carica di deputato regionale e quella di sindaco o assessore di un Comune (sentenza n. 143 del 2010), esse valgono, a fortiori, laddove alla carica di deputato regionale si aggiunga una carica elettiva che attiene a un livello territoriale più ampio di quello comunale, qual è appunto l’ufficio di presidente o assessore provinciale.

Ne discende che la legge regionale siciliana n. 29 del 1951, come modificata dalla legge regionale n. 22 del 2007, «nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente o assessore della provincia regionale», va dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.

5. – Parimenti fondata è la questione riguardante l’art. 10-sexies, comma 1-bis, della citata legge n. 29 del 1951, come modificato dalla legge regionale n. 8 del 2009, nella parte in cui prevede che, «Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza».

5.1. – A sèguito della modifica apportata dalla legge regionale n. 8 del 2009, il termine previsto dall’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951 può vanificare il divieto di cumulo tra la carica di deputato regionale e altre cariche elettive considerate incompatibili dall’ordinamento, in quanto consente all’eletto di cumulare le cariche fino al momento, indeterminato nel quando, del passaggio in giudicato della sentenza.

Proprio per evitare ciò, le norme statali che regolano l’accertamento in via giudiziale delle incompatibilità stabiliscono – sia per quanto riguarda i consiglieri regionali (art. 7, quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154, «Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale»), sia per ciò che concerne gli amministratori locali (art. 69, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali») – che il termine di dieci giorni per l’esercizio del diritto di opzione decorre dalla notifica del ricorso.

Questa Corte ha affermato, con riferimento a una norma statale in tema di incompatibilità tra cariche elettive, la necessità «di rimuovere la causa d’incompatibilità entro un termine ragionevolmente breve, dopo la notifica del ricorso di cui all’art. 9-bis del d.P.R. n. 570 del 1960, per assicurare un equilibrio fra la ratio giustificativa della incompatibilità e la salvaguardia del diritto di elettorato passivo» (sentenza n. 160 del 1997, nonché sentenza n. 235 del 1989). Il termine previsto dall’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale siciliana n. 29 del 1951 non rispetta il criterio della ragionevole brevità.

5.2. – Non si può invocare, a difesa della norma censurata, l’art. 3, comma 1, lettera g), della legge n. 165 del 2004, che, ai fini dell’esercizio del diritto di opzione tra cariche incompatibili, stabilisce il principio della «fissazione di un termine dall’accertamento della causa di incompatibilità, non superiore a trenta giorni».

La norma statale non fa riferimento – come sostenuto da una delle parti private – all’accertamento giudiziale, bensì a quello amministrativo, compiuto dall’organo elettivo di cui l’interessato è componente. Se così non fosse, e si dovesse attendere l’accertamento giudiziale di un fatto – essere eletti in una assemblea rappresentativa – che è di tutta evidenza e ha carattere notorio, sarebbe leso il principio sopra illustrato del parallelismo tra ineleggibilità e incompatibilità, con conseguente violazione degli artt. 3 e 51 Cost. Infatti, una persona che non avrebbe potuto essere eletta resterebbe titolare dell’organo, svolgendone le relative funzioni, fino al passaggio in giudicato della sentenza che ne dichiara l’incompatibilità.

6. – Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei Deputati all’Assemblea regionale siciliana), così come modificata dalla legge della Regione siciliana 5 dicembre 2007, n. 22 (Norme in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra l’ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di presidente e assessore di una Provincia regionale;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-sexies, comma 1-bis, della legge regionale n. 29 del 1951, così come modificato dall’art. 1 della legge della Regione siciliana 7 luglio 2009, n. 8 (Norme sulle ineleggibilità ed incompatibilità dei deputati regionali), nella parte in cui prevede che, «Ove l’incompatibilità sia accertata in sede giudiziale, il termine di dieci giorni per esercitare il diritto di opzione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI