Sentenza 229/2011

Sentenza 229/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE

Presidente QUARANTA - Redattore SILVESTRI

Udienza Pubblica del 05/07/2011 Decisione del 19/07/2011
Deposito del 22/07/2011 Pubblicazione in G. U. 27/07/2011
Norme impugnate: Art. 6 della legge della Regione autonoma della Sardegna 19/11/2010, n. 16.
Massime: 35775
Atti decisi: ric. 3/2011


SENTENZA N. 229

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge della Regione Sardegna 19 novembre 2010, n. 16 (Disposizioni relative al patto di stabilità territoriale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24-27 gennaio 2011, depositato in cancelleria il 27 gennaio 2011 ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Sardegna.



Ritenuto in fatto

1. — Con ricorso notificato il 24-27 gennaio 2011 e depositato il successivo 27 gennaio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge della Regione Sardegna 19 novembre 2010, n. 16 (Disposizioni relative al patto di stabilità territoriale), in riferimento agli artt. 117, primo e terzo comma, 119, secondo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, all’art. 3, comma 1, lettera b), e al Titolo III della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

La norma impugnata stabilisce:

«1. Gli enti locali trasmettono le richieste di modifica di cui all’articolo 3, comma 2, all’Assessorato regionale degli enti locali, finanze ed urbanistica, entro il 30 settembre di ciascun anno.

2. In via transitoria, per l’anno 2010, in sede di prima applicazione gli enti locali trasmettono le richieste di modifica di cui al comma 1, entro sette giorni dall’entrata in vigore della presente legge».

Secondo il ricorrente, il censurato art. 6, recante «Norme attuative e transitorie» in tema di patto di stabilità territoriale, non è conforme alle disposizioni statali che fissano le scadenze entro le quali devono essere effettuate la rimodulazione e la conseguente comunicazione degli obiettivi dei singoli enti locali al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

In particolare, la disciplina impugnata non consentirebbe il monitoraggio del patto di stabilità interno, posto a salvaguardia dell’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva. Infatti, l’individuazione del termine del 30 settembre di ciascun anno e, in via transitoria per l’anno 2010, del termine di sette giorni dall’entrata in vigore della legge regionale in esame, per la comunicazione anzidetta, risulterebbe in contrasto con quanto stabilito dall’art. 7-quater, comma 7, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 aprile 2009, n. 33.

Il citato art. 7-quater, comma 7, dispone che – ai fini dell’applicazione dell’art. 77-ter, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133 – la Regione comunichi al Ministero dell’economia e delle finanze, entro il mese di maggio di ciascuno degli anni 2009/2011, con riferimento ad ogni ente locale, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica.

Secondo la difesa statale, la comunicazione di cui sopra riguarda «le modifiche regionali degli obiettivi assegnati agli enti locali al fine di consentire al Ministero dell’economia e delle finanze di verificare, attraverso il monitoraggio semestrale, il mantenimento dei saldi di finanza pubblica nel corso dell’anno».

La disposizione regionale impugnata, invece, prevedendo termini successivi al 31 maggio per la suddetta comunicazione, non consentirebbe al Ministero dell’economia di effettuare, nel corso dell’anno 2010 e di quelli successivi, il monitoraggio, diretto non solo alla verifica degli adempimenti relativi al patto, ma anche all’acquisizione di elementi informativi utili per la finanza pubblica (ex art. 77-bis, comma 14, del d.l. n. 112 del 2008).

Inoltre, in assenza della fissazione del termine di cui sopra al 31 maggio – di recente differito al 30 giugno dall’art. 1, commi 140 e 142, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011) – la disciplina regionale del patto di stabilità interno risulterebbe «priva della natura programmatoria che caratterizza le norme statali» e si configurerebbe «come una disciplina elusiva del regime sanzionatorio previsto a livello nazionale». La previsione impugnata, infatti, renderebbe possibili interventi tali da configurarsi come «“sanatoria” di fine esercizio, finalizzati esclusivamente a far risultare adempiente il maggior numero di enti locali».

