Sentenza 232/2011

Sentenza 232/2011
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE

Presidente QUARANTA - Redattore GROSSI

Udienza Pubblica del 08/06/2011 Decisione del 19/07/2011
Deposito del 22/07/2011 Pubblicazione in G. U. 27/07/2011
Norme impugnate: Decreto legge 31/05/2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30/07/2010, n. 122; discussione limitata a: - art. 43 e 43 c. 2°.
Massime:
Atti decisi: ric. 107/2010


SENTENZA N. 232

ANNO 2011



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI,



ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso con ricorso della Regione Puglia notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2010 ed iscritto al n. 107 del registro ricorsi 2010.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato il successivo 7 ottobre, la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, ha impugnato numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), come convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, tra le quali l’articolo 43, che prevede (al comma 1) la istituzione, «nel Meridione d’Italia», di «zone a burocrazia zero», mediante l’emanazione (comma 2) di un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno». La disposizione in questione stabilisce (sempre al comma 2) che in tali zone, una volta istituite, le «nuove iniziative produttive» godano di alcuni vantaggi, prevedendo in particolare (nella lettera a) che «nei riguardi delle predette nuove iniziative i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo che vi provvede, ove occorrente, previe apposite conferenze di servizi ai sensi della legge n. 241 del 1990; i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz’altro positivamente adottati entro 30 giorni dall’avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine. Per i procedimenti amministrativi avviati d’ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, le amministrazioni che li promuovono e li istruiscono trasmettono, al Commissario di Governo, i dati e i documenti occorrenti per l’adozione dei relativi provvedimenti conclusivi. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli atti riguardanti la pubblica sicurezza e l’incolumità pubblica;».

In primo luogo, la Regione rileva che la disposizione impugnata – avendo un ámbito di applicazione generalizzato, non limitato a particolari settori materiali – appare destinata ad avere vigore in tutti i procedimenti amministrativi ad istanza di parte concernenti le «nuove iniziative produttive», a prescindere dalla materia nel cui contesto incidono tali procedimenti; pertanto, secondo la ricorrente, nella parte in cui coinvolge anche procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza regionale concorrente o residuale, essa viola rispettivamente i commi terzo e quarto dell’art. 117 della Costituzione. Escluso che la disciplina in questione riguardi la materia della determinazione dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali, la Regione ritiene che essa rientri piuttosto nel paradigma dell’art. 118, secondo comma, Cost., il quale prevede che ad allocare le funzioni amministrative debba essere il legislatore statale nelle materie di propria competenza, ed il legislatore regionale nelle altre materie.

E, d’altra parte, la ricorrente – poiché lo Stato può allocare funzioni amministrative nelle materie di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 117 della Costituzione, avocandole a se stesso, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost., ma solo ove ricorrano i presupposti della c.d. «chiamata in sussidiarietà», nel caso in cui il livello regionale sia inadeguato allo svolgimento della specifica funzione amministrativa considerata – rileva che nella specie tale condizione non ricorre, in quanto la norma prevede una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo del tutto generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità dell’una rispetto all’altra. Tale attribuzione, inoltre, prescinde da quella valutazione di adeguatezza-inadeguatezza del livello territoriale di governo coinvolto (invece necessaria per verificare l’effettiva sussistenza in concreto delle esigenze di esercizio unitario), che giustifica l’avocazione in capo al livello statale e che va condotta in riferimento alle singole funzioni coinvolte ed alle loro peculiari caratteristiche.

Pertanto, secondo la ricorrente, la normativa impugnata – nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale – contrasta non solo con l’art. 117, secondo e terzo [recte: terzo e quarto] comma, Cost., ma anche con l’art. 118, secondo comma, Cost., il quale vincola la possibilità di allocare funzioni amministrative alla titolarità della competenza legislativa nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi.

Ove, peraltro, si ritenesse esistente un titolo di legittimazione della competenza legislativa statale, per la ricorrente la norma impugnata sarebbe comunque costituzionalmente illegittima perché in contrasto con i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, ai quali l’art. 118, primo comma, Cost., impone di adeguarsi nella allocazione di funzioni amministrative; laddove il legislatore statale ha compiuto una valutazione di inadeguatezza di tutti i livelli amministrativi regionali e locali del Meridione d’Italia del tutto presuntiva e aprioristica, palesemente sganciata dalla considerazione delle singole funzioni che concretamente vengono in gioco in relazione alle «nuove iniziative produttive».