Così facendo, la norma regionale potrebbe rendere sempre più difficile nel tempo il raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità interno, comportando effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in quanto gli enti locali, confidando nell’anzidetta «sanatoria a chiusura dell’esercizio», sarebbero indotti a comportamenti finanziari poco virtuosi.

Per le ragioni sopra esposte, il ricorrente ritiene che l’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 16 del 2010 ecceda le competenze statutarie previste dall’art. 3, comma 1, lettera b), nonché dal Titolo III dello statuto speciale per la Sardegna. La normativa in questione, infatti, non potrebbe essere ricondotta all’ambito materiale dell’ordinamento degli enti locali, trattandosi di regole volte al raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per concorrere a quello più ampio, dato dal patto di stabilità e crescita europeo. Né rileverebbero le competenze regionali previste dal Titolo III dello statuto speciale, in riferimento alle finanze, al demanio e al patrimonio.

La norma impugnata, ponendosi in contrasto con la disciplina statale sopra richiamata, violerebbe anche gli artt. 117, primo e terzo comma, 119, secondo comma, e 120, secondo comma, Cost., «in riferimento, rispettivamente, ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, al coordinamento della finanza pubblica e alla tutela dell’unità economica della Repubblica».

2. — Con atto depositato il 1° marzo 2011, la Regione Sardegna si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

2.1. — Dopo aver sottolineato che la legge impugnata è finalizzata alla garanzia del pieno utilizzo della capacità finanziaria degli enti locali, e del rispetto dei vincoli del cosiddetto patto di stabilità interno, la difesa regionale si sofferma sui profili di inammissibilità delle censure proposte.

La resistente rileva, in particolare, come l’indicazione dei parametri violati sia contenuta solo nelle ultime righe del ricorso e non sia «minimamente dettagliata» nel corpo del medesimo. Quanto poi alla presunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., il ricorrente non avrebbe indicato alcuna norma comunitaria qualificabile come norma interposta nel presente giudizio di legittimità costituzionale. Ciò determinerebbe l’inammissibilità del ricorso per carenza di uno dei suoi elementi necessari.

Analoga eccezione è sollevata in relazione alla censura per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.; anche in questo caso non sarebbe puntualmente identificata la legge statale che dovrebbe fungere da parametro interposto, né sarebbe chiarito quale sia il titolo di competenza concorrente nel cui esercizio lo Stato avrebbe adottato le norme asseritamente violate. A tal proposito, la difesa regionale precisa che le norme statali menzionate dal ricorrente sono elencate in modo indistinto, senza che sia argomentata la pretesa violazione dei parametri costituzionali evocati.

Da ultimo, la Regione Sardegna sottolinea come non sia affatto provata la natura di principi fondamentali delle norme statali richiamate nel ricorso; natura che, comunque, non potrebbe trarsi dalla sola autoqualificazione operata negli artt. 77-bis e 77-ter del d.l. n. 112 del 2008.

2.2. — Nel merito, la resistente ritiene che il ricorso debba essere rigettato in quanto «frutto di un palese equivoco» ed «affetto da una palese contraddizione».

2.2.1. — Dall’esame dell’art. 7-quater, comma 7, del d.l. n. 5 del 2009 e dell’art. 77-ter, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 la difesa regionale deduce che tali disposizioni sono state «concepite» per le Regioni ad autonomia ordinaria e si applicano a quelle speciali solo nel caso in cui, entro il 31 dicembre, non sia raggiunto l’accordo tra il Presidente della Regione ed il Ministro dell’economia e delle finanze, previsto dall’art. 77-ter, comma 6, del d.l. n. 112 del 2008. Inoltre, la normativa sopra indicata si applica agli enti locali delle Regioni speciali solo se queste ultime non provvedono a definire le modalità di raggiungimento delle finalità del patto di stabilità interno entro il 31 dicembre.

Al riguardo, la resistente precisa di aver raggiunto l’intesa con il Ministro dell’economia in data 8 febbraio 2011 e di aver definito, entro il 31 dicembre 2010, le compensazioni fra gli enti locali. Pertanto, a suo dire, la disciplina comune non poteva e non può essere applicata agli enti locali della Regione Sardegna.

La difesa regionale rileva peraltro che, alla data di proposizione del ricorso, il procedimento previsto dal comma 2 dell’art. 6 della legge impugnata si era già concluso con l’adozione di una deliberazione della Giunta regionale, immediatamente trasmessa al Ministero dell’economia e delle finanze. Siffatta circostanza – osserva la resistente – non ha impedito il raggiungimento dell’intesa sul patto di stabilità per il 2010; sarebbe pertanto dimostrato che la resistente non ha in alcun modo leso le prerogative dello Stato, anzi la stipula dell’accordo porrebbe in evidenza la carenza di interesse all’impugnazione.

La Regione Sardegna richiama altresì una nota del Ragioniere generale dello Stato del 28 giugno 2010, nella quale si precisa che la facoltà di rimodulazione degli obiettivi degli enti locali è preclusa in sede di consuntivo e che gli enti stessi devono garantire il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nella medesima misura stabilita dalla normativa nazionale, anche se attraverso l’applicazione di regole regionali.

Secondo la difesa della resistente, la specificità della disciplina riservata alle Regioni speciali troverebbe conferma nell’evoluzione storica della normativa statale in tema di patto di stabilità interno. Le norme statali vigenti in materia prevedono che, per le autonomie speciali, a seguito dell’intesa tra il Ministro dell’economia e la Regione o la Provincia autonoma, venga definito un macro-obiettivo, che sarà poi specificato dalla stessa Regione o Provincia autonoma in relazione ai singoli enti locali. Inoltre, solo per le autonomie speciali la normativa regionale può essere applicata agli enti locali in luogo di quella statale, sempre che ricorrano le condizioni sopra indicate.

2.2.2. — La resistente procede quindi ad illustrare la scansione temporale degli adempimenti previsti dalle norme statali in materia, assumendo che la questione prospettata dal ricorrente – nella misura in cui presuppone che la norma regionale impugnata possa risolversi in una sanatoria per gli enti locali che non rispettino il patto di stabilità interno – sia inammissibile ed infondata.

Sarebbe inammissibile per la natura meramente ipotetica della censura; il ricorrente, infatti, non avrebbe dimostrato il nesso eziologico tra la norma e gli effetti indicati.

Sarebbe infondata perché, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura generale, gli enti locali verrebbero comunque sottoposti al regime sanzionatorio previsto dalle norme statali in caso di mancato invio delle certificazioni annuali e delle comunicazioni trimestrali, prescritte dall’art. 77-bis del d.l. n. 112 del 2008.

Pertanto, la legge regionale impugnata, inserendosi in maniera armonica nella sequenza procedimentale prevista dalla normativa statale, non altererebbe né il procedimento di verifica annuale dell’adempimento, da parte degli enti locali, degli obiettivi del patto, né quello di monitoraggio trimestrale dell’andamento delle gestioni di competenza mista.

2.2.3. — Quanto alla «grave contraddizione» in cui sarebbe incorso il ricorrente, la Regione Sardegna rileva come quest’ultimo non abbia contestato il meccanismo della rimodulazione, applicabile solo se il saldo finanziario totale e finale resti inalterato. Pertanto, non si comprenderebbe quale pregiudizio la norma impugnata arrechi al patto di stabilità interno.

Al riguardo, la resistente osserva che il termine del 31 maggio di cui all’art. 7-quater, comma 7, del d.l. n. 5 del 2009 riguarda solo la comunicazione degli «elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica». Questa comunicazione, a sua volta, non è disciplinata dalla legge regionale impugnata, la quale non prevedrebbe affatto che gli elementi informativi non debbano essere trasmessi, ma si limiterebbe a consentire la compensazione tra un ente locale e l’altro.

In sostanza, secondo la Regione Sardegna, la diversa collocazione nel tempo del momento della comunicazione degli elementi informativi non metterebbe a rischio il principio dell’intangibilità dei saldi e non determinerebbe le conseguenze lamentate dal ricorrente.

2.2.4. — Peraltro, sempre a parere della resistente, «non è affatto vero che la comunicazione degli elementi informativi debba seguire e non precedere la compensazione, anzi è logico che la compensazione possa intervenire dopo il 31 maggio, quando il quadro della situazione dei singoli enti locali si sarà più puntualmente definito».