In via subordinata, la Regione – rilevato che l’istituzione in concreto di una «zona a burocrazia zero» potrebbe trovare legittimazione solo ed esclusivamente nella «chiamata in sussidiarietà» di tale funzione al livello statale, con il necessario coinvolgimento di tipo codecisionale della Regione territorialmente interessata – impugna il comma 2 dell’art. 43, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., nella parte in cui, nel disciplinare la procedura di istituzione delle «zone a burocrazia zero» (affidata ad un semplice «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno») non prevede l’intesa con la Regione interessata, per l’ipotesi in cui risultino coinvolti procedimenti amministrativi che si svolgono nelle materie di competenza regionale concorrente e residuale.

2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo in termini generali la tardività del ricorso proposto contro disposizioni del decreto-legge non modificate dalla legge di conversione, e chiedendo nello specifico la declaratoria di non fondatezza della proposta questione, poiché le censure non tengono conto del fatto che la norma impugnata è diretta ad assicurare effettività al diritto di libertà di iniziativa economica di rilievo costituzionale (art. 41 Cost.), che giustifica da sé la disposta semplificazione procedurale. Secondo l’Avvocatura, la disposizione in esame attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., attraverso una previsione di semplificazione amministrativa, rispettosa del principio di sussidiarietà, che passa per la conferenza di servizi, la introduzione del silenzio-assenso, la conclusione da parte di un commissario ad hoc.

Peraltro, l’Avvocatura sostiene che la previsione normativa in esame rientra nell’ámbito dei poteri statali di coordinamento della finanza pubblica in quanto diretta a favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo, nell’ottica di una maggiore competitività delle imprese. E ciò, tanto più in quanto la disposizione impugnata (al pari delle altre contenute nella legge de qua) fa parte di una manovra complessiva di riequilibrio e contenimento finanziario di tutela del bilancio dello Stato e di supporto all’economia del Paese, nel contesto di una grave situazione di crisi internazionale, in cui deve riconoscersi allo Stato medesimo l’esercizio di una potestà legislativa primigenia, fondata sui principi fondamentali di unità (art. 5 Cost.), di solidarietà politica economica e sociale (art. 2 Cost.) di sussidiarietà (art. 118 Cost.) e di responsabilità a tutela dell’unità economica della Nazione (art. 120 Cost.).

3. – Nell’imminenza dell’udienza, entrambe le parti hanno depositato memorie nelle quali ribadiscono le rispettive argomentazioni e conclusioni. In particolare, la Regione Puglia deduce l’estraneità, rispetto alla specifica normativa censurata, dei titoli di legittimazione esclusiva statale e concorrente evocati dall’Avvocatura dello Stato a sostegno della non fondatezza della questione.



Considerato in diritto

1. – La Regione Puglia, con il ricorso in epigrafe, impugna numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), come convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Tra queste disposizioni, la ricorrente censura l’articolo 43 che prevede la istituzione, «nel Meridione d’Italia» di «zone a burocrazia zero» (comma 1), mediante l’emanazione di un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno» (comma 2); e stabilisce che, in tali zone, una volta istituite, le «nuove iniziative produttive» godano di alcuni vantaggi, prevedendo, in particolare, che «nei riguardi delle predette nuove iniziative i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, sono adottati in via esclusiva da un Commissario di Governo che vi provvede, ove occorrente, previe apposite conferenze di servizi ai sensi della legge n. 241 del 1990; i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti si intendono senz’altro positivamente adottati entro 30 giorni dall’avvio del procedimento se un provvedimento espresso non è adottato entro tale termine. Per i procedimenti amministrativi avviati d’ufficio, fatta eccezione per quelli di natura tributaria, di pubblica sicurezza e di incolumità pubblica, le amministrazioni che li promuovono e li istruiscono trasmettono, al Commissario di Governo, i dati e i documenti occorrenti per l’adozione dei relativi provvedimenti conclusivi. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano agli atti riguardanti la pubblica sicurezza e l’incolumità pubblica;» (lettera a del comma 2).

2. – La trattazione della questione di legittimità costituzionale relativa a tale disposizione viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse dalla Regione Puglia con il medesimo ricorso, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto.

3. – Nell’esordio della memoria di costituzione, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, in termini generali e pregiudiziali, la tardività del ricorso, in quanto proposto avverso norme del decreto-legge non modificate in sede di conversione e quindi immediatamente lesive. L’eccezione non può essere condivisa, giacché – indipendentemente dalla circostanza che nella specie la legge di conversione ha modificato la lettera a) del censurato art. 43, comma 2 –, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la Regione che ritenga lese le proprie competenze da norme contenute in un decreto-legge può sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale anche in relazione a questo atto, con effetto estensivo alla legge di conversione, ovvero può riservare l’impugnazione a dopo l’entrata in vigore di quest’ultima (sentenze n. 430 del 2007, n. 383 e n. 62 del 2005; n. 287 e n. 272 del 2004), poiché «soltanto a partire da tale momento il quadro normativo assume un connotato di stabilità e l’iniziativa d’investire la Corte non rischia di essere vanificata dall’eventualità di una mancata conversione» (sentenza n. 25 del 1996).