Ancora, la difesa regionale ritiene che la norma di cui all’art. 7-quater, comma 7, del d.l. n. 5 del 2009 non sia qualificabile come principio fondamentale della materia per due ordini di motivi.

In primo luogo, l’avvenuto differimento del termine ivi previsto al 30 giugno e, per il solo anno 2011, al 30 ottobre (art. 1, comma 142, della legge n. 220 del 2010), escluderebbe la natura di principio fondamentale, trattandosi di «un termine che lo stesso legislatore statale modula a piacimento».

In secondo luogo, la Regione Sardegna richiama la sentenza n. 82 del 2007 della Corte costituzionale, la quale, in relazione ad una fattispecie analoga a quella odierna, ha definito come ordinatorio uno dei termini previsti nel procedimento di attuazione del patto di stabilità, escludendone – a detta della resistente – la natura di principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

2.2.5. — Da ultimo, la difesa regionale rileva come gli artt. 3, comma 1, lettera b), e 7 dello statuto speciale per la Sardegna, e l’art. 8 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382, e al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) attribuiscano alla Regione resistente una specifica autonomia nella materia della finanza pubblica ed, in particolare, della finanza locale.

3. — In prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri e la Regione Sardegna hanno depositato memorie nelle quali insistono nelle conclusioni già rassegnate, rispettivamente, nel ricorso e nell’atto di costituzione.

3.1. — In particolare, l’Avvocatura generale contesta le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla resistente, osservando che le censure prospettate sono «chiare e determinate e non lasciano dubbi sull’oggetto della contestazione».

Secondo la difesa statale, la diversa regolamentazione dei termini entro i quali gli enti locali possono rideterminare gli obiettivi già fissati si pone in contrasto con la disciplina statale indicata nel ricorso, le cui disposizioni costituiscono, ai sensi dell’art. 77-ter, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica».

Quanto all’asserita carenza di indicazione delle norme comunitarie violate, l’Avvocatura generale precisa che i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario sono, nel caso di specie, quelli disposti dal patto di stabilità e di crescita, stipulato dai Paesi membri dell’Unione europea e recepito negli artt. 121 (ex art. 99 TCE) e 126 (ex art. 104 TCE) del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea).

Sarebbe, inoltre, «perfettamente coerente e giustificata dal tenore della disposizione regionale censurata» la questione prospettata in relazione all’art. 120, secondo comma, Cost., che prevede il potere sostitutivo del Governo «a tutela dell’unità economica» in caso di «mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria».

Infine, la difesa statale contesta l’eccezione sollevata dalla Regione Sardegna, riguardante il significato delle censure prospettate, posto che il Ministero dell’economia e delle finanze ha manifestato il proprio assenso all’accordo sulla proposta formulata dalla stessa Regione in merito al patto di stabilità territoriale per l’anno 2010.

Siffatta eccezione sarebbe infondata, in quanto l’assenso del Ministero dell’economia all’accordo sul patto di stabilità, proposto dalla Regione ai sensi dell’art. 77-ter, comma 6, del d.l. n. 112 del 2008, avrebbe un oggetto diverso dalla rideterminazione degli obiettivi dei singoli enti e, quindi, non inciderebbe sui tempi previsti dal censurato art. 6 della legge regionale, per trasmettere le relative richieste di modifica.

Peraltro, aggiunge la difesa statale, la facoltà delle Regioni di differenziare all’interno del territorio, anche secondo proprie regole, i vincoli posti dal legislatore nazionale in relazione alle differenze esistenti, è azionabile sempre nel rispetto dell’obiettivo determinato in attuazione della normativa nazionale.

Di conseguenza, l’introduzione di una tempistica diversa da quella stabilita dalle disposizioni in materia di patto di stabilità disattenderebbe le regole poste dallo Stato per il coordinamento e il monitoraggio della finanza pubblica, pregiudicando anche il perseguimento degli obiettivi posti a livello europeo.

3.2. — Nel merito, l’Avvocatura generale ribadisce le censure già prospettate nel ricorso, evidenziando – anche alla luce di quanto disposto dall’art. 1, commi 141 e 142, della legge n. 220 del 2010 – che il tempestivo adempimento da parte delle Regioni consente al Ministero dell’economia e delle finanze di verificare, attraverso il monitoraggio semestrale, il mantenimento dei saldi di finanza pubblica nel corso dell’anno; così disponendo, il legislatore statale ha voluto evitare le ricadute di carattere economico che un irrazionale ricorso a modifiche di vincoli statali da parte degli enti locali avrebbe potuto produrre. Da quanto appena detto discenderebbe la «espressa previsione della perentorietà del termine», stabilita dalla citata legge n. 220 del 2010.



Considerato in diritto

1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’articolo 6 della legge della Regione Sardegna 19 novembre 2010, n. 16 (Disposizioni relative al patto di stabilità territoriale), in riferimento agli artt. 117, primo e terzo comma, 119, secondo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, all’art. 3, comma 1, lettera b), e al Titolo III della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

2. — La questione sollevata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. è fondata.

2.1. — L’art. 7-quater, comma 7, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 aprile 2009, n. 33, prescrive l’obbligo per le Regioni di comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze, «entro il mese di maggio di ciascuno degli anni 2009/2011, con riferimento a ciascun ente locale, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica».

L’art. 1, comma 142, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011) ha spostato il suddetto termine al 30 giugno di ciascun anno, definendo lo stesso «perentorio».

2.2. — Occorre – al fine di valutare in modo sistematico la norma impugnata – prendere in esame altre norme della legge reg. Sardegna n. 16 del 2010, rilevanti per il presente giudizio.

Il legislatore regionale, già nell’art. 1, precisa che «la presente legge disciplina il patto di stabilità degli enti locali ai sensi dell’articolo 77-ter del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112». L’art. 2 stabilisce, tra l’altro, che la Regione – in attuazione delle disposizioni di cui all’art. 77-ter, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133 – provvede ad adattare per gli enti locali le regole ed i vincoli posti dal legislatore nazionale riguardanti la disciplina del patto di stabilità interno, fermo restando il rispetto dell’obiettivo complessivamente determinato in attuazione della normativa nazionale.

Si deve al proposito osservare che lo stesso legislatore sardo riconosce l’applicabilità, nei confronti della Regione Sardegna, del comma 11 del citato art. 77-ter, a differenza di quanto invece sostiene nell’odierno giudizio la difesa regionale, secondo cui le censure governative sarebbero infondate, poiché la suddetta disposizione non si applicherebbe alle Regioni a statuto speciale.

L’art. 3 consente alla Giunta regionale di ridefinire, con propria deliberazione, gli obiettivi dei singoli enti locali. In particolare, il comma 2 del suddetto articolo prevede che gli obiettivi dei singoli enti possano essere modificati in senso peggiorativo o in senso migliorativo, nel rispetto dell’obiettivo aggregato. A tal fine, gli enti trasmettono le richieste di modifica all’Assessorato regionale degli enti locali, finanze e urbanistica. Il successivo comma 3 pone dei limiti alle richieste di modifica degli obiettivi dei singoli enti locali. Il comma 4 stabilisce che la Giunta regionale, prima di ridefinire gli obiettivi dei singoli enti locali, promuove un’intesa in sede di concertazione istituzionale con gli enti locali, finalizzata alla rimodulazione dei singoli obiettivi. Infine, il comma 5 obbliga la Regione a comunicare gli obiettivi rideterminati al Ministero dell’economia e delle finanze entro sette giorni dall’adozione della delibera di cui al comma 1.

L’art. 6, comma 1, oggetto delle odierne questioni di legittimità costituzionale, stabilisce che gli enti locali trasmettono all’Assessorato regionale competente le richieste di modifica degli obiettivi entro il 30 settembre di ciascun anno. Il comma 2 dell’art. 6, anch’esso impugnato nel presente giudizio, prevede che, per l’anno 2010, in sede di prima applicazione della legge in esame, gli enti locali trasmettono le richieste di modifica entro sette giorni dall’entrata in vigore della legge regionale.