4. – La Regione ricorrente ritiene che l’impugnata disposizione si ponga in contrasto con l’articolo 117, secondo e terzo [recte: terzo e quarto] comma, e con l’art. 118, secondo comma, della Costituzione (che vincola la possibilità di allocare funzioni amministrative alla titolarità della competenza legislativa nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi), nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale; ovvero con l’art. 118, primo comma, Cost., perché lesiva dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, in quanto il legislatore statale ha compiuto una valutazione di inadeguatezza di tutti i livelli amministrativi regionali e locali del Meridione d’Italia del tutto presuntiva e aprioristica, palesemente sganciata dalla considerazione delle singole funzioni che concretamente vengono in gioco in relazione alle «nuove iniziative produttive».

In via subordinata, la ricorrente censura l’art. 43, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, come convertito dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui disciplina il procedimento di istituzione delle «zone a burocrazia zero», affidandolo ad un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno», per violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, e dell’art. 118, primo comma, Cost., in quanto – poiché l’istituzione in concreto di una «zona a burocrazia zero» potrebbe trovare legittimazione solo ed esclusivamente nella «chiamata in sussidiarietà» di tale funzione al livello statale, con il necessario coinvolgimento di tipo codecisionale della Regione territorialmente interessata – non prevede l’intesa con la Regione interessata, per l’ipotesi in cui risultino coinvolti procedimenti amministrativi che si svolgono nelle materie di competenza regionale concorrente e residuale.

5.1. – La questione è fondata nei termini che seguono.

5.2. – Preliminarmente, non può essere condivisa la tesi difensiva del Presidente del Consiglio dei ministri che riconduce la norma censurata (per vero, in modo sommario, generico ed apodittico) nell’ámbito della competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ovvero – in via subordinata – di quella concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.

È sufficiente ribadire che il titolo di legittimazione di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione (sentenze n. 383 e n. 285 del 2005), mediante la determinazione dei relativi standard strutturali e qualitativi, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa (da ultimo, sentenze n. 92 e n. 8 del 2011). Poiché tale competenza esclusiva, per sua natura trasversale, consente allo Stato una forte restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni allo scopo appunto di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione stessa (sentenza n. 387 del 2007), ad essa evidentemente non può farsi riferimento rispetto ad una scelta legislativa che, prevedendo la possibilità di istituzione di “zone a burocrazia zero” solo in talune parti del territorio statale (il Meridione d’Italia), tende viceversa ad avvantaggiare, rispetto alla generalità degli utenti che intendono intraprendere nuove iniziative produttive, quelli che agiscono nelle suddette zone.

Quanto, invece, al richiamo alla competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, ex art. 117, terzo comma, Cost., è chiaro che la disposizione censurata (al di là di una indiretta correlazione con le finalità di risanamento economico che caratterizzano il provvedimento legislativo che la contiene) non possa, per ciò solo, essere ascritta a tale competenza, e quindi qualificarsi come relativo principio fondamentale, poiché, lungi dal porre obiettivi di riequilibrio finanziario (sentenze n. 156 del 2010 e n. 297 del 2009), e tantomeno dall’indicare generali strumenti o modalità per il perseguimento di siffatti obiettivi, prescrive una disciplina di dettaglio in tema di trattazione e definizione di procedimenti amministrativi, del tutto estranea alla evocata materia.

5.3. – Vero è, invece, che la disposizione impugnata – prevedendo una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza – è destinata ad avere vigore in tutti i procedimenti amministrativi ad istanza di parte o avviati d’ufficio concernenti le «nuove iniziative produttive», a prescindere dalla materia nel cui contesto hanno rilievo tali procedimenti, i quali possono essere destinati ad esplicarsi nei più svariati ámbiti materiali, sia di competenza esclusiva statale (ad esempio, in materia di organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali), sia di competenza concorrente ovvero residuale regionale (ad esempio, in materia di governo del territorio, promozione ed organizzazione di attività culturali, ovvero di industria, commercio, agricoltura, artigianato, turismo etc.).

Ed è, appunto, sulla indefinita molteplicità di materie coinvolte e sull’affidamento del potere decisorio di emettere i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi de quibus ad un unico organo governativo che si incentrano le censure della Regione Puglia. La quale, da un lato, deduce che la normativa impugnata – nella parte in cui si applica anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale – contrasterebbe non solo con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., ma anche con l’art. 118, secondo comma, Cost., il quale vincola la possibilità di allocare funzioni amministrative alla titolarità della competenza legislativa nella materia in cui esse sono destinate a svolgersi. E, dall’altro lato, esclude che nella specie ricorrano i presupposti della c.d. «chiamata in sussidiarietà», ai sensi del primo comma dell’art. 118 Cost., in quanto la previsione normativa censurata prescinde da qualsiasi valutazione di adeguatezza-inadeguatezza del livello territoriale di governo coinvolto, che è invece necessaria per verificare l’effettiva sussistenza in concreto delle esigenze di esercizio unitario, che giustifica l’avocazione in capo al livello statale, e che va condotta in riferimento alle singole funzioni coinvolte ed alle loro peculiari caratteristiche.

5.4. – Orbene, l’assunto da cui muove la ricorrente, secondo cui lo Stato potrebbe allocare funzioni amministrative esclusivamente nelle materie di sua competenza esclusiva indicate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., non è condivisibile.

Invero, questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 278 del 2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003) ha ritenuto (fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003) che, nell’art. 118, primo comma, Cost., vada rinvenuto un peculiare elemento di flessibilità, il quale – nel prevedere che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – introduce un meccanismo dinamico (incidente anche sulla stessa distribuzione delle competenze legislative) diretto appunto a superare l’equazione tra titolarità delle funzioni legislative e titolarità delle funzioni amministrative.

La Regione ricorrente (trascurando di dare rilievo alla compresenza, nella specie, di una molteplicità di materie che possono essere incise dalla normativa censurata, le quali ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e Regioni) basa invece la sua censura sulla acritica e categorica affermazione, di ordine generale, della insuperabilità di tale rigida corrispondenza, che questa Corte ha costantemente negato (fin dalla citata sentenza n. 303 del 2003), ritenendo coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà il fatto che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere.

5.5. – D’altro canto, tuttavia, la Regione – pur ammesso che lo Stato possa allocare funzioni amministrative nelle materie di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 117 della Costituzione, avocandole a se stesso, in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost. – osserva che ciò può avvenire solo ove ricorrano i presupposti dell’esercizio unitario delle funzioni amministrative; presupposti che essa esclude che si riscontrino nelle disposizioni normative impugnate, derivandone per questo la violazione del medesimo art. 118, primo comma, Cost.

Tale censura è fondata.

Per costante affermazione di questa Corte – poiché la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato –, in relazione al principio di legalità sostanziale (per tutte, sentenza n. 6 del 2004), tale scelta deve giustificarsi in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (ex plurimis sentenze n. 278 del 2010, n. 76 del 2009, n. 165 e n. 88 del 2007, n. 214 del 2006, n. 151 del 2005). E, dunque, proprio in ragione della rilevanza dei valori coinvolti, una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. può essere giustificata solo se la valutazione dell’interesse unitario sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.

Affinché, dunque, nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa detti una disciplina logicamente pertinente (dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni), che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine e che sia adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali (da ultimo, sentenza n. 278 del 2010). Infatti, solo la presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, consente di giustificare la scelta statale dell’esercizio unitario di funzioni, allorquando emerga l’esigenza di esercizio unitario delle funzioni medesime (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2009, n. 339 e n. 88 e del 2007, n. 214 del 2006, n. 242 e n. 151 del 2005).

Condotta alla stregua di siffatto canone ermeneutico, l’analisi della norma censurata – che, come detto, possiede un campo di applicazione generalizzato (riferito a tutti i procedimenti amministrativi in tema di nuove iniziative produttive) e quindi idoneo a coinvolgere anche procedimenti destinati ad esplicarsi entro ámbiti di competenza regionale concorrente o residuale – conduce a ritenere fondati i dubbi di legittimità costituzionale, in ragione della assenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione, sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilità che le funzioni amministrative de quibus possano essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori. Né, d’altra parte, alle conseguenze derivanti dalla rilevata carenza dei presupposti sostanziali che, nella specie, giustifichino la chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative de quibus, può sopperirsi evocando il richiamo, di per sé neutro, al «rispetto del principio di sussidiarietà e dell’art. 118 della Costituzione», contenuto nell’incipit del comma 2 del medesimo art. 43.

Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale del censurato art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale.

6. – Resta, di conseguenza, assorbita l’ulteriore censura formulata in via subordinata dalla ricorrente avverso il comma 2 del menzionato art. 43 – per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost. – in ragione della dedotta mancata previsione dell’ulteriore presupposto del coinvolgimento della Regione territorialmente interessata.



per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Puglia con il ricorso iscritto al n. 107 del registro ricorsi 2010 indicato in epigrafe,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), come convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’ambito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: MELATTI