In sintesi, oggetto delle censure del ricorrente è il termine fissato dalla legge regionale per la trasmissione all’Assessorato regionale, da parte degli enti locali, delle richieste di modifica degli obiettivi dei singoli enti locali.

3. — È necessario, in primo luogo, individuare l’ambito materiale di incidenza delle norme impugnate.

Al suddetto scopo, occorre notare che l’art. 6 si colloca all’interno di un quadro normativo, statale e regionale, volto ad assicurare il rispetto dei vincoli posti dal patto di stabilità, sia a livello nazionale, sia a livello comunitario. Pertanto, le norme impugnate sono riconducibili all’ambito del coordinamento della finanza pubblica, piuttosto che a quello dell’ordinamento degli enti locali o della finanza locale, ancorché il citato art. 6 concerna la trasmissione di dati degli enti locali alla Regione Sardegna. Difatti, le ricadute che tali norme hanno sugli equilibri della finanza pubblica generale sono tali da rendere obbligata la soluzione prima prospettata.

3.1. — Il punto da definire riguarda l’accertamento della denunciata violazione, da parte della disposizione impugnata, dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica. A tal fine, bisogna stabilire se le norme statali richiamate dal ricorrente contengano principi fondamentali idonei a vincolare il legislatore regionale, anche se trattasi di Regione ad autonomia speciale.

Al riguardo, è utile richiamare la giurisprudenza di questa Corte, la quale, per un verso, ha elaborato una nozione ampia di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, per altro verso, ha precisato come la piena attuazione del coordinamento della finanza pubblica possa far sì che la competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere legislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo» (sentenza n. 376 del 2003; in senso conforme, sentenze n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008).

Questa Corte ha messo pure in rilievo il carattere “finalistico” dell’azione di coordinamento e, quindi, l’esigenza che «a livello centrale» si possano collocare anche «i poteri puntuali eventualmente necessari perché la finalità di coordinamento» venga «concretamente realizzata» (sentenza n. 376 del 2003, già citata).

Si deve pure ricordare come questa Corte abbia ritenuto, con giurisprudenza costante, che i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica siano applicabili anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome (ex plurimis, sentenze n. 120 del 2008, n. 169 del 2007).

4. — In definitiva, la competenza statale a fissare una tempistica uniforme per tutte le Regioni, circa la trasmissione di dati attinenti alla verifica del mantenimento dei saldi di finanza pubblica, può logicamente dedursi dalle esigenze di coordinamento, specie in un ambito – come quello del patto di stabilità interno – strettamente connesso alle esigenze di rispetto dei vincoli comunitari. Tempi non coordinati delle attività di monitoraggio – strumentali, queste ultime, allo scopo di definire, per ciascun anno, i termini aggiornati del patto di stabilità – provocherebbero difficoltà operative e incompletezza della visione d’insieme, indispensabile perché si consegua l’obiettivo del mantenimento dei saldi di finanza pubblica.

La premessa per la determinazione del quadro nazionale – da inserirsi in quello europeo – è la disponibilità preventiva di dati certi e completi. Non è pertanto accettabile che i termini per la comunicazione dei dati, che le singole Regioni, anche a statuto speciale, fissano al proprio interno, nei rapporti con gli enti locali, siano successivi a quelli stabiliti su base nazionale. Non le singole date – stabilite ed eventualmente modificate dalle leggi statali – costituiscono principi fondamentali, ma il necessario allineamento cronologico, che consenta lo svolgimento armonico e coordinato di tutte le procedure atte a rendere concreto l’impegno ad osservare il patto di stabilità.

Si deve pertanto concludere che l’art. 6 della legge reg. Sardegna n. 16 del 2010 è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non è consentito alle Regioni, ivi comprese quelle ad autonomia differenziata, modificare i termini per la trasmissione dei dati relativi alla verifica del mantenimento dei saldi di finanza pubblica.

5. — Sono assorbite le altre censure di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente nell’atto introduttivo del presente giudizio.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 6 della legge della Regione Sardegna 19 novembre 2010, n. 16 (Disposizioni relative al patto di stabilità territoriale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